CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, Ordinanza n. 26126 depositata il 7 ottobre 2024

Tributi – Avviso di accertamento – IRES – IRAP – IVA – Mancata contabilizzazione di ricavi – Rigetto – ai sensi dell’art. 56 del D.Lgs. n. 546 del 1992 -norma che nel giudizio civile ordinario trova il suo corrispondente nell’art. 346 c.p.c. -, s’intendono rinunciate le questioni e le eccezioni non accolte nella sentenza della Commissione Tributaria Provinciale e non specificamente riproposte in appello

Fatti di causa

La Direzione Provinciale di Benevento dell’Agenzia delle Entrate notificava alla D.P.M. Srl, esercente l’attività di commercio all’ingrosso di pneumatici, ricambi e accessori per autoveicoli, un avviso di accertamento con il quale rideterminava il reddito d’impresa, il valore della produzione netta e il volume d’affari dichiarati dalla prefata società, rispettivamente ai fini dell’IRES, dell’IRAP e dell’IVA, in relazione all’anno 2012, recuperando a tassazione l’imponibile ritenuto evaso, asseritamente costituito da ricavi “in nero” occultati mediante la falsa rappresentazione in bilancio di inesistenti passività, nonché da costi non di competenza dell’esercizio indebitamente portati in deduzione.

La contribuente impugnava il predetto avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Benevento, la quale accoglieva il suo ricorso, annullando l’atto impositivo.

La decisione veniva in sèguito parzialmente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania, che con sentenza n. 4106/18 del 3 maggio 2018, accogliendo per quanto di ragione il gravame esperito dall’Amministrazione Finanziaria, dichiarava legittimo l’avviso di accertamento limitatamente ai rilievi concernenti la mancata contabilizzazione di ricavi per un importo complessivo di 112.022,27 Euro, corrispondente al totale delle somme (62.022,27 più 50.000,00 Euro) versate dalla D.P.M. Srl alla controllata S. Srl e al socio Me.do. a titolo di restituzione di pretesi finanziamenti in realtà mai erogati.

A fondamento della decisione assunta, per quel che qui rileva, il collegio regionale osservava quanto segue:

– la fittizietà dei predetti finanziamenti era evincibile da una serie di presunzioni gravi, precise e concordanti;

– con particolare riferimento alla S. Srl, andava considerato che:

“a) sia la concessione del prestito che la restituzione non erano documentati da verbali di assemblea;

b) i (suoi) risultati reddituali… nel quinquennio precedente non giustificavano la capacità di effettuare tale operazione;

c) l’erogazione e(ra) avvenuta in concomitanza con la ripresa dei pagamenti da DPM a S. per forniture pregresse;

d)le restituzioni dei prestiti ai soci appa(riva)no incompatibili con la forte esposizione bancaria” della D.P.M. Srl; – a fronte di tali presunzioni semplici, la contribuente non aveva fornito la prova contraria atta a dimostrare l’effettiva erogazione del finanziamento; – analogo discorso andava fatto per l’importo di 50.000 Euro corrisposto al Me.do., dovendo ritenersi che legittimamente l’Ufficio avesse “imputato a ricavi la “restituzione”” di tale somma, “in mancanza di prova (es. verbali d’assemblea, estratti conto, assegni) idonea a dimostrare l’effettiva erogazione di un finanziamento infruttifero di 150.000 Euro” da parte del predetto socio.

Avverso questa sentenza la D.P.M. Srl ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è denunciata la nullità della gravata sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.

1.1 Si rimprovera alla CTR di aver omesso di pronunciare su quanto dedotto “durante le fasi di merito” dalla D.P.M. Srl, la quale “aveva evidenziato che la fittizietà del finanziamento” di 62.022,74 Euro ad essa in apparenza accordato dalla controllata S. Srl, “(con il conseguente disconoscimento della posta debitoria), quand’anche dimostrata, sarebbe stata comunque logicamente e giuridicamente inidonea a sostenere un rilievo di mancata dichiarazione di una sopravvenienza attiva”.

2. Con il secondo motivo, anch’esso proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è lamentata la violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4) del D.Lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 132, comma 2, n. 4) c.p.c., dell’art. 118 “c.p.c.” (recte: disp. att. c.p.c. – n.d.r.), nonché dell’art. 111, comma 6, Cost.

2.1 Mediante tale censura viene fatta valere la nullità per difetto assoluto di motivazione del capo dell’impugnata sentenza “relativo al rilievo sulla presunta fittizietà dell’operazione di finanziamento fruttifero di Euro 62.022,74”.

2.2 Si rimarca che la motivazione della sentenza gravata contiene affermazioni concernenti esclusivamente l’accertamento in fatto circa l’asserita inesistenza del finanziamento concesso alla D.P.M. Srl dalla controllata S. Srl, le quali risultano, però, “del tutto inconferenti rispetto all’ulteriore questione sollevata” dalla contribuente, ovvero quella “riguardante la connessione giuridica tra detta circostanza di fatto ed emersione di una sopravvenienza attiva tassabile”.

3. Con il terzo mezzo, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è prospettata la violazione degli artt. 88 e 109 del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), dell’art. “2967” (recte: 2697 – n.d.r.) c.c., nonché dell’art. 21 del D.P.R. n. 633 del 1972.

3.1 Si deduce che avrebbe errato la Commissione regionale nel ritenere legittima, in conseguenza dell’accertata fittizietà del finanziamento concesso dalla S. Srl alla propria controllante D.P.M. Srl, la ripresa a tassazione nei confronti di quest’ultima dell’importo di 62.022,74 Euro sotto forma di ricavi extracontabili non dichiarati.

3.2 Il giudice di seconde cure non avrebbe, infatti, considerato che, anche a voler dare per acquisita la natura simulata della descritta operazione negoziale, tanto non poteva in ogni caso reputarsi sufficiente a “supportare l’accertamento di una sopravvenienza attiva non dichiarata, e con essa, la richiesta di una maggiore imposta”, risultando evidente che “una sopravvenienza attiva non può venire in rilievo nel caso – come quello in esame – in cui venga contestata l’insussistenza ab origine di una passività”.

3.3 Si soggiunge che “dalla lettura del PVC, oltreché dal chiarimento fornito dallo stesso Ufficio in sede di controdeduzioni in primo grado (e ribadito in sede di appello), il recupero a tassazione della sopravvenienza attiva risultava strumentale al recupero di costi pretesamente inesistenti”, che “parrebbero essere quelli sostenuti, nel 2011, dalla Società per le forniture ottenute dalla S.” .

Tuttavia, “l’inesistenza dei riferiti costi… e(ra) stata solamente enunciata dall’Ufficio, non anche giustificata e dimostrata dallo stesso”, mentre, dal canto suo, la contribuente aveva prodotto in atti le fatture documentanti le forniture in questione, tutte regolarmente pagate e contabilizzate.

4. Con il quarto motivo, ricondotto al paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è nuovamente denunciata la violazione dell’art. 112 c.p.c.

4.1 Si assume che la CTR sarebbe incorsa in ultrapetizione, avendo affermato l’inesistenza del finanziamento di 150.000 Euro concesso dal socio Me.do. alla D.P.M. Srl, ancorché tale circostanza non fosse stata contestata nel processo verbale di constatazione, né tantomeno nel successivo avviso di accertamento.

5. Con il quinto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è di nuovo contestata la violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4), del D.Lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 132, comma 2, n. 4) c.p.c., dell’art. ”118 c.p.c.” (recte: disp. att. c.p.c. – n.d.r.), nonché dell’art. 111, comma 6, Cost.

5.1 Si sostiene che risulterebbe nullo per difetto assoluto di motivazione il capo dell’impugnata sentenza “relativo al rilievo di omessa contabilizzazione di ricavi per Euro 50.000,00”.

5.2 A detta della ricorrente, “una volta esposto il proprio convincimento in ordine alla pretesa inesistenza” della “restituzione” della somma di 50.000 Euro al socio Me.do., il giudice d’appello “avrebbe comunque dovuto illustrare, sia pur sinteticamente, le ragioni per cui una siffatta fittizia contabilizzazione (della restituzione) avrebbe potuto essere ritenuta indiziante rispetto alla conclusione – dell’esistenza di ricavi in nero di pari ammontare- cui è giunto l’Ufficio”.

5.3 Ad ogni modo, ove mai quel giudice avesse ritenuto applicabile al caso di specie la presunzione “secondo cui il finanziamento soci potrebbe dissimulare ricavi in nero”, nondimeno la motivazione del “decisum” risulterebbe gravemente lacunosa e inappagante, non essendo stati tenuti in alcun conto gli argomenti difensivi addotti dalla parte privata per contrastare la pretesa erariale.

6. Il primo motivo non può trovare ingresso, non avendo la società impugnante indicato se, quando e come la questione ivi agitata fosse stata specificamente riproposta in appello, essendo state ritrascritte nel ricorso per cassazione (a pag. 13, terzultimo periodo) soltanto le deduzioni da essa svolte sul tema nell’atto incoativo della lite.

6.1 Giova, al riguardo, rammentare che:

ai sensi dell’art. 56 del D.Lgs. n. 546 del 1992 -norma che nel giudizio civile ordinario trova il suo corrispondente nell’art. 346 c.p.c. -, s’intendono rinunciate le questioni e le eccezioni non accolte nella sentenza della Commissione Tributaria Provinciale e non specificamente riproposte in appello;

in difetto di specifica riproposizione di una determinata questione in sede di gravame, è precluso nel giudizio di legittimità l’esame del motivo ad essa inerente (cfr. Cass. n. 12191/2018, Cass. n. 14925/2011, Cass. n. 15641/2004).

6.2 Alla luce dei rilievi svolti, la censura appare inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto non mette la Corte in condizione di poter valutare, dalla sola lettura del ricorso, se la questione che essa prospetta fosse stata sottoposta al giudice d’appello (cfr. Cass. n. 21394/2015).

7. Il secondo motivo rimane travolto dall’esito negativo del precedente, non potendo, in tutta evidenza, ritenersi configurabile un vizio motivazionale in ordine a una questione di cui il giudice a quo non risulta essere stato ritualmente investito.

8. Il terzo mezzo è infondato.

8.1 La doglianza in esame ruota intorno all’assunto che la somma di 62.022,74 Euro sarebbe stata recuperata a tassazione dall’Ufficio quale sopravvenienza attiva non dichiarata dalla D.P.M. Srl in relazione all’anno d’imposta 2012.

8.2 Sennonché, tale affermazione non trova alcun riscontro nella ricostruzione fattuale della vicenda emergente dalla parte motiva della sentenza impugnata, in nessun punto della quale si parla di “sopravvenienze attive” (espressione che viene utilizzata soltanto a pag. 2, lettera i), della superiore narrativa, ove vengono riportate le doglianze della contribuente relative alla “ripresa a tassazione di Euro 2.667,27” per “ritenuta insussistenza di due debiti della DPM verso agenti di commercio per provvigioni”).

8.3 Invero, la CTR campana, all’esito di una valutazione d’insieme degli elementi presuntivi offerti dall’Amministrazione Finanziaria, ha ritenuto che la detta somma di 62.022,74 Euro costituisse parte dei maggiori ricavi non dichiarati dalla contribuente in riferimento all’anno d’imposta 2012.

8.4 Tanto inequivocabilmente si ricava dalle precisazioni contenute nella parte espositiva della decisione – ove leggesi che, a sostegno dell’originario ricorso, la contribuente aveva, fra l’altro, eccepito “l’infondatezza dell’assunto secondo cui le operazioni di finanziamento contestate (ovvero, più precisamente, le restituzioni di finanziamenti verso il socio Me.do. per 50.000 Euro e verso la controllata SO.ME.FER. Srl per 62.022,74 Euro) sarebbero (state) indicative di un occultamento di ricavi societari sottratti a tassazione (in particolare di ricavi da vendite non contabilizzate), fatti rientrare nel ciclo economico della società simulando finanziamenti di soci e società controllate” (pag. 1, lettera g))- e dal fatto che la CTR abbia accolto il motivo di gravame dell’Agenzia delle Entrate specificamente volto a censurare la decisione assunta dai primi giudici “in ordine al rilievo relativo al finanziamento ricevuto dalla verificata da parte della controllata S. Srl” (pag. 5, righi 16-18 e 29).

8.5 Da tutto quanto precede si evince, quindi, che con l’accertamento tributario oggetto di causa era stata contestata l’omessa dichiarazione di ricavi “in nero” ottenuti dalla società nel periodo d’imposta in verifica, e non invece la mancata contabilizzazione di eventuali sopravvenienze attive, per tali dovendo intendersi, secondo la definizione recata dall’art. 88, comma 1, del TUIR, “i ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi e i ricavi o altri proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in precedenti esercizi, nonché la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi”.

8.6 Anche le considerazioni sviluppate dalla ricorrente con riguardo all’asserito difetto di prova dell’inesistenza delle operazioni commerciali da essa intrattenute con la predetta S. Srl si appalesano prive di attinenza con il percorso logico-giuridico posto a base del “decisum”, dovendo ribadirsi che, secondo l’apprezzamento in fatto compiuto dalla CTR, l’importo di 66.022,74 Euro recuperato a tassazione dall’Ufficio corrispondeva a parte dei ricavi occultati al fisco dalla D.P.M. Srl mediante la falsa rappresentazione in bilancio di inesistenti passività derivanti da fittizi finanziamenti.

8.7 Per le ragioni esposte, va esclusa la configurabilità del paventato “error in iudicando”.

8.8 Occorre, peraltro, tener presente che la denuncia di violazione di legge non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze processuali, dovendo la Corte limitarsi al mero controllo della veridicità e della coerenza delle argomentazioni poste a sostegno della decisione gravata (cfr. Cass. n. 16442/2024, Cass. n. 5013/2024); diversamente, si finirebbe, in modo surrettizio, per trasformare il giudizio di cassazione in un ulteriore, non consentito, grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nel provvedimento impugnato, non condivisi, e per ciò solo criticati, dalla parte ricorrente, allo scopo di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 34817/2022, Cass. n. 15568/2020).

9. Il quarto motivo è infondato.

9.1 Dal ricorso per cassazione (pag. 8, nota (iii)) si apprende che con il libello introduttivo della controversia la D.P.M. Srl aveva sostenuto “la ragionevolezza del finanziamento soci, traendo esso origine non solo dai redditi dichiarati, ma anche dai dividendi ad essi distribuiti e dalle risorse proprie possedute nell’ambito della propria capacità contributiva”.

9.2 Tale circostanza trova conferma nella narrativa della sentenza impugnata, di cui si è già dato conto nel sottoparagrafo 8.4, al quale si rinvia.

9.3 Tutto ciò vale a dimostrare l’inconsistenza della censura in disamina, emergendo chiaramente dal tenore stesso delle difese articolate in primo grado dalla contribuente che uno dei rilievi mossi nei suoi confronti dall’Ufficio si riferiva proprio alla ritenuta fittizietà dei prestiti concessi dalla controllata S. Srl e dal socio Me.do.

9.4 Oltretutto, non va dimenticato che l’interpretazione da parte del giudice di merito dell’avviso di accertamento costituisce una valutazione di fatto sottratta al controllo di legittimità, ove non impinga nella violazione delle regole legali di ermeneutica dei contratti in genere, ritenute applicabili anche ai provvedimenti amministrativi (cfr. Cass. n. 17107/2024, Cass. n. 23162/2017, Cass. n. 14482/2003); violazione che, nella specie, non è stata specificamente dedotta dalla ricorrente.

10. Il quinto motivo è infondato.

10.1 Il ragionamento decisorio seguito dal collegio regionale in ordine al tema veicolato con la censura in esame è chiaramente incentrato sulla presunzione che l’iscrizione in bilancio di una posta passiva fittizia costituita dalla “restituzione” della somma di 50.000 Euro al socio Me.do., a parziale estinzione di un asserito finanziamento da questi mai realmente erogato alla D.P.M. Srl, costituisse un mero espediente contabile adottato dalla contribuente al fine di sottrarre a tassazione maggiori ricavi da essa prodotti nell’esercizio dell’attività d’impresa.

10.2 “In parte qua”, dunque, la motivazione della sentenza non può affatto dirsi omessa, risultando esplicitate in maniera agevolmente intellegibile, nel testo del provvedimento, le ragioni che hanno indotto la CTR a ritenere legittima la ripresa a tassazione dell’importo innanzi indicato.

10.3 Nel descritto contesto, la mancanza di una puntuale disamina delle difese articolate della contribuente – che il giudice di seconde cure ha comunque sommariamente delibato, ritenendole nel loro complesso inidonee a dimostrare l’effettiva erogazione del finanziamento di cui trattasi – potrebbe al più dare luogo al vizio di insufficienza della motivazione, non più deducibile in sede di legittimità a sèguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. disposta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012.

11. In definitiva, il ricorso deve essere respinto, in quanto totalmente privo di fondamento.

12. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

13. Stante l’esito del giudizio, viene resa nei confronti della ricorrente l’attestazione di cui all’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente D.P.M. Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 4.100 Euro, oltre ad eventuali oneri prenotati a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposta impugnazione, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo, se dovuto.