Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 16914 depositata il 19 giugno 2024

principio di inerenza – onere probatorio – contraddittorio endoprocedimentale 

RILEVATO CHE

– La CTP di Massa Carrara accoglieva, nel merito, il ricorso proposto dalla CSP s.r.l. (in breve CSP) avverso l’avviso di accertamento, per imposte dirette ed IVA, in relazione all’anno 2008, con il quale erano stati disconosciuti costi, costituiti da una quota dei canoni corrisposti alla CEP s.r.l. per la locazione di un immobile, ritenuti indeducibili per difetto di inerenza, annullando l’atto impugnato, ma rigettando l’eccezione preliminare proposta dalla contribuente in relazione alla violazione del principio del contraddittorio preventivo ai sensi dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000;

– con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Toscana rigettava l’appello principale proposto dall’Agenzia delle entrate e accoglieva quello incidentale proposto dalla contribuente, osservando che:

– l’avviso di accertamento impugnato non era adeguatamente motivato con riferimento al disconoscimento dell’inerenza dei costi relativi al canone di locazione corrisposto per la detenzione dei locali in cui si svolgeva l’attività dell’impresa, trattandosi di spese che concorrevano per natura e per destinazione a generare ricavi, non avendo l’Ufficio motivato sotto altri profili la non deducibilità di detti costi;

– l’appello incidentale, che rivestiva carattere assorbente, riguardava la violazione dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, che doveva essere applicato anche al caso in esame, in cui l’istruttoria si era svolta presso la sede dell’Amministrazione finanziaria, in forza della particolare rilevanza assunta dalla predetta disposizione nell’ambito dell’ordinamento tributario;

– l’Ufficio si era limitato, invece, a invitare la contribuente ad esibire la documentazione contabile, omettendo di redigere il processo verbale di constatazione e di instaurare il contraddittorio preventivo, notificando l’avviso di accertamento prima del decorso del termine dilatorio previsto dalla predetta disposizione;

– l’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi;

– la CSP resisteva con

CONSIDERATO CHE

– Con il primo motivo, la ricorrente Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, comma 1, 3, cod. proc. civ., per avere la CTR errato nell’accogliere l’eccezione di invalidità dell’atto impositivo per mancato rispetto del termine dilatorio, sebbene la verifica fiscale si fosse svolta presso gli uffici dell’Amministrazione finanziaria (cd. indagine a tavolino), sulla base delle informazioni desunte dall’Anagrafe tributaria e dai documenti prodotti dalla contribuente;

– il motivo è fondato;

– come ha in più occasioni affermato questa Corte, l’ambito di applicabilità dei diritti e delle garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, stabiliti dall’articolo 12 dello statuto dei diritti del contribuente, postula, a norma del 1° comma della norma, lo svolgimento di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali del contribuente (ex plurimis, Cass. 4.04.2014, n. 7957);

– da ciò discende che la disciplina prevista dall’art. 12 cit. – ed in particolare l’obbligo di redazione del processo verbale di constatazione e il rispetto del termine dilatorio all’azione di accertamento – non si applica ai controlli effettuati dall’Amministrazione finanziaria – come nel caso in esame – nella propria sede (c.d. controllo a tavolino), in base ai dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente (ex plurimis, Cass. 5.11.2020, n. 24793);

– occorre poi ribadire che nei casi di accertamento c.d. a tavolino, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto impositivo, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass., Sez. U, n. 24823 del 12.2015);

– nella specie, versandosi in presenza di accertamento effettuato presso gli uffici dell’Amministrazione finanziaria, quindi, non sussisteva alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale rispetto ai tributi non armonizzati oggetto di ripresa;

– per quanto riguarda l’IVA, invece, occorre premettere che, poiché per le modalità di svolgimento del contraddittorio non viene prescritta alcuna forma vincolata, va ribadito il principio, secondo il quale è sufficiente (e necessario) che detto contraddittorio, quando previsto, “si realizzi in modo effettivo quali siano gli strumenti in concreto adottati, siano essi il ricorso a procedure partecipative o l’impiego di altri meccanismi finalizzati all’interlocuzione preventiva, come, ad esempio, l’inoltro di questionari, il riconoscimento dell’accesso agli atti ovvero l’espletamento di altre attività che risultino funzionali a detto obiettivo” (Cass. 19.07.2021, n. 20436);

– nella specie, risulta che alla contribuente era stato inviato un invito con la richiesta di esibizione di documentazione, proprio al fine di verificare la regolarità della sua posizione contabile e fiscale, e che in occasione del deposito di tali documenti erano stati redatti i relativi verbali di consegna;

– la CTR ha, dunque, errato nel ritenere che l’Amministrazione finanziaria fosse obbligata nel caso in esame a redigere il processo verbale di constatazione e a rispettare il termine dilatorio previsto dall’art. 12 cit., mentre per quanto riguarda l’IVA, il contatto instaurato con la contribuente in occasione degli inviti era sicuramente idoneo ad essere qualificato quale contraddittorio endoprocedimentale;

– con il secondo motivo, lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 109 TUIR e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto erroneamente che l’avviso di accertamento impugnato non fosse motivato adeguatamente, non considerando che il predetto atto impositivo conteneva tutti gli elementi necessari per procedere al disconoscimento dei costi in esame e che l’onere di dimostrare l’inerenza dei costi spettava alla contribuente;

– anche questo motivo è fondato;

– secondo un costante indirizzo di questa Corte, l’inerenza costituisce un requisito fondamentale per la determinazione del reddito d’impresa e integra un giudizio, di natura qualitativa, sulla riferibilità del costo all’attività d’impresa, produttiva del reddito soggetto a tassazione, sebbene il percorso evolutivo di questo concetto abbia portato la giurisprudenza ad ancorarlo, a volte, a riferimenti di tipo “quantitativo”, con conseguente inclusione nel principio di inerenza anche dei profili di congruità o antieconomicità delle spese sostenute dall’imprenditore;

– l’orientamento più recente ha, tuttavia, cercato di ricollegare il principio di inerenza dei costi deducibili esclusivamente all’esercizio dell’attività d’impresa, con esclusione di ogni valutazione di tipo quantitativo (Cass. 11.01.2018, n. 450), considerando i parametri di congruità e  antieconomicità  solo  meri  indici  sintomatici dell’inesistenza del requisito dell’inerenza (Cass. 9.02.2018, n. 3170 e Cass. 17.07.2018, n. 18904);

– per quanto riguarda la ripartizione dell’onere probatorio, invece, occorre ribadire che In tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa(ex plurimis, Cass. 26.05.2017, n. 13300);

– anche in tema di IVA, questa Corte ha condivisibilmente affermato che, ai fini della detrazione di un costo, la prova dell’inerenza del medesimo quale atto d’impresa, ossia dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio di inerenza, incombe sul contribuente, in quanto soggetto gravato dell’onere di dimostrare l’imponibile maturato (Cass. n. 18904 del 17/07/2018);

la definizione di inerenza, utilizzata nell’ambito delle imposte dirette in termini esclusivamente qualitativi, è coerente con la disciplina dell’IVA, in relazione alla quale la mancanza di congruità della spesa non esclude il diritto alla detrazione, stante il carattere neutrale dell’imposta, salvo che l’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione (che deve essere dimostrata dall’Amministrazione) sia “tale da assumere rilievo indiziario di non verità della fattura o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad IVA” (ex multis, Cass. 30.01.2018, n. 2240);

anche in materia di IVA va escluso, dunque, il diritto alla detrazione dell’imposta, se l’Amministrazione finanziaria dimostri la manifesta e macroscopica antieconomicità dell’operazione, come tale esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, che assume rilievo quale indizio di non verità della fattura, e, dunque, di non verità dell’operazione stessa o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad IVA; in tal caso spetterà all’imprenditore dimostrare che la prestazione del bene o servizio è reale ed inerente all’attività svolta (Cass. n. 22130 del 27/09/2013; Cass. n. 27961 del 14/10/2021);

– il giudice di appello non si è attenuto ai richiamati principi, limitandosi ad affermare che l’avviso di accertamento non era adeguatamente motivato con riferimento al disconoscimento dell’inerenza dei costi, senza verificare se la spesa sostenuta dalla contribuente per i canoni di locazione fosse sproporzionata (e quindi manifestamente antieconomica) rispetto al canone di leasing pagato, a sua volta, dalla società locatrice e a quelli concordati con altri soggetti, tenuto conto dell’estensione dell’immobile concesso in leasing, delle modalità con le quali era stata determinata la misura di detto canone e della sua incidenza sul risultato di bilancio, in relazione al volume di affari conseguito dalla CSP negli anni dal 2008 al 2011, considerati anche i legami che univano alcuni soci della CEP e della CSP;

– a fronte della eventuale manifesta antieconomicità dell’operazione, spettava poi alla contribuente dimostrare l’effettività e l’inerenza della spesa;

– il ricorso va, dunque, accolto e la sentenza va cassata con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, per nuovo esame e anche per le spese del presente procedimento.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, anche per le spese del presente procedimento.