CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 17614 depositata il 26 giugno 2024

Tributi – Silenzio-rifiuto – Istanza di rimborso – Avviso di liquidazione – Imposta di registro – Perdita capitale sociale – Ricostituzione in aumento – Ripianamento mediante riserva di rivalutazione monetaria – Revocazione sentenze della Corte di cassazione – Presupposto di un errore di fatto – Onere di specificità del ricorso – Inammissibilità

Rilevato che

L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per la cassazione della sentenza n. 5741 del 24 ottobre 2011, con la quale la commissione tributaria centrale, a conferma delle precedenti decisioni, aveva ritenuto illegittimo il silenzio-rifiuto opposto all’istanza 26 giugno 1986 con la quale la P.S. Spa aveva chiesto il rimborso di parte dell’imposta di registro da essa corrisposta il 23 gennaio 1985, a seguito di avviso di liquidazione non opposto del 28 novembre 1984, su delibera di riduzione per perdita del proprio capitale sociale, contestuale ricostituzione in aumento e ripianamento di perdite mediante utilizzo della riserva di rivalutazione monetaria ai sensi della legge 72/83. L’istanza di rimborso era stata fondata sul più favorevole regime dell’imposta di registro rinveniente, per operazioni come quella in esame, dal sopravvenuto D.P.R. 131/86 (TU registro) rispetto alla precedente disciplina di cui al D.P.R. 634/72.

La commissione tributaria centrale, in particolare, aveva rilevato che: – l’art. 79 D.P.R. 131/86 prevedeva espressamente la possibilità per i contribuenti di avvalersi del regime impositivo di registro più favorevole (con diritto al rimborso di quanto pagato in eccedenza), a condizione che alla data di entrata in vigore della nuova disciplina (1° luglio 1986), fosse pendente controversia, ovvero fosse stata già presentata istanza di rimborso, e che, nel caso di specie, si era realizzata questa seconda condizione, per avere la società contribuente chiesto il rimborso della maggiore imposta in data 26 giugno 1986.

Nessuna attività difensiva veniva posta in essere, in quella sede, dalla società intimata.

Con ordinanza n. 29147/2018 del 13.11.2018, la S.C. dichiarava inammissibile il ricorso, evidenziando che lo stesso era stato proposto e notificato nei confronti di una società (la S. Spa) diversa da quella che aveva partecipato al giudizio di merito e nei cui confronti era stata emessa la sentenza CTR impugnata (la P.S. Spa).

Per quanto l’Agenzia delle Entrate avesse affermato in ricorso la legittimazione della S. Spa “quale società già incorporante la S. Spa in liquidazione, a sua volta incorporante la P.S. Spa”, questa affermazione non era stata in alcun modo documentata né con richiamo ad atti di causa (dai quali essa avrebbe dovuto trovare riscontro) né mediante l’allegazione (al ricorso ovvero a memoria ex art. 372 cod. proc. civ.) di visura camerale storica attestante l’effettiva continuità soggettiva, a seguito della dedotta incorporazione, tra le società menzionate.

La sola affermazione, pure contenuta in ricorso, secondo cui la sentenza della CTR impugnata era stata “notificata ad istanza della S. Spa”, non rilevava ai fini in questione, posto che l’attribuzione alla S. Spa dell’iniziativa notificatoria (comunque non dirimente) si evinceva – in difetto di qualsivoglia specificazione di parte ricorrente – da una mera annotazione o dicitura (apparentemente riferita alla denominazione di un “file” di lavoro) apposta in epigrafe alla relata di notifica della sentenza.

Avverso la detta ordinanza ha proposto ricorso per revocazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di un solo motivo. La S. Spa ha resistito con controricorso.

Considerato che

degli artt. 391-bis e 395, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per non aver la S.C. considerato che la continuità soggettiva della S. Spa rispetto alla P.S. Spa era evincibile dalla denuncia di variazione di domicilio, presente nel fascicolo d’ufficio trasmesso ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ., depositata dinanzi alla CTC in data 21.10.2011, con cui la stessa contribuente aveva dato atto delle vicende successorie che l’avevano vista coinvolta, indicando il nuovo domicilio per il giudizio.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Invero, è inammissibile il ricorso per revocazione che, dietro la parvenza dell’allegazione di un errore di fatto rilevabile ictu oculi e in maniera incontrovertibile alla luce delle risultanze di causa, censuri, ai sensi degli artt. 391-bis, primo comma, e 395, n. 4, cod. proc. civ., l’interpretazione che il provvedimento impugnato, sulla scorta di un’esatta percezione dei fatti, abbia dato del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, corollario di quello di specificità sancito dall’art. 366, comma 1, n. 6 del codice di rito (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 29750 del 12/10/2022).

In particolare, in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, la configurabilità dell’errore revocatorio presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione.

In applicazione di tale principio, Cass., Sez. 2, Sentenza n. 14608 del 22/06/2007 e Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 20635 del 31/08/2017, poi, hanno escluso la possibilità di configurare errore revocatorio nel giudizio espresso dalla sentenza di legittimità impugnata sulla violazione del principio di autosufficienza in ordine a uno dei motivi di ricorso, per omessa indicazione e trascrizione dei documenti non ammessi dal giudice d’appello (conf. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17179 del 14/08/2020 e Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10040 del 29/03/2022).

Deve pertanto, come affermato da Cass., Sez. 1, Sentenza n. 12154 del 23/05/2006, escludersi che possa sostanziare un errore revocatorio l’omessa considerazione, da parte della sentenza della Corte di cassazione, di documenti entrati, invece, a far parte del giudizio espresso dal giudice di legittimità attraverso una pronuncia di inammissibilità del motivo di ricorso che intendeva veicolarli (inammissibilità derivante, in particolare, dall’inosservanza del principio di autosufficienza con riferimento a documenti dei quali non era riportato il contenuto).

Nel caso di specie, la Cassazione ha evidenziato che la legittimazione della S. Spa, “quale società già incorporante la S. Spa in liquidazione, a sua volta incorporante la P.S. Spa”, era rimasta al rango di mera affermazione unilaterale di parte, non essendo stata, evidentemente anche in violazione del principio di autosufficienza, in alcun modo documentata né con richiamo ad atti di causa (dai quali essa avrebbe dovuto trovare riscontro) né mediante l’allegazione (al ricorso ovvero a memoria ex art. 372 cod. proc. civ.) di visura camerale storica attestante l’effettiva continuità soggettiva, a seguito della dedotta incorporazione, tra le società menzionate.

In quest’ottica, la circostanza che la legittimazione passiva in capo alla S. Spa si sarebbe potuta evincere da un documento (la “denuncia di variazione di domicilio”) depositato dinanzi alla Commissione Tributaria Centrale e presente all’interno del fascicolo d’ufficio trasmesso ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ. è irrilevante, impregiudicata ogni valutazione in ordine alla sufficienza del detto documento ad attestare la legittimazione passiva.

1.2. Del resto, si è ripetutamente rilevato che l’errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione della sentenza di cassazione, ex artt. 391-bis e 395, n. 4 cod. proc. civ., deve riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, che la Suprema Corte può esaminare direttamente, con propria indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio, e deve avere carattere autonomo, nel senso di incidere esclusivamente sulla sentenza di legittimità (Cass., 15 dicembre 2022, n. 36823; Cass., 22 ottobre 2018, n. 26643; Cass., 5 marzo 2015, n. 4456; Cass., 18 febbraio 2014, n. 3820).

Orbene, al di là di quanto direttamente rilevato dalla pronuncia, oggetto di ricorso, in punto di legittimazione passiva della parte chiamata in giudizio, è certo che il ricorso non recasse alcuna ulteriore indicazione su detto profilo del giudizio e che, pertanto, non vi fosse alcun riferimento ad atti del giudizio di merito sui quali la legittimazione passiva in contestazione doveva ritenersi fondata.

Pertanto, non era stato assolto l’onere di specificità del ricorso quanto alla posizione della parte nei cui confronti il ricorso era stata proposto.

2. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso non merita accoglimento.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, nr. 115 (Cass. Sez. 6 – Ordinanza nr. 1778 del 29/01/2016).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 8.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, Iva e Cap.