CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, Ordinanza n. 29024 dell’ 11 novembre 2024
Tributi – Esercente attività di “agenzie ed agenti o procuratori per lo spettacolo e lo sport” – Notifica avviso di accertamento – Imposte dirette – Maggior reddito d’impresa – Maggiori operazioni imponibili non dichiarate – IVA – Rigetto
Rilevato che
1. In data 06/12/2018 Ma.Ma., esercente attività di “agenzie ed agenti o procuratori per lo spettacolo e lo sport”, riceveva notifica dell’avviso di accertamento n. (…), con il quale l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Roma accertava, per l’anno 2013, ai fini imposte dirette un maggior reddito d’impresa pari a Euro 172.026,00 e, ai fini IVA, un’imposta dovuta di Euro 12.909,00 sulle maggiori operazioni imponibili non dichiarate pari a Euro 60.596,00.
In particolare, i maggiori ricavi erano emersi a seguito di una verifica fiscale eseguita nell’anno 2015, durante la quale erano state acquisite alcune fatture emesse nel medesimo anno ma di competenza degli anni 2013 e 2014; quindi, ai sensi degli artt. 55 e seguenti del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), quei ricavi avrebbero dovuto essere dichiarati nell’anno d’imposta 2013.
2. Avverso tale avviso proponeva ricorso il contribuente dinanzi alla C.t.p. di Roma; si costituiva in giudizio anche l’Ufficio, chiedendo la conferma del proprio operato.
3. La C.t.p., con sentenza n. 3470/03/2020, rigettava integralmente il ricorso del contribuente.
4. Contro tale decisione proponeva appello il contribuente dinanzi la C.t.r. del Lazio; si costituiva anche l’Agenzia delle Entrate, chiedendo la conferma di quanto statuito in primo grado.
5. Con sentenza n. 729/15/2023, depositata in data 14 febbraio 2023, la C.t.r. adita rigettava l’appello del contribuente.
6. Avverso la sentenza della C.t.r. del Lazio, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a un solo motivo e l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
7. Sul ricorso, ritenuto infondato, veniva effettuata proposta di definizione anticipata ex art. 380 bis. cod. proc. civ.; quest’ultima veniva comunicata alle parti in data 9 aprile 2024 e la contribuente presentava istanza di opposizione alla stessa in data 19 maggio 2024 chiedendo, a norma dell’art. 380 bis, secondo comma cit., di decidere la causa.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 19 settembre 2024 per la quale la contribuente ha depositato memoria.
Considerato che
1. Con l’unico motivo di ricorso, così rubricato: “Sulla quaestio iuris afferente alla violazione e falsa applicazione, da una parte, dell’art. 1458 cod. civ. in materia di risoluzione per inadempimento e, dall’altra, degli artt. 55 e ss. del TUIR per quanto attiene alla determinazione del reddito di esercizio, ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.” il contribuente lamenta l’error in iudicando e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha rigettato la domanda sulla quaestio iuris afferente alla violazione e falsa applicazione, da una parte, dell’art. 1458 c.c. in materia di risoluzione per inadempimento e, dall’altra, degli artt. 55 e ss. del TUIR per quanto alla determinazione del reddito di esercizio da parte ricorrente.
2. Il motivo è inammissibile oltre che infondato.
A tacer del fatto della genericità della sua formulazione, esso mira ad ottenere una rivalutazione dei fatti storici della causa perché la complessiva censura si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consone ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità.
Il ricorrente, infatti, ha riproposto doglianze già esaminate e rigettate dai giudici del merito, che hanno ritenuto che l’ufficio avesse prodotto in giudizio la scrittura privata transattiva, datata 29/08/2013, sottoscritta dalle parti, dimostrando il suo perfezionamento e la sua esecuzione; a tal proposito l’ufficio aveva evidenziato come, nel caso di specie, non risultava che le parti avessero convenuto espressamente la risoluzione dell’accordo transattivo e tantomeno che la parte interessata avesse dichiarato all’altra parte l’intenzione di avvalersi della clausola risolutiva.
2.1. Di poi, nella fattispecie in esame, la C.g.t. di secondo grado aveva affermato che “dall’esame della vagliata documentazione non si evince alcun motivo per ritenere decaduto l’accordo transattivo.
Le fatture sono state emesse dall’odierno appellante e fanno esplicito riferimento alla scrittura privata; i pagamenti sono stati eseguiti per gli importi convenuti, corrispondenti alle fatture emesse, e non in misura inferiore così come erroneamente viene riportato nell’atto di appello; ed anche i ritardi dei pagamenti non sono così gravi come erroneamente rappresentato.
Né, in ogni caso, nell’anno 2013 l’appellante poteva prevedere che l’accordo non sarebbe stato rispettato; aveva comunque l’onere, nel rispetto del principio di competenza previsto dagli artt. 55 e seguenti del D.P.R. n. 917/1986, di contabilizzare per intero il ricavo di Euro 15.000,00 convenuto nell’accordo transattivo salvo, poi, contabilizzare negli anni successivi le eventuali minusvalenze o perdite su crediti”.
2.2. Infine, poiché risultava che, pur non rispettando sempre esattamente le date convenute, le parti avessero sempre adempiuto agli impegni assunti, e che l’odierno ricorrente aveva sempre riscosso gli importi corrisposti ed emesso le relative fatture, in applicazione del principio di competenza, in presenza di accordo transattivo, gli importi da esso derivanti dovevano essere imputati al periodo di sottoscrizione dello stesso, non assumendo rilevanza i relativi flussi finanziari (cfr. Cass. 12/07/2018, n. 8401; Cass. 28/04/2014, n. 9317).
3. In conclusione, il ricorso va rigettato.
4. Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
5. Il contribuente deve essere anche condannato al pagamento di somme – liquidate in dispositivo – in favore della controricorrente, ai sensi del combinato disposto dagli artt. 380 bis, terzo comma, e 96, terzo comma, cod. proc. civ., nonché della cassa delle ammende, ai sensi del combinato disposto degli artt. 380 bis, terzo comma, e 96, quarto comma, cod. proc. civ.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in Euro 5.800,00 oltre spese prenotate a debito nonché al pagamento dell’ulteriore somma pari ad Euro 2.900,00, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.
Condanna, inoltre, il ricorrente al versamento di Euro 500,00 in favore della cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis del medesimo art. 13, se dovuto.