CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, Ordinanza n. 19694 depositata il 17 luglio 2024

Tributi – Avviso d’accertamento – Operazioni soggettivamente inesistenti – IRES – IRAP – IVA – Nessun vizio della motivazione – Riesame dei fatti – Rigetto

Rilevato che

A seguito di verifica fiscale relativa all’anno d’imposta 2013, l’Agenzia delle entrate notificò alla S.C.C. in liquidazione, l’avviso d’accertamento con cui, contestando l’emissione di fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, determinò il maggior imponibile ai fini Ires, Irap ed Iva, irrogando anche le sanzioni.

Le contestazioni dell’ufficio afferivano a fatture, annotate in contabilità, emesse dalla S.X.C.C., a sua volta ritenuta società filtro rispetto al C.A. quest’ultimo una scatola vuota, del tutto inattivo, privo di sede legale e operativa, così come di una qualunque struttura organizzativa, che non aveva mai presentato dichiarazioni dei redditi ed era composto da società, a loro volta evasori totali.

La S., contestando, per quanto qui di interesse, la carenza di motivazione dell’avviso d’accertamento ed il mancato assolvimento dell’onere probatorio, propose ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Milano, che con sentenza n. 8241/10/2018 respinse le ragioni della contribuente. L’appello, con il quale la società insisteva nelle sue difese, criticando anche l’apparente motivazione della pronuncia di primo grado, è stato parimenti respinto dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia con sentenza n. 3041/03/2020.

Il giudice regionale, dopo aver rigettato l’eccepita nullità della sentenza del giudice provinciale, nel merito ha apprezzato gli elementi addotti dall’ufficio a sostegno della soggettiva inesistenza delle operazioni fatturate, e, di contro, l’assenza di ogni controprova, che la società avrebbe dovuto allegare a sostegno delle proprie difese.

Per la cassazione della sentenza la S. ha proposto ricorso, affidato a un unico motivo, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Nell’adunanza camerale del 28 dicembre 2022 la causa è stata trattata e decisa.

Considerato che

Con l’unico motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 36, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.

La sentenza sarebbe nulla perché viziata da motivazione apparente.

Il motivo non ha pregio.

Va premesso che questa Corte ha chiarito che sussiste l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonché quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo sull’esattezza e logicità del suo ragionamento (Sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232; cfr. anche 23 maggio 2019, n. 13977; 1 marzo 2022, n. 6758).

Ciò va vagliato a prescindere dalla condivisibilità delle conclusioni cui il giudice perviene.

In sede di gravame, inoltre, la decisione può essere legittimamente motivata per relationem ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purché il rinvio sia operato così da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata.

Essa va invece cassata quando il giudice si sia limitato ad aderire alla pronuncia di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Cass., 19 luglio 2016, n. 14786; 7 aprile 2017, n. 9105).

La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione è apparente anche quando, ancorché graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; cfr. anche 5 agosto 2019, n. 20921).

È altrettanto apparente ogni qual volta evidenzi una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione del quadro probatorio (Cass., 14 febbraio 2020, n. 3819).

Nel caso di specie la Commissione regionale ha vagliato le ragioni d’appello, respingendole all’esito di una valutazione, cui ha dedicato quattro pagine di motivazione sia per esaminare la critica indirizzata alla denuncia di apparente motivazione della sentenza di primo grado, sia per giudicare la pertinenza e sufficienza delle prove allegate dall’ufficio in sede di verifica, sia per soppesare le argomentazioni difensive e la documentazione richiamata dalla società a conforto delle proprie censure.

Così come articolata, la motivazione, a prescindere dalla sua condivisibiltà, è esente dal vizio dell’apparenza denunciato dalla ricorrente.

Le critiche da questa formulate in realtà impingono nel merito, pretendendo un riesame dei fatti e delle prove, che è inibito al giudice di legittimità perché nella disponibilità esclusiva del giudice di merito, salvo a riscontrare illogicità o errori materiali, che tuttavia nel caso di specie non si riscontrano.

Il ricorso va dunque rigettato e all’esito del giudizio segue la liquidazione delle spese, nella misura indicata in dispositivo, secondo la regola della soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle entrate, che si liquidano in Euro 10.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.