Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 23409 depositata il 30 agosto 2024
dichiarazione tardiva valida anche se inviata anche dopo l’accesso o verifiche ed esclude l’accertamento induttivo
Rilevato che:
1. La Commissione Tributaria Regionale delle Marche (hinc: CTR), con sentenza n. 222/01/2021 depositata in data 23/02/2021, ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 314/2014, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Macerata aveva accolto il ricorso proposto da E. s.r.l. avverso l’avviso di accertamento TQ7031I00830-2013, notificato il 17/07/2013.
2. Con tale avviso era stato accertato, ai sensi dell’art. 39, secondo comma, d.P.R. 29/09/1973, n. 600 un reddito imponibile di Euro 99.958; veniva, poi, qualificato un nuovo valore della produzione IRAP e un maggior volume d’affari, con maggiori imposte accertate a fini IRES, IRAP e IVA e l’irrogazione di sanzioni per Euro 757,20.
3. L’avviso di accertamento era stato emesso in esito al Processo verbale di constatazione con cui veniva rilevata l’omessa presentazione della dichiarazione per l’anno d’imposta del Tale rilievo si fondava sul fatto che al momento dell’accesso avvenuto in data 20/11/2012, la dichiarazione non era stata presentata e tale onere era stato assolto dalla società intimata solo in data 22/11/2012, mediante trasmissione telematica e versamento ex art. 13, comma 1, lett. c) d.lgs. 18/12/1997, n. 472. La dichiarazione non veniva ritenuta, tuttavia, valida, perché inibita dall’inizio della verifica.
4. Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in cassazione con due motivi.
5. La parte intimata – dichiarata fallita dal Tribunale di Macerata con sentenza emessa in data 07/04/2020 – non si è costituita.
Considerato che:
1. Con il primo motivo di ricorso proposto la parte ricorrente ha contestato la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, comma 7, d.P.R. 22/07/1998, n. 322, 13, comma 1, d.lgs. n. 472 del 1997 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
1.1 Il giudice di secondo grado ha ritenuto che l’art. 13, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 472 del 1997 ha un’applicazione limitata all’aspetto sanzionatorio, mentre «non ne viene, per contro, intaccata la possibilità per il contribuente di presentare una dichiarazione tardiva. E basti, al riguardo, la seguente considerazione: il contribuente oggetto di verifica tra il 30 settembre ed il 31 dicembre non potrebbe – secondo la lettura dell’Ufficio – presentare alcuna dichiarazione, seppure tardiva (entro il 31 dicembre), con ogni conseguenza anche in ambito sanzionatorio; il contribuente che, per avventura, non abbia subito alcuna verifica nel medesimo periodo, può presentare una dichiarazione tardiva. Una conclusione manifestamente illogica anche sotto il profilo costituzionale. È invece vero che il contribuente “verificato” (id est, nei cui confronti sia già iniziata o terminata la verifica), al pari del contribuente “non verificato”, conserva il diritto di presentare la dichiarazione, sia pur tardivamente, entro il termine previsto dalla legge. Con la conseguenza, non secondaria per il “verificato”, di non poter accedere al beneficio della sanzione ridotta. Insomma, la presentazione tardiva della dichiarazione, val a dire entro il 31/12, espone all’irrogazione dell’intera sanzione solo se erano già iniziati accessi, ispezioni e Diversamente è applicabile l’istituto del ravvedimento, previsto dal citato art. 13.»
1.2 La ricorrente rileva che la sentenza della CTR ha errato per non aver ritenuto omessa la dichiarazione per l’anno di imposta 2011, nonostante la verifica instaurata a causa della qualità di «evasore totale» fosse già iniziata nei confronti della società intimata.
1.3 La pronuncia della CTR, secondo la parte ricorrente, dà un’interpretazione errata dell’art. 2, comma 7, d.P.R. n. 322 del 1998, secondo il quale: «sono considerate valide le dichiarazioni presentate entro 90 giorni dalla scadenza del termine, salva restando l’applicazione delle sanzioni amministrative per il ritardo.»
L’ufficio aveva fatto rilevare come per la validità della dichiarazione tardiva fossero necessarie due condizioni: 1) la presentazione entro novanta giorni dalla scadenza del termine ordinario per la presentazione della dichiarazione; 2) il versamento delle sanzioni previste dall’art. 13, primo comma, lett. c), d.lgs. n. 472 del 1997 per il ritardo.
La CTR ha, tuttavia, omesso di rilevare tali condizioni, in quanto il versamento ex art. 13 cit. non è stato eseguito. È infatti pacifico che la Guardia di Finanza avesse iniziato, in data 20/11/2012, la verifica per l’anno d’imposta 2011 a carico della contribuente che non poteva, quindi, più fare alcun versamento a titolo di ravvedimento operoso, ma pagare, invece, la sanzione per intero.
In ogni caso, ad avviso della ricorrente, la statuizione della CTR è erronea nella parte in cui ha considerato l’inizio della verifica tamquam non esset, sia ai fini della tardività della dichiarazione, sia ai fini del pagamento delle sanzioni.
2. Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 55 d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
2.1 La ricorrente richiama la seguente affermazione contenuta nella sentenza della CTR: «Pertanto, ferma restando l’impossibilità della ricorrente di accedere a sanzioni ridotte, l’Ufficio aveva l’obbligo di considerare la contabilità presentata e lo stato di crisi della società in concordato preventivo. Anche perché, per pacifica giurisprudenza, l’accertamento sulla sola base della divergenza dallo studio di settore (presunzione semplice) mantiene validità solo quando lo scostamento è di notevole entità (25-30% e più). E comunque, ove l’Amministrazione abbia altri elementi di valutazione, è obbligata a considerarli. Ciò che non è avvenuto nel caso in decisione.» Evidenzia, quindi, l’erroneità della statuizione del giudice di secondo grado, per aver ritenuto che l’Ufficio non potesse prescindere dalla contabilità e non potesse servirsi di presunzioni semplici, proprio perché la dichiarazione era da considerare ritualmente presentata. La ricorrente rileva, tuttavia, che l’Ufficio aveva preso in considerazione i dati risultanti dal PVC della Guardia di Finanza, nonché quelli emersi in sede di contraddittorio con il contribuente.
3. I motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati.
3.1 In primo luogo, dalla lettura della sentenza impugnata, non emerge che il ravvedimento operoso possa coesistere con la dichiarazione tardiva presentata successivamente all’inizio delle verifiche fiscali. Al contrario, la CTR evidenzia che tanto il contribuente «non verificato» che quello «verificato» possono presentare la dichiarazione tardiva, ma con la conseguenza «non secondaria per il “verificato”, di non poter accedere al beneficio della sanzione ridotta.» Non sussiste, quindi, alcuna violazione dell’art. 13, comma 1, lett. c) d.lgs. n. 472 del 1997, dal momento che la sentenza impugnata non ha ritenuto, affatto, ammissibile il pagamento della sanzione ridotta, una volta iniziata la verifica, conformemente a quanto sancito nell’incipit della norma appena richiamata («La sanzione è ridotta, sempreché la violazione non sia stata già constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore e i soggetti solidalmente obbligati abbiano avuto formale »
3.2 Con riferimento all’art. 13, primo comma, lett. c), d.lgs. n. 472 del 1997 il primo motivo di ricorso presenta anche un profilo di inammissibilità nella misura in cui l’impostazione assunta dalla ricorrente nel giudizio di secondo grado – secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata – non era tanto incentrata sul pagamento integrale delle sanzioni in caso di omessa dichiarazione una volta iniziate le verifiche, ma piuttosto sulla circostanza che la preclusione del cd. ravvedimento operoso impedisse la presentazione della dichiarazione tardiva, integrando un’ipotesi di omessa dichiarazione tale da avallare l’accertamento cd. induttivo. Si legge, infatti, nella terza pagina della sentenza impugnata: «In sintesi: poiché il ravvedimento operoso non era più percorribile, in quanto era già iniziata la verifica della GdF (art. 13, 1, d.lgs. n. 472/97), sarebbe venuta meno anche la possibilità di presentare una valida dichiarazione tardiva (entro 90 gg. dalla scadenza del termine, salva l’applicazione delle sanzioni).».
3.3 È comunque infondata, in diritto, la pretesa connessione tra la preclusione al ravvedimento operoso conseguente all’inizio di eventuali accessi, ispezioni e verifiche e il preteso impedimento alla presentazione della dichiarazione tardiva. Difatti, secondo l’art. 2, comma 7, d.P.R. 22/07/1998, n. 322: «Sono considerate valide le dichiarazioni presentate entro novanta giorni dalla scadenza del termine, salva restando l’applicazione delle sanzioni amministrative per il ritardo. Le dichiarazioni presentate con ritardo superiore a novanta giorni si considerano omesse, ma costituiscono, comunque, titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d’imposta.»
Il tenore letterale della norma distingue nettamente, da un lato, la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine (cd. tardiva) – e che è considerata valida – dalla dichiarazione omessa (presentata oltre novanta giorni). Dall’altro lato, l’inciso «salva restando l’applicazione delle sanzioni amministrative per il ritardo» deve essere inteso nel senso che la dichiarazione tardiva, seppur valida, non ha alcuna efficacia sanante o altrimenti estintiva di eventuali sanzioni previste per il ritardo. Per il resto la dichiarazione tardiva è valida a ogni effetto di legge, cioè per ogni conseguenza che quest’ultima faccia dipendere dalla sua presentazione (anche in relazione ai poteri di accertamento dell’amministrazione finanziaria ai sensi degli artt. 39 ss. d.P.R. n. 600 del 1973), a differenza di quella omessa che, pur costituendo titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili ivi indicati, costituisce il presupposto oggettivo espressamente menzionato dall’art. 41, primo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 (al pari delle ipotesi di dichiarazioni nulle previste nel titolo I del testo normativo appena richiamato) per l’accertamento induttivo.
3.4 Sono, pertanto, da ritenere infondate anche le censure inerenti alla violazione degli 2, comma 7, d.P.R. n. 322 del 1998 e dell’art. 41 d.P.R. n. 600 del 1973.
3.5 Anche la contestazione dell’art. 2697 civ. è da ritenere infondata, considerato che la CTR non risulta aver fondato le proprie conclusioni, addossando l’onere della prova a una parte diversa rispetto a quella cui è imposto per legge.
4. In conclusione, deve essere affermato il seguente principio di diritto: «L’inizio di verifiche, accessi, ispezioni o altre attività amministrative di accertamento non impedisce al contribuente di presentare, entro il termine previsto nell’art. 2, comma 7, d.P.R. 22/07/1998, n. 322, una valida dichiarazione tardiva, senza che tale ritardo, fatta salva l’applicazione delle relative sanzioni, consenta all’amministrazione finanziaria di procedere all’accertamento induttivo, previsto dall’art. 41 P.R. 29/09/1973, n. 600 per le diverse ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazioni nulle ai sensi delle disposizioni del titolo I del d.P.R. 29/09/1973, n. 600».
5. Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, senza alcuna statuizione in ordine alle spese di lite, considerata la mancata costituzione della parte intimata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.