CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, Ordinanza n. 29732 depositata il 19 novembre 2024
Tributi – Provvedimento di classamento – Procedura DOCFA – Rettifica rendita catastale immobile – Rigetto
Fatti di causa
Sa.Vi. propone ricorso, affidato a sei motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale della Campania aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 5808/2014, emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Salerno in accoglimento del ricorso proposto avverso provvedimento di classamento, effettuato a seguito di denuncia di variazione proposta dal contribuente con procedura DOCFA in data 20.3.2013, con cui era stata rettificata, in aumento, la rendita catastale dell’immobile di sua proprietà.
Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 324 cod. proc. civ. e dell’art. 2909 cod. civ. per avere la Commissione tributaria regionale omesso di valutare l’efficacia di giudicato esterno della sentenza n. 424/2006, emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Salerno, “avente ad oggetto la procedura DOCFA presentata in data 2 aprile 2003, a seguito di modificazione di destinazione d’uso dell’immobile (trasformazione di una unità immobiliare da servizi igienici a corredo dell’attività turistico ricettiva a civile abitazione) relativa alla stessa unità immobiliare oggetto del DOCFA inoltrato in data 20 marzo 2013, quest’ultima ha motivata dall’ampliamento – ristrutturazione del predetto manufatto”.
1.2. La doglianza è infondata.
1.3. L’oggetto della presente controversia non può, invero, ritenersi identico a quello del giudizio definito con la sentenza della CTP di Salerno 424/2006, e, come tale, costituente giudicato esterno.
1.4. Infatti, come emerge dalle stesse difese del contribuente, tra i due giudizi vi è identità di parti e di immobile della cui rendita si discute, ma sono del tutto distinti gli atti impositivi impugnati, il primo dei quali emesso su richiesta della prima proposta di attribuzione di rendita catastale, il secondo emesso invece su una successiva richiesta di modifica della rendita attribuita dall’Agenzia delle entrate con il primo atto impositivo, sul diverso presupposto dell’intervenuto ampliamento-ristrutturazione dell’immobile.
2.1. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, costituito dall’avere l’Agenzia delle entrate determinato la variazione della rendita catastale, “in mancanza di dati storici di riferimento della Zona”, secondo il metodo del “costo di riproduzione deprezzato”, nonostante “la presenza del dato storico specifico costituito…(ndr. dalla sentenza della Commissione tributaria provinciale di Salerno n. 424/2006)… relativa al villaggio turistico oggetto di valutazione”.
2.2. La doglianza va parimenti disattesa in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, avendo la Commissione tributaria regionale affermato, al riguardo, quanto segue: “Risulta corretta la determinazione della rendita effettuata, applicando il saggio di capitalizzazione del 2% ai valori unitari degli immobili come determinati dall’Ufficio e non contestati dal contribuente”.
2.3. La mancata contestazione da parte del ricorrente circa i criteri di stima applicati dall’Ufficio rende, quindi, inammissibili le censure formulate con il secondo motivo di gravame, in quanto da ritenersi questioni nuove, mai formulate in precedenza, nei gradi di merito.
3.1. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 2697, comma 1, cod. civ. per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto legittima la rettifica, in aumento, della rendita catastale in funzione della piscina, di cui sarebbe stato dotato l’immobile, sebbene l’Ufficio non ne avesse fornito la relativa prova, e ponendo a carico del contribuente tale onere.
3.2. La censura va parimenti disattesa.
3.3. Nelle controversie riguardanti la verifica dell’attendibilità del provvedimento di classamento, emesso dall’Amministrazione in rettifica di quello proposto dal contribuente, a seguito di lavori di ristrutturazione di un immobile e a mezzo della procedura DOCFA di cui al D.M. Finanze 19 aprile 1994, n. 701, l’onere di provare nel contraddittorio con il contribuente gli elementi di fatto giustificativi della propria pretesa, nel quadro del parametro prescelto, spetta alla stessa Amministrazione, salva comunque la facoltà del contribuente di assumere su di sé l’onere di dimostrare l’infondatezza della pretesa di maggiore rendita catastale, avvalendosi dei criteri astratti utilizzabili per l’accertamento del classamento o del concreto raffronto con le unità immobiliari presenti nella stessa zona censuaria in cui è collocato l’immobile, al che consegue che il giudice del merito, dovendo verificare se la categoria e la classe attribuite all’immobile risultino adeguate secondo i dati presenti nella motivazione dell’atto, non può trarre tale prova positiva dall’insuccesso dell’onere probatorio assunto dal contribuente, in difetto dell’assolvimento dell’onere della prova posto a carico dell’Ufficio.
3.4. Ciò posto, nella sentenza di primo grado, trascritta in ricorso, i Giudici, accogliendo le difese del contribuente, avevano rilevato che l’Ufficio aveva erroneamente ritenuto trattarsi di una piscina, che era invece “una semplice vasca di raccolta di acqua”.
3.4. La Commissione tributaria regionale, nel riformare la sentenza di primo grado, ha affermato quanto segue: «… il tecnico…(ndr. di parte) … ha contestato l’esistenza della piscina poiché “negli elaborati grafici non si nota alcuna piscina”.
Affermazione che non può escludere l’esistenza della piscina.
Nessuna fotografia è stata prodotta dal contribuente al fine di documentare la presenza di una vasca di raccolta delle acque il luogo della piscina».
3.5. Da quanto esposto, consegue che la censura formulata dal ricorrente è inammissibile, a fronte di un accertamento in fatto dei Giudici del gravame – insindacabile nella presente sede se non nei limiti del vizio motivazionale, nella fattispecie neppure dedotto – circa la raggiunta prova in merito all’esistenza della contestata piscina, il che esclude che la Commissione tributaria regionale abbia erroneamente posto a carico della parte contribuente l’onere di provare gli elementi posti dall’Ufficio alla base della pretesa nei suoi confronti.
4.1. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 2697, comma 1, cod. civ. per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto corretto l’importo della rendita catastale determinato dall’Agenzia del Territorio “senza aver avuto … a disposizione i dati di mercato utilizzati dall’Ufficio quale elemento paradigmatico”.
4.2. La doglianza è infondata sulla scorta di quanto già illustrato con riguardo al secondo motivo di ricorso, avendo la Commissione tributaria regionale evidenziato che il contribuente non aveva contestato i criteri di calcolo della rendita catastale, utilizzati dall’Ufficio, il che rende inammissibile ogni ulteriore censura formulata nella presente sede.
5.1. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 7 della legge n. 212/2000, per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto adeguatamente motivato l’atto impugnato relativamente all’esistenza di una piscina nell’immobile, sebbene l’Ufficio non avesse indicato “quale fosse l’atto da cui poter evincere l’esistenza della piscina, né lo (aveva). prodotto a norma della disposizione in disamina”.
5.2 La censura va parimenti disattesa, in quanto, la motivazione dell’avviso di accertamento o di rettifica, presidiata dall’art. 7 della legge 27 luglio 2002, n. 212, ha la funzione di delimitare l’ambito delle contestazioni proponibili dall’Ufficio nel successivo giudizio di merito e di mettere il contribuente in grado di conoscere l’an ed il quantum della pretesa tributaria al fine di approntare una idonea difesa, sicché il corrispondente obbligo deve ritenersi assolto con l’enunciazione dei presupposti adottati e delle relative risultanze, mentre le questioni attinenti all’idoneità del criterio applicato in concreto attengono al diverso piano della prova della pretesa tributaria (cfr. Cass. n. 9810 del 2014).
5.3. Dalle stesse difese del contribuente emerge, quindi, che l’Agenzia delle entrate ha indicato con precisione gli elementi (tra i quali, la presenza della citata piscina), da cui ha dedotto la necessità di un aumento della rendita catastale dell’immobile del ricorrente.
6. Il sesto motivo, con cui si lamenta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’erroneità della sentenza impugnata ex art. 91 cod. proc. civ. in ordine alla condanna alle spese di lite dell’odierno ricorrente, è parimenti infondato essendo state correttamente poste a suo carico, in quanto soccombente.
7. Sulla scorta di quanto sin illustrato il ricorso va quindi rigettato.
8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.