CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, Ordinanza n. 26178 depositata il 7 ottobre 2024

Tributi – Avvisi di accertamento – IRES – IRAP – IVA – Accertamenti con metodo induttivo analitico-induttivo – Rigetto

Fatti di causa

L’Ufficio di Cagliari 1 dell’Agenzia delle Entrate notificava alla D.P.M. Srl, esercente attività di bar e caffè, due distinti avvisi di accertamento con i quali determinava il reddito d’impresa, il valore della produzione netta e il volume d’affari della contribuente con riferimento agli anni 2005 e 2006, recuperando a tassazione, rispettivamente ai fini dell’IRES, dell’IRAP e dell’IVA, l’imponibile ritenuto evaso.

Gli accertamenti erano stati condotti dal predetto Ufficio con l’utilizzo del metodo induttivo per la prima annualità, in relazione al quale non risultava presentata dalla contribuente la prescritta dichiarazione fiscale, e del metodo analitico-induttivo per la seconda annualità, essendo emerse irregolarità e incongruenze dall’esame delle scritture contabili tenute dalla società.

La D.P.M. Srl impugnava entrambi gli atti impositivi proponendo distinti ricorsi dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Cagliari, la quale, riuniti i procedimenti, respingeva le ragioni della contribuente.

La decisione veniva successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Sardegna, che con sentenza n. 133/2016 del 21 aprile 2016 rigettava l’appello della parte privata.

Avverso tale sentenza la D.P.M. Srl ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono denunciate la violazione e la falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lettera d), e comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973, nonché degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c.

1.1 Si rimprovera alla CTR sarda di aver determinato induttivamente il reddito d’impresa prodotto e non dichiarato dalla D.P.M. Srl nell’anno 2005, sulla scorta della “sola presunzione semplice della difformità tra la percentuale di ricarico media del settore di appartenenza e quella estrapolata dalle scritture contabili societarie”.

1.2 Viene, al riguardo, sottolineato che il collegio di secondo grado non avrebbe tenuto “in debita considerazione i più recenti assestamenti della Corte di legittimità intervenuti in materia, e per i quali l’accertamento di maggiori ricavi di impresa può essere affidato alla considerazione della difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza soltanto ove tale difformità raggiunga livelli di abnormità ed irragionevolezza tali da privare la documentazione contabile di ogni attendibilità”.

1.3 Si obietta, altresì, che l’Ufficio avrebbe proceduto alla determinazione del reddito in base a una percentuale di ricarico del 200%, asseritamente costituente la media di settore, senza tuttavia specificare la provenienza di tale dato e utilizzando erroneamente il metodo aritmetico, anziché quello ponderale; in più, nel fissare al 219% la percentuale di ricarico applicata dalla società nell’anno 2004, avrebbe indebitamente considerato anche “ricavi diversi da quelli dell’attività caratteristica” da essa svolta, eliminati i quali detta percentuale sarebbe risultata pari al 189%, e quindi “di poco lontana rispetto a quella dei due anni di imposta contestati, e comunque ben al di là” dal poter essere considerata abnorme o irragionevole.

1.4 Viene pure sottolineato che la percentuale media del 200% “non poteva ad ogni modo essere applicata a tutte le categorie dei prodotti, posto che, oltre all’attività di bar e caffè, la D.P.M. Srl commercializzava anche prodotti industriali confezionati, sui quali, stante il prezzo fisso imposto dalle case produttrici in raffronto con i prezzi di listino applicati, la percentuale di ricarico era da ravvisarsi in misura inferiore al 50%”.

1.5 Anche in relazione all’anno 2006 la Commissione regionale sarebbe incorsa nel medesimo errore di diritto, avendo “sostenuto, del tutto immotivatamente ed in contrasto con quanto efficacemente provato dalla contribuente, come la difformità tra la media di ricarico applicata e quella media di settore (fosse) tale da raggiungere libelli di irragionevolezza”.

1.6 Sul punto, nei propri scritti difensivi la società aveva “precisato… che la media di settore utilizzata dall’Ufficio era priva di riscontro alcuno o comunque di provenienza sconosciuta, e dunque inattendibile”, e che, “ad ogni modo, tale percentuale, se correttamente applicata alle varie categorie di prodotti ed escludendo quelli con percentuale di ricarico provata inferiore al 50% (prodotti confezionati di ditte esterne), determinava ricavi complessivi in linea con quelli dichiarati e persino con gli studi di settore”.

1.7 Essa si era pure premurata di evidenziare l’illegittimità dell’accertamento “poiché fondato su presunzioni non qualificate e su ricavi rideterminati in maniera palesemente arbitraria ed erronea”, oltre che sull’applicazione del “sistema della media semplice, anziché su quello della media ponderata”.

2. Con il secondo motivo, proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è denunciata la nullità della sentenza gravata “per omessa motivazione sul capo di impugnazione riguardante l’infondatezza dei dati, parametri e dei valori assunti per la determinazione induttiva del reddito”, con conseguente violazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 36 del D.Lgs. n. 546 del 1992.

2.1 Si deduce, sul tema, che fin dal primo grado la D.P.M. Srl aveva contestato “l’applicazione del tutto arbitraria da parte dell’Ufficio della percentuale del 200% non solo ai prodotti confezionati…, ma altresì ai prodotti di pasticceria”, e si era inoltre lamentata del fatto che “gli accertatori avessero proceduto in tal modo anche per gli altri residui prodotti, pur avendo dichiarato di procedere con metodo analitico, salvo poi abbandonarlo per almeno la metà dei prodotti, applicando al costo del venduto di Euro 88.446,00 la (detta) percentuale di ricarico”.

La contribuente aveva, nel contempo, palesato come non fossero state analizzate dall’Amministrazione “le fatture prodotte e relative a cioccolati, panettoni e colombe, biscotti, caramelle e gelati, configuranti ricavi da vendita di prodotti confezionati pari al 21% totale del costo del venduto nel 2005 ed al 19% nel 2006”, il che aveva condotto “a tali abnormità nella rideterminazione dei ricavi”.

2.2 “La mole di argomentazioni addotte dalla ricorrente nei due gradi di merito” sarebbe stata, tuttavia, ignorata dalla Commissione regionale, astenutasi da “qualsiasi analisi fattuale e valutativa degli elementi suesposti”.

3. Nell’ordine logico-giuridico si appalesa prioritario lo scrutinio del secondo motivo, prospettante un vizio di nullità della sentenza gravata.

3.1 Il motivo è infondato.

3.2 A seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. disposta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione è ormai da ritenere ristretto alla sola verifica dell’inosservanza del cd. “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, della Carta fondamentale, individuabile nelle ipotesi – che si tramutano in vizio di nullità della sentenza per difetto del requisito di cui all’art. 132, comma 2, n. 4) c.p.c. – di “mancanza assoluta di motivi sotto il profilo materiale e grafico”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili” e di motivazione “perplessa od incomprensibile” o “apparente”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della stessa.

3.3 Per produrre il descritto effetto invalidante l’anomalia motivazionale deve emergere dal testo della sentenza medesima, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr., ex permultis, Cass. n. 20598/2023, Cass. n. 20329/2023, Cass. n. 3799/2023, Cass. Sez. Un. n. 37406/2022, Cass. Sez. Un. n. 32000/2022, Cass. n. 8699/2022, Cass. n. 7090/2022, Cass. n. 24395/2020, Cass. Sez. Un. n. 23746/2020, Cass. n. 12241/2020, Cass. Sez. Un. n. 17564/2019, Cass. Sez. Un. 19881/2014, Cass. Sez. Un. 8053/2014).

3.4 Tanto premesso, la CTR sarda ha così argomentato la decisione assunta, per quanto qui rileva:

– per l’anno 2005 l’Ufficio aveva legittimamente determinato il reddito imponibile con metodo induttivo, sulla scorta di presunzioni che potevano anche risultare prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, non avendo la contribuente presentato la prescritta dichiarazione fiscale relativa a quel periodo d’imposta;

– in caso di mancata presentazione della dichiarazione, per l’accertamento del reddito d’impresa ben possono essere utilizzate percentuali di ricarico desunte dalle medie di settore, essendo ciò sufficiente ai fini dell’assolvimento dell’onere probatorio posto a carico dell’Amministrazione Finanziaria; in particolare, i maggiori ricavi sono desumibili dalla difformità della percentuale di ricarico applicata dalla contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza, qualora questa raggiunga livelli di irragionevolezza tali da far apparire del tutto inattendibile la documentazione contabile esibita all’Ufficio;

– la descritta situazione ricorreva nella concreta fattispecie, in quanto dalle scritture contabili emergeva che nell’anno 2005 la D.P.M Srl aveva applicato una percentuale di ricarico del 157%, di gran lunga inferiore sia a quella dell’anno precedente (219%) sia a quella media del settore di appartenenza (200%), da ritenersi “congrua alla luce dei risultati emersi da verifiche fiscali effettuate nei confronti di altri soggetti esercenti la medesima attività”;

– anche per l’anno 2006 il ricarico del 200% reputato congruo dall’Ufficio era inferiore non solo a quello applicato dalla contribuente per l’anno 2004, “ma addirittura a quello risultante dalla ricostruzione analitica dei ricavi per ciascuna categoria merceologica venduta”;

– la società aveva dedotto, senza però essere riuscita a dimostrarlo, che “per tutta una serie di prodotti, quali, ad esempio, cioccolati, panettoni e gelati da essa rivenduti, la percentuale di ricarico imposta dal produttore sarebbe stata nettamente inferiore a quella calcolata dall’Ufficio”;

– in ogni caso, le sue doglianze apparivano prive di consistenza, in ragione del fatto che “nel periodo che interessa, a fronte di incassi e di redditi complessivi sostanzialmente irrisori”, essa “si era avvalsa… della collaborazione di numerosi dipendenti, regolarmente stipendiati durante tutto l’arco dell’anno”;

– la contribuente aveva pure contestato: “a) pretesi errori che sarebbero stati commessi nella determinazione della percentuale di ricarico; b) l’uso di percentuali di ricarico al di fuori della realtà e, comunque, non sorrette da alcuna prova; c) l’uso di percentuali di ricarico fondate semplicemente sulla media aritmetica”;

– anche in questo caso trattavasi, però, di “eccezione priva di fondamento, giacché… quella applicata nella specie non e(ra) una semplice media aritmetica, essendo stata calcolata tramite la media ponderata delle percentuali applicabili ai singoli prodotti venduti, così come p(oteva) agevolmente dedursi dall’esame dell’estratto della metodologia di controllo per bar e caffè, riferito al ricarico sui singoli prodotti, di cui all’allegato 4) alle controdeduzioni dell’Ufficio”.

3.5 Da quanto precede risulta evidente come la motivazione posta a base del decisum sia perfettamente intelligibile e non presenti profili di palese illogicità o irriducibile contraddittorietà, sì da raggiungere la soglia del “minimo costituzionale”.

Oltretutto, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, la CTR ha illustrato le ragioni per le quali “dati, parametri e valori” utilizzati dall’Ufficio per la determinazione induttiva del reddito sono stati ritenuti attendibili, richiamando anche le fonti informative poste a base del giudizio espresso (“estratto della metodologia di controllo per bar e caffè, riferito al ricarico sui singoli prodotti, di cui all’allegato 4) alle controdeduzioni dell’Ufficio”).

3.6 In proposito, giova ribadire che il vizio motivazionale comportante la nullità della sentenza per difetto del requisito di cui all’art. 132, comma 2, n. 4) c.p.c. -norma che nel processo tributario trova il suo corrispondente nell’art. 36, comma 2, n. 4), del D.Lgs. n. 546 del 1992- deve emergere dal testo stesso della decisione, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr. Cass. n. 3376/2024, Cass. n. 36135/2023, Cass. Sez. Un. n. 19881/2014, Cass. Sez. Un. n. 8053/2014).

3.7 Resta, conseguentemente, escluso che a tal fine possa assumere rilievo l’eventualmente erronea o incompleta valutazione delle emergenze istruttorie compiuta dal giudice di merito.

3.8 D’altronde, si è già avuto modo di chiarire che l’insufficienza o illogicità della motivazione che non renda la stessa irriducibilmente contraddittoria non può più costituire motivo di ricorso per cassazione in base al nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., applicabile “ratione temporis” (sull’argomento, oltre a quelle già citate, cfr. Cass. n. 17297/2024, Cass. n. 3786/2024, Cass. n. 27407/2023, Cass. n. 7090/2022, vedasi Cass. Sez. Un. n. 8053/2014, in cui viene precisato che “le disposizioni di cui all’art. 54 del D.L. n. 83/2012, convertito con modificazioni, dalla L. n. 134/2012, si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze pronunciate dalle Commissioni tributarie regionali, e ciò sia per quanto riguarda la nuova formulazione dell’art. 360, n. 5), c.p.c., secondo la quale la sentenza d’appello è impugnabile “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, sia per quanto riguarda l’ultimo comma dell’aggiunto art. 348-ter c.p.c., secondo il quale la proponibilità del ricorso per cassazione è ammessa esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), qualora l’impugnazione sia proposta avverso una sentenza d’appello che confermi la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione appellata”).

3.9 Di qui il rigetto della sollevata censura.

4. Il primo motivo è anch’esso infondato.

4.1 Nella materia di cui si discetta questa Corte ha enunciato i seguenti princìpi di diritto, ormai consolidati, rilevanti ai fini della soluzione dell’odierna controversia:

– “nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, l’Amministrazione può procedere all’accertamento sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, utilizzando qualsiasi elemento probatorio e facendo ricorso al metodo induttivo, avvalendosi anche di presunzioni cd. supersemplici (cioè prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza), determinando un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente” (cfr. Cass. n. 16243/2024; nello stesso senso, ex multis, Cass. n. 22261/2023, Cass. n. 37450/2022, Cass. n. 15167/2020);

– “in tema di accertamento induttivo, nell’ipotesi in cui risulti una contabilità regolarmente tenuta, l’accertamento dei maggiori ricavi d’impresa può essere affidato alla considerazione della difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza, soltanto quando raggiunga livelli di abnormità ed irragionevolezza tali da privare… la documentazione contabile di ogni attendibilità” (cfr. Cass. n. 16863/2021; id., Cass. n. 23427/2020, Cass. n. 22347/2018, Cass. n. 23149/2017);

– “a norma dell’art. 39, co. 2, del D.P.R. n. 600 del 1973, legittimamente l’Amministrazione finanziaria determina il reddito sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, tra i quali è compresa la redditività media del settore specifico in cui opera l’impresa sottoposta ad accertamento.

Nella raccolta degli elementi probatori è compresa la scelta tra le diverse modalità di calcolo della percentuale di ricarico applicabile alla merce venduta, cioè tra la c.d. “media aritmetica semplice” o la media aritmetica ponderata“.

La scelta tra il criterio della media aritmetica semplice e quello della media ponderale dipende, rispettivamente, dalla natura omogenea o disomogenea degli articoli.

Dunque, in linea di massima, sono legittimi entrambi i metodi di accertamento (di maggiori ricavi); il ricorso alla media aritmetica semplice non è corretto solo quando, tra i vari tipi di merce, esiste una notevole differenza di valore e gli articoli più venduti presentano una percentuale di ricarico ben più bassa di quella risultante dal ricarico medio” (cfr. Cass. n. 26475/2020; id., Cass. n. 8923/2018, Cass. n. 22432/2016, Cass. n. 27568/2013).

4.2 Al surriferito insegnamento nomofilattico si è correttamente uniformata la CTR, la quale, accertato in fatto che la D.P.M. Srl non aveva presentato la dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2005 e che relativamente all’anno 2006 erano state riscontrate irregolarità e incongruenze nelle scritture contabili da essa esibite all’Ufficio, ha affermato che:

– per la prima annualità risultava legittima la determinazione del reddito d’impresa con metodo induttivo, sulla base di “presunzioni semplici prive dei requisiti di cui al D.P.R. n. 600/1973”; a tal fine, ben potevano essere utilizzate percentuali di ricarico desunte dalle medie di settore;

– per la seconda annualità la percentuale di ricarico applicata dalla contribuente in base alle scritture contabili si discostava così tanto da quella del 2004 e dalla media del settore merceologico di appartenenza da far apparire abnorme e irragionevole la riscontrata difformità;

– in sede di accertamento l’Ufficio aveva fatto ricorso alla media ponderata, anziché a quella aritmetica semplice, tenendo conto delle “percentuali applicabili ai singoli prodotti venduti”.

4.3 Gli enunciati giuridici contenuti nella sentenza gravata non si pongono affatto in contrasto, ma anzi collimano perfettamente, con le norme regolatrici del caso controverso e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, onde non può ritenersi configurabile il dedotto vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. (cfr., sull’argomento, Cass. n. 3572/2024, Cass. n. 19822/2023, Cass. n. 37257/2022, Cass. n. 41722/2021).

4.4 Non va, peraltro, dimenticato che la denuncia di violazione di legge non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze processuali, dovendo la Corte limitarsi al mero controllo della veridicità e della coerenza delle argomentazioni poste a sostegno della decisione gravata (cfr. Cass. n. 16442/2024, Cass. n. 5013/2024); diversamente, si finirebbe, in modo surrettizio, per trasformare il giudizio di cassazione in un ulteriore, non consentito, grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nel provvedimento impugnato, non condivisi, e per ciò solo censurati, dalla parte ricorrente, al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 34817/2022, Cass. n. 15568/2020).

5. Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.

6. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

7. Stante l’esito del giudizio, viene resa nei confronti della ricorrente l’attestazione di cui all’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente D.P.M. Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 5.800 Euro, oltre ad eventuali oneri prenotati a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposta impugnazione, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo, se dovuto.