CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, Ordinanza n. 27957 depositata il 29 ottobre 2024

Tributi – Avviso di accertamento – IRES – IVA – IRAP – Ricavi superiori a quelli dichiarati – Studio di settore – Ingegneria civile – Incongruenza non grave – Rivisitazione del merito – Rigetto

Fatti di causa

Con riferimento all’anno d’imposta 2004, l’Agenzia delle Entrate contestava alla contribuente, esercente l’attività di “lavori di ingegneria civile” (Codice attività 45212) ricavi superiori a quelli dichiarati, avuto riguardo ai parametri determinati dallo studio di settore “SG69”.

In sede di contraddittorio la contribuente depositava una scrittura privata del 15 maggio 2004, che assumeva stipulata con la società agricola S.M.C. Srl, unico cliente dichiarato per l’anno d’imposta 2004.

Con avviso di accertamento venivano recuperati importi Ires, Irap e Iva.

La Commissione Tributaria Provinciale di Caltanissetta accoglieva il ricorso della contribuente.

La Commissione Tributaria Regionale della Sicilia rigettava in seguito l’appello erariale.

Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è affidato a tre motivi.

Resiste la contribuente con controricorso, illustrato con successiva memoria.

Ragioni della decisione

Con il primo motivo di ricorso si adduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 18, co. 3 e 4,22, co. 2, D.Lgs. n. 546 del 1992, avuto riguardo all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere la Commissione Tributaria Regionale disatteso l’eccepita carenza di sottoscrizione del difensore sul presupposto che “l’autentica della firma da parte di quest’ultimo deve ritenersi quale atto comprensivo della rappresentanza processuale”, trascurane pubblicazione ricorso introduttivo mancava di sottoscrizione palesandosi, come tale, inammissibile.

Il motivo è infondato.

La Commissione Regionale ha mostrato di attenersi alla condivisibile giurisprudenza di questa Corte secondo cui il difetto di sottoscrizione dell’originale del ricorso introduttivo del giudizio -sottoscrizione prescritta come indispensabile quale principio di sistema dall’art. 125 c.p.c. – comporta l’inesistenza dell’atto, salvo essa non sia desumibile da altri elementi, quali – come nel caso di specie – la sottoscrizione per autentica della firma della procura in calce o a margine dello stesso (Cass. n. 8042 del 2006; Cass. n. 2255 del 2004; Cass. n. 4116 del 2001).

In effetti, soltanto il totale difetto di sottoscrizione comporta l’inesistenza dell’atto, non quando quell’elemento formale, al quale l’ordinamento attribuisce la funzione di nesso tra il testo ed il suo apparente autore, sia desumibile da altri elementi indicati nell’atto stesso (v. in questa prospettiva Cass. n. 32176 del 2022).

In effetti, allorché la sottoscrizione del difensore, pur mancando in calce all’atto introduttivo del procedimento, figuri apposta per certificare l’autenticità della firma di rilascio della procura alle liti, redatta a margine o in calce all’atto stesso, la firma del difensore ha lo scopo non solo di certificare l’autografia del mandato, ma anche di sottoscrivere la domanda e di assumerne, conseguentemente, la paternità.

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., avuto riguardo all’art. 360, n. 3, c.p.c., avuto riguardo al profilo, mai dichiarato dalla contribuente relativo all’esercizio d’impresa “in regime di contabilità semplificata” e all’aspetto concernente la percentuale di scostamento diversa da quella dichiarata dalla contribuente medesima. 

Il motivo è inammissibile.

La violazione del principio fra il chiesto e il pronunciato contemplato nell’art. 112 c.p.c. è concettualmente ipotizzabile solo in relazione ad un capo di domanda.

In censura i profili adombrati non fuoriescono dal perimetro di detta domanda, non essendone chiarito né il carattere decisivo, né la modalità in base alla quale essi scardinerebbero il petitum specificamente incidendo sul contenuto della decisione.

In ogni caso, e sotto diverso profilo, non è configurabile la violazione di cui all’art. 112 c.p.c. perché, secondo l’orientamento di questa Corte, l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito che non incorre in un vizio procedurale quando “ha svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione dovesse ritenersi ricompresa tra quelle da decidere”.

In tal caso, “il dedotto errore del giudice non si configura come ‘error in procedendo’, ma attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte” (Cass. n. 1545 del 2016; Cass. n. 26454 del 2021.

Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 62-bis , 62-sexies, D.L. n. 331 del 1993, conv. dalla L. n. 427 del 1993, 39, co. 1, lett. d), D.P.R n. 600 del 1973, 2697 c.c., avuto riguardo all’art. 360, n. 3, c.p.c. per avere il giudice d’appello ritenuto che lo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli presuntivamente accertati fosse modesto, con conseguente carenza del requisito delle gravi incongruenze.

Neanche il terzo motivo coglie nel segno, sicché va disatteso.

È noto che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, di cui all’art. 62-sexies, comma 3, del D.L. n. 331 del 1993, conv. con mod. dalla l. n. 427 del 1993, fondata sulla ricorrenza di “gravi incongruenze” (anche dopo la modifica dell’art. 10 della legge 8 maggio 1998, n. 146 da parte dell’art. 1, comma 23, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, v. Cass. n. 20608 del 2022), secondo l’orientamento affermato dalle Sezioni Unite n. 26635 del 2009 costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati, quali meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente.

In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente.

L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte.

Nel qual caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (Cass., sez. un., n. 26635 del 2009; Cass. n. 12558 del 2010; Cass. n. 12428 del 2012; Cass. n. 23070 del 2012; Cass. n. 17787 del 2016; Cass. 9806 e 17289 del 2017; Cass. n. 18907 del 2018; Cass. n. 379 del 2019; Cass. n. 23252 del 2019; Cass., n. 769 del 2019; Cass. 21656 del 2022; Cass. n. 24931 del 2022).

Va precisato, altresì, in premessa che la ricorrenza delle “gravi incongruenze” non può essere fondata, in via assoluta, su precise soglie quantitative di scostamento, perché quella nozione si ricava da indici di natura relativa, da adattare a plurimi fattori propri della singola situazione economica, del periodo di riferimento ed in generale della stessa storia commerciale del contribuente destinatario dell’accertamento, oltre che del mercato e del settore di operatività (Cass. n. 22946 del 2015; Cass. n. 8854 del 2019 par. 3.3; Cass. n. 20608 del 2022, par. 9.3).

Tuttavia, benché non sussista una soglia legale, al di sotto della quale lo scostamento non perfeziona le “gravi incongruenze”, dovendo procedersi ad una valutazione caso per caso, detti scostamenti minimi possono assumere rilevanza sempreché accompagnati da indici gravi e significativi di un maggior reddito non dichiarato; viceversa, scostamenti quantitativamente importanti possono da soli rappresentare le gravi incongruenze richieste dalla norma in assenza di valide giustificazioni circa le ragioni della discrepanza con lo studio di settore (Cass. n. 1073 del 2023).

Nel caso in esame la CTR ha motivato sull’esiguità dello scostamento tra il quantum accertato secondo standard e quello dichiarato. Risultano spiegate, in altri termini, le ragioni per cui la discrasia ravvisata non costituiva “grave incongruenza”.

Inoltre, non sono stati sorvolati elementi di matrice indiziaria o anomalie specifiche suscettibili di deporre complessivamente in senso contrario rispetto alla valutazione giudiziale.

In un quadro entro il quale non ogni scostamento tra ricavi dichiarati e ricavi determinati con gli studi di settore è suscettibile d’assumere rilevanza, il giudice di appello si è peritato di escludere la sussistenza del presupposto delle “gravi incongruenze” ritenendo motivatamente la natura lieve o comunque non grave di uno scostamento che, in effetti, si poneva certamente al di sotto del 10,00%.

La pretesa di ottenere una riedizione dell’apprezzamento in punto di esiguità o non esiguità dell’oscillazione mira all’evidenza ad una rivisitazione del merito della controversia, preclusa in questa sede.

Del resto, il giudice regionale si è posto nel solco già tracciato da questa Corte, che in passato ha ritenuto come scostamenti solo lievi, e quindi inidonei alla rettifica dei redditi quelli del 4,23% (Cass. n. 17486 del 2017), del 7% (Cass. n. 20414 del 2014), del 10% (Cass. n. 2637 del 2019).

Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato.

Le spese sono regolate dalla soccombenza, nella misura esplicitata in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese forfettarie e gli accessori di legge.