CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, Ordinanza n. 26089 depositata il 4 ottobre 2024
Tributi – Avviso di accertamento – IMU – Aree edificabili – Assenza della dichiarazione – Agevolazioni riconosciute agli IAP – Improcedibilità dell’atto depositato fuori termine – Valore imponibile del terreno – Parametri vincolanti tassativamente – Rigetto
Rilevato che
1. La S.A.G. Srl impugnava l’avviso n. 2934/2013 notificatole l’11.12.2018 con il quale il Comune di Reggio Emilia le aveva contestato, per l’anno 2013, il parziale omesso versamento dell’Imu relativamente alle aree edificabili di proprietà site in località G, rientranti nel comparto AP8 – AP21, ritenendo che, in assenza della dichiarazione per il 2012, l’imposta avrebbe dovuto essere calcolata sui valori di Euro 19.552,960,00 (fg. 99 part. 456) e di Euro 17.061,54 (fg. 100 part. 197) dichiarati ai fini Ici per gli anni 2008 e 2009.
La contribuente affermava di avere diritto alle agevolazioni Imu riconosciute agli IAP e contestava sia l’asserita efficacia ultrattiva delle dichiarazioni Ici presentate per gli anni 2008 e 2009 che la stima di valore operata dal Comune.
2. La CTP di Reggio Emilia, con sentenza n. 183/1/2019, accoglieva il ricorso, ritenendo applicabili anche alle società IAP le agevolazioni Imu, escludendo l’efficacia ultrattiva delle dichiarazioni presentate per gli anni 2008 e 2009 ai fini Ici e ritenendo congruo il valore di Euro 9.415.042 utilizzato dalla società per il calcolo dell’imposta versata.
3. Sull’impugnazione del Comune, la CTR dell’Emilia-Romagna accoglieva parzialmente il gravame, ritenendo applicabili alla società, per il periodo 1.4.2013 – 31.12.2013, le agevolazioni Imu previste per gli IAP (avendo la società acquisito come socio e consigliere di amministrazione il Sig. Bo. – in possesso della qualifica IAP e coltivatore diretto dei terreni in discussione – a partire dal 13/4/2013), considerando nuovo in appello, e perciò inammissibile, il motivo formulato dal Comune in ordine all’assenza di prova dell’effettiva coltivazione del terreno da parte della stessa e confermando – per il primo trimestre del 2013 – il valore imponibile di Euro 19.570.021,54 accertato dall’ente pubblico, atteso che i tre contratti preliminari presi a paragone dalla perizia dell’ing. Gu., che giungeva ad un valore imponibile del terreno di Euro 9.415.042, riguardavano aree non comparabili.
4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la S.A.G. Srl sulla base di un unico articolato motivo.
Il Comune di Reggio Emilia ha resistito con controricorso.
Con proposta di definizione accelerata il consigliere designato, premesso che la motivazione della sentenza resa dalla CTR si poneva al di sopra del cd. minimo costituzionale e che la ricorrente sollecita, a ben vedere, una rivalutazione delle risultanze istruttorie preclusa in sede di legittimità, riteneva che il ricorso si profilasse manifestamente infondato.
Avverso tale proposta la contribuente proponeva istanza di decisione.
In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
Considerato che
1. Preliminarmente, va evidenziato che, a fronte di una notificazione del ricorso per cassazione ricevuta in data 25.1.2023, l’intimato ha depositato il proprio controricorso solo in data 14.3.2023.
Così come il controricorso notificato oltre i termini previsti dall’art. 370 c.p.c. era inammissibile (Cass., Sez. L, Sentenza n. 9396 del 21/04/2006; conf. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9897 del 24/04/2007), alla stessa stregua, all’attualità, il controricorso depositato oltre il termine di quaranta giorni dalla notificazione del ricorso deve considerarsi improcedibile. Invero, benché l’art. 370 c.p.c. non preveda testualmente l’improcedibilità dell’atto depositato fuori termine, “essa del pari sussiste, evincendosi tale sanzione, pur in difetto di un’espressa previsione dell’art. 370, comma 3, c.p.c., dai princìpi generali del processo civile in tema di inosservanza dei termini relativi ad atti processuali contenenti difese da portare a conoscenza del giudice e dell’avversario” (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9440 del 21/09/1998; conf. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 11368 del 11/10/1999 e Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2805 del 10/03/2000; per Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18091 del 12/09/2005 la sanzione della improcedibilità deriva dal sistema, che impone alla parte che intende portare tempestivamente a conoscenza del giudice e del ricorrente le proprie ragioni, presentando memorie prima dell’udienza di discussione, di sottostare all’onere processuale che le è imposto).
Mentre ante riforma la prefigurazione sanzionatoria di cui all’ultima parte del comma 1 dell’art. 370 c.p.c. (preclusione della possibilità di presentare memorie e possibilità solo di partecipare all’eventuale discussione orale) era specificamente correlata alla mancata notificazione del controricorso, laddove nessuna sanzione era correlata dal comma 3 dello stesso articolo al mancato ovvero al tardivo deposito del controricorso (Cass., sez. II, sent. 23 ottobre 22582), l’attuale formulazione dell’art. 370 (applicabile ai giudizi instaurati, come il presente, con ricorsi notificati a decorrere dall’1.1.2023, ex art. 35, comma 5, D.Lgs. n. 149/2022) riconnette il divieto di presentare memorie (potendo, per l’effetto, soltanto partecipare all’eventuale discussione orale in pubblica udienza) proprio al mancato deposito del controricorso entro quaranta giorni dalla notificazione del ricorso (essendo venuto meno l’ulteriore onere di notificare il controricorso al ricorrente nel domicilio eletto entro venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso – che era parimenti di venti giorni decorrente dalla notifica del ricorso Cass., Sez. Un., 18 marzo 2024, n. 7170; sez. III, 22 luglio 2024, n. 20170; sez. L, 9 settembre 2024, n. 24099).
Ne deriva che, da un lato, il controricorso deve considerarsi improcedibile e, dall’altro, non può prendersi in considerazione la memoria depositata nell’interesse della resistente, al pari dell’atto di costituzione in giudizio dei nuovi difensori del Comune di Reggio Emilia.
2. Con l’unico motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4) D.Lgs. n. 546/92 e la nullità della sentenza d’appello per motivazione contraddittoria e manifestamente illogica sulle ragioni che avevano indotto la CTR a confermare la stima di valore (nella misura di Euro 19.570.021,54) dei terreni edificabili operata dal Comune (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.).
2.1. Il motivo è infondato.
Invero, le Sezioni Unite (sentenza n. 8053 del 2014) hanno fornito una chiave di lettura della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, nel senso di una riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, con conseguente denunciabilità in cassazione della sola “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparentÈ, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile È, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione.
È stato altresì precisato (in termini, Cass. n. 2876/2017) che il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, sesto comma), e cioè dell’art. 132, sesto comma, n. 4, c.p.c. (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata (cfr. Cass. nn. 2876/2017 e 1461/2018).
Orbene, ferma restando l’incensurabilità della sola illogicità ed insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, quest’ultima non si pone senz’altro al di sotto del minimo costituzionale, se solo si considera che, anche a voler considerare irrilevante il terzo atto menzionato in termini comparativi (siccome inesistente o, comunque, sovrapponibile al secondo), la CTR, con argomentazioni congrue sul piano logico, ha, da un lato, ritenuto che il valore imponibile del terreno di Euro 9.415.042 a cui era giunto il contribuente teneva in considerazione tre (recte, due) contratti preliminari (presi a paragone dalla perizia dell’Ing. Gu.) che riguardavano aree non comparabili (atteso che l’atto di cessione del 16/12/2013 aveva ad oggetto aree sulle quali era prevista la realizzazione dell’impianto di trattamento dei rifiuti – opera di interesse pubblico – che la parte acquirente si era impegnata ad eseguire – non potendosi, per l’effetto, utilizzare il valore di un’area destinata alla realizzazione di opera pubblica per valutare, invece, un’area destinata alla realizzazione di edifici commerciali -, laddove il secondo atto faceva riferimento ad una area edificabile oggetto di procedura esecutiva, compresa nel comparto Ap7 – anziché in quello Ap8 -Ap21 nel quale si collocavano le aree accertate – e per giunta separata da quest’ultimo dall’asse autostradale) e, dall’altro lato, posto in rilievo che il calcolo del Comune era avallato dalla perizia utilizzata dalla stessa contribuente per la trasformazione da società semplice a società di capitali (che, per quanto fosse stata redatta quattro anni dopo rispetto agli accertamenti 2012, aveva stabilito il valore del terreno in Euro 20.733.000, rispetto all’importo accertato dal Comune pari ad Euro 19.570.021,54).
In tema di IMU, ai fini della determinazione del valore imponibile è indispensabile che la misura del valore venale in comune commercio sia ricavata in base ai parametri vincolanti previsti dall’art. 5, comma 5, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 504, che, per le aree fabbricabili, devono avere riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per gli eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato della vendita di aree aventi analoghe caratteristiche; pertanto, poiché tali criteri normativamente determinati devono considerarsi tassativi, il giudice di merito, investito della questione del valore attribuito ad un’area fabbricabile, non può esimersi dal verificarne la corrispondenza, tenuto conto dell’anno di imposizione, ai predetti parametri, con una valutazione incensurabile in sede di legittimità, qualora congruamente motivata (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 14385 del 15/06/2010; conf. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 13567 del 30/05/2017).
In quest’ottica, ai fini della determinazione del valore imponibile, il giudice di merito, investito della questione, non può esimersi dal verificare che la misura del valore venale in comune commercio, attribuito ad un’area fabbricabile, sia ricavata in base ai parametri vincolanti tassativamente previsti dall’art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 504 del 1992, che, per le aree fabbricabili, devono avere riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato della vendita di aree aventi analoghe caratteristiche, tenuto conto dell’anno di imposizione (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 9529 del 07/04/2023).
Ebbene, anche a voler prescindere dalla violazione del principio di autosufficienza (non avendo la contribuente trascritto, almeno nei loro passaggi essenziali, i contratti preliminari di compravendita ritenuti dalla CTR aventi ad oggetto aree non comparabili con quelle oggetto dell’avviso di accertamento impugnato), la odierna ricorrente non ha sostenuto l’avvenuta violazione di uno dei parametri di cui all’art. 5 menzionato, bensì ha invocato un differente scrutinio degli elementi valorizzati, dapprima, dal Comune e, poi, dalla CTR.
La ricorrente, pertanto, sollecita, a ben vedere, una rivalutazione delle risultanze istruttorie preclusa nella presente sede.
Senza tralasciare che, avuto riguardo all’atto di cessione del 16.12.2013, la ricorrente, anche in relazione all’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, che comunque le parti contraenti erano a conoscenza, già all’epoca della stipula del preliminare, della destinazione delle aree promesse in vendita alla realizzazione di un impianto di trattamento dei rifiuti (con conseguente minor valore rispetto ad aree che, invece, erano destinate alla realizzazione di edifici commerciali-residenziali), ha sostenuto che, in caso di espropriazione di un’area edificabile, la relativa indennità è determinata nella misura pari al valore venale, senza considerare che l’area, sì come evidenziato dalla CTR, era stata ceduta sulla base di un accordo bonario (anziché di una procedura espropriativa).
A tacer del fatto che, con riferimento all’area edificabile oggetto di procedura esecutiva, la ricorrente ha sostenuto, dapprima, che l’area comparata non rientrava nel comparto AP7 e poi che quest’ultimo avrebbe un valore pari a quello dei comparti AP8 e AP21 interessati e che è la stessa contribuente ad ammettere che l’area, estesa 97.074 mq., era stata stimata da un perito nominato dal Tribunale di Reggio Emilia (in quanto oggetto di procedura esecutiva n. 464/15) e che quest’ultimo aveva stimato un valore di 60 Euro/mq., poi ridotto a 48 Euro/mq. solo in ragione dell’esistenza della procedura.
Da ultimo, sulla premessa che il compendio immobiliare in esame, sulla scorta delle varie stime, risultava valere Euro 20.614.240,00 alla data del 01/07/2003 ed Euro 20.733.000,00 alla data del 08/04/2016 e che tra i due rilievi si collocava il valore attribuito ai fini ICI/IMU dalla società con propria dichiarazione per l’anno 2008, valore mai modificato e ritenuto valido dal Comune anche per l’anno 2012 per un valore di Euro 19.570.021,54 (in applicazione dei valori medi orientativi di mercato delle aree edificabili vigenti negli anni di riferimento), dai valori suddetti la CTR ha desunto, con giudizio congruo sul piano logico, una sostanziale costanza del valore di mercato del compendio immobiliare in questione.
Valore dal quale si discosta, invece, in modo sensibile la valutazione dell’Ing. Gu., relativamente all’anno d’imposta 2012.
3. Alla stregua delle considerazioni che precedono, la proposta di definizione accelerata merita di essere confermata.
Nessuna pronuncia va adottata in ordine alle spese del presente giudizio, essendo, come si è visto, il controricorso improcedibile.
Considerato che la trattazione del ricorso è stata chiesta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. a seguito di proposta di manifesta infondatezza a firma del Dott. P., la Corte, avendo definito il giudizio in conformità della proposta, deve applicare l’art. 96, comma 4, c.p.c., come previsto dal citato art. 380-bis c.p.c. (Cass., Sez. Un., 13 ottobre 2023, n. 28540).
Sulla scorta di quanto esposto, ed in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma, la parte ricorrente va condannata al pagamento della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c., al pagamento della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.