Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 1707 depositata il 16 gennaio 2024

accertamento con metodo analitico induttivo – tovagliometro – i ricorsi per cassazione contro la decisione di appello e contro quella che decide l’impugnazione per revocazione avverso la prima vanno riuniti in caso di contemporanea pendenza degli stessi in sede di legittimità – tributi –- rimessione in termini – presupposti – acquiescenza – valutazione delle prove – esclusione – accertamento analitico induttivo – presupposti – equità sostitutiva – presupposti 

RILEVATO CHE

1. Il contribuente M.R., esercente l’attività di ristorazione, ha separatamente impugnato tre avvisi di accertamento relativi ai periodi di imposta 2007, 2008 e 2009 con i quali, a seguito di accesso e conseguente PVC, venivano accertati maggiori ricavi e le conseguenti imposte dirette e IVA.

2. La CTP di Salerno ha accolto i ricorsi riuniti.

3. La CTR della Campania, con sentenza in data 12 aprile 2016, ha accolto parzialmente l’appello dell’Ufficio. Ha ritenuto il giudice di appello che dalla contabilità aziendale emergevano diverse irregolarità, quali la mancata esibizione del dettaglio delle rimanenze finali e iniziali, la movimentazione del conto cassa in contanti, l’incongruenza degli acquisti con i risultati di esercizio, con particolare riferimento all’acquisto dei prodotti primari utilizzati dal ristorante (pesce e alici di menaica), il numero di portate rispetto al volume di affari dichiarato e i dati inseriti negli studi di settore, ritenendo sussistere sufficienti elementi indiziari tali da indurre la presunzione di inattendibilità della contabilità ai fini della metodologia analitico-induttiva applicata. Ha, poi, osservato che gli elementi contabili sulla base dei quali si è proceduto all’accertamento con la modalità analitico-induttiva (in particolare, periodo di apertura, numero coperti, prezzo medio e tipologia di pagamenti), sono stati rideterminati in contraddittorio con il contribuente. E’, stato, poi, valorizzato l’elemento indiziario del consumo di tovaglioli, nella specie di carta, utilizzati (cd. tovagliometro). Sotto questo profilo, il giudice di appello ha rilevato che l’Ufficio non aveva tenuto conto dello sfrido e aveva fatto applicazione del prezzo dei pasti determinato al momento dell’accesso e non alla data dei precedenti periodi di imposta, per cui ha ridotto gli importi accertati del 25%.

4. Propone ricorso per cassazione il contribuente, iscritto al n. 23682/2016 R.G., affidato a sei motivi, alcuni dei quali articolati in ulteriori diversi profili, ulteriormente subarticolati; l’ente impositore si è costituito ai fini della partecipazione all’udienza di discussione. Il ricorrente ha depositato memoria.

5. Dagli atti del fascicolo n. 9640/2018 R.G. emerge che il medesimo contribuente M.R. ha impugnato per

revocazione la menzionata sentenza della CTR Campania n. 3406/12/16, oggetto del superiore giudizio, ritenendo che l’avere la sentenza impugnata applicato il tovagliometro in relazione ai tovaglioli di carta accertati rispetto a quelli acquistati nel periodo di imposta per la somministrazione dei pasti, fosse a monte viziato da un errore revocatorio del giudice di appello.

6. La CTR della Campania, Sezione staccata di Salerno, con sentenza in data 25 agosto 2017, ha rigettato l’impugnazione per revocazione, ritenendo che l’utilizzo del tovagliometro ha costituito punto controverso sul quale il giudice si è pronunciato.

7. Propone ricorso per cassazione il contribuente, affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso l’Ufficio. Il ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO CHE

1. Con il primo motivo del ricorso n. 23682/2016 R.G. si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 111 Cost., degli artt. 61 e 36 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e dell’art. 132 cod. proc. civ., deducendo nullità della sentenza per mancanza nella motivazione del minimo costituzionale. Osserva parte ricorrente come la sentenza sarebbe priva di percorso logico intellegibile, non avrebbe effettuato «alcuna attività di giudizio» e non avrebbe indicato il contenuto degli atti processuali esaminati.

2. Con il secondo motivo del medesimo ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per non avere rilevato l’inammissibilità dell’atto di appello in violazione dell’art. 342 cod. proc. civ. e dell’art. 52 d.lgs. n. 546/1992. Osserva il ricorrente che l’appello dell’Ufficio sarebbe stato inammissibile per omessa esposizione dei fatti e per assenza di specifici motivi di impugnazione e mera riproduzione delle argomentazioni già sostenute dall’Ufficio in primo grado, senza che nell’appello fossero state confutate le ragioni del giudice di primo grado.

3. Con il terzo motivo del medesimo ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza «per acquiescenza sulla accertata inesistenza dei presupposti legittimanti l’accertamento induttivo» in violazione degli artt. 329 e 112 cod. proc. civ. Parte ricorrente riprende l’argomentazione secondo cui l’atto di appello non avrebbe censurato specificamente gli accertamenti contenuti nella sentenza impugnata, con conseguente acquiescenza «parziale» alla sentenza impugnata, con riferimento alla asserita insussistenza delle condizioni legittimanti l’accertamento «induttivo».

4. Con il quarto motivo del medesimo ricorso si deducono plurimi profili di censura. Secondo un primo ordine di censure si deduce nullità della sentenza per «mancato o difettoso controllo di legittimità dell’accertamento impugnato dichiaratamente effettuato ai sensi dell’art. 39 c. 1 lett. d) del d.p.r. 600/73». Con riferimento a tale aspetto si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per non avere la sentenza impugnata tenuto conto di tutte le domande ed eccezioni proposte dal contribuente, deducendo che non ricorrerebbe nella specie un rigetto implicito.

4.1. Sotto un secondo profilo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonché (ulteriormente) in relazione all’art. 115 e 116 cod. proc. civ. e all’art. 2097 (rectius art. 2697) cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che gli elementi contabili sono stati rideterminati in contraddittorio con il contribuente. Il ricorrente deduce che tale accertamento non corrisponda al vero e che sarebbero state omesse le censure esposte dal ricorrente in relazione alle irregolarità compiute dagli accertatori.

4.2. Sotto un terzo profilo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 39, primo comma, lett. d), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non sussistendo (nella sostanza) irregolarità gravi per ritenere complessivamente inattendibile la contabilità ai fini dell’accertamento emesso, tenuto conto della regolare tenuta del libro inventari, del libro dei corrispettivi e delle scritture contabili nel loro complesso e della compilazione degli studi di settore, per cui non sussisterebbero in fatto le irregolarità accertate dal giudice di appello.

4.3. Sotto un quarto profilo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 39, primo comma, lett. d), d.P.R. n. 600/1973, dell’art. 2697 cod. civ. e (ulteriormente) dell’art. 116 cod. proc. civ., «nullità della sentenza per mancato o difettoso controllo di legittimità della operata rideterminazione dei ricavi», nella parte in cui la sentenza impugnata ha fatto ricorso allo strumento presuntivo del tovagliometro per rideterminare il numero e il costo dei pasti. Il ricorrente deduce come il ragionamento deduttivo del giudice di appello poggi su presunzioni prive di pregnanza indiziaria e non tenga conto delle deduzioni di parte contribuente, né della valutazione globale di tutte le risultanze istruttorie, anche in relazione alla presunzione del prezzo di vendita.

5. Con il quinto motivo del medesimo ricorso si deducono, ulteriormente, plurime censure. Con un primo profilo si deduce nullità della sentenza «per mancato o difettoso controllo di legittimità dell’accertamento operato in riferimento al non dichiarato art. 39 c. 2 lett. d) del d.p.r. 600/73», violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. e (ulteriormente) in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., sotto il profilo della falsa applicazione dell’art. 39, secondo comma, lett. d), d.P.R. n. 600/1973, per avere il giudice di appello considerato complessivamente inattendibile la contabilità del contribuente a dispetto della metodologia analitico-induttiva adottata dall’Ufficio; contesta, in ogni caso, l’esistenza dei presupposti per la metodologia induttiva pura in assenza di una inattendibilità complessiva della contabilità, sulla base dei rilievi già espressi in relazione ai profili precedentemente esposti.

5.1. Con un secondo profilo si deduce nullità della sentenza «per mancato o difettoso controllo di legittimità della operata rideterminazione del reddito», in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ancora violazione dell’art. 39, secondo comma, lett. d), d.P.R. n. 600/1973, dell’art. 97 Cost.; si censura, inoltre, la violazione dell’art. 7 l. 27 luglio 2000, n. 212 e degli artt. 1 e 3 l. 7 agosto 1990, n. 241, per avere il giudice di appello ritenuto legittima la metodologia induttiva pura.

6. Con il sesto motivo del medesimo ricorso si deduce nullità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto di rideterminare una riduzione degli importi accertati nella misura del 25% sia in relazione allo sfrido dei tovaglioli, sia in relazione al prezzo medio dei pasti non dichiarati. Sotto un primo profilo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 42 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e (ulteriormente), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in quanto il giudice di appello, preso atto dell’illegittimità dell’accertamento, avrebbe dovuto annullare l’avviso nel suo complesso anziché rideterminarle nel merito.

6.1. Sotto un secondo profilo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma n. 4, cod. proc. civ., violazione del principio di diritto vivente circa la natura di impugnazione di merito del processo tributario ai sensi degli artt. 1, 2, 7 e 36 d. lgs. n. 546/1992, in quanto in questo caso non ricorrerebbe ai fini della pronuncia di merito un

profilo di infondatezza dell’accertamento, bensì un vizio formale, per essere il dato dello sfrido e del valore dei pasti assente o, comunque, erroneamente applicato nell’avviso impugnato. Contesta, in ogni caso, il ricorso all’equità.

6.2. Sotto un terzo profilo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 113 cod. proc. civ. Il ricorrente riprende la censura di cui al punto precedente e ritiene che l’equità non possa costituire un parametro alternativo al giudizio secondo diritto.

7. Con il primo motivo del ricorso per revocazione n. 9640/2018 R.G. si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per non essersi il giudice della revocazione pronunciato sulla domanda proposta dal ricorrente, secondo cui il giudice di appello avrebbe errato a ritenere che i tovaglioli non rinvenuti nelle rimanenze fossero stati utilizzati per la somministrazione di pasti. Parte ricorrente ripropone la questione sottoposta al giudice della revocazione, ove evidenziava che per uno dei periodi di imposta il libro degli inventari era stato depositato e che per gli altri periodi di imposta le rimanenze non sarebbero state evidenziate in contabilità perché «tutte le giacenze di fine anno sono state assoggettate ad autoconsumo» e che sarebbe stata emessa al riguardo autofattura per le giacenze non rinvenute.

8. Con il secondo motivo del ricorso per revocazione si deduce, in relazione all’art. 112 cod. proc. civ., omesso od erroneo esame delle domande e delle circostanze dedotte dal ricorrente. Il ricorrente premette che i verificatori avevano a disposizione il libro degli inventari e le autofatture evidenziate nel superiore profilo, osservando che il giudice di appello sarebbe incorso in errore di fatto, consistente nella erronea supposizione che tutti i tovaglioli acquistati sarebbero stati somministrati per i pasti, non avendo esaminato la deduzione di parte

ricorrente, ove osservava che i tovaglioli non potevano rinvenirsi nella contabilità per le ragioni esposte al superiore profilo, né la relativa documentazione.

9. Con il terzo motivo del ricorso per revocazione si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 395, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nonché violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nelle parti in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che l’errore revocatorio non sarebbe escluso dalle risultanze documentali e nella parte in cui ha ritenuto che la circostanza dedotta dal ricorrente abbia costituito punto controverso sul quale il giudice si sarebbe pronunciato.

10. Deve preliminarmente procedersi alla riunione dei due procedimenti – riunendosi il proc. n. 9640/2018 R.G. al proc. n. 23682/2016 R.G., come peraltro già sollecitato dal ricorrente nelle memorie – in conformità alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui i ricorsi per cassazione contro la decisione di appello e contro quella che decide l’impugnazione per revocazione avverso la prima vanno riuniti in caso di contemporanea pendenza degli stessi in sede di legittimità; nonostante, difatti, si tratti di due gravami aventi ad oggetto distinti provvedimenti impugnati, la connessione esistente tra le due pronunce giustifica l’applicazione estensiva dell’art. 335 cod. proc. civ., potendo risultare determinante sul ricorso per cassazione contro la sentenza di appello l’esito di quello riguardante la sentenza di revocazione (Cass., Sez. Lav., 6 luglio 2022, n. 21315; Cass., Sez. V, 27 dicembre 2018, n. 33415; Cass., Sez. V, 9 febbraio 2018, n. 3177; Cass, Sez. V, 5 agosto 2016, n. 16435), benché i due procedimenti mantengano reciproca autonomia (Cass., Sez. V, 27 giugno 2019, n. 17236).

11. L’esame del ricorso n. 9640/2018 R.G. risulta, pertanto, pregiudiziale al ricorso n. 23682/2016 R.G. Il ricorso è inammissibile, conformemente all’eccezione articolata dal controricorrente, in quanto tardivo. La sentenza impugnata è stata depositata in data 25 agosto 2017, laddove il ricorso è stato notificato a mezzo PEC in data 19 marzo 2018, oltre il termine di decadenza dall’impugnazione (art. 327 cod. proc. civ.).

12. Le argomentazioni di parte ricorrente indicate in memoria sono destituite di fondamento, posto che la riduzione del termine cd. lungo di impugnazione (termine di decadenza dall’impugnazione) da un anno a sei mesi, disposta con riferimento all’ordinario rito civile, si applica anche ai giudizi tributari – in ragione del rinvio mobile all’art. 327, primo comma, cod. proc. civ. operato dall’art. 38, comma 3, d.lgs. n. 546/1992 nel caso in cui nessuna delle parti provveda alla notificazione della sentenza (Cass., Sez. V, 16 febbraio 2023, n. 4824).

13. Né può procedersi a rimessione in termini nella proposizione dell’impugnazione (come tardivamente chiesto dal ricorrente solo in memoria), posto che l’art. 153, secondo comma, cod. proc. civ., pur operando anche con riguardo al termine per proporre impugnazione, richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà che presenti i caratteri dell’assolutezza e non della mera difficoltà (Cass., Sez. III, 7 luglio 2023, n. 19384). Il ricorrente non ha addotto alcuna ragione in tal senso, salvo a dichiarare (in memoria) che la parte «ha dedicato alla questione della specialità della normativa sulla pubblicazione delle sentenze Tributarie e sui riflessi in relazione ai termini per l’impugnazione ex art. 327 c.p.c., una indagine che appare necessaria ed è stata adeguatamente illustrata», la quale non costituisce fattore estraneo all’operato di un difensore, considerato che l’avvocato difensore è tenuto ad adempiere all’obbligazione inerente all’esercizio del mandato con la diligenza necessaria in relazione alla natura e all’importanza dell’attività professionale esercitata in concreto ex art. 1176, secondo comma, cod. civ. (Cass., Sez. U., 12 febbraio 2019, n. 4135).

14. Passandosi all’esame del primo ricorso, il primo motivo è infondato, in conformità al consolidato orientamento per cui la nullità della sentenza può essere predicata solo in caso di totale assenza del percorso logico che ha condotto il giudice di appello alla decisione, ovvero in caso di incomprensibilità dello stesso per apparenza della motivazione (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053). Nella specie, il giudice di appello, con percorso argomentativo compiuto, ha ritenuto sussistenti i presupposti perché l’Ufficio procedesse ad accertamento analitico-induttivo, stanti la sussistenza di presunzioni dotate di gravità indiziaria e ha ritenuto corretto l’utilizzo del tovagliometro, riducendo nel merito gli importi in relazione alla mancata applicazione dello sfrido e della corretta determinazione del valore di transazione dei pasti in relazione ai periodi di imposta accertati.

15. Il secondo e il terzo motivo, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, nel processo tributario l’appello ha carattere devolutivo pieno, quale mezzo di gravame non limitato al controllo di vizi specifici, ma volto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass., Sez. VI, 23 novembre 2018, n. 30525). Ne consegue che è ammissibile a termini dell’art. 53 d. lgs. n. 546/1992 un atto di appello in cui l’amministrazione si limiti a ribadire ed a riproporre le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato già dedotte in primo grado (Cass., Sez. VI, 5 ottobre 2018, n. 24641; Cass., Sez. VI, 22 marzo 2017, n. 7369). Né l’enunciazione dei motivi di appello deve consistere in una formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, potendo i motivi essere ricavati, anche per implicito, dall’atto di impugnazione nel suo complesso (Cass., Sez. V, 21 novembre 2019, n. 30341), comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni (Cass., Sez. VI, 24 agosto 2017, n. 20379). Inammissibile è, poi, la censura contenuta nel secondo motivo, secondo cui l’appello non avrebbe riprodotto l’esposizione dei fatti essenziali ai fini della decisione, per assenza di specificità.

16. Per l’effetto, l’intervenuta censura della sentenza nella sua totalità esclude l’acquiescenza (censura, peraltro, riguardo alla quale vi è difetto di specificità nella parte in cui si deduce che la censura sarebbe parziale). Né può ritenersi verificata una acquiescenza in ordine alle prove acquisite al processo e ritenute inammissibili dal giudice di primo grado, e ciò anche in assenza di una espressa impugnazione sul punto, in quanto sia il principio dell’acquiescenza (art. 329 cod. proc. civ.), sia quello della decadenza dalle domande non riproposte (art. 346 cod. proc. civ.) non trovano applicazione con riferimento alla valutazione dei mezzi istruttori operata dal giudice di prima istanza (Cass., Sez. V, 16 aprile 2008, n. 9917).

17. Il primo profilo del quarto motivo è infondato, posto che il giudice non è tenuto a indicare, sotto pena di nullità della sentenza analiticamente tutti gli atti processuali presi in esame, né a esaminare e confutare tutte le allegazioni delle parti (Cass., Sez. V, 2 aprile 2020, n. 7662; Cass., Sez. V, 30 gennaio 2020, n. 2153), essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione così da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass., Sez. VI, 2 dicembre 2014, n. 25509; Cass., Sez. III, 20 novembre 2009, n. 24542). Le allegazioni non esaminate dal giudice di appello devono, pertanto, ritenersi implicitamente rigettate senza violazione del principio di cui all’art. 112 cod. proc. civ.

18. Inammissibile è il secondo profilo del quarto motivo, in quanto contrario a un accertamento in fatto compiuto dal giudice di appello (accertamento in contraddittorio tra le parti degli elementi di fatto in relazione ai quali è stata condotta la verifica), censurabile in sede di legittimità con il vizio di omesso esame di fatto storico (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.).

19. Infondato è, inoltre, il terzo profilo del quarto motivo. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il discrimine tra l’accertamento con metodo analitico induttivo e quello con metodo induttivo puro sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili: nel primo caso, la incompletezza, falsità o inesattezza degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, in quanto l’Ufficio accertatore deve limitarsi a completare le lacune riscontrate, utilizzando ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’art. 2729 cod. civ.; nel secondo caso, invece, le omissioni o le false o inesatte indicazioni devono essere così gravi, numerose e ripetute da inficiare l’attendibilità – e dunque l’utilizzabilità, ai fini dell’accertamento – anche degli altri dati contabili (apparentemente regolari); sicché l’amministrazione finanziaria può prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva (Cass., Sez. V, 29 dicembre 2022, n. 38112; Cass., 4 ottobre 2022, n. 28747; Cass., Sez. V, 9 maggio 2022, n. 14676; Cass., Sez. V, 18 dicembre 2019, n. 33604; Cass., Sez. V, 8 marzo 2019, n. 6861).

20. Parimenti, l’accertamento analitico-induttivo si differenzia dall’accertamento analitico in quanto l’Agenzia delle Entrate ricostruisce le maggiori imposte con un ragionamento deduttivo fondato su presunzioni semplici, che non hanno ad oggetto il reddito nella sua totalità, ma singole poste, delle quali viene provata aliunde l’inesattezza (Cass., Sez. V, 21 marzo 2018, n. 7025). L’accertatore prende atto della incompletezza degli elementi indicati dal contribuente, completando le lacune riscontrate utilizzando – ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati – presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’art. 2729 cod. civ. (Cass., Sez. V, 18 dicembre 2019, n. 33604) e che possono essere fondate anche su un unico elemento indiziario, purché preciso e grave (Cass., Sez. V, 14 ottobre 2020, n. 22184) e incentrati anche sulla sola antieconomicità. Nella specie, il giudice di appello ha ritenuto che la contabilità, pur formalmente tenuta, fosse complessivamente inattendibile per effetto di diverse irregolarità (indicate in narrativa), quali mancata esibizione del dettaglio delle rimanenze, movimentazione del conto cassa in contanti, incongruenze tra acquisti e utilizzo di materie prime, incongruenza dei ricavi dichiarati con quelli degli studi di settore (ciò a denotare l’antieconomicità), circostanze assunte a presupposto del corretto utilizzo della metodologia accertativa applicata.

21. Inammissibile è, invece, l’ultimo profilo del quarto motivo, in quanto diretto a confutare l’apprezzamento delle prove e, in particolare, degli elementi indiziari da parte del giudice di appello (sostanzialmente incentrati sull’utilizzo del tovagliometro), non consentito in sede di legittimità.

22. Il quinto motivo è inammissibile in relazione ad entrambi i profili denunciati, in quanto non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata, incentrata – come si è visto supra – sull’utilizzo della metodologia analitico-induttiva e non su quella induttiva pura.

23. I primi due profili del sesto motivo sono infondati in quanto, come del resto riconosce lo stesso ricorrente, il processo tributario è annoverabile tra quelli di impugnazione-merito, in quanto volto a una decisione sostitutiva dell’accertamento dell’Ufficio, sicché il giudice, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi al suo annullamento ma deve esaminare nel merito la pretesa impositiva e ricondurla alla corretta misura (Cass., Sez. V, 23 dicembre 2020, n. 29364; Cass., Sez. V, 10 settembre 2020, n. 18777; Cass., Sez. VI, 15 ottobre 2018, n. 25629; Cass., Sez. V, 20 marzo 2013, n. 6918).

24. Né può sostenersi che l’accoglimento parziale dell’appello (e il conseguente annullamento parziale dell’accertamento) consegua nella specie al riscontro di vizi di legittimità o metodologici dell’atto, in quanto il giudice ha accertato nel merito l’infondatezza parziale della pretesa impositiva, per non avere l’atto impugnato affrontato il tema dello sfrido e affrontato erroneamente il tema del valore di transazione del pasto, in relazione ai quali è stata applicata una riduzione forfetaria degli importi accertati.

25. L’ultimo profilo del sesto motivo è infondato. Ciò che è precluso al giudice tributario è il fare uso di poteri di equità sostitutiva, dovendo fondare la propria decisione su giudizi estimativi, di cui deve dar conto in motivazione in rapporto al materiale istruttorio (Cass., Sez. V, 18 maggio 2023, n. 13726; Cass., Sez. V, 25 giugno 2019, n. 16960), dovendo il giudice dare conto delle risultanze del materiale istruttorio (Cass., Sez. V, 5 aprile 2022, n. 10875; Cass., Sez. VI, 23 marzo 2018, n. 7354). Non ricorre, pertanto, l’equità sostitutiva ove il giudice di appello ha effettuato un giudizio estimativo, riducendo le pretese dell’Amministrazione finanziaria (Cass., Sez. VI, 21 dicembre 2015, n. 25707; Cass., Sez. V, 24 febbraio 2020, n. 4442), vuoi perché ha ritenuto parzialmente sfornita di prova la pretesa impositiva, vuoi perché ha accolto in parte le prove offerte dal contribuente. Nella specie, il giudice di appello ha effettuato un giudizio estimativo, ritenendo che l’avviso impugnato fosse carente nella parte in cui non aveva considerato l’utilizzo dei tovaglioli di carta per altri scopi, come in caso di sfrido e fosse erroneo nell’avere considerato il prezzo unitario dei pasti alla data dell’accesso, laddove si sarebbe dovuto fare riferimento ai menu dei tre esercizi oggetto di accertamento. In relazione a tali carenze istruttorie, il giudice ha compiuto un giudizio estimativo, riducendo forfetariamente gli importi accertati del 25%. La sentenza impugnata ha, pertanto, fatto corretta applicazione dei suindicati principi. Il primo ricorso va, pertanto, rigettato.

26. Le spese di entrambi i giudizi, i quali come evidenziatosi supra, mantengono la reciproca autonomia, seguono la soccombenza in relazione al secondo giudizio e si liquidano come da dispositivo, mentre per il primo giudizio non vi è luogo a provvedere sulle spese, in assenza di difese scritte del resistente. Sussistono in relazione a entrambi i giudizi i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P. Q. M.

La Corte dispone la riunione del ricorso n. 9640/2018 R.G. al ricorso n. 23682/2016 R.G.; dichiara inammissibile il ricorso n. 9640/2018 e rigetta il ricorso n. 23682/2016; condanna il ricorrente del giudizio n. 9640/2018 R.G. al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente, che liquida in complessivi € 5.800,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente per entrambi i ricorsi, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito

dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i suddetti ricorsi, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.