Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 20591 depositata il 24 luglio 2024
IVA – somministraz. manodopera – appalto –labour intensive – principio di diritto
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna veniva parzialmente accolto l’appello principale proposto dalla società W. S.r.l. e rigettato l’appello incidentale dell’Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Modena n. 509/01/2021 di parziale accoglimento del ricorso introduttivo avente ad oggetto l’avviso di accertamento n. THH03TV00371/2020 relativo ad II.DD., IVA e accessori per l’anno di imposta 2015.
Le riprese, basate su p.v.c., avevano ad oggetto tre rilievi. In primo luogo, la deduzione di costi ai fini delle II.DD. ai sensi dell’art. 5, comma 3, del d. lgs. 446/1997 e, ai fini IVA, l’indebita esclusione dalla base imponibile ex art. 26 bis della L. 196/1997 e detrazione in relazione a prestazioni di facchinaggio da parte della cooperativa di facchinaggio O., non supportate da documentazione, con conseguente contestazione di illecita somministrazione di manodopera. La cooperativa O., a sua volta, si era avvalsa nell’anno di imposta oggetto di ripresa di servizi di facchinaggio erogati dalla cooperativa M.S., che venivano rifatturati alla contribuente oltre che ad O. coop.. Secondo l’Amministrazione finanziaria le prestazioni fatturate dalla cooperativa O., si riferivano a prestazioni lavorative rese da personale sostanzialmente dipendente dalla contribuente, con conseguente esclusione dal campo di applicazione IVA ex artt. 1 e 3 del d.P.R. 633/1972.
La seconda ripresa riguardava la deduzione di costi e la detrazione della relativa imposta armonizzata per prestazioni di consulenza di opere intellettuali da parte degli amministratori della società in favore della contribuente stessa, contestate come retribuzione periodica corrisposta agli amministratori non deliberata dall’assemblea dei soci.
Infine, una terza ripresa riguardava la deduzione e detrazione di costi per piccoli importi e rimborsi non documentati o non inerenti.
L’adita Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso solo in parte, in punto di sanzioni con riferimento all’applicazione della recidiva nella determinazione della misura, rigettando la prospettazione della contribuente nel resto. Il giudice d’appello riformava in parte la decisione di primo grado, accogliendo la prospettazione della contribuente relativamente ai primi due rilievi, e confermando la fondatezza della terza ripresa.
Avverso la sentenza d’appello propone ricorso per Cassazione l’Agenzia, affidato a quattro motivi, cui replica la società con controricorso.
Considerato che:
1. In via preliminare, va dato atto dell’eccezione sollevata dalla controricorrente di inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza di cui all’art. 366, comma 1, 3), cod. proc. civ.. L’eccezione non può essere accolta, in quanto in ricorso sono complessivamente sommarizzati i fatti essenziali idonei alla comprensione e valutazione dei motivi di impugnazione, ed è anche riportata la decisione impugnata e, quindi, sono rispettati i requisiti dell’art. 366, comma 1, n. 3), cod. proc. civ..
2. Con il primo motivo di ricorso, in relazione al primo rilievo, l’Amministrazione prospetta la violazione e falsa applicazione degli 29 del d. lgs. n. 276/2003 e 1655 cod. civ., in relazione all’art 360, co. 1, n. 3), cod. proc. civ.. La ricorrente si lamenta del fatto che la CTR ritenga che negli appalti c.d. labour intensive sia sufficiente verificare l’assenza di eterodirezione dei lavoratori, senza che abbia rilevanza anche l’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore e l’assunzione, da parte dell’appaltatore del rischio di impresa.
3. Il motivo è fondato. È opportuna una breve ricostruzione sistemica della regola di diritto applicabile alla fattispecie.
3.1 Il d.lgs. 276 del 2003, art. 29, nel testo applicabile ratione temporis risultante dal decreto legislativo del 21/11/2014 n. 175, articolo 28, prevede che «ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato ai sensi dell’art. 1655 civ., si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenza dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa».
3.2 La disposizione in tema di interposizione di manodopera è stata interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. Sez. 6 – L, 12551 del 25/06/2020, conforme a Sez. L, n. 15557 del 10/06/2019), nel senso che, affinché possa configurarsi un genuino appalto di opere o servizi ai sensi dell’art. 29, comma 1, del d. lgs. n. 276 del 2003, è necessario verificare, specie nell’ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera (cd. labour intensive), che all’appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del lavoro. Ciò che conta (cfr. Cass. Sez. 6 – L, n. 12551 del 25/06/2020), è il reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, con impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d’impresa.
Al contrario, si deve invece ravvisare un’interposizione illecita di manodopera nel caso in cui il potere direttivo e organizzativo sia interamente affidato al formale committente. In questo caso non rileva il fatto che manchi, in capo a quest’ultimo, l’intuitus personae nella scelta del personale, atteso che, nelle ipotesi di somministrazione illegale, è frequente che l’elemento fiduciario caratterizzi l’intermediario, il quale seleziona i lavoratori per poi metterli a disposizione del reale datore di lavoro.
Siffatto requisito dev’essere accertato in concreto dal giudice, alla stregua dell’oggetto e del contenuto intrinseco dell’appalto, tenendo conto che, a tal fine, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 276 del 2003 (cfr. Cass. Sez. L, n. 18455 del 28/06/2023), mentre in appalti che richiedono l’impiego di importanti mezzi o materiali, cd. pesanti, il requisito dell’autonomia organizzativa dev’essere calibrato se non sulla titolarità, quanto meno sull’organizzazione di questi mezzi, negli appalti cd. leggeri, in cui l’attività si risolve prevalentemente o quasi esclusivamente nella prestazione di lavoro, è sufficiente che in capo all’appaltatore sussista una effettiva gestione dei propri dipendenti.
3.3 Va inoltre rammentato che (cfr. Sez. 5, n. 12807 del 26/06/2020), in tema di divieto d’intermediazione di manodopera, l’art. 29, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003 distingue il contratto di appalto dalla somministrazione irregolare di lavoro in base all’assunzione, nel primo, del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore e all’eterodirezione dei lavoratori utilizzati, la quale ricorre quando l’appaltante-interponente non solo organizza, ma dirige anche i dipendenti dell’appaltatore. Specularmente, rimangono in capo all’interposta solo compiti di gestione amministrativa del rapporto senza una reale organizzazione della prestazione lavorativa. Cosicché, nel caso di appalto non genuino, non sussiste alcun valido contratto di appalto e il rapporto di somministrazione di lavoro, apparentemente instaurato con l’appaltatrice, in ultima analisi è nullo con conseguente impossibilità di detrarre l’IVA da parte della società contribuente. Ciò rileva anche ai fini della deduzione di componenti negativi ex art. 5, comma 3, del d. lgs. 446/1997.
3.4 Tirando le fila della ricostruzione che prece, dev’essere affermato il seguente principio di diritto:
«Ai fini della valutazione della deduzione di componenti negativi di reddito ai sensi dell’art. 5, comma 3, del d. lgs. 446/1997 e dell’esclusione dalla base imponibile ex art. 26 bis della L. 196/1997 e detrazione dell’IVA, la distinzione tra appalto genuino di cui all’art.1655 cod. civ. e l’illecita somministrazione di manodopera si individua nella concorrenza dei requisiti di assunzione del rischio di impresa e di direzione ed organizzazione di mezzi e materiali necessari da parte dell’appaltatore, tenendo presente che l’organizzazione può anche essere minima negli appalti cd. “leggeri” a prevalenza di apporto personale di unità specializzate, mentre negli appalti cd. “labour intensive” il requisito si sostanzia soprattutto nell’esercizio del potere direttivo dei mezzi e materiali.».
Il motivo dev’essere conseguentemente accolto, perché nella fattispecie, nella quale l’appalto va qualificato labour intensive avendo ad oggetto la prestazione di attività di facchinaggio, il giudice non ha valutato il primo requisito, ossia l’assunzione o meno di rischi da parte dell’appaltatore, concorrente e necessario insieme alla direzione ed organizzazione al fine di consentire all’interprete di distinguere tra l’esistenza di un appalto genuino e l’illecita somministrazione di manodopera.
4. L’accoglimento del primo motivo di ricorso determina l’assorbimento del secondo motivo, sempre in relazione al primo rilievo, con il quale l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione degli 19, del d.P.R. n. 633/1972 e 5, comma 3, del d. lgs. 446/1997, in relazione all’art 360, co. 1, n. 3), cod. proc. civ..
5. Con il terzo motivo di ricorso, ai fini dell’art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ., la ricorrente prospetta la nullità per difetto di motivazione in violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/1992 e dell’art. 132 cod. proc. civ., in relazione al rilievo n. 2 circa il compenso attribuito agli amministratori sotto forma di consulenze asseritamente rese in favore della società stessa.
6. Il motivo è fondato.
6.1 Sul piano della disciplina positiva, ai sensi dell’art.2389, comma 1, cod. civ., i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all’atto della nomina o dall’assemblea. In particolare, nelle società prive di consiglio di sorveglianza, è l’assemblea ordinaria che, ex 2364, comma 1, n.3 cod. civ. determina il compenso degli amministratori e dei sindaci, se non è stabilito dallo statuto.
Tale complesso normativo va posto in collegamento con la nullità generale di cui all’art. 1418, comma 1, cod. civ. secondo la quale la contrarietà a norma imperativa determina la nullità del contratto, in quanto «la disciplina di cui all’art. 2389 cod. civ. (dettata in continuità con l’orientamento legislativo tradizionale, risalente all’art. 154, n. 4 del codice di commercio del 1882) ha certamente natura imperativa e inderogabile, sia perché, in generale, la disciplina della struttura e del funzionamento delle società regolari sono dettate (anche) nell’interesse pubblico al regolare svolgimento dell’attività commerciale e industriale del Paese, sia perché, in particolare, la loro violazione, in particolare la percezione di compensi non previamente deliberati dall’assemblea, era prevista dall’art. 2630 c.c., comma 2, n. 1 (abrogato dal d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, art. 1) come delitto che non poteva certo essere scriminato dalla approvazione del bilancio successiva alla consumazione. È pertanto evidente che la violazione dell’art. 2389 cod. civ., sul piano civilistico, da luogo a nullità degli atti di autodeterminazione dei compensi da parte degli amministratori per violazione di norma imperativa, nullità che, per il principio stabilito dall’art. 1423 cod. civ., non è suscettibile di convalida, in mancanza di una norma espressa che disponga diversamente» (così la sentenza delle Sez. Unite n. 21933 del 29/08/2008 in parte motiva).
Sul piano interpretativo, la Corte di cassazione ha perciò interpretato la disciplina sul funzionamento delle società nel senso che questa è dettata anche nell’interesse pubblico (da ultimo, cfr. Cass. n. 24471/2022), e ciò al fine del regolare svolgimento dell’attività economica ed ha natura imperativa e inderogabile. La richiamata disciplina contiene infatti all’art.2364, comma 1, n.3 cod. civ. una distinta previsione della delibera di approvazione che determina il compenso degli amministratori (Cass. n. 28668/2018). Sono perciò indeducibili i compensi corrisposti in favore degli amministratori per difetto di una preventiva delibera da parte dell’assemblea dei soci. Il principio è confermato anche dalla giurisprudenza successiva (ad. es. Cass. n.17673/2013) ed è affermato con riferimento alla formulazione della disciplina societaria nel testo anteriore alle modifiche di cui al d.lgs. n. 6 del 2003, ma le Sezioni Unite (Cass. n. 21933/2018 cit.) hanno anche stabilito che sul punto le modifiche non sono decisive.
6.2 Ciò premesso, sulla questione nella sentenza impugnata si legge: «la corresponsione periodica dei compensi, la circostanza che sussistano altri contratti contenenti una tipologia di consulenza più specifica e dunque che siano stati utilizzati due pesi e due misure, come indicato nelle controdeduzioni, non configura prova della dissimulazione dei contratti e non ne inficia la natura, essendo necessari elementi puntuali ed univoci, tali da configurare presunzione grave, precisa e concordante, per far assumere diversa configurazione alla natura dei contratti rispetto a quella qualificata e stipulata dalle parti. La gravità, precisione e concordanza delle presunzioni dev’essere tale da renderle almeno non equivoche».
La motivazione è apparente e non rispetta il minimo costituzionale (Cass. Sez. Un. 8053/2014), in quanto l’affermazione non tiene conto che il punto non è la dimostrazione della simulazione dei contratti. Infatti, ai fini della deducibilità del compenso degli amministratori di società di capitali, è necessario che ne risulti la quantificazione nello statuto, oppure in una esplicita delibera dell’assemblea dei soci, che non può considerarsi implicita nella delibera di approvazione del bilancio contenente la posta relativa al compenso, salvo che l’assemblea, in composizione totalitaria e convocata solo per l’approvazione del bilancio, abbia discusso ed approvato tale proposta. È irrilevante il fatto che i contratti di consulenza abbiano un oggetto definito, in linea con le esigenze della società, ed una tariffazione puntuale. La motivazione non coglie che le già menzionate norme imperative e vincolanti non possono essere derogate attraverso il ricorso a consulenze di prestazione intellettuale prestate dagli amministratori nei confronti della società di capitali amministrata, senza le prescritte suddette formalità e nella determinazione dell’assemblea dei soci.
11. L’accoglimento del terzo motivo determina l’assorbimento del quarto, relativo alla medesima ripresa, con il quale viene prospettata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2389 civ., in relazione all’art. 360, comma1, n.3) cod. proc. civ..
12. In accoglimento del primo e del terzo motivo, assorbiti il secondo e quarto, la sentenza impugnata va perciò cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili accolti, oltre che per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e terzo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili accolti e per la liquidazione delle spese di lite.