CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 17590 depositata il 26 giugno 2024

Tributi – Avviso di accertamento – IMU – Sottoscrizione a stampa dell’atto impositivo – Individuazione immobile – Sanatoria atti processuali per raggiungimento scopo – Autografia della sottoscrizione – Doppia conforme – Rigetto

Ritenuto che

La controversia ha ad oggetto un avviso di accertamento (n. (…) ) con cui Roma Capitale (d’ora in poi controricorrente) ha chiesto alla N.M.C. Srl (d’ora in poi ricorrente) il pagamento dell’Imu 2013.

La questione riguarda la validità o meno della sottoscrizione a stampa dell’atto impositivo e l’esatta individuazione dell’immobile oggetto di imposizione.

La CTP ha respinto il ricorso.

La CTR ha confermato la pronuncia di primo grado sulla base delle seguenti ragioni:

– con riferimento alla preliminare eccezione di difetto di sottoscrizione, la costituzione del contribuente sana ogni tipo di invalidità;

– con riguardo all’avviso di accertamento, il rinvio contenuto nell’art. 60 del D.P.R. n. 600 del 1973, alle norme sulle notificazioni nel processo civile comporta l’applicazione anche del relativo regime afferente alle nullità e alle sanatorie, con la conseguenza che la tempestiva proposizione del ricorso determina l’effetto di sanare la nullità della notifica dell’avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo;

– con riferimento alla doglianza di merito relativa all’identificazione dell’immobile, la documentazione agli atti del giudizio di primo grado conferma l’impostazione della sentenza impugnata; viceversa, l’atto di vendita prodotto dalla contribuente reca degli identificativi catastali che fanno riferimento ad immobili soppressi;

– tali risultanze catastali non sono state confutate dalla contribuente, la quale aveva l’onere di provare eventuali difformità.

La ricorrente propone ricorso fondato su due motivi, la controparte si è costituita con controricorso.

Ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., il consigliere delegato ha proposto la definizione anticipata del giudizio per manifesta infondatezza.

La ricorrente ha proposto opposizione, chiedendo la decisione del ricorso, e depositato memoria.

Considerato che

1. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 24  e 111 Cost., art. 132, secondo comma, cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ. e 36, comma 2, del D.Lgs. m. 546 del 1992.

Ad avviso della ricorrente non è possibile porre in correlazione logica la censura sollevata in ricorso con la motivazione della sentenza.

1.1. Il motivo è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato.

È inammissibile, in quanto, la censura non coglie la ratio decidendi consistente nell’affermazione del generale principio della sanatoria degli atti processuali per il raggiungimento dello scopo previsto dall’art. 156 cod. proc. civ., applicabile anche agli atti tributari per effetto del rinvio espresso contenuto nell’art. 60 del D.P.R. n. 660 del 1973. (ndr art. 60 del D.P.R. n. 600 del 1973)

Già da tale affermazione si desume che è, in ogni caso, destituita di fondamento la doglianza relativa alla motivazione apparente, in quanto, diversamente da quanto ritenuto in ricorso, la motivazione è stata ben sviluppata ed è, non solo, coerente, ma anche in linea con i principi dell’ordinamento e gli orientamenti espressi dal giudice di legittimità.

È infondato, in quanto, deve essere qui ribadito che l’autografia della sottoscrizione non è configurabile come requisito di esistenza giuridica degli atti amministrativi, quanto meno quando i dati esplicitati nel contesto documentativo dell’atto consentano di accertare la sicura attribuibilità dello stesso, nella specie non contestata, a chi deve esserne l’autore secondo le norme positive. Il principio trova applicazione anche agli atti relativi ai tributi regionali e comunali, stante la previsione di cui all’art. 1, comma 87, della l. 28 dicembre 1995, n. 549 (v. da ultimo Cass. Sez. 5, n. 27022 del 2023; conformi Cass., Sez. 5, n. 12756/2019, RV. 653861 – 01; Cass. Sez. 6 – 5, n. 20628/2017, RV. 645047 – 01).

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, consistente nella diversa ubicazione dell’immobile assoggettato ad imposizione rispetto a quello dalla stessa denunciato.

2.2. Il motivo è inammissibile ex art. 348-ter, quinto comma, cod. proc. civ., essendo relativo a censura ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., (nella specie, con riferimento alla individuazione del bene oggetto di imposta) in una fattispecie di cd. doppia conforme, avendo la CTR confermato la ricostruzione in fatto operata dal giudice di primo grado, e non avendo il ricorrente indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, allegando che esse sarebbero tra loro diverse (ex multis Cass. Sez. 3, n. 5947/2023, RV. 667202 – 01, Sez. 1, n. 26774/2016, RV. 643244 – 03).

3. Ne consegue il rigetto del ricorso.

Le spese devono essere regolate secondo il principio della soccombenza.

La decisione del Collegio è conforme alla proposta di definizione accelerata, formulata, ai sensi dell’art. 380-bis, cod. proc. civ. e, quindi, trovano applicazione le previsioni di cui all’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., sulla condanna della parte soccombente al pagamento in favore della controparte di una somma di denaro equitativamente determinata, ed in favore della Cassa delle ammende di una somma non inferiore a Euro 500,00 e non superiore ad Euro 5000,00.

L’art. 380-bis cod. proc. civ. configura uno strumento di agevolazione della definizione delle pendenze in sede di legittimità, anche tramite l’individuazione di strumenti dissuasivi di condotte rivelatesi ex post prive di giustificazione, e, quindi, idonee a concretare, secondo una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore delegato (D.Lgs. n. 149 del 2022), un’ipotesi di abuso del diritto di difesa (Cass., Sez. U., n. 28540/2023, RV. 669313 -01, Sez. 2, n. 11346/2024).

Richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., l’art. 380-bis, cod. proc. civ. codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore delegato, una ipotesi di abuso del processo, già immanente nel sistema processuale, giacché non attenersi alla delibazione del Presidente o del Consigliere delegato alla definizione accelerata dei ricorsi che trovi poi conferma nella decisione finale, lascia presumere una responsabilità aggravata (Cass., Sez. U., n. 27195/2023, RV. 668850 – 01).

Va, tuttavia, esclusa, come anche ha opportunamente precisato la Corte (Cass., Sez. U., n. 36069/2023, RV. 670580 – 01), “una interpretazione della norma che conduca ad automatismi non in linea con una lettura costituzionalmente compatibile del nuovo istituto, dovendo l’applicazione in concreto delle predette sanzioni rimanere affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso di specie.”.

Ciò detto, nel caso in esame, che non presenta peculiarità di sorta, non si rinvengono ragioni per discostarsi dalla sopra detta previsione legale.

Per l’effetto va disposta la condanna della ricorrente al pagamento di Euro 1.500,00 (valutata equitativamente) in favore della costituita controparte, e di ulteriori Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.

Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a pagare in favore della controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida nell’importo di Euro 1.500,00, per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario e accessori di legge nella misura del 15%.

Condanna, altresì, la ricorrente al pagamento della somma di Euro 1.500,00 in favore della controricorrente, e di Euro 1.500,00 in favore della cassa ammende.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.