Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 20816 depositata il 25 luglio 2024

accertamento bancario – nuovo comma 5-bis – obbligo di prova – esclusione per le presunzioni legali

RILEVATO CHE

– Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR della Toscana accoglieva parzialmente l’appello proposto da P.A. contro la sentenza della CTP di Lucca che aveva rigettato il ricorso proposto da detto contribuente avverso l’avviso di accertamento, per imposte dirette ed IVA, emesso in relazione all’anno 2006, con il quale erano stati ripresi a tassazione maggiori ricavi e spese ritenute indetraibili;

– dalla sentenza impugnata si evince, per quanto qui rileva, che:

– l’avviso di accertamento era stato emesso all’esito delle indagini bancarie effettuate anche sui conti del coniuge e della madre del contribuente;

– andava disattesa la censura sul difetto di motivazione dell’avviso di accertamento per mancata allegazione dell’autorizzazione allo svolgimento delle indagini bancarie, in quanto non prevista da alcuna disposizione normativa;

– la presunzione relativa alla riferibilità, al contribuente, delle operazioni riscontrate sul conto corrente intestato al coniuge era legittima, in considerazione dell’esistenza del vincolo familiare, del rapporto di lavoro dipendente presso il coniuge, anche se per un periodo temporale limitato con riferimento all’anno oggetto di accertamento, e del fatto che due operazioni rilevate su detto conto erano state ammesse anche dal contribuente;

– l’appello andava, invece, accolto con riferimento ai prelevamenti, in quanto non andavano più considerati ricavi per i lavoratori autonomi, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014;

– il contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati con memoria;

– l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.

CONSIDERATO CHE

– Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce la violazione, la errata e mancata interpretazione degli artt. 7 della l. n. 212 del 2000 e 3 della l. n. 241 del 1990, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod.   civ.,  per  avere  la  CTR  ritenuto  erroneamente  che l’autorizzazione motivata ad effettuare indagini bancarie non dovesse essere allegata all’avviso di accertamento;

– il motivo è infondato;

l’art. 32 n. 7, del d.P.R. n. 600 del 1973, attribuisce agli uffici finanziari il potere di richiedere, previa autorizzazione del direttore centrale dell’accertamento dell’Agenzia delle entrate o del direttore regionale della stessa, ovvero, per il Corpo della guardia di finanza, del comandante regionale, alle banche, alla società Poste Italiane s.p.a. ecc. dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata; analoga disposizione è prevista dall’art. 51, comma 2, n. 7) del d.P.R. n. 633 del 1972, con riferimento alle attribuzioni e poteri degli uffici dell’imposta sul valore aggiunto;

– come ha ripetutamente affermato questa Corte, l’autorizzazione prevista ai fini dell’espletamento delle indagini bancarie risponde a finalità di mero controllo delle dichiarazioni e dei versamenti d’imposta e non richiede alcuna motivazione; pertanto, la mancata esibizione della stessa all’interessato non comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite dall’Ufficio o dalla Guardia di Finanza, potendo l’illegittimità essere dichiarata soltanto nel caso in cui dette movimentazioni siano state acquisite in materiale mancanza dell’autorizzazione, e sempre che tale mancanza abbia prodotto un concreto pregiudizio per il contribuente (Cass. n. 16874 del 21/07/2009; 3628 del 10/02/2017; n. 9480 del 18/04/2018; n. 1306 del 17/01/2023), che nella specie non risulta allegato;

– con il secondo motivo, deduce la violazione, la errata e arbitraria interpretazione degli 32, commi 1 e 2, 37, comma 3, e 54 del d.P.R. n. 600 del 1973, 2727, 2729 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto erroneamente che il mero rapporto familiare fosse sufficiente a giustificare la presunzione di riferibilità al contribuente delle operazioni riscontrate sul conto intestato al coniuge, in mancanza di prova sulla intestazione fittizia di detto conto a quest’ultimo, che deve essere fornita dall’Amministrazione finanziaria e che non può essere desunta sulla base del solo rapporto di coniugio; precisa che il contribuente non era cointestatario del conto, non aveva alcuna delega ad operarvi e dalla contabilità non erano emersi ricavi occulti;

– con il terzo motivo, deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., non avendo la CTR considerato che: tra i coniugi P.A. e Sorbi Cristina vigeva il regime patrimoniale di separazione dei beni; il P.A. non aveva nessun potere gestionale sul conto intestato al coniuge, perché non ne era né cointestatario né delegato; nel febbraio del 2006 si era interrotto il rapporto di lavoro dipendente tra la Sorbi e il P.A.; i due movimenti evidenziati, consistenti in un versamento regolarmente fatturato e un pagamento di una fattura di un fornitore, non potevano di per sé dare origine alla presunzione che tutti gli altri movimenti esistenti sul conto intestato al coniuge andavano ricondotti a ricavi non dichiarati del contribuente;

– i predetti motivi, che per connessione vanno esaminati congiuntamente, sono infondati;

– secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di accertamento dell’imposta sui redditi, le verifiche fiscali finalizzate a provare, per presunzioni, la condotta evasiva possono riguardare anche i conti bancari intestati al coniuge o al familiare del contribuente, potendo desumersi la riferibilità a quest’ultimo da elementi sintomatici, quali: il rapporto di stretta familiarità, l’ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta considerato, l’infedeltà delle dichiarazioni e l’esercizio di attività da parte del contribuente compatibile con la produzione della maggiore redditività riferita a dette persone (Cass. n. 546 del 15/01/2020);

– nel ribadire, anche recentemente, tale orientamento, questa Corte ha, tuttavia, precisato che la sussistenza dello stretto vincolo familiare fra il contribuente e il terzo non è un dato sufficiente per assurgere a prova presuntiva qualificata delle riferibilità, in tutto o in parte, al contribuente accertato delle movimentazioni del conto corrente intestato al familiare, occorrendo che tale vincolo sia accompagnato dalla indicazioni di altri elementi, il cui onere di allegazione è a carico dell’Ufficio, idonei a dimostrare, in via logico- presuntiva, che la situazione reddituale del coniuge terzo intestatario del conto è incompatibile o comunque non può giustificare le movimentazioni riscontrate sul conto che, per tale ragione, può fondatamente ritenersi nella disponibilità effettuale del contribuente accertato (Cass. 20 dicembre 2018, 32974; Cass. 12 dicembre 2023, n. 34747);

– il giudice di appello si è attenuto ai suddetti principi, avendo accertato che la riferibilità delle operazioni riscontrate sul conto corrente intestato alla moglie era confermata dal rapporto di lavoro dipendente che questa svolgeva presso il contribuente, anche se per un periodo di tempo limitato con riferimento all’anno di imposta oggetto dell’accertamento (il rapporto di lavoro era stato interrotto nel febbraio del 2006), e che due dei movimenti rilevati su detto conto erano sicuramente riconducibili al contribuente;

– i fatti evidenziati dal contribuente (il regime di separazione dei beni fra i coniugi, la mancanza di cointestazione del conto o di delega al contribuente ad operare sullo stesso, l’asserita giustificazione di due dei movimenti attenzionati nel corso della verifica) non incidono sulla presunzione di  riferibilità  al  contribuente  di  alcune  delle movimentazioni del conto corrente intestato al coniuge, in quanto non occorre la prova della intestazione fittizia del conto al contribuente;

– le indagini bancarie, invero, possono riguardare anche conti di terzi quando l’Ufficio abbia motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, che tali conti e depositi siano stati utilizzati per occultare operazioni commerciali a scopo di evasione fiscale, non essendo necessariamente finalizzate ad accertare l’intestazione fittizia del conto verificato;

– da ultimo, con riferimento a quanto evidenziato dal contribuente nella memoria, occorre precisare che sul regime di distribuzione dell’onere probatorio, previsto, in materia di accertamento bancario, dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, non è destinato ad incidere il nuovo comma 5-bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, introdotto dall’   6  della  legge  n.  130  del  2022,  secondo  il  quale

«L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati.»;

– secondo il principio recentemente affermato da questa Corte, al quale questo collegio intende dare continuità, «In materia di giudizio tributario, il nuovo comma 5-bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, introdotto dall’ art. 6 della l. n. 130 del 2022, secondo cui il giudice deve valutare la prova “comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale”, non si pone in contrasto con la persistente applicabilità delle presunzioni legali che, nella normativa tributaria sostanziale, impongano al contribuente l’onere della prova contraria(Cass. n. 2746 del 30/01/2024);

la nuova previsione normativa non ha, quindi, inciso sulla disciplina delle presunzioni legali, quali quelle previste in materia di accertamenti bancari, ma si è limitata a disciplinare una regola di giudizio e di valutazione della prova, a cui deve attenersi il giudice tributario, stabilendo che se la prova, anche presuntiva, che deve fornire l’Amministrazione finanziaria (quando ne è onerata), manca o è contraddittoria o insufficiente, il giudice deve annullare l’atto impositivo;

– si tratta di norma avente chiara natura sostanziale, poichè, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, sono tali le norme che, come quella in esame, consistono in regole di giudizio la cui applicazione ha una diretta ricaduta sulla decisione di merito, di accoglimento o di rigetto della domanda, mentre hanno carattere processuale le disposizioni che disciplinano i modi di deduzione, ammissione e  assunzione  delle  prove  (ex  plurimis, Cass. n. 18912 del 17/07/2018);

– ne consegue che, non avendo l’art. 8 della legge n. 130 del 2022 (“Disposizioni transitorie e finali”) previsto una diversa decorrenza della disposizione in esame, la stessa si applica ai giudizi introdotti successivamente al 16 settembre 2022 (data di entrata in vigore della legge n. 130 cit.);

– può, quindi, affermarsi il seguente principio:

«in materia di giudizio tributario, il nuovo comma 5-bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, introdotto dall’ art. 6 della l. n. 130 del 2022, è una norma di natura sostanziale e non processuale, sicchè la stessa si applica ai giudizi introdotti successivamente al 16 settembre 2022 (data di entrata in vigore della legge n. 130 del 2022).»;

– il ricorso va, dunque, rigettato e le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio di soccombenza, a carico del ricorrente e liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna P.A. al pagamento, in favore dell’Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 2.400,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis, dello stesso art. 13, se dovuto.