CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, Ordinanza n. 20560 depositata il 24 luglio 2024

Tributi – Avviso di accertamento – Imposta unica sulle scommesse – Art. 1, comma 66, della legge n. 220/2010 – Rapporto tra bookmaker e ricevitore – Solidarietà dipendente – Centro di trasmissione dati – Rigetto

Rilevato che

– l’Agenzia delle dogane e dei monopoli ha notificato a S.M.L., soggetto esercente l’attività di raccolta scommesse priva di concessione, l’avviso di accertamento n. (…) con il quale è stato contestato il mancato versamento dell’imposta unica sulle scommesse per il 2008, quale soggetto obbligato in solido con Ma.Ra., titolare della ditta individuale che, per conto di S.M.L., svolgeva l’attività di ricevitoria (CTD);

– avverso gli atti impositivi la società, unitamente alla propria controllante S.I.B.L. (ora denominata M.R.L.) ha proposto ricorso che è stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Parma n. 207/2017;

– avverso la pronuncia del giudice di primo grado le ricorrenti hanno proposto appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia – Romagna che, con sentenza n. 1144/07/2021, depositata in data 24 settembre 2021, in parziale accoglimento, annullava l’avviso limitatamente alle sanzioni;

– avverso la sentenza di secondo grado, le società hanno quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a sei motivi di censura;

– l’Agenzia delle dogane e dei monopoli resiste con controricorso;

– in data 29 gennaio 2024 le società ricorrenti hanno depositato proposta di conciliazione ai sensi dell’art. 48-bis del D.Lgs. n. 546/92;

Considerato che

1. Va preliminarmente disattesa l’istanza di rinvio al fine di permettere all’Agenzia delle dogane di valutare la proposta di conciliazione ex art. 48-bis (conciliazione in udienza) del D.Lgs. n. 546/92 formulata dalle ricorrenti in data 29 gennaio 2024.

Invero, il decreto legislativo 30.12.2023 n. 220 recante disposizioni in materia di processo tributario, emesso in attuazione della delega per la riforma fiscale (legge 9 agosto 2023, n. 111), è entrato in vigore il 4 gennaio 2024. In particolare, l’art. 1, comma 1, lett. u) del D.Lgs. 30.12.2023 n. 220 dispone che nell’articolo 48 (Conciliazione fuori udienza) (del D.Lgs. n. 546/92) …2) dopo il comma 4 è inserito il seguente: “4-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche alle controversie pendenti davanti alla Corte di Cassazione.” e l’art. 1, comma 1, lett. z) dispone che, nell’articolo 48-ter (Definizione e pagamento delle somme dovute), al comma 1 sono aggiunte, infine, le seguenti parole: “e nella misura del sessanta per cento del minimo previsto dalla legge in caso di perfezionamento della conciliazione nel corso del giudizio di Cassazione”.

In disparte la considerazione che l’art. 48 D.Lgs. 546/92 disciplina solo la conciliazione fuori udienza e non quella in udienza ex art. 48-bis D.Lgs. cit. che, in effetti, prevede il differimento di udienza per il tentativo di conciliazione, norma la cui applicazione non è però stata estesa ai giudizi di cassazione, per i quali permane quindi il divieto di mero rinvio di udienza, va osservato che, ai sensi del comma 2 dell’art. 4, del detto decreto ” Le disposizioni del presente decreto si applicano ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, con ricorso notificato successivamente al 1 settembre 2024, fatta eccezione per quelle di cui all’articolo 1, comma 1, lettere d), e), f), i), n), o), p), q), s), t), u), v), z), aa), bb), cc) e dd) che si applicano ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, nonché in Cassazione, a decorrere dal giorno successivo all’entrata in vigore del presente decreto”;

2. con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 3 del D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, come interpretato autenticamente dall’art. 1, commi 64 e 66, lett. b), della L. 13 dicembre 2010, n. 220, con richiesta di sollevazione d’ufficio di rinvio pregiudiziale ex art. 267, comma 3, TFUE anche in seguito alla sentenza della Corte di giustizia del 26.2.2020;

3. con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 3 del D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, 1, comma 66, lett. b), della L. 13 dicembre 2010, n. 220, nonché degli artt. 136 Cost. e 30, comma 1, della L. n. 87 del 1953, per effetto della sentenza n. 27 del 2018 della Corte costituzionale;

4. con il terzo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 42 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per avere la CTR erroneamente ritenuto il “bookmaker” estero unico soggetto obbligato al pagamento del tributo, così modificando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste alla base degli avvisi di accertamento impugnati;

5. con il quarto motivo di ricorso parte ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, co. 2, lett. b) della Legge n. 288/98, e degli artt. 1326,1327 e 1336 c.c., nella parte in cui la CTR ritiene sussistente il profilo territoriale del presupposto di applicazione del tributo;

6. con il quinto motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia la violazione e/o alla falsa applicazione degli artt. 7 e 12 della L. 27 luglio 2000, n. 212, 24 Cost.  e del principio di necessità del contraddittorio endoprocedimentale a tutela del diritto di difesa, proponendo in subordine il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ex art. 267, comma 3, T.F.U.E.;

7. con il sesto motivo parte ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, co. 1, no. 3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 3 del D.Lgs. n. 504/98, 1, co. 66, lett. b), della Legge n. 220/2010 e 64, co. 3, del D.P.R. no. 600/73, in relazione agli artt. 3, co. 1, e 53, co. 1, Cost. a valle della sentenza no. 27/2018 della Corte Costituzionale;

8. il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo possono essere analizzati congiuntamente, per la loro stretta connessione, e sono infondati, anche tenendo presente che essi riguardano questioni già oggetto di ripetuta e articolata disamina da parte di questa Corte a partire dalla sentenza n. 8757 del 30/03/ 2021, seguita da numerose altre (tra le tante Cass. 8907 – 8911/2021, 9079 – 9081/2021, 91449153/2021, 9160/2021, 9162/2021, 9168/2021, 9176/2021, 9178/2021, 9182/2021, 9184/2021, 9160/2021, 9516/2021, 95289537/2021, 9728 – 9735/2021), le cui motivazioni sono qui espressamente condivise e richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c.;

9. il quadro normativo pertinente è stato sottoposto all’esame della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale prospettate nell’odierno ricorso, fornendo chiari elementi per la soluzione degli ulteriori dubbi prospettati con il ricorso;

10. la Corte costituzionale, con riferimento all’ambito soggettivo dell’imposta, ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione dell’art. 3 D.Lgs. n. 504 del 1998 per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio); tuttavia, ha riconosciuto che il legislatore con l’art. 1, comma 66, della legge n. 220 del 2010 ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e che l’obbligo di versamento del tributo e di pagamento delle relative sanzioni grava anche sulle ricevitorie operanti, come nel caso in esame, per conto di “bookmakers” privi di concessione, svolgendo anch’esse una attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione;

11. a questo riguardo, la Corte costituzionale ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ossia del titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (ossia al “bookmaker”) sia irragionevole, posto che l’attività consiste nella raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale;

12. entrambi i soggetti pertanto partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione: in particolare, il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al “bookmaker” dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal “bookmaker”;

13. della sussistenza di autonomi rapporti obbligatori non dubita, d’altronde, la giurisprudenza civile di questa Corte (v. anche Cass. 27/07/2015, n. 15731), neppure attagliandosi al rapporto tra il “bookmaker” e ricevitore lo schema della solidarietà dipendente, che ricorre, invece, quando uno dei coobbligati, pur non avendo realizzato un fatto indice di capacità contributiva, si trova in una posizione collegata con il fatto imponibile o con il contribuente, sulla base di un rapporto a cui il fisco resta estraneo (da ultimo Cass. n. 26489/2020);

14. in altri termini, la Corte costituzionale ha chiarito che l’imposta in esame è caratterizzata da un regime, in forza del quale ciascuno dei gestori risponde dell’obbligazione tributaria verso l’Erario a diverso e autonomo titolo, senza necessità per il creditore erariale di escutere uno di essi in via principale e salva la possibilità di rivalsa interna, regolabile su basi contrattuali;

15. proprio l’autonomia dei rapporti obbligatori verso il fisco consente di parlare di solidarietà paritetica tra CTD e “bookmaker”, che a sua volta implica l’irrilevanza per l’Erario delle modalità con cui i due obbligati procedano a disciplinare pattiziamente la rivalsa; tale ultimo aspetto è stato infatti preso in considerazione dalla Corte costituzionale non già per farne derivare effetti sui rapporti tra “bookmaker” e Amministrazione finanziaria, bensì solo per sottolineare che, prima della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 66, lett. b) della L. n. 220 del 2010, le ricevitorie erano legate ai “bookmaker” da contratti già in essere e non potevano pertanto negoziare (o rinegoziare) con il “bookmaker” le commissioni in termini economici tali da tener conto della necessità di pagare anch’esse in via diretta il tributo e dunque di operare una parziale traslazione dell’imposta;

16. per il “bookmaker”, tuttavia, ciò non muta la struttura del suo rapporto obbligatorio verso l’Erario, che, anche per gli anni precedenti al 2011, era fondato, senza margini di dubbio, sul presupposto oggettivo della scommessa fatta dal cliente presso la ricevitoria, ancorché quest’ultima per quegli anni non potesse essere considerata responsabile, in ragione del suo affidamento su un quadro regolatorio diverso da quello poi interpretato dalla L. n. 220 del 2010;

17. di conseguenza, la sentenza impugnata non può essere accusata di aver sovvertito il perimetro dell’avviso di accertamento per avere trasformato un obbligato solidale dipendente, risultante dall’avviso, nell’unico obbligato principale;

18. infatti, anche a voler trascurare la circostanza che tale passaggio dell’avviso di accertamento non è stato trascritto nel ricorso, ad essere erronea è la premessa di partenza, secondo cui il fatto che il “bookmaker” fosse indicato nell’avviso come responsabile solidale implicasse necessariamente una solidarietà dipendente o sussidiaria;

19. lo schema della solidarietà dipendente ricorre infatti quando uno dei coobbligati, pur non avendo realizzato un fatto indice di capacità contributiva, si trova in una posizione collegata con il fatto imponibile o con il contribuente, sulla base di un rapporto a cui il fisco resta estraneo (da ultimo Cass. 20/11/2020, n. 26480);

20. nella specie, al contrario e come ampiamente illustrato, la solidarietà è paritetica, poiché anche il “bookmaker” realizza un fatto di gestione indice di capacità contributiva;

21. né viola il principio della capacità contributiva la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il “bookmaker” sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato; ciò in quanto, attraverso la regolazione negoziale delle commissioni, il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul “bookmaker” per conto del quale opera, assolvendo la rivalsa funzione applicativa del principio di capacità contributiva;

22. in forza di tale articolato percorso la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del D.Lgs. n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della L. n. 220 del 2010, nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, restando esclusa la possibilità, per la già cristallizzata determinazione in quel periodo dell’entità delle commissioni tra ricevitorie e “bookmaker”, di poter procedere alla traslazione dell’imposta.

Per le annualità d’imposta antecedenti al 2011, dunque, non rispondono le ricevitorie ma solamente i bookmaker, con o senza concessione, in base alla combinazione degli artt. 3 del D.Lgs. n. 504/98 e 1, comma 66, lett. a), della L. n. 220/10, usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale;

23. la suddetta ragione di incostituzionalità non è stata ravvisata per i “rapporti successivi al 2011”, quindi non solo per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima norma; in entrambi i casi, invero, la disposizione interpretativa del 2010 costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente che per quelli già sorti e destinati a protrarsi, potendo le parti, alla luce e tenendo conto proprio della scelta normativa di assoggettare al tributo anche i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul “bookmaker” per conto del quale opera la ricevitoria.

La solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono, infatti, destinate ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale delle commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti invariati, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della legge n. 220 del 2010, assume, necessariamente, un valore di conformità e adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto;

24. Orbene, considerato che nel presente giudizio si controverte sul periodo d’imposta 2008 e che viene in rilievo la sola posizione del bookmaker, le complessive censure sono infondate.

25. va rilevato, inoltre, ai fini della territorialità dell’imposizione, che non rileva la conclusione del contratto di scommessa poiché il fatto imponibile è la prestazione di servizi consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ciascun scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta (così Cass. n. 15731 del 2015, cit.), attività, queste, tutte svolte in Italia;

26. neppure è condivisibile l’interpretazione della sentenza della Corte cost. n. 27/2018, propugnata da parte ricorrente, né è configurabile, alla stregua dei principi da essa affermati, una irragionevolezza della norma interpretativa nella parte in cui, prevedendo la imponibilità anche delle scommesse a quota fissa offerte con modalità transfrontaliera in assenza di concessione, non ha tenuto conto che il movimento delle suddette scommesse, proprio in quanto realizzate fuori sistema, non viene rilevato, sicché la base imponibile viene determinata senza considerare il movimento netto reale, essendo le stesse escluse dalla formazione del movimento netto che determina l’applicazione delle aliquote, con la conseguenza che verrebbero applicate aliquote superiori a quelle che avrebbero dovuto applicarsi per legge;

27. tale ultimo profilo di censura, del resto, postula solo in astratto la circostanza che l’applicazione della disciplina di determinazione del movimento netto sul quale commisurare l’aliquota dell’imposta unica anche nel caso di scommettitore privo di concessione, avrebbe determinato l’applicazione dell’aliquota massima che diversamente, ove si fossero considerate anche le scommesse fuori sistema, non sarebbe stata applicata.

In realtà, rispetto al criterio di commisurazione dell’aliquota secondo quanto previsto dall’art. 4, comma 1, lett. b), n. 3), D.Lgs. n. 504 del 1998, valevole per tutti i soggetti che svolgono l’attività di raccolta delle scommesse, in alcun modo parte ricorrente deduce o allega in ordine al fatto che l’eventuale considerazione delle scommesse “fuori sistema” avrebbe potuto incidere diversamente sulla determinazione dell’imponibile e sull’applicazione dell’aliquota operata dall’amministrazione doganale secondo le prescrizioni di legge;

28. una attenzione specifica, inoltre, va rivolta agli argomenti difensivi prospettati in ricorso, relativi alle ritenute frizioni con il diritto unionale;

29. in particolare, la ricorrente ha prospettato la violazione del diritto di non discriminazione, di parità di trattamento e del principio di affidamento;

30. inoltre, il profilo centrale della linea difensiva seguita si fonda, in sostanza, sul riconoscimento della liceità dell’attività svolta nel tempo dalla ricorrente, come riconosciuta dalla giurisprudenza penale di questa Corte; ciò, secondo l’assunto di parte ricorrente, comporterebbe effetti anche sul piano strettamente fiscale e, inoltre, dovrebbe indurre a ritenere che la Corte di giustizia, con la pronuncia del 26 febbraio 2020, non avrebbe preso in considerazione la specificità della “peculiare posizione” nella quale la ricorrente si sarebbe venuta a trovare basata sulla illegittima ed originaria discriminazione dalla stessa subita nel tempo dall’autorità nazionale;

31. la linea difensiva seguita dalla ricorrente, più in particolare, si fonda sulla considerazione della natura sanzionatoria dell’intervento normativo di cui alla legge 220/2010, sicché la disciplina in esso contenuta troverebbe applicazione solo con riferimento allo svolgimento di una attività di gioco illecita, dunque non anche nei confronti della ricorrente, con la conseguenza che, ove applicata nei propri confronti, deriverebbe una violazione del principio di non discriminazione, della parità di trattamento nonché di legittimo affidamento e di libertà di stabilimento, determinando, inoltre, un contrasto interno della giurisprudenza di legittimità, tra le sezioni civili e quelle penali, in ordine alla questione; si tratta di considerazioni che non possono trovare accoglimento;

32. con specifico riferimento al diritto unionale, premesso che le imposte sui giochi d’azzardo non hanno natura armonizzata, sicché rileva l’art. 56 del TFUE, la Corte di Giustizia, 26 febbraio 2020, causa C – 788/18, ha preso diretta e specifica cognizione proprio delle medesime questioni sollevate con l’odierno ricorso ed ha escluso qualsivoglia discriminazione tra “bookmakers” nazionali e “bookmakers” esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (punto 21 di Corte giust. in causa C – 788/18), di modo che la normativa italiana “non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la S.M., nello Stato membro interessato”;

33. inoltre, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, secondo costante giurisprudenza unionale, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: per conseguenza, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte giust. 24 ottobre 2013, causa C – 440/12, punto 47; 8 settembre 2009, causa C – 42/07);

34. il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nel comma 64 dell’art. 1 L. n. 220 del 2010, i propri obiettivi, tra i quali si colloca “…l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore”;

35. la prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte giust. in causa C – 788/18, cit., punto 23; per analogia, Corte giust. 1 dicembre 2011, causa C – 253/09, punto 83);

36. orbene, la Corte di Giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra “bookmaker” nazionali e “bookmaker” esteri; anzi, come ha pure sottolineato la Corte costituzionale (ancora con la sentenza n. 27/18), a seguire la tesi prospettata in ricorso si giungerebbe ad una discriminazione al contrario: la scelta legislativa “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione…”;

37. va evidenziato, a tal proposito, che la Corte di giustizia, se, col punto 17, in relazione al “bookmaker”, oltre che stabilire in via generale che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, col punto 24 specifica, in concreto, che, “…la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevede un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi sia effettuata in Italia o in altri Stati membri”; sicché, conclude col punto 24, “…rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la S.M. non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale”.

Quanto al centro trasmissione dati, il punto 26 si limita a ribadire che il “bookmaker” estero esercita un’attività di gestione di scommesse “allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali” ed è per questo che il centro di trasmissione dati che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma dell’art. 1, comma 66, lett. b), della L. n. 220/10, ma ciò non toglie (punto 28) che la situazione del centro trasmissione dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali è diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro;

38. la diversità della situazione, pertanto, è “in re ipsa”, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un “bookmaker” estero: nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce “…un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti” (Corte giust. 19 dicembre 2018, causa C – 375/17, S.I.B. e S.M., punto 66, richiamata al punto 18 della sentenza in causa C – 788/18, cit.); e ciò in conformità agli obiettivi esplicitamente perseguiti dal legislatore italiano (art. 1, comma 644, L. n. 220 del 2010), come puntualmente rimarcato dalla Corte di giustizia. Di qui l’esclusione, anche con riguardo alla posizione del centro trasmissione dati, di qualsiasi restrizione discriminatoria;

39. le suddette considerazioni rendono dunque priva di ogni fondamento sia l’asserita assimilazione dell’imposizione alle sanzioni, ipotizzandone una oggettiva finalità afflittiva, che, invece, è del tutto assente attesa la riferibilità della pretesa ad ordinari, seppur specifici, meccanismi impositivi e l’assenza, come su evidenziato, di caratteri discriminatori, sia la prospettata esistenza di un contrasto interno della giurisprudenza di legittimità in ordine alla questione;

40. la ricorrente, infatti, è considerata soggetto passivo d’imposta proprio per avere realizzato, per il tramite di propri centri di trasmissione dati operanti in Italia, il presupposto impositivo dell’imposta in esame;

41. la giurisprudenza penale di questa Corte (Cass. pen., 10/09/2020, n. 25439), poi, ha esaminato la questione relativa alla realizzazione del reato di cui all’art. 4, comma 4-bis, della L. n. 401 del 1989, ritenendo di dovere escludere la sussistenza del reato “de quo” in base alla considerazione che il ricorrente era stato “illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni … e la successiva trasmissione di dette scommesse all’allibratore non possono essere punite ai sensi dell’art. 4, comma 4-bis, L. n. 401/1989, dovendosi disapplicare la disciplina penale nazionale per contrasto con la normativa dell’Unione Europea”;

42. il riconoscimento della natura non illecita dell’attività svolta dalla ricorrente, tuttavia, non implica la sottrazione della stessa dall’ambito della disciplina dell’imposta unica, anzi, postula proprio la realizzazione del presupposto di imposta, secondo la specifica declinazione contenuta nell’art. 1, comma 66, legge n. 220/2010 che ha, come visto, disposto che: “Ferma restando l’obbligatorietà, ai sensi della legislazione vigente, di licenze, autorizzazioni e concessioni nazionali per l’esercizio dei concorsi pronostici e delle scommesse, e conseguentemente l’immediata chiusura dell’esercizio nel caso in cui il relativo titolare ovvero esercente risulti sprovvisto di tali titoli abilitativi, ai soli fini tributari:

a) l’articolo 1 del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, si interpreta nel senso che l’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;

b) l’articolo 3 del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere.

Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”;

43. l’applicabilità della previsione normativa in esame esclude altresì che possa porsi una questione di violazione del principio di non discriminazione o di libertà di stabilimento basata sulla considerazione della natura lecita dell’attività svolta, ovvero ancora che possa ritenersi che la Corte di Giustizia, con la pronuncia citata non abbia preso in considerazione la “specifica situazione” nella quale la ricorrente ha dovuto operare;

44. a parte il rilievo che il pregiudizio subito risulta solo affermato, ma non concretamente precisato e specificato, quel che rileva, come detto, è il fatto che la ricorrente, per il fatto di avere realizzato in Italia l’attività di gestione della raccolta delle scommesse per il tramite di propri centri di trasmissione dati, ha realizzato il presupposto dell’imposta e, dunque, è da considerarsi soggetto passivo del tributo e, sotto tale profilo, va fatto richiamo alla pronuncia della Corte di giustizia che, sul punto, ha escluso ogni violazione dei principi unionali citati;

45. ciò, inoltre, rende privo di ogni fondamento anche l’asserita assimilazione dell’imposizione alle sanzioni, ipotizzandone una oggettiva finalità afflittiva, che, invece, è del tutto assente, attesa, da un lato, la riferibilità della pretesa ad ordinari, seppur specifici, meccanismi impositivi e, dall’altro, l’assenza, come su evidenziato, di caratteri discriminatori;

46. quanto all’asserita violazione del principio dell’affidamento, prospettata in relazione alla portata innovativa della disposizione interpretativa della legge del 2010 che avrebbe introdotto, “improvvisamente e imprevedibilmente”, la responsabilità delle ricevitorie dei “bookmaker” privi di concessione, al di là dei profili di inammissibilità della censura con riferimento alla posizione del ricevitore, in ordine alla quale, peraltro, la Corte costituzionale, con la sentenza citata, si è già espressa con la pronuncia di incostituzionalità relativamente alla portata innovativa retroattiva della norma, va rilevato, quanto alla posizione del “bookmaker” estero, che la stessa Corte costituzionale non ha posto in discussione il fatto che costui, anche privo di concessione, doveva essere considerato soggetto passivo dell’imposta unica anche prima della entrata in vigore della disposizione interpretativa, sicché non può porsi alcuna violazione del principio del legittimo affidamento;

47. alla stregua di quanto affermato dalla Corte di giustizia nella citata sentenza, non si ravvisa necessità alcuna di promuovere un nuovo rinvio dinanzi alla Corte di giustizia, neppure ponendosi una questione di interpretazione della precedente statuizione della Corte, esaustiva e completa;

48. passando poi ai motivi di ricorso non strettamente collegati alla ricostruzione del quadro normativo prima compiuto, il quinto motivo, relativo alla assenta violazione del contraddittorio endoprocedimentale, è infondato;

49. il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dall’orientamento inaugurato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 09/12/2015, n. 24823, secondo cui il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto; con la conseguenza che, fuori dal terreno dei tributi armonizzati, l’obbligo dell’amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale sussiste esclusivamente solo nelle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito (la giurisprudenza successiva che ha applicato il suddetto principio è numerosissima: v. Cass. 11/05/2018, n. 11560, Cass.04/12/2020, n. 27818, Cass. 02/01/2021, n. 1530, Cass. 25/01/2021, n. 1445);

50. l’imposta unica sulle scommesse, come accennato, non è un tributo armonizzato, il che impone anche di disattendere l’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia; né in senso contrario vale richiamare il fatto che la Corte di giustizia si è comunque occupata della tematica dei giochi d’azzardo in alcune occasioni, poiché, come detto sopra, ciò ha fatto soltanto al fine di verificare se determinati meccanismi impositivi degli Stati membri potessero ostacolare una delle libertà fondamentali garantite dai trattati U.E., vale a dire la libera prestazione di servizi presidiata dall’art. 56 del TFUE (Corte giust. 26 febbraio 2020, causa C – 788/18, punto 17 e ivi richiami ai precedenti), ma non per estendere alle imposte previste dalle legislazioni nazionali princìpi dettati per i tributi armonizzati;

51. quanto al risvolto interno del problema, da un lato va osservato che per il tributo in discorso il diritto nazionale non prevede espressamente un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale e, dall’altro lato, che nei confronti del “bookmaker”, l’accertamento si configura come un cd. accertamento a tavolino, rispetto al quale è legittimo, anche ai fini del contraddittorio (in specie per le imposte dirette), che il primo atto portato alla conoscenza del contribuente sia lo stesso avviso (v. Sez. U. n. 24823 del 09/12/2015); già da tale fatto, dunque, deriva l’insussistenza di un obbligo generalizzato di redazione del processo verbale di constatazione, conclusione che questa Corte, del resto, ha ripetutamente ribadito, sottolineando che l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria non deve necessariamente concludersi con la redazione di un processo verbale di constatazione (Cass. n. 16546 del 27/04/2018; v. anche per una vicenda particolare Cass. n. 12094 del 08/05/2019);

52. il sesto motivo è infine inammissibile;

53. esso prende anzitutto le mosse da una lettura della solidarietà tra CTD e “bookmaker” che, come ampiamente illustrato, non può essere condivisa, né risulta che sia stata sostenuta dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 27 del 2018;

54. va infatti ribadito che la solidarietà in esame è di tipo paritetico e non dipendente, senza che da ciò possa trarsi la conclusione che in tal modo si starebbe “privilegiando una ricostruzione interamente privatistica della solidarietà, anche al di là del disposto letterale dell’art. 64, comma 3, del D.P.R. no. 600/73” (così invece parte ricorrente a pag. 45 del ricorso);

55. quanto all’art. 64, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, è sufficiente osservare che esso attribuisce il diritto di rivalsa a “chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento dell’imposta insieme con altri, per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi”, così rendendo chiaro che, ove il coobbligato solidale sia obbligato al pagamento dell’imposta per un fatto o una situazione propri (e non riferibili esclusivamente all’obbligato principale), l’art. 64, comma 3, non opera e la rivalsa può essere disciplinata diversamente;

56. in altri termini, l’art. 64, comma 3, non offre soluzione al problema del regime della solidarietà, ma richiede, onde affermare l’esistenza del diritto di rivalsa del sostituto e del responsabile d’imposta, che detto problema sia stato già risolto preventivamente;

57. al di là di tali considerazioni, poi, il motivo è inammissibile perché non si confronta con la sentenza impugnata, né ne censura specificamente uno o più passaggi, ma si limita a ipotizzare, peraltro in forma dubitativa, una contrarietà a Costituzione delle norme nella parte in cui regolerebbero la traslazione economica dell’imposta dal ricevitore al “bookmaker”, profilo che è tuttavia estraneo al perimetro di giudizio della sentenza impugnata, atteso che, come ampiamente illustrato, tale giudizio riguarda la sussistenza dell’obbligo del bookmaker” di pagare l’imposta e non la disciplina della rivalsa che la ricevitoria potrebbe eventualmente esercitare;

58. l’inconferenza del motivo è poi dimostrata dal fatto che, a ben vedere, esso critica l’assetto che scaturisce dalla sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 2018 per il fatto che esso rischierebbe di alleggerire la posizione del “bookmaker”, esentandolo dalla sopportazione dell’onere del tributo o assoggettandovelo in misura non proporzionale alla sua capacità contributiva;

59. all’evidenza, si tratta di argomenti che, al di là della loro fondatezza, non si attagliano alla difesa del “bookmaker”, come è invece nella specie, ma piuttosto a quella di una ricevitoria, dimostrando una carenza d’interesse degli odierni ricorrenti a farli valere;

60. in conclusione, essendo inammissibile il sesto, infondati i restanti, il ricorso va rigettato;

61. Essendo stata la sentenza di appello depositata successivamente alla decisione della Corte Costituzionale n. 27 del 2018 e della Corte di Giustizia, 26 febbraio 2020, causa C – 788/18, le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 2.400,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.