Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 21584 depositata il 31 luglio 2024

Efficacia sentenza penale e travisamento prova – IRES IVA IRAP IRPEF AVVISO ACCERTAMENTO

Rilevato che:

1. L’Ufficio, a seguito di indagini bancarie, relative al periodo compreso tra il 1° gennaio 2005 ed il 23 maggio 2008, svolte nei confronti della D.L.P. s.r.l., esercente attività di compravendita di immobili, e nei confronti dei due soci, fratelli D.M. e L.M., e dei loro coniugi, Lorella e Gabriella Palmisciano, emetteva, per gli anni 2005 e 2006, due avvisi di accertamento nei confronti della società per il recupero di maggiori Iva, Ires ed Irap (RC3030300808 e RC30300300809) assumendo che fossero riconducibili alla stessa una serie di movimentazioni  bancarie,  sia  di  prelevamento  che  di versamento, rimaste ingiustificate. L’Ufficio emetteva, altresì, ulteriori avvisi di accertamento nei confronti dei tre soci – i fratelli M. e M.M. – per il recupero di maggiore Irpef sul presupposto della distribuzione agli stessi di utili extra-contabili in società c.d. a ristretta base e di un maggior reddito di partecipazione in proporzione alle rispettive quote del 33,34 per cento per L.M. e del 33,33 per cento per gli altri due. A detti ultimi seguivano pedisseque cartelle di pagamento.

3. Avverso detti atti proponevano separati ricorsi sia la società che i tre soci.

3.1 La C.t.p. di Latina riuniva i tre ricorsi proposti da M.M. avverso i due atti impositivi personali e la pedissequa cartella di pagamento, tenendoli, tuttavia, separati dai ricorsi proposti dalla società e dai fratelli M. che, invece, riuniva tra di loro.

3.2 La C.t.p., nel giudizio in cui era parte il solo M. accoglieva il ricorso spiegato da quest’ultimo ed annullava sia i due avvisi di accertamento personali che la pedissequa cartella.

Detta sentenza veniva integralmente confermata dalla C.t.r. con la sentenza n. 3246 del 2015 che rigettava sia l’appello principale dell’Ufficio che quello incidentale del contribuente.

3.3. Con separata sentenza emessa nei giudizi riuniti che vedevano come parti la società e i fratelli M., la C.t.p. annullava ugualmente tutti gli atti impositivi. Anche detta sentenza veniva confermata dalla C.t.r. con la sentenza n. 3358 del 2017 che rigettava l’appello proposto dal solo Ufficio.

4. Avverso entrambe le sentenze propone separati ricorsi l’Agenzia delle entrate.

5. Nel giudizio 2905 del 2018 i due soci D.M. e L.M., hanno dichiarato di aver aderito alla definizione agevolata ai sensi dell’art. 1, commi da 186 a 202 legge 29 dicembre 2002, n. 197 ed hanno depositato la domanda presentata da L.M. nonché prova del pagamento, sia per D.M. che per L.M. della prima rata.

Con successiva nota, la difesa erariale ha dato atto della regolarità della definizione, ai sensi dell’art. 1, commi da 186 a 203, legge n. 197 del 2022 Per l’effetto, ha chiesto l’estinzione parziale del giudizio nei confronti di questi ultimi con compensazione delle spese. Ha insistito invece, per l’accoglimento del ricorso quanto alle ulteriori pretese.

6. In entrambi i giudizi i contribuenti (ovvero nel primo M.M. e nel secondo la D.L.P. s.rl. ed i soci M.) hanno depositato memoria. 

7. Con ordinanza interlocutoria 2528 del 2024 resa nel giudizio n. 23334 del 2015 questa Corte ha rinviato a nuovo ruolo per la trattazione con gli altri giudizi connessi.

8. M.M. ha depositato ulteriore memoria. 

Considerato che:

1. Deve procedersi alla riunione dei due giudizi. Sussiste, infatti, un’evidente connessione tra gli stessi che hanno ad oggetto, con riferimento ai medesimi anni di imposta, l’accertamento di maggiori redditi nei confronti di una società, ritenuta a ristretta base, e i conseguenziali accertamenti nei confronti dei tre soci della Pur non ricorrendo un’ipotesi di litisconsorzio necessario, l’accertamento societario costituisce un indispensabile antecedente logico-giuridico dell’accertamento nei confronti dei soci, in virtù dell’unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano.

Inoltre, la riunione delle impugnazioni – che è obbligatoria, ai sensi dell’art. 335 cod. proc civ., ove investano lo stesso provvedimento – può essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro provvedimenti, diversi, ma fra loro connessi, quando la trattazione separata prospetti l’eventualità di soluzioni  contrastanti,  siano  ravvisabili  ragioni  di  economia processuale, appaiano configurabili profili di unitarietà sostanziale e processuale delle controversie (Cass. 10/05/2021, n. 12268).

2. In via preliminare deve darsi atto, stante la concorde dichiarazione delle parti interessate, che il giudizio di cui al ricorso n. 2905 del 2018 si è estinto, in ragione della definizione agevolata, quanto ai due soci D.M. e L.M., mentre prosegue in merito alla posizione della società.

2.1 L’art. 1, comma 197, legge n. 197 del 2022 prevede che «le controversie definibili non sono sospese, salvo che il contribuente faccia apposita richiesta al giudice, dichiarando di volersi avvalere della definizione agevolata. In tal caso il processo è sospeso fino al 10 ottobre 2023 ed entro la stessa data il contribuente ha l’onere di depositare, presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia, copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata». Il successivo comma 198 prevede che «nelle controversie pendenti in ogni stato e grado, in caso di deposito ai sensi del comma 197, secondo periodo, il processo è dichiarato estinto con decreto del Presidente della sezione o con ordinanza in camera di consiglio se è stata fissata la data della decisione».

Entrambe le parti hanno dato atto della regolarità della domanda di definizione agevolata e del pagamento di quanto ivi previsto ai fini dell’estinzione, sicché può provvedersi in tal senso.

2.2 Le spese rimangono a carico delle parti che le hanno anticipate ex art. 1, comma 198, legge cit.

In ragione della definizione agevolata della controversia, e poiché la ricorrente è parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si ravvisano i presupposti per imporre il pagamento del c.d. doppio contributo unificato.

3. L’Agenzia delle entrate nel ricorso n. 2905 del 2018 che, come detto, prosegue nei confronti della sola società, ha proposto quattro

3.1 Con il primo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. la nullità della sentenza per motivazione inesistente e violazione degli artt. 112 e 132, secondo comma, cod. proc. civ. e dell’art. 36 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

Con il motivo l’Ufficio muove plurime censure. Con la prima assume che la C.t.r. ha omesso l’indicazione degli elementi a sostegno del proprio convincimento e non ha effettuato alcuna disamina né degli elementi fondanti la decisione né delle molteplici censure di legittimità e di merito proposte con l’appello. Con la seconda deduce che la C.t.r., nel limitarsi ad affermare che il solo argomento della ristretta base non poteva costituire elemento sufficiente, ha omesso del tutto di esaminare la questione principale relativa all’accertamento di utili extra-bilancio in capo alla società ed aggiunge che l’illogicità della motivazione trasmoda in omessa pronuncia. Con la terza, evidenzia che la C.t.r. ha annullato totalmente gli atti impositivi, sebbene anche la consulenza tecnica di ufficio esperita in primo grado, avesse accertato che sui conti correnti bancari risultavano movimentazioni non giustificate, pari a circa due milioni di euro, che avrebbero dovuto portare a ritenere che la contribuente, gravata del relativo onere, non avesse fornito prova contraria della loro natura non reddituale.

3.2 Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 51 d.P.R. 26 ottobre 1973 n. 633.

Censura la sentenza impugnata per aver omesso di considerare che l’Amministrazione aveva provato l’esistenza, confermata dalla c.t.u. disposta in primo grado, di numerose movimentazioni non giustificate transitate sui conti correnti dei soci e per non aver correttamente applicato la presunzione di cui all’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973.

3.3 Con il terzo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, 3, cod. proc. civ. la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ.

Censura la sentenza impugnata per aver violato i principi di ripartizione dell’onere della prova ignorando che non era onere dell’Amministrazione corroborare la correlazione tra movimentazioni bancarie e attività di impresa e che incombeva, invece, sul contribuente la prova contraria in ordine alla natura non reddituale delle operazioni.

3.4 Con il quarto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 civ. e degli artt. 32, 38, 39 e 40 d.P.R. n. 600 del 1973.

Con specifico riferimento agli avvisi di accertamento personali emessi nei confronti dei soci M., censura la sentenza impugnata per non aver fatto corretta applicazione della presunzione di distribuzione degli utili extra-contabili tra i soci di società a ristretta base.

4. L’Agenzia delle entrate nel ricorso n. 23334 del 2015, proposto nei confronti del solo socio M.M., ha proposto sei motivi.

4.1 Con il primo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.

Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la distribuzione di utili extracontabili al socio Martino assumendo che non vi fosse la prova di questi ultimi in capo alla società. Osserva che il giudizio relativo all’accertamento societario era ancora pendente e che la C.t.r. aveva ignorato che la c.t.u. depositata in primo grado, lungi dall’escludere ricavi in nero in capo alla società, aveva rilevato che le movimentazioni dei conti intestati alla società, ai soci M. e alle rispettive consorti, avevano posto in luce una serie di prelevamenti e versamenti non giustificati. In particolare, erano risultate operazioni non giustificate per euro 1.750.607,00 per il 2005 ed euro 933.457,00 per il 2006.

4.2 Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che non erano emersi elementi sufficienti per considerare attinenti alla gestione della società le operazioni non giustificate. Osserva che gravava sul contribuente il relativo onere della prova.

4.3 Con il terzo motivo, proposto in via subordinata, denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 295 cod. proc. civ.

Critica la C.t.r. per non aver accolto l’istanza di riunione del giudizio nei confronti del Martino al giudizio, ancora pendente, relativo all’accertamento societario.

4.4 Con il quarto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la violazione dell’art. t.u.i.r., dell’art. 38, comma 3. D.P.R. n. 600 del 1973 e degli artt. 2697 e 2729 cod. civ.

L’Agenzia assume che la C.t.r. ha errato sia nel trarre da due fatti ritenuti non contestati – ovvero l’estraneità del Martino al nucleo familiare dei soci M., e la mancanza in capo al medesimo di cariche sociali – l’esclusione del vincolo di solidarietà ed il rapporto di complicità che costituisce il fondamento della presunzione di distribuzione degli utili extra-contabili nelle società a ristretta base, sia nell’affermare che spettasse all’Ufficio dimostrare il ruolo di controllo e/o gestione del socio. Aggiunge che con tali assunti il giudice di secondo grado non ha fatto buon governo dei principi vigenti in materia; che, in particolare, la titolarità in capo al Martino di una quota pari al 33,3 per cento, pari a quella dei due fratelli M., costituiva già elemento sufficiente per applicare la presunzione di distribuzione degli utili extra-contabili e che il vincolo di solidarietà era implicito nella ristrettezza della base sociale.

4.5 Con il quinto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per avere la C.t.r. disatteso il motivo di appello con il quale aveva criticato la sentenza di primo grado che si era pronunciata sull’illegittimità dell’accertamento parziale di cui all’art. 41-bis P.R. n. 600 del 1973 pur in assenza di eccezione di parte.

4.6 Con il sesto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la violazione dell’art. t.u.i.r., dell’art. 38, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 e degli artt. 2697 e 2729 cod. civ.

Censura la sentenza impugnata nella parte in cui la C.t.r., pur avendo correttamente affermato l’inesistenza di un vincolo di giudicato in ragione della sentenza di assoluzione del Martino dal reato di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000, ha aderito alle conclusioni ivi rassegnate, senza procedere ad alcuna valutazione degli elementi probatori, ed ignorando l’iter argomentativo seguito dal giudice penale.

5. Preliminarmente vanno disattese le eccezioni di inammissibilità dei ricorsi per cassazione sollevate sia dalla società che dal Martino nei rispettivi controricorsi.

5.1 Con la prima eccezione Martino Michele assume che il ricorso, da proporsi nel termine breve di sessanta giorni dalla notifica della sentenza di primo grado, risalente al 24 giugno 2015, sarebbe tardivo in quanto notificato a mezzo pec il 23 settembre 2015, giorno indicato dal contribuente come l’ultimo utile, ma oltre le ore 21,00, così da doversi ritenere notificato il giorno successivo in virtù dell’espresso disposto dell’art. 16-septies d.l. n. 179 del 2012.

5.1.1 L’eccezione si fonda su un’errata ricostruzione del termine per Infatti, stante la scadenza del termine nel periodo c.d. di interruzione dei termini feriali, ridotto dagli originari quarantacinque giorni a trentuno (e non trenta come sembra dedursi dal calcolo di parte) il termine veniva comunque a scadere il 24 settembre 2015.

A ciò deve aggiungersi che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 75 del 2019, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 16-septies d.l. n. 179 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 221 del 2012, nella parte in cui tale norma prevedeva che la notifica eseguita con modalità telematiche, con ricevuta di accettazione generata dopo le ore ventuno ed entro le ore ventiquattro, si perfezionava, per il notificante, alle ore sette del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta.

5.2 Con la seconda eccezione il Martino assume che l’Avvocatura dello Stato sarebbe priva di jus postulandi in quanto l’avvalimento del patrocinio erariale necessiterebbe di apposita investitura.

5.2.1 Questa Corte sul punto ha già chiarito che l’Avvocatura dello Stato, per proporre ricorso per cassazione in rappresentanza dell’Agenzia delle entrate, deve avere ricevuto da quest’ultima il relativo incarico, del quale, però, non deve farsi specifica menzione nel ricorso, atteso che l’art. 366, n. 5, cod. proc. civ. inserendo tra i contenuti necessari l’indicazione della procura, se conferita con atto separato, fa riferimento esclusivamente alla procura intesa come negozio processuale attributivo dello ius postulandi, peraltro non necessario quando il patrocinio sia assunto dall’Avvocatura dello Stato, e non invece al negozio sostanziale attributivo dell’incarico professionale al difensore (Cass. 29/10/2020, n. 23865, Cass. 04/11/2016, n. 22434).

5.3 Con la terza eccezione il Martino assume che il ricorso avversario si risolve in una mera riproduzione di atti processuali ed è privo di critiche motivate e pertinenti. Analoga eccezione solleva, con riferimento al ricorso di sua competenza, anche la società.

6.3.1 Va rilevato, che la materiale integrazione del ricorso per cassazione con atti processuali delle fasi di merito (nella specie, l’atto di appello) si giustificava per illustrare le ragioni di censura alla sentenza impugnata sotto il profilo dell’omessa pronuncia o omessa motivazione sulle specifiche censure svolte in secondo grado, senza incorrere nel difetto di specificità del motivo ex 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., Tale riproduzione, peraltro, facilmente individuabile ed isolabile, non impedisce di enucleare, con sufficiente chiarezza, i fatti salienti della vicenda processuale, e le ragioni dell’impugnazione (tra le tante, cfr. Cass. 08/01/2024, n. 506).

5.4 Con la quarta eccezione il Martino assume che l’Agenzia delle entrate non avrebbe contestato l’autonoma ratio decidendi espressa nella sentenza la quale aveva fondato il rigetto dell’appello anche sull’assenza di indagini e quindi di idonea istruttoria sui conti correnti intestati al medesimo.

In primo luogo, non si è in presenza di un’autonoma ratio decidendi, idonea a giustificare autonomamente la statuizione di illegittimità degli atti impositivi, quanto di uno degli elementi oggetto di valutazione complessiva. In secondo luogo, il quarto motivo del ricorso dell’Ufficio contiene espressa contestazione dell’intera motivazione della C.t.r. volta ed escludere l’operatività della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili in capo ai soci.

6. Procedendo nel merito dei motivi, è prioritario l’esame del ricorso avverso l’accertamento societario che costituisce, come detto, antecedente logico dell’accertamento nei confronti dei soci e, per quanto qui rileva a seguito della definizione agevolata cui hanno dato corso gli altri due soci, del solo socio M.M..

6.1 Il primo motivo del ricorso dell’Agenzia delle entrate nei confronti della società è parzialmente fondato, restando assorbiti il secondo ed il terzo, ed inammissibile, rispetto alla società, il quarto in quanto relativo ai soli soci che hanno definito la controversia.

6.1.1 La sentenza impugnata, dopo aver dato atto che il giudizio aveva ad oggetto sia avvisi accertamento pe Ires, Irap ed Iva emessi ne confronti della società, sia avvisi di accertamento emessi nei confronti dei due soci, D.M. e L.M., per Irpef, e dopo aver sinteticamente illustrato le motivazioni rese dalla C.t.p., riservava all’esposizione delle motivazioni l’ultimo capoverso così articolato: «La Commissione ritiene che in mancanza di elementi di novità nel merito, suscettibili di modificare gli esiti della consulenza, pur nella consapevolezza della sua incompletezza, delle difficoltà ricostruttive e delle molteplicità delle attività alle quali le movimentazioni bancarie sono riconducibili, delle difficoltà, di determinare le spese personali, la sola argomentazione della ristretta base azionaria della società non possa costituire elemento – ancorché presuntivamente – sufficiente».

6.1.2 Ciò posto, perché sussista il vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (cfr. ex plurimis Cass. 29/01/2021, 2151; Cass. 02/04/2020, n. 7662; Cass. 30/01/2020, n. 2153). È stato quindi ritenuto che «non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto.» (Cass. 04/06/2019, n. 1525).

6.1.3 Nella fattispecie in esame va escluso detto specifico vizio in quanto la C.t.r. si è chiaramente pronunciata anche sugli atti impositivi societari. Ciò è desumibile dal riferimento alla consulenza tecnica disposta in primo grado che, a propria volta, (cfr. pag. 7 del ricorso per cassazione) aveva avuto ad oggetto (anche) le operazioni di prelevamento e versamento accertate a carico della società ai fini Ires, Irap ed Iva e dalla conclusione che non vi erano elementi suscettibili di modificarne l’esito.

6.1.4 La sentenza, invece, non contiene alcuna esplicitazione delle ragioni sottese alla decisione di annullare anche gli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società in ragione della esistenza di utili extra-contabili.

In primo luogo, la sentenza appare contraddittoria nella parte in cui, pur riportandosi alla consulenza di ufficio, ne ignora totalmente l’esito che, come riportato in ricorso, era caratterizzato dall’emersione di operazioni non giustificate, imputabili alla società. In secondo luogo, la C.t.r., con affermazione priva di logica, giustifica l’annullamento di tuti gli atti impositivi in ragione dell’insufficienza della ristretta base azionaria, ovvero spendendo un argomento non pertinente rispetto agli avvisi societari, ma relativo ai soli atti impositivi individuali.

Le Sezioni Unite della Corte hanno affermato che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al c.d. minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Il vizio, pertanto, è rilevante ai sensi dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., (e nel caso di specie dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992) determinando la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., non solo quando questa manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, risultante dallo svolgimento del processo, segue l’enunciazione della decisione, senza alcuna argomentazione – ma anche nel caso in cui essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum. (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 e 8054).

Nel caso in esame, gli argomenti spesi dalla C.t.r. per un verso, nella parte in cui si fondano sulle risultanze peritali, non spiegano perché gli avvisi di accertamento societari fossero da annullare, non solo in ragione di quanto ivi rilevato dall’Ufficio, ma anche rapportandosi a quanto emerso dalla c.t.u.; per altro verso, nella parte relativa alla presunzione di distribuzione degli utili in società a ristretta base, sono del tutto inconferenti, rispetto all’atto impositivo societario.

7. Passando all’esame del ricorso proposto nei confronti del socio M.M., l’istanza, avanzata al termine del terzo motivo, con la quale si chiede la sospensione del giudizio in attesa della definizione del giudizio pregiudiziale relativo all’accertamento societario, resta superata dalla riunione disposta in questa sede.

7.1 Il terzo motivo, da esaminarsi in via preliminare, in quanto prospetta error in procedendo, derivante dall’omessa sospensione del giudizio, ex 295 cod. proc. civ., è infondato.

Il prevalente orientamento della Corte è nel senso che l’art. 295, cod. proc. civ., sia applicabile nelle sole ipotesi in cui la causa pregiudicante sia ancora pendente in primo grado. Tale condizione non sussisteva nella fattispecie in esame in cui, alla data della decisione sulla causa pregiudicata (risalente al 2015), quella pregiudicante era stata già definita in primo grado (nel 2012), pendendo in appello. In detta ultima ipotesi non vi è spazio per la sospensione necessaria del giudizio pregiudicato, ma semmai per l’applicazione della sospensione facoltativa prevista dall’art. 337, cod. proc. civ., che, appunto, regola l’ipotesi in cui il suddetto rapporto riguardi una causa ormai pendente in sede d’impugnazione (Cass. Sez. U. 29/07/2021, n. 21763). A ciò deve aggiungersi che il mancato esercizio del potere discrezionale in questione non può essere in nessuna guisa equiparato alla violazione dell’obbligo di sospensione, di talché il motivo che deduce la violazione di quest’ultimo non può essere interpretato come ricomprendente anche la mancata sospensione facoltativa, (tra le più recenti Cass. 25/03/2024, n 7952).

7.2 Il primo ed il secondo motivo, con i quali l’Agenzia delle entrate censura le statuizioni relative all’accertamento del reddito in capo alla società (rese, tuttavia, nella sentenza avente a oggetto l’accertamento personale in capo al socio M.M.) restano assorbiti.

Le Sezioni Unite della Corte hanno precisato che il giudice della causa dipendente, ove non sussistano i presupposti della sospensione necessaria, oltre a poter scegliere ai sensi dell’art. 337, comma 2, cod. proc. civ. se conformarsi ad essa o attendere la sua stabilizzazione con il passaggio in giudicato, potrebbe anche decidere in senso difforme ove ritenga che tale sentenza possa, sulla base di una ragionevole valutazione prognostica, essere riformata o cassata. Si è aggiunto, tuttavia, che a seguito della riforma della sentenza che definisce la causa pregiudiziale, l’armonia tra i giudicati viene recuperata per effetto dell’applicabilità del citato art. 336, comma 2, cod. proc. civ. (nel quale, non a caso, si pone riferimento, oltre che agli atti, ai provvedimenti dipendenti) che assume il ruolo di norma di chiusura, sicché la sentenza (già eventualmente) passata in giudicato sulla causa pregiudicata sarà colpita di riflesso in forza dell’effetto espansivo esterno conseguente alla riforma o alla cassazione della sentenza che definisce la causa pregiudiziale (Cass. Sez U. 29/07/2021 n. 21763). Ne consegue che all’accoglimento del ricorso avverso l’accertamento societario con annullamento della relativa sentenza con rinvio, consegue l’annullamento anche della sentenza che ha deciso il giudizio pregiudicato atteso che, in merito ai presupposti dell’accertamento societario il giudice del rinvio non potrà che conformarsi a quanto deciso nel giudizio pregiudiziale (cfr. Cass. n. 7952 del 2024).

7.2 Il quarto motivo, con il quale l’Agenzia delle entrate contesta le statuizioni relative alla presunzione di distribuzione ai soci in società a ristretta base è fondato.

7.2.1 Per giurisprudenza costante di questa Corte, in caso di società a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti (Cass. 04/04/2022, 10679, Cass. 11/08/2020, n. 16913, Cass. 11/08/2020, n. 16913, Cass. 2/03/2011, n. 5076; Cass. 24/01/2019, n. 1947, Cass. 20/12/2018, n. 32959, Cass. 18/10/2017, n. 24534; Cass. 22/11/2017, n. 27778; Cass. 22/04/2009, n. 9519).

Perché una società venga ritenuta a ristretta base non è necessaria l’esistenza di un rapporto di parentela, stante l’esiguità del numero dei soci (Cass. n. 10679 del 2022 cit.).

Il fondamento logico della costruzione giurisprudenziale si rinviene nella «complicità» che normalmente avvince un gruppo societario composto da poche persone, sicché vi è la presunzione che gli utili extracontabili siano stati distribuiti ai soci, nel corso dello stesso esercizio annuale, salva la prova contraria a carico del contribuente (Cass. 26 maggio 2008, n. 13485).

Tali principi sono stati completati con la precisazione che la presunzione di distribuzione degli utili extra-bilancio può essere vinta dal contribuente fornendo la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria (Cass. n. 10679 del 2022 cit., Cass. Cass., 09/07/2018, n. 18042; Cass. 27/09/2018, n. 23247, Cass. 02/02/2016, n. 1932; Cass. 14/07/2017, n. 17461, Cass. 22/12/2016, n. 26873).

Infine, si è escluso che l’accertamento emesso nei confronti dei soci debba fondarsi anche su elementi di riscontro tesi a verificare, attraverso l’analisi delle loro movimentazioni bancarie, l’intervenuto acquisto di beni di particolare valore, non giustificabili sulla base dei redditi dichiarati (Cass. 11/08/2020, n. 16913).

7.2.2 La C.t.r. non si è attenuta a questi principi.

In primo luogo ha dato rilievo alla circostanza che il Martino non appartenesse al nucleo familiare dei M. e che non avesse rivestito cariche sociali per negare che si fosse in presenza di una società a ristretta base. Così motivando, tuttavia, ha confuso l’elemento della ristretta base, che non può ritenersi esclusa solo in ragione della mancanza di un vincolo familiare tra tutti i soci e la cui verifica prescinde del tutto dalle cariche rivestite da questi ultimi, con l’elemento, logicamente successivo, della distribuzione degli utili, che, come detto, si presume. In secondo luogo non ha fatto buon governo delle regole di riparto dell’onere probatorio quanto alla distribuzione degli utili, avendo affermato che spettasse all’Ufficio dimostrare il ruolo di controllo e /o di gestione del contribuente, trattandosi di elemento costitutivo della presunzione. Infine, ha ritenuto necessario l’accertamento sui conti personali del Martino onde verificare la presenza di movimentazioni non giustificabili in rapporto al reddito ascrivibile agli utili extra-contabili.

7.3 Il quinto motivo con il quale l’Agenzia delle entrate contesta le statuizioni relative all’illegittimità dell’accertamento parziale è

7.3.1 Nelle ipotesi di invalidità degli atti impositivi opera il generale principio di conversione dei vizi in motivi di gravame, in ragione della struttura impugnatoria del processo tributario, nel quale la contestazione della pretesa fiscale è suscettibile di essere prospettata solo attraverso specifici motivi di impugnazione dell’atto, sicché le nullità, ove non dedotte con il ricorso originario, non possono essere rilevate d’ufficio né fatte valere per la prima volta nel giudizio di legittimità. (Cass. 18/05/2018, n. 12313).

7.3.2 La C.t.p., pertanto, non avrebbe potuto pronunciarsi sull’illegittimità dell’accertamento parziale in quanto questione non dedotta dal contribuente.

7.4 Il sesto motivo, con il quale l’Agenzia delle entrate contesta il rilievo dato in motivazione alla sentenza di assoluzione del Martino in sede penale è parzialmente fondato.

7.4.1 Risulta dalla sentenza impugnata che il Tribunale di Latina, con sentenza di cui si dà atto del passaggio in giudicato, ha assolto Martino Michele dal delitto di cui all’art. 4 lgs. n. 74 del 2000 per non aver commesso il fatto individuato nella omessa dichiarazione annuale, relativa all’anno 2005, elementi attivi di reddito per euro 1.593.009,42 pari alla quota del 33,33 per cento del reddito societario.

La C.t.r. ha richiamato la sentenza penale di assoluzione, se pure non per invocarne l’efficacia diretta che ha espressamente escluso, ma affermando che il risultato raggiunto in sede penale non rappresentava qualcosa di completamente estraneo dal gravame tributario.

7.4.2 Con riferimento all’anno 2005, oggetto di accertamento, deve tenersi conto dello ius superveniens di cui all’art. 1, comma 1, d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87 in vigore dal 29 giugno 2024 che ha introdotto l’art. 21-bis lgs. 10 marzo 2000, n. 74. La disposizione, rubricata «Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione» prevede, al comma 1, che la sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi.

La C.t.r., pertanto, dovrà verificare in sede di rinvio ed in ragione di quanto accertato nel processo penale se sussistono i presupposti per l’applicazione diretta degli effetti del giudicato favorevole.

Con riferimento all’anno 2006, per il quale, invece, non risulta esserci alcuna pronuncia di assoluzione, la C.t.r. non ha provveduto ad alcuna autonoma valutazione – che, invece dovrà compiere in sede di rinvio – della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti, né ne ha verificato la rilevanza nell’ambito specifico del processo tributario.

Infatti, laddove non opera l’efficacia diretta del giudicato in ragione della norma sopravvenuta, va data continuità al principio di diritto secondo il quale l’autonomia tra giudizio penale e giudizio tributario, la diversità di mezzi di prova acquisibili nei due ambiti processuali e dei criteri di valutazione del materiale acquisito per l’operare solo nel giudizio tributario delle presunzioni comporta, fisiologicamente, che a procedimenti connotati da regimi probatori differenti possano corrispondere esiti diversi (Cass. 10/05/2024, n. 12823).

8. In conclusione, ferma l’estinzione del giudizio nei confronti dei fratelli M., il ricorso n. 2905 del 2018 va accolto, nei confronti della sola società, quanto al primo motivo, nei limiti di cui in motivazione, assorbiti il secondo ed il terzo ed inammissibile il quarto; il ricorso n. 23334 del 2015 va accolto quanto ai motivi, quattro, cinque e sei, come in motivazione, assorbiti il primo ed il secondo, rigettato il terzo. Entrambe le sentenze impugnate vanno cassate con rinvio alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, che resta così individuata in ragione del principio di diritto per il quale il provvedimento di cassazione con rinvio esaurisce l’individuazione del giudice del rinvio con l’indicazione dell’ufficio giudiziario, unitariamente inteso, di pari grado rispetto a quello che ha pronunciato la sentenza cassata, senza che rilevi anche l’articolazione organizzativa interna in sezioni dell’ufficio giudiziario indicato (Cass. 04/03/2021, 5938). La C.t.r. si pronuncerà nei giudizi riuniti fornendo congrua motivazione sia con riferimento all’accertamento di utili extracontabili in capo alla società sia con riferimento alla distribuzione pro quota di detti ultimi in capo al socio Martino in ragione di quanto esplicitato in motivazione e statuirà anche sulle spese dei giudizi riuniti di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce il ricorso n. 2905 del 2018 al ricorso n. 23334 del 2015; dichiara estinto il giudizio nei confronti di D.M. e L.M. ponendo le spese a carico di chi le ha anticipate; accoglie il ricorso n. 2905 del 2018 nei confronti della D.L.P. s.r.l. limitatamente al primo motivo come da motivazione, assorbiti il secondo ed il terzo ed inammissibile il quarto; accoglie il ricorso n. 23334 del 2015 limitatamente, al quarto, al quinto ed al sesto motivo, come in motivazione, assorbiti il primo, il secondo, rigettato il terzo; cassa entrambe le sentenze impugnate e rinvia alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.