Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 27098 depositata il 18 ottobre 2024

il processo tributario è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia dell’accertamento dell’Ufficio

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione tributaria regionale del Lazio con la sentenza in epigrafe indicata ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di A. SPA, in proprio e quale mandataria A. ATO 2 spa, Ai. spa e A.E. spa, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma n. 15660/2018 (non notificata) di accoglimento del ricorso proposto dal contribuente in riferimento all’avviso di liquidazione n. 14/IT023136000, con il quale l’Ufficio aveva liquidato la maggior imposta di registro per euro 619.572,90, sulla base di tre distinte contestazioni in relazione al piano di rientro stipulato con ATAC spa ed autenticato dal notaio Tucci, contenente riconoscimento del debito per euro 40.644.090,00 in relazione al mancato pagamento di fatture relative al servizio di fornitura energetica ed idrica.

2. Avverso la suddetta sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a 2 motivi, cui ha resistito con controricorso la odierna ricorrente.

3. La Procura Generale ha depositato requisitoria scritta, chiedendo il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare deve rilevarsi che la notifica del ricorso risulta tempestiva, tenuto conto della sospensione dei termini per la emergenza sanitaria (64 ). L’art. 83, comma 2, d.l. n. 18 del 2020, ha infatti previsto la sospensione dei termini per il compimento degli atti dei procedimenti civili dal 9 marzo all’11 maggio 2020. Considerato che il termine scadeva di sabato (28 novembre 2020) la notifica di lunedì 30 novembre 2020 risulta tempestiva.

2. Con il primo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 lgs. 546/1992 e dell’art. 57 comma 6 del d.P.R. 131/1986, deducendo l’Agenzia che la CTR abbia errato nel ritenere invalido l’avviso di liquidazione in virtù della errata applicazione di tale norma, in quanto nel piano di rientro le parti non avrebbero operato alcuna suddivisione pro capite della quota relativa agli interessi, sicché correttamente risulterebbe applicata la contestazione.

2.1 Va precisato che le contestazioni che hanno portato all’avviso di liquidazione, per il complessivo importo di euro 619.572,90, sono in realtà tre:

  1. la prima relativa all’applicazione dell’imposta proporzionale dell’aliquota dell’1 % prevista per gli atti aventi natura dichiarativa (ex 3 della tariffa Parte Prima allegata al d.P.R. 131/1986) sul debito complessivo di ATAC di euro 40.644,090 (di cui euro 6.238.425,85 per interessi di mora) in quanto ad avviso dell’Agenzia non troverebbe attuazione il principio di alternatività IVA-imposta di registro ex art. 40 TUR;
  2. la seconda relativa all’applicazione congiunta sia della aliquota 1% (ex 3 Tariffa Parte Prima della tariffa Parte Prima allegata al d.P.R. 131/1986) che dell’aliquota 3% (prevista in via residuale per gli atti aventi contenuto patrimoniale, ai sensi dell’art. 9 della Tariffa parte Prima allegata alla TUR) sugli interessi di mora pari ad euro 6.238,452,85;
  3. la terza relativa alla aliquota del 3% in base all’art. 9 della Tariffa parte Prima allegata alla TUR, sull’ammontare di euro 866.046,00 trattandosi (secondo la Agenzia) di un importo non riconducibile al debito complessivo di euro 40.644,090 e dunque assoggettabile al citato art. 9 in via residuale.

2.2 Il motivo è inammissibile perché si risolve nella mera contrapposizione, rispetto a quella fatta propria dalla gravata sentenza, di una difforme interpretazione sul contenuto dell’atto registrato (cioè il piano di rientro).

2.3 Come la Corte ha in più occasioni rimarcato, se l’accertamento della volontà delle parti, in relazione al contenuto del negozio, si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito, ciò non di meno un siffatto accertamento è censurabile, in sede di legittimità, nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., con la conseguenza che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali, non potendosi risolvere la censura in questione nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (v. Cass., 9 settembre 2022, n. 26557; Cass., 9 aprile 2021, n. 9461; Cass., 16 gennaio 2019, n. 873; Cass., 15 novembre 2017, n. 27136).

2.4 Il motivo va dunque dichiarato inammissibile.

3. Con il secondo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.

3.1 Lamenta in particolare la Agenzia che la CTR, nello stabilire l’annullamento integrale dell’atto impositivo in ragione della esistenza di ripartizione pro quota, con la gravata sentenza entrerebbe in contraddizione ed illogicità nella parte in cui omette di calcolarne le distinte quote di interessi riferibili pro capite, rimettendo all’Ufficio tale attività. Non si tratterebbe invero di atto di impugnazione- annullamento, ma di atto di annullamento-merito, rispetto al quale il giudice tributario non avrebbe dovuto limitarsi ad una pronuncia di annullamento, ma avrebbe dovuto statuire nel merito calcolando le debenze pro quota. In questo individua una omissione della decisione integrante la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ..

3.2 Va osservato che questa Corte ha già statuito (Cass. 25/11/2022, n.34723) – trattando dei caratteri generali del processo tributario – che “il processo tributario è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia dell’accertamento dell’Ufficio (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 18777 del 10/09/2020, Rv. 658860 – 01).

3.3 Il processo tributario non è perciò diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio. Ne discende che ove il giudice tributario ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (v., ex plurimis, , 30 ottobre 2018, n. 27574; Cass., 19 novembre 2014, n. 24611; Cass., 21 novembre 2013, n. 26157; Cass., 12 luglio 2006, n. 15825; Cass., 2 dicembre 1993, n. 11958; Cass., 4 maggio 1990, n. 3718; Cass., 18 giugno 1987, n. 5352).

3.4 Nella fattispecie, l’avviso di liquidazione esponeva – piuttosto che un vizio formale riconducibile ad una qualche nullità (come nel caso di difetto di motivazione) – l’erronea applicazione della regula iuris relativa al criterio di tassazione dell’atto recante plurime disposizioni, così che il giudice del merito, dietro esame delle questioni tra le parti controverse (qui rimaste assorbite e, con ciò, non suscettibili di esame da parte della Corte), doveva ricondurre a diritto l’operata liquidazione, escludendo, così come nella fattispecie avvenuto, il prospettato vincolo di solidarietà e, in esito, accertando in fatto i corretti termini di tassazione secondo le prospettazioni (anche fattuali) dell’atto impositivo e le contrapposte difese delle contribuenti, così identificando i contenuti della pretesa impositiva legittimamente esercitabile a riguardo delle distinte posizioni debitorie.

3.5 Ha dunque errato la CTR nel rinviare all’ufficio ritenuto competente, senza provvedere direttamente nel merito, dovendo invece decidere e motivare sul punto.

3.6 Non si ritengono dunque condivisibili sul punto né le deduzioni del controricorrente, né la difforme proposta del Procuratore Generale, che ha concluso per il rigetto.

4. Il primo motivo di ricorso va dunque dichiarato inammissibile, mentre il secondo motivo va accolto.

5. Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio della causa, anche per le spese di questo grado di giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.