CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, Ordinanza n. 26171 depositata il 7 ottobre 2024

Tributi – Omessa presentazione dichiarazione – Avvisi di accertamento – Violazione diritto di difesa – Scudo fiscale per investimenti esteri – Convenzione Italia-Norvegia – Doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito – Inammissibilità

Fatti di causa

1. L’Agenzia delle entrate, verificata l’omessa presentazione della relativa dichiarazione da parte di Ba.Fe. per gli anni d’imposta 2007 e 2008, in applicazione dell’art. 41bis D.P.R. n. 600 del 1973, ne rideterminava il reddito, recuperando a tassazione le imposte dovute su somme che – a seguito della consultazione dell’apposita banca dati SC.A.D. (che fornisce informazioni sui redditi prodotti all’estero dai soggetti che non siano cittadini del Paese in cui i redditi stessi sono prodotti) – risultavano ricevute dalla società norvegese “S.L.” (importi che venivano qualificati come “altri redditi”), anche a titolo di dividendi.

2. Contro i due avvisi di accertamento il contribuente proponeva ricorso alla CTP, deducendo: l’omessa allegazione, all’avviso di accertamento, del relativo atto prodromico, di cui non era stato riprodotto neppure il contenuto, con conseguente violazione del diritto di difesa; di non aver percepito le somme che l’ufficio riteneva erogate dalla società norvegese; in ogni caso, la “copertura fiscale” derivante dallo “scudo” per gli investimenti esteri.

3. La CTP rigettava i ricorsi riuniti, osservando che negli atti impositivi erano riprodotti, sebbene in termini essenziali, i presupposti di fatto e di diritto sui quali l’accertamento si fondava, sicché il contribuente era stato posto in grado di esercitare compiutamente il proprio diritto di difesa.

Rilevava che sul recupero a tassazione del reddito di capitale (sotto forma di dividendi) il contribuente aveva prestato sostanziale acquiescenza, mentre, in relazione al recupero a tassazione delle altre somme percepite dalla società S.L., la CTP riteneva “inconsistente” la giustificazione di aver usufruito dello scudo fiscale, dal momento che la segnalazione all’autorità estera era riferibile solo alla vendita dei titoli di tale società (trattandosi peraltro di disinvestimenti di titoli successivi al 1° dicembre 2009) e non anche alle somme riconducibili ad altri redditi.

4. Contro questa decisione il contribuente proponeva appello innanzi alla CTR, riproponendo gli originari motivi di ricorso e deducendo la nullità degli atti impositivi per difetto di sottoscrizione, oltre al difetto di motivazione della sentenza impugnata.

5. La CTR dichiarava inammissibile il motivo di impugnazione connesso alla nullità degli atti impositivi per difetto di sottoscrizione da parte di un dirigente, trattandosi di motivo nuovo formulato per la prima volta in appello.

6. Nel merito, invece, accoglieva l’appello, rilevando che la motivazione degli avvisi di accertamento non permetteva di comprendere la natura e di provare la concreta percezione degli affermati “altri redditi” che la società S.L. avrebbe erogato al contribuente negli anni 2007 e 2008.

Rilevava, altresì, che questi redditi erano stati comunque “scudati” nell’anno 2009 e che la società norvegese aveva direttamente confermato di non aver mai erogato al contribuente alcun reddito di qualunque natura, fatta eccezione per i dividendi oggetto di specifica segnalazione per l’anno 2008, rispetto ai quali il contribuente aveva prestato acquiescenza.

Per la CTR, avendo comunque la società norvegese agito quale sostituto d’imposta, le somme eventualmente percepite erano già state assoggettate a ritenuta fiscale all’estero e l’ufficio accertatore avrebbe dovuto piuttosto riconoscere al contribuente il relativo credito d’imposta ai sensi dell’art. 165 TUIR.

Prima ancora, la CTR riteneva che gli accertamenti, in quanto basati sulla segnalazione SC.A.D., avrebbero dovuto riportare in allegato l’atto da cui originava l’accertamento o, in ogni caso, riprodurne il contenuto, laddove l’ufficio si era limitato a indicare l’importo della segnalazione de qua, associandola alla generica categoria “altri redditi”.

7. Contro questa sentenza l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

8. Resiste il contribuente con controricorso, illustrato da memoria.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000.

Avrebbe errato la CTR nell’affermare che gli avvisi di accertamento avrebbero dovuto riportare in allegato l’atto da cui originava l’accertamento stesso oppure riprodurne il contenuto. L’art. 7, comma 1, della legge n. 212 del 2000 – che, nella versione ratione temporis applicabile, prevede: “Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama” – andrebbe interpretato nel senso che, in alternativa all’allegazione dell’atto prodromico, la motivazione dell’atto impositivo possa limitarsi a riprodurne il contenuto essenziale, come sarebbe appunto avvenuto nel caso di specie. Tanto basterebbe a consentire al contribuente di esercitare il proprio diritto di difesa.

2. Con il secondo motivo, sempre proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli: 3,67 e 165 del TUIR; 38, 41 e 41bis del D.P.R. n. 600 del 1973; 2697 c.c.

Secondo la ricorrente, negli avvisi di accertamento erano espressi “molto chiaramente” il contenuto e le ragioni fondanti delle riprese fiscali, essendo stato richiamato l’articolo 22 della convenzione fra Italia e Norvegia volta ad evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito ed essendo stato chiarito che i redditi che erano risultati percepiti dalla società norvegese costituivano “redditi diversi” rientranti nell’art. 67, comma 1, lett. I) del TUIR.

Per la ricorrente, a fronte del contenuto di informazioni oggetto di specifica convenzione tra Stati, il contribuente avrebbe dovuto difendersi producendo una valida prova contraria, tale non potendosi considerare una mera dichiarazione di parte con la quale la società norvegese aveva dichiarato di non aver mai corrisposto somme diverse da eventuali dividendi.

In tal modo la CTR avrebbe invertito l’onere della prova gravante sulle parti.

3. Tanto premesso, occorre partire dall’osservazione che la sentenza impugnata si fonda su tre distinte rationes decidendi, ciascuna idonea a sorreggere autonomamente il decisum.

3.1. Da un lato, la CTR ha ritenuto non adeguatamente motivata la pretesa impositiva, in mancanza di allegazione dell’atto prodromico costituito dalle risultanze dell’interrogazione effettuata presso la banca dati SC.A.D.

3.2. Dall’altro lato, ha ritenuto che la dichiarazione scritta proveniente dalla società norvegese – ed attestante che quest’ultima non aveva mai erogato in favore di Ba.Fe. somme diverse da eventuali dividendi – fosse sufficiente a smentire le risultanze dell’interrogazione della banca dati SC.A.D.

3.3. Infine, ha ritenuto, in ogni caso, che eventuali somme percepite sarebbero state fiscalmente “scudate” nel 2009.

4. L’Agenzia delle entrate, con i suoi due motivi di ricorso, attacca, rispettivamente, la prima e la seconda delle tre rationes decidendi, mentre nulla deduce in ordine alla terza.

Ciò determina l’inammissibilità del ricorso, poiché, qualora la sentenza del giudice di merito si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una soltanto di tali ragioni determina l’inammissibilità, per difetto di interesse, anche del gravame proposto avverso le altre, in quanto l’eventuale accoglimento del ricorso non inciderebbe sulla ratio decidendi non censurata, con la conseguenza che la sentenza impugnata resterebbe, pur sempre, fondata su di essa (tra le ultime, Sez. 6-3, Ordinanza n. 16314 del 18/06/2019, rv. 654319-01).

5. Il medesimo esito, in ogni caso, non cambierebbe anche qualora si ritenesse che, nel contestare (con il secondo motivo) la rilevanza probatoria della dichiarazione scritta rilasciata dalla società norvegese e prodotta in giudizio dal contribuente, l’Agenzia delle entrate abbia inteso anche censurare l’affermazione della CTR secondo cui gli importi eventualmente ricevuti sarebbero stati comunque “scudati” nel 2009, poiché anche a tale circostanza la medesima dichiarazione scritta si riferirebbe.

5.1. Il secondo motivo, infatti, si rivela complessivamente inammissibile – in tal modo non risultando intaccata la ratio, o meglio le rationes decidendi con esso prese di mira e ciascuna autonomamente idonea a sorreggere il decisum – in quanto, come evidenziato dalla controricorrente, la ricorrente punta in realtà a sollecitare un riesame della quaestio facti e ad ottenere un diverso apprezzamento delle emergenze istruttorie valutate dai giudici di appello (Sez. 5, Ordinanza n. 12240 del 06/05/2024).

Impropriamente utilizzando il veicolo processuale della censura di violazione e/o falsa applicazione di legge, infatti, si critica la valutazione delle prove non legali che – secondo un consolidato orientamento di legittimità – è un tipico accertamento di fatto rimesso alla valutazione del giudice di merito e sottratto allo scrutinio di legittimità, a condizione che la sentenza impugnata – come avviene nella specie – esibisca una motivazione eccedente la soglia del “minimo costituzionale” (da ultimo, Cass. S.U. Sentenza n. 5792 del 05/03/2024; Sez. 2, 17/05/2024, n. 13792; Sez. 3, 15/05/2024, n. 13444; Sez. 5, Ordinanza n. 19363 del 2024).

Ne deriverebbe comunque la carenza di interesse all’esame, nel merito, del primo motivo di ricorso.

6. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

8. Non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che si liquidano in euro 7.200 per compensi, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie al 15 per cento, e accessori se dovuti, con distrazione in favore del difensore, dichiaratosi antistatario nella memoria illustrativa.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto che non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso.