CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, Ordinanza n. 2800 depositata il 5 febbraio 2025

Tributi – Avviso di accertamento – IVA – Fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti – Acquisto di beni – Provenienza della merce – Prezzo inferiore a quello di mercato – Rigetto

Fatti di causa

1. In controversia avente ad oggetto un avviso di accertamento integrativo emesso ai fini IVA per l’anno d’imposta 2013 con cui l’Agenzia delle entrate contestava alla F. Srl l’utilizzo di fatture relative ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, emesse dalle ditte cd. cartiere F.L.D. Srl, A.T. Srl e Al.Gi., con la sentenza in epigrafe indicata la CTR della Lombardia rigettava l’appello della società contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado affermando che:

“Nel caso de quo, è provato che la contribuente fosse non solo in condizioni di individuare, usando l’ordinaria diligenza, la sostanziale inesistenza dei contraenti che hanno emesso le fatture nei confronti della stessa.

Per ammissione della stessa contribuente, “i trasporti in acquisto sono stati effettuati a cura dell’acquirente” (contribuente), sicché essa ben avrebbe potuto agevolmente avvedersi del fatto che il fornitore fosse diverso da quello emittente le relative fatture.

Addirittura la contribuente si ritiene fosse pienamente partecipe alla frode, come documentato dal rinvenimento dello schema relativo al meccanismo fraudolento, in cui alla evidenza il riferimento a “F.”, in assenza di ulteriori dati che consentono una lettura alternativa, deve ritenersi evocativo della citazione “F.” tra i soggetti coinvolti.

Né infine le dichiarazioni provenienti proprio dai legali rappresentanti apparenti delle società coinvolte nella frode, possono costituire prova alcuna.

L’Ufficio invece ha accertato che le società cosi dette fornitrici non erano altro che scatole vuote. Addirittura una di queste la F.L.D.

dalle visure camerali risultava essere operatrice nel settore del commercio all’ingrosso di legnami e semilavorati in legno, fili di rame e materiali edili, settore del tutto estraneo e diverso dal commercio delle materie plastiche che riguarda la odierna appellante.

Come per esempio la società A.T. rappresentata da un soggetto invalido al 75%, era di fatto gestita da tale Al.Gi. la cui attività era di “ricerche di mercato e sondaggi di opinioni”.

L’Al.Gi. fatturava alla odierna appellante prima ancora di acquistare la merce stessa, in quanto non avendo struttura imprenditoriale era la stessa acquirente a fornirgli la provvista per effettuare l’acquisto della merce all’estero senza applicazione dell’Iva per effetto della normativa sugli acquisti comunitari o in sospensione di imposta.

La Agenzia delle Entrate ha potuto constatare come le società fossero coinvolte quali “missing trader” in un meccanismo di “frode” finalizzata alla evasione dell’Iva e la odierna appellante non poteva non capire questo “giro” fraudolento a tal punto che l’Ufficio ha presupposto che fosse coinvolta attivamente”.

2. Avverso tale statuizione la società propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui replica l’intimata con controricorso.

4. La ricorrente deposita memoria in cui dà atto dell’intervenuta assoluzione in sede penale, con sentenza irrevocabile (che allega), di Fr.Gi., legale rappresentante della F. Srl, imputato del reato di cui all’art. 2 del D.Lgs. 74/2000 contestatogli anche con riferimento ai fatti oggetto del presente giudizio.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la “violazione dell’art. 115 c.p.c., con riferimento all’obbligo del giudice di fondare la decisione sulle prove fornite dalle parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.”.

1.1. Sostiene la ricorrente che la sentenza impugnata deve innanzitutto essere cassata in quanto emessa in manifesto contrasto con l’obbligo, sancito dall’art. 115 c.p.c. in capo al giudice, di porre a fondamento della propria decisione le prove proposte dalle parti”, mentre nel caso di specie la CTR aveva ritenuto che “la consapevolezza di F. di partecipare ad una frode carosello risultasse da circostanze, quali l’ammissione fatta dallo stesso legale rappresentante della società contribuente che i trasporti sono stati effettuati dalla stessa F. ed il rinvenimento di uno schema nel quale era descritto il meccanismo della frode, che non emergeva da alcun atto del giudizio.

Circostanza, questa ammessa dalla stessa Agenzia delle entrate nelle controdeduzioni di appello in parte qua riprodotte nel ricorso.

2. Con il secondo motivo viene dedotta la “illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. sia in riferimento alla soggettiva inesistenza delle operazioni sia in riferimento alla consapevolezza della contribuente di partecipare ad un meccanismo fraudolento in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.”

2.1. Secondo la ricorrente “La sentenza impugnata deve, inoltre, essere cassata in quanto la Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto fondata la contestazione relativa all’inesistenza soggettiva delle operazioni de quibus sulla base di elementi presuntivi, forniti dall’Amministrazione finanziaria, del tutto inconsistenti e privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, così violando le norme disciplinanti la ripartizione dell’onere probatorio e la prova per presunzioni”.

2.2. “L’unico atto noto che assurgerebbe a prova nel caso di specie risulterebbe, quindi, essere la struttura – asseritamente – solo cartacea dei soggetti dai quali l’odierna ricorrente ha acquistato la merce”.

Inoltre, la CTR aveva del tutto ignorato l’attività di verifica posta in essere dalla contribuente nei confronti dei sopra citati fornitori, documentata dalla copia delle visure societarie nonché dai documenti di identità dei legali rappresentanti, prodotti in giudizio.

3. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati ed il secondo è anche inammissibile.

3.1. È inammissibile perché la ricorrente, sotto lo schermo del vizio di violazione di legge intende rimettere in discussione la valutazione della prova operata dai giudici di appello richiedendo al giudice di legittimità un nuovo giudizio meritale (arg. da Cass., Sez. U, n. 34476 del 27/12/2019, Rv. 656492 – 03)

3.2. Si è pure affermato che “In tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, n. 3, c.p.c. (e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360), competendo alla Corte di cassazione controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione concreta; nondimeno, per restare nell’ambito della violazione di legge, la critica deve concentrarsi sull’insussistenza dei requisiti della presunzione nel ragionamento condotto nella sentenza impugnata, mentre non può svolgere argomentazioni dirette ad infirmarne la plausibilità (criticando la ricostruzione del fatto ed evocando magari altri fatti che non risultino dalla motivazione), vizio valutabile, ove del caso, nei limiti di ammissibilità di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. ” (Cass. n. 18611 del 30/06/2021, Rv. 661649 – 01).

E si è anche precisato che “In tema di prova per presunzioni, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. e dell’idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell'”id quod plerumque accidit”, i fatti ignoti da provare, costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito” (Cass. n. 27266 del 25/09/2023, Rv. 669130 – 01).

4. Ma, come sopra anticipato, anche nel merito, le censure non colgono nel segno.

4.1. Al riguardo devono richiamarsi i principi giurisprudenziali elaborati in materia da questa Corte anche sulla scia delle pronunce della Corte di giustizia europea.

4.2. In materia di operazioni soggettivamente inesistenti, come nella fattispecie in esame, che presuppone, da un lato, l’effettività dell’acquisto dei beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice della fattura o della prestazione dei servizi in essa indicati e, dall’altro, la simulazione soggettiva, ossia la provenienza della merce o la prestazione del servizio da soggetto economico diverso da quella risultante dalla fattura emessa, l’orientamento giurisprudenziale, anche unionale, (cfr. tra le tante, Cass. n. 9851 del 10/04/2018; Cass. n. 5339 del 27/02/2020; Cass. n. 15369 del 20/07/2020; da ultimo Cass. n. Cass. 25891/2023; in linea con Corte di giustizia, 22 ottobre 2015, P., C-277/14, citata anche dalla ricorrente, e, recentemente, CGUE 11 novembre 2021, K. P.C. s.r.o., C-281/20) è consolidato nel ritenere che ricade sull’amministrazione finanziaria l’onere di provare che l’operazione commerciale documentata dalla fattura è stata posta in essere da soggetto diverso dall’emittente della fattura (senza necessità di individuazione del diverso soggetto), indicando gli elementi presuntivi o anche solo indiziari sui quali fonda la contestazione; elementi che devono condurre a ritenere, mediante procedimento inferenziale, che l’operazione non sia stata posta in essere dal soggetto che risulta documentalmente.

Sotto tale profilo, costituisce valido elemento indiziario la circostanza che il cedente o prestatore del servizio, che ha emesso la fattura, sia privo di idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), posto che è ragionevole inferire che dalla suddetta mancanza degli elementi essenziali per potere operare quale operatore commerciale possa farsi discendere la considerazione conclusiva della mancata realizzazione dell’operazione indicata in fattura da parte del soggetto emittente (cfr., in materia di prova della natura di società cartiera, Cass. civ., 20 aprile 2018, n. 9851, punto 6.8).

4.3. L’amministrazione finanziaria deve inoltre provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, che non si sostanzia nella prova della partecipazione del soggetto all’accordo criminoso né nella prova della sua piena consapevolezza della frode, ma solo che il contribuente “sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale”.

In altri termini, non è richiesta la dimostrazione di un puntuale elemento volitivo o, anche, la coscienza e volontà della partecipazione e/o dell’esistenza della frode ma l’osservanza di un parametro di diligenza rapportato alla professionalità richiesta per l’attività svolta e al contesto (in linea con la Corte di giustizia si precisa che egli “disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente”).

Una volta accertato che l’amministrazione finanziaria ha assolto il proprio onere probatorio, questo si sposta sul contribuente che deve dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, ovvero che l’operazione è effettivamente intercorsa tra i soggetti risultanti dalla fattura, con la precisazione però che non è sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.

Al contribuente che non riesca a fornire tale prova, per non essere coinvolto in una tale situazione e, quindi, per poter contabilizzare la fattura relativa all’operazione contestata, non rimane altra via che quella di provare di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale messa in atto dal oggetto emittente la fattura, e ciò deve fare dimostrando di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto.

4.4. Principi, questi appena ricordati, a cui si sono scrupolosamente attenuti i giudici di appello con la conseguenza che il motivo in esame risulta manifestamente infondato anche con riferimento alla violazione dell’art. 2697 cod. civ. in tema di corretta attribuzione dell’onere probatorio (arg. da Cass. n. 17313/2020; Cass. n. 26739/2024).

4.5. Invero, quanto al profilo della prova dell’inesistenza soggettiva delle operazioni, gravante sull’amministrazione finanziaria ed assolvibile anche mediante l’indicazione di elementi indiziari, nel caso di specie la CTR ha correttamente valorizzato le seguenti circostanze: che “la F.L.D. dalle visure camerali risultava essere operatrice nel settore del commercio all’ingrosso di legnami e semilavorati in legno, fili di rame e materiali edili, settore del tutto estraneo e diverso dal commercio delle materie plastiche che riguarda la odierna appellante”; che “la società A.T. rappresentata da un soggetto invalido al 75%, era di fatto gestita da tale Al.Gi. la cui attività era di “ricerche di mercato e sondaggi di opinioni””; che “l’Al.Gi. fatturava alla odierna appellante prima ancora di acquistare la merce stessa, in quanto non avendo struttura imprenditoriale era la stessa acquirente a fornirgli la provvista per effettuare l’acquisto della merce all’estero senza applicazione dell’Iva per effetto della normativa sugli acquisti comunitari o in sospensione di imposta”.

4.6. Quelli sopra elencati sono circostanze che erano a conoscenza della società contribuente per avere effettuato le visure camerali delle predette società, come dalla stessa ammesso, e che dovevano condurla a ritenere, mediante procedimento inferenziale, che le operazioni commerciali non venivano poste in essere dai soggetti che risultavano documentalmente.

4.7. Il che rende irrilevante che i giudici di appello abbiano fatto riferimento ad ulteriori elementi circostanziali non emergenti dalle risultanze processuali, come dedotto nel primo motivo di ricorso.

5. Con il terzo motivo di ricorso viene dedotto il “vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (congruità dei prezzi praticati dai fornitori di F. Srl rispetto a quelli di mercato) che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

5.1. Sostiene la ricorrente che “la sentenza ha omesso completamente di esaminare una circostanza dirimente e decisiva ai fini del giudizio, che è stata sollevata dalla ricorrente sin dal primo grado di giudizio, ossia la (dimostrata) adeguatezza dei prezzi praticati dai fornitori di F. Srl rispetto a quelli di mercato”.

5.2. Il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza della questione posta nel motivo giacché, una volta accertata, come nella specie, l’inesistenza soggettiva delle operazioni commerciali, non assume carattere decisivo che l’acquisto delle merci sia avvenuto ad un prezzo inferiore a quello di mercato, che può costituire soltanto un ulteriore indice del carattere fraudolento dell’operazione commerciale, in quanto il guadagno si concretizza nel risparmio d’imposta a monte delle operazioni di cessione.

5.3. Il motivo va, pertanto, rigettato.

6. Resta da esaminare la questione posta dalla ricorrente nella memoria con riferimento all’intervenuta pronuncia di assoluzione del legale rappresentante della società contribuente dai reati fiscali contestagli con riferimento anche ai fatti oggetto del presente giudizio con sentenza divenuta irrevocabile, a dire della ricorrente rilevante ai fini dello scrutinio dei motivi di ricorso.

6.1. Va preliminarmente premesso che, a prescindere da ogni considerazione circa la portata applicativa dell’art. 21-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000 (introdotto dall’art. 1 del D.Lgs. n. 87 del 2024), la disposizione in esame è inapplicabile al caso di specie in quanto con la stessa si attribuisce efficacia di giudicato nel giudizio tributario alle sole sentenze penali irrevocabili di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso.

6.2. Va, quindi, ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale, “In caso di operazioni soggettivamente inesistenti incluse in una frode carosello, il giudice tributario, nel verificare se il contribuente fosse consapevole dell’inserimento dell’operazione in un’evasione di imposta, non può riferirsi alle sole risultanze del processo penale, ancorché riguardanti i medesimi fatti, ma, nell’esercizio dei suoi poteri, è tenuto a valutare tali circostanze sulla base del complessivo materiale probatorio acquisito nel giudizio tributario, non potendo attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile su reati tributari alcuna automatica autorità di cosa giudicata, attesa l’autonomia dei due giudizi, la diversità dei mezzi di prova acquisibili e dei criteri di valutazione” (Cass. n. 27814 del 04/12/2020, Rv. 659817 – 01).

6.3. Si è affermato al riguardo che “In materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dall’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546 del 1992, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna; ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie, ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli elementi di prova acquisiti al giudizio” (Cass. n. 28174 del 24/11/2017, Rv. 646971 – 01).

6.4. Nella memoria la ricorrente sostiene che il giudice penale aveva escluso la consapevolezza, o comunque la colpevole ignoranza, del Fr.Gi., della natura di cartiere delle società da cui si riforniva non ritenendo dirimente a tal fine il fatto che il Fr.Gi. si fosse rivolto, per ottenere la fornitura del materiale plastico, a canali nazionali anziché a quelli extraeuropei cui si rivolgeva tradizionalmente e dai quali, a loro volta, si rifornivano i suoi venditori, ed il presunto sottocosto a cui la Società acquistava la merce quando gli veniva fornita dalle cartiere, notevolmente inferiore rispetto al prezzo che avrebbe dovuto pagare se si fosse rivolta alle società produttrici straniere.

6.5. Premesso che la stessa sentenza penale conferma la natura di cartiere delle società con cui la F. Srl ha intrattenuto rapporti commerciali, quello che verrebbe in rilievo è solo ed esclusivamente la consapevolezza della stessa di essere coinvolta in un meccanismo fraudolento, ma, per come si è detto esaminando i motivi di ricorso, la stessa emerge da circostanze del tutto diverse da quelle prese in esame dal giudice penale.

7. In estrema sintesi, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.