CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, Ordinanza n. 23118 depositata il 26 agosto 2024

Tributi – Avviso di pagamento – Accisa su oli minerali non versata – Documenti di accompagnamento falsi – Accoglimento

Rilevato che

Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio veniva accolto l’appello proposto dalla società N. Srl avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma n. 8468/39/2019 che aveva rigettato il ricorso introduttivo della contribuente proposto contro l’avviso di pagamento n. 2018/A/1218, con cui l’Agenzia delle Dogane aveva richiesto il versamento dell’importo di Euro 731.600,06 a titolo di accisa su oli minerali non versata nel periodo di imposta 2016.

Le riprese traevano origine da un processo verbale di constatazione notificato in data 15/09/2017 in cui veniva contestato alla società, tra l’altro, che i documenti di accompagnamento (DAS) emessi da due danti causa a scorta della spedizione delle partite di oli minerali acquistati erano falsi ed erano stati utilizzati in relazione a partite di merce di importazione per le quali non era stata pagata la relativa accisa.

Uno dei due danti causa della contribuente, la società N.F.W. Srl, secondo l’Agenzia, era una società non operativa.

Il secondo dante causa era un soggetto svolgente attività di pasticceria nella città di Napoli, attività commerciale non compatibile con la fornitura di partite di carburanti.

Il giudice d’appello riteneva di non poter imputare alla contribuente la conseguenza della frode fiscale commessa da altri, perché la N. Srl aveva a suo giudizio dato prova della propria buona fede, intesa quale estraneità alla frode, concretizzatasi nella dimostrazione di aver tenuto “misure di ordinaria diligenza”, consistenti in un comportamento idoneo ad escludere sia il dolo sia “il profilo colposo riconducibile alla negligenza”.

Avverso la sentenza d’appello propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Dogane, affidato a due motivi.

La contribuente replica con controricorso.

Considerato che

1. Con il primo motivo di ricorso, in relazione art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., viene dedotta la violazione dell’articolo 2697 del codice civile da parte del giudice d’appello per non aver correttamente applicato il canone di riparto dell’onere della prova e non aver correttamente sussunto in tale canone la fattispecie concreta, nella quale l’operatore petrolifero ha acquistato quantitativi di carburante soggetti ad accisa energetica non versata da operatori, l’uno inesistente e l’altro corrispondente ad una pasticceria, errando nell’individuazione del procedimento logico attraverso il quale il contribuente è tenuto ad offrire la prova liberatoria per sottrarsi alla responsabilità dell’accisa evasa.

2. La controricorrente eccepisce l’inammissibilità del motivo in quanto, dietro lo schermo dell’apparente denuncia di un vizio di legittimità, in realtà l’Agenzia delle dogane e dei Monopoli avrebbe introdotto un indebito vizio di motivazione. Inoltre, eccepisce l’inammissibilità della censura per devoluzione al giudice di legittimità di questioni di fatto e di merito.

Viene eccepita anche l’inammissibilità del mezzo di impugnazione per violazione del principio di autosufficienza.

3. Le eccezioni non possono trovare ingresso, in quanto il motivo prospetta non una censura motivazionale implicante valutazioni fattuali e di merito, bensì una violazione di legge commessa dal giudice, essenzialmente per errata sussunzione della fattispecie concreta nel corretto canone di riparto dell’onere della prova applicabile alla fattispecie.

Il Collegio osserva che determinati particolari fattuali sono sì esposti all’interno del motivo, ma non al fine di ottenere una rinnovata valutazione del compendio probatorio in sede di legittimità, bensì proprio ai fini della specificità e autosufficienza della doglianza, ossia come indici “spia” della falsa applicazione del canone probatorio perché riferito a circostanze irrilevanti secondo la consolidata interpretazione giurisprudenziale.

4. Il motivo è fondato, per le ragioni che seguono.

4.1. La contestazione alla base dell’atto impugnato è relativa all’acquisto di partite di carburanti in evasione di accisa, movimentate con DAS irregolari per essere stati falsificati, con conseguente mancato versamento dell’imposta armonizzata.

Gli articoli 40,47 e 49 del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo Unico sulle Accise), nei testi ratione temporis vigenti, indicano le sanzioni e le pene previste per coloro che intervengono nella circolazione e commercializzazione irregolare di merce, come oli minerali, soggetta ad accise.

In particolare, in applicazione del primo comma dell’art.49 cit., gli oli minerali sottoposti ad accisa, trasportati senza la specifica documentazione prevista in relazione a detta imposta, ovvero con documento falso od alterato o che non consente di individuare i soggetti interessati all’operazione di trasporto, la merce o la quantità effettivamente trasportata, si presumono di illecita provenienza.

4.2. Nello schema contestato alla contribuente, il carburante importato da altri Stati è stato stoccato in un deposito fiscale e ceduto alla contribuente attraverso “società cartiere” che hanno acquistato gli oli minerali presentando falsi documenti di accompagnamento (DAS).

Sempre secondo la contestazione, la contribuente è stata a conoscenza della frode, o avrebbe dovuto esserlo.

4.3. Il Collegio ritiene che, nella identificazione del riparto dell’onere della prova in materia ai fini dell’articolo 2697 del cod. civ., è utile fare riferimento, mutatis mutandis, all’elaborazione giurisprudenziale già da tempo affermata dalla Sezione con riferimento all’identificazione e prova dell’elemento soggettivo nelle operazioni contestate come soggettivamente inesistenti ai fini IVA (cfr., tra le molte, Cass. Sez. 5, n. 15369 del 20/07/2020; Sez. 5, n. 27555 del 30/10/2018, conformi a Sez. 5, n. 9851 del 20/04/2018).

Infatti, sin dalla contestazione delle operazioni in evasione di accisa viene prospettato il fatto che le due danti causa sono mere cartiere, come pure vi è la necessità di valutare la posizione soggettiva della contribuente acquirente, in considerevole affinità con la contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti ai fini di IVA, anch’essa imposta armonizzata.

5. In particolare, anche per un principio di vicinanza della prova (cfr. Cass. Sez. Un. n.13533 del 30.10.2001) già tante volte applicato da questa Sezione (v. ad es. circa l’indeducibilità di costi Cass. Sez. 5., n.25686 del 1.9.2022; in tema di transfer pricing, Sez. 5., n.13571 del 19.5.2021; quanto al reverse charge interno, Sez.5., n.14999 del 15.7.2020), va rimessa all’Agenzia, che ha mosso alla contribuente la contestazione, la prova, anche presuntiva, dell’importazione delle partite di oli minerali con presentazione di documenti falsi in dogana (elemento oggettivo), come pure della conoscibilità da parte dell’acquirente della frode con la diligenza richiesta all’operatore petrolifero (elemento soggettivo).

5.1. Per converso, una volta assunto il suddetto onere da parte dell’Amministrazione finanziaria, dev’essere posto a carico dell’operatore petrolifero-contribuente che acquista le partite di oli minerali importate senza regolari documenti, la dimostrazione della propria estraneità alla frode perpetrata dal proprio dante causa.

5.2. A tal fine, è necessario fare riferimento anche nella fattispecie, non dev’essere dato peso ad elementi meramente formali (cfr. Sez. 5, nn. 9851 e 27555 del 2018 cit.).

Tali sono la regolare contabilità e l’apparenza dei pagamenti, facilmente retrovertibili e quindi non rilevanti, né la mancanza di benefici dalla rivendita degli olii minerali, dato che il risparmio idoneo a falsare la concorrenza è dato dal mancato pagamento dell’accisa, particolarmente importante nella sua entità con riferimento agli oli minerali vista l’incidenza percentuale.

6. Il precipitato di quanto precede è il seguente principio di diritto:

In tema di accisa non pagate sugli oli minerali importati da altri Stati senza assolvimento dell’imposta, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti l’esistenza di una frode, grava sulla stessa, ai fini dell’articolo 2697 del cod. civ., l’onere di provare, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, oltre all’elemento oggettivo (nella specie, importazione di partite di oli minerali con presentazione di documenti falsi in dogana), anche di quello soggettivo, ovvero che l’acquirente era a conoscenza della frode o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale di operatore petrolifero; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sull’acquirente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’accisa, la diligenza qualificata esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, facilmente retrovertibili, né la mancanza di benefici dalla rivendita degli olii minerali, data l’entità del carico fiscale“.

7. Orbene, nel caso in esame innanzitutto va considerato che non è condivisibile la prospettazione della controricorrente secondo la quale non sarebbe mai stata data prova della falsità dei DAS.

In sentenza vi è infatti un accertamento a riguardo di segno contrario, laddove si legge che “In effetti, dal citato pvc si trae che N. si sarebbe resa colpevole di aver ricevuto forniture dalla N.F.W. Srl accompagnate da DAS irregolari.”.

Il giudice d’appello conferma l’esistenza della frode nell’importazione degli oli minerali, tanto è vero che poi in ultima analisi esclude la responsabilità della contribuente unicamente perché ritiene dimostrata la buona fede e l’incolpevole ignoranza di acquistare carburante oggetto di frode.

Al proposito, il giudice ha cosi deciso: “si ritiene che in considerazione della rapidità dei rapporti commerciali della quantità delle operazioni similari a quelle in oggetto poste in essere con altri fornitori, risulti difficile affermare la connivenza nella frode, così come presunta dall’Ufficio e debba piuttosto ritenersi che con la normale diligenza la “N.” abbia agito in buona fede, tanto più tenendo conto che il fornitore “N.F.W. Srl” era una società che svolgeva attività di commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi, che era iscritta alla banca dati dei soggetti passivi che effettuano operazioni intracomunitarie e, che per l’anno d’imposta 2015 aveva presentato la comunicazione dati Iva.

Inoltre, le forniture avvenivano a prezzo congruo (ciò non è stato contestato dall’Ufficio), il pagamento delle stesse è stato provato con le ricevute di pagamento depositate in questo grado di giudizio, legittimamente ex art. 58 D.Lgs. 546/92 secondo l’ormai consolidata giurisprudenza formatasi sul punto e, infine, la N. non traeva dalle operazioni commerciali in questione, alcun particolare ed evidente vantaggio economico”.

8. Alla stregua del principio di diritto sopra formulato, il Collegio constata che il giudice, quanto all’identificazione del canone, con riferimento all’elemento oggettivo non considera affatto uno dei due soggetti cedenti e danti causa della contribuente, né lo svolgimento da parte di tale soggetto di un’attività di impresa non compatibile con il commercio di idrocarburi (pasticceria), e neppure compie un accertamento sulla natura di cartiera o meno in capo all’altro cedente.

8.1. Quanto all’elemento soggettivo, il giudice non distingue quale sia il contenuto dell’onere rimesso all’Agenzia, ossia la conoscibilità secondo l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale di operatore petrolifero, ad esempio attraverso la dimostrazione della movimentazione della merce attraverso “cartiere” e mediante documenti di accompagnamento (DAS) irregolari.

8.2. Con riferimento alla prova contraria rimessa alla contribuente, nella sua applicazione dell’art. 2697 cod. civ., il giudice fa poi riferimento ad elementi non rilevanti, come ad esempio la regolarità della contabilità di uno dei due danti causa, elemento puramente formale o, ancora, l’effettività dei pagamenti, elemento spesso volutamente esibito in casi di frode perché facilmente alterabile attraverso una restituzione con altri mezzi del valore economico dell’apparente prezzo pagato.

Inoltre, il praticare prezzi in linea con il mercato e dunque la (apparente) mancanza di benefici dalla rivendita degli olii minerali è a sua volta un elemento non rilevante, dal momento che il risparmio è di regola di tipo fiscale per evasione dell’accisa che incide fortemente sugli oli minerali venduti al dettaglio.

Infine, l’argomento della velocità delle transazioni commerciali messo in relazione con una asserita impossibilità di adeguato controllo del loro contenuto è una considerazione eccentrica rispetto al canone probatorio, perché non in linea con la diligenza massima esigibile da un operatore accorto nel settore degli idrocarburi qual è la contribuente.

8.3. Gli elementi tutti sopra considerati conducono a ritenere che il giudice non ha identificato correttamente il canone di riparto della prova e lo ha applicato falsamente, con conseguente fondatezza del motivo di ricorso.

9. L’accoglimento della prima censura determina l’assorbimento della seconda, la quale deduce un’ulteriore doglianza motivazionale sugli elementi di prova considerati dal giudice d’appello nel proprio convincimento con riferimento alla evidenza ictu oculi della falsità dei certificati Esso, per un operatore esperto del settore degli idrocarburi.

10. La sentenza impugnata va perciò cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo accolto, oltre che per la liquidazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo accolto, oltre che per la liquidazione delle spese di lite.