CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, Ordinanza n. 29823 depositata il 19 novembre 2024

Tributi – Avviso di accertamento – Rettifica di rendita – Procedura DOCFA – Edifici adibiti al culto pubblico – Esenzione dalla dichiarazione in catasto – Accoglimento

Rilevato che

1. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Puglia il 17 febbraio 2017, n. 498/06/2017, la quale, in controversia su impugnazione di avviso di accertamento n. (…)/2013 per rettifica di rendita (da Euro 0 ad Euro 62.436,60) a seguito di procedura “DOCFA” in base a dichiarazione di variazione del 17 ottobre 2012 (all’esito di ristrutturazione, frazionamento e fusione), in relazione ad un fabbricato sito in B alla Via (…) s.n., adibito a culto pubblico e censito in catasto in categoria E/7 con le particelle (…) sub. (…) e (…) sub. (…) (graffate) del folio 18, del quale la “Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova” era proprietaria, ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti della “Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova” avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Bari il 30 dicembre 2014, n. 3451/08/2014, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali.

2. Il giudice di appello ha confermato la decisione di prime cure – che aveva accolto il ricorso originario – sul presupposto che gli edifici adibiti al culto pubblico non sono produttivi di rendita, salvo che nel caso di locazione.

3. La “Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova” ha resistito con controricorso.

4. Premesso che, «nelle more della fissazione (dell’) udienza del presente procedimento, sono stati iscritti e dunque risultano pendenti ben 15 procedimenti relativi alla medesima fattispecie e aventi lo stesso oggetto, per i quali si è in attesa di fissazione udienza», la controricorrente ha chiesto la trattazione della causa in pubblica udienza al fine «di illustrare compiutamente a codesta Ecc.ma Corte le questioni di diritto implicate, in particolare riferite alla corretta interpretazione da dare alla normativa catastale tuttora vigente per quanto riguarda l’iscrizione degli immobili in E/7, considerato che sulla questione non vi è un indirizzo costante e consolidato né da parte dell’Agenzia Entrate né dei giudici di merito chiamati a pronunciarsi sulla questione».

5. In prossimità dell’adunanza camerale, la stessa ha depositato memoria illustrativa.

Considerato che

1. Il ricorso è affidato ad un unico motivo, col quale si denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 36, comma 3, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e 6 del r.d.l. 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che: «È evidente l’illegittimità del provvedimento, atteso che, da un lato, l’Ufficio lasciando inalterata la categoria E/7, non contesta la natura di edificio adibito al culto dell’intero compendio immobiliare (comprendendo le pertinenze casa canonica, locale degli ospiti, area parcheggio, gazebo, distribuzione acqua, depositi, vasca e depuratore) dall’altro, senza alcuna valida ed apparente motivazione, attribuisce all’intero una rendita al di fuori delle ipotesi previste dalla legge.

Infatti, ai sensi della predetta norma, tali edifici si considerano produttivi di rendita solo se oggetto di locazione, circostanza che nella specie pacificamente non ricorre»; laddove «l’unità immobiliare di cui trattasi è stata accatastata dalla parte; l’Ufficio, confermando la categoria E/7, all’unità immobiliare de quo ha attribuito una rendita in quanto non sussiste alcuna relazione tra la rendita catastale e un’eventuale esenzione di imposizione: la rendita non costituisce un’imposta».

2. Preliminarmente, si deve disattendere l’istanza di trattazione della causa in pubblica udienza.

2.1 In adesione all’indirizzo espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Cass., Sez. Un., 5 giugno 2018, n. 14437 – nello stesso senso, da ultime: Cass., Sez. 5ª, 6 settembre 2024, nn. 24033, 24042 e 24050; Cass., Sez. 5ª, 15 ottobre 2024, n. 26807), e non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass., Sez. Un., 23 aprile 2020, n. 8093 – nello stesso senso, da ultime: Cass., Sez. 5ª, 6 settembre 2024, nn. 24033, 24042 e 24050; Cass., Sez. 5ª, 15 ottobre 2024, n. 26807).

2.2 In particolare, la sede dell’adunanza camerale non è incompatibile, di per sé, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce il proprio contributo (Cass., Sez. 5ª, 5 marzo 2021, n. 6118; Cass., Sez. 5ª, 30 marzo 2021, n. 8757; Cass., Sez. 6ª-5, 13 giugno 2022, n. 18948; Cass., Sez. 6ª-5, 20 giugno 2022, nn. 19761 e 19764); per cui, tenendo anche conto della non eccessiva complessità della questione, la controversia può essere esaminata in camera di consiglio.

3. Per il resto, si devono disattendere le opposte eccezioni di inammissibilità, dal momento che, per un verso, l’illegittimità dell’atto impositivo su cui si sarebbe formato il giudicato attiene proprio alla contestata attribuzione della rendita al fabbricato classificato in categoria E/7; per altro verso, l’autosufficienza del ricorso è assicurata dalla adeguata censura della sentenza impugnata in relazione all’asserita esenzione dall’attribuzione di rendita per i fabbricati adibiti al culto pubblico.

4. Ciò premesso, il motivo è fondato.

4.1 Con specifico riferimento ai fabbricati in questione, si osserva che per tale tipologia di bene non sussiste l’obbligo della dichiarazione in catasto, a norma dell’art. 6, comma 3, lett. c, del r.d.l. 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249 (secondo cui: «3. Non sono soggetti a dichiarazione: […] c) i fabbricati destinati all’esercizio dei culti;»).

4.2 Tale esclusione è stata confermata dall’art. 8, seconda parte, del regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano di cui al D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142 (a tenore del quale: «Parimenti non si classificano le unità immobiliari che, per la singolarità delle loro caratteristiche, non siano raggruppabili in classi, quali […] fabbricati destinati all’esercizio pubblico del culto […], e simili»).

4.2 In linea generale, in base all’Istruzione II° emanata dal Ministero delle Finanze il 24 maggio 1942, sono censibili nella categoria E/7, qualora dichiarati al catasto edilizio urbano per eventuali esigenze di natura civilistica, gli edifici o porzioni di edifici destinati all’esercizio pubblico dei culti, quali le chiese, i santuari, le cappelle (ecc.), nonché i templi di ogni confessione religiosa, comprese le sacrestie e gli altri locali incorporati alle chiese ed ai templi, se funzionali alla custodia di ciò che, direttamente o indirettamente, serve all’esercizio dei culti o al trattenimento dei ministri del culto per i loro esercizi spirituali, con esclusione delle abitazioni e delle altre destinazioni non strettamente connesse.

4.3 Peraltro, come è stato evidenziato con la nota trasmessa dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Servizi Catastali Cartografici e di Pubblicità Immobiliare il 25 maggio 2018, prot. n. 105363, l’art. 1, commi 2 e 3, del D.M. 19 aprile 1994, n. 701, ha stabilito che «le dichiarazioni per l’accertamento delle unità immobiliari urbane di nuova costruzione, di cui all’art. 56 del regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 1 dicembre 1949, n. 1142, e le dichiarazioni di variazione dello stato dei beni, di cui all’art. 20 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, come sostituito dall’art. 2 del decreto legislativo 8 aprile 1948, n. 514», «2. […] sono sottoscritte da uno dei soggetti che ha la titolarità di diritti reali sui beni denunciati e dal tecnico redattore degli atti grafici di cui sia prevista l’allegazione e contengono dati e notizie tali da consentire l’iscrizione in catasto con attribuzione di rendita catastale, senza visita di sopralluogo.

Il dichiarante propone anche l’attribuzione della categoria, classe e relativa rendita catastale, per le unità a destinazione ordinaria, o l’attribuzione della categoria e della rendita, per le unità a destinazione speciale o particolare.

Nelle stesse dichiarazioni sono riportati, per ciascuna unità immobiliare, i dati di superficie, espressi in metri quadrati, in conformità alle istruzioni dettate con il provvedimento di cui al comma 1. 3. Tale rendita rimane negli atti catastali come “rendita proposta” fino a quando l’ufficio non provvede con mezzi di accertamento informatici o tradizionali, anche a campione, e comunque entro dodici mesi dalla data di presentazione delle dichiarazioni di cui al comma 1, alla determinazione della rendita catastale definitiva».

4.4 La circolare emanata dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Servizi Catastali Cartografici e di Pubblicità Immobiliare il 24 aprile 2001, prot. n. 20779, ha precisato, inoltre, che gli immobili in argomento «possono essere accertati catastalmente […] ed essere inquadrati nella categoria E/7 – qualora ve ne siano i presupposti e limitatamente a quelle parti dei locali in cui viene esercitato il culto stesso […] con contestuale attribuzione di rendita».

4.5 Aggiungasi che l’art. 3, comma 2, del D.M. 2 gennaio 1998, n. 28, non ha ricompreso gli edifici destinati al culto pubblico tra le unità che si possono iscrivere in catasto senza attribuzione di rendita (essendovi elencati soltanto «[…] i seguenti immobili:

a) fabbricati o loro porzioni in corso di costruzione o di definizione;

b) costruzioni inidonee ad utilizzazioni produttive di reddito, a causa dell’accentuato livello di degrado;

c) lastrici solari;

d) aree urbane»).

4.6 Ancora, la nota trasmessa dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Servizi Catastali Cartografici e di Pubblicità Immobiliare il 25 maggio 2018, prot. n. 105363, ha aggiunto che: «Pertanto, sotto il profilo strettamente catastale, si ritiene che ad ogni unità immobiliare urbana, se dichiarata, deve essere comunque associata una rendita ordinaria che, in considerazione della richiamata esenzione stabilita dal citato art. 36 e dalle norme connesse alle attività impositive dei Comuni, non è opportuno sia sottoposta a rettifica, sempreché la relativa quantificazione sia stata individuata secondo criteri di ragionevolezza, sulla base delle regole dell’estimo catastale.

In conclusione, appare utile ribadire che per gli immobili in questione rimane in capo ai soggetti interessati, per eventuali esigenze di natura civilistica, la facoltà di dichiarazione in categoria E/7, associando all’immobile una propria redditività».

4.7 Ciò posto, secondo un costante orientamento, a cui il collegio ritiene di dare continuità in questa sede, non essendo state prospettate ragioni idonee a giustificare un eventuale revirement, non sussiste alcuna relazione tra rendita catastale attribuita ed esenzione dall’imposizione riconosciuta ad un edificio per la sua specifica destinazione d’uso, in quanto, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, la rendita catastale non costituisce un’imposta né un presupposto d’imposta (Cass., Sez. 5ª, 7 giugno 2006, n. 13319; Cass., Sez. 6ª-5, 19 febbraio 2015, n. 3354; Cass., Sez. 5ª, 12 ottobre 2016, n. 20537).

Per cui, l’attribuzione della rendita non esclude che l’ente possa beneficiare dell’esenzione da un tributo in relazione alla speciale destinazione dell’immobile censito in catasto.

4.8 In tal senso, l’art. 36, comma 3, prima parte, del D.Lgs. 22 dicembre 1986, n. 917, secondo cui: «Non si considerano produttive di reddito, se non sono oggetto di locazione, le unità immobiliari destinate esclusivamente all’esercizio del culto», deve essere riferito al reddito costituente il presupposto delle imposte dirette, non avendo alcuna attinenza con la rendita.

La dicotomia tra le nozioni di reddito e rendita è evidenziata anche dall’art. 25, comma 1, del D.Lgs. 22 dicembre 1986, n. 917, che definisce i redditi fondiari come «quelli inerenti ai terreni e ai fabbricati situati nel territorio dello Stato che sono o devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto dei terreni o nel catasto edilizio urbano».

4.9 Ne discende che gli edifici adibiti al culto pubblico sono esentati dalla dichiarazione in catasto, ma, nel caso di inserimento o aggiornamento del classamento, soggiacciono sempre all’attribuzione di una rendita, sia pure a soli fini statistico-inventariali.

4.10 In conclusione, per una più agevole intelligibilità della questione, il collegio ritiene di dover formulare il seguente principio di diritto: «In materia di catasto, gli artt. 6, comma 3, lett. c, del r.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, e 8, seconda parte, del regolamento di cui al D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, escludono, in linea di principio, l’obbligo della dichiarazione in catasto per gli edifici adibiti al culto pubblico, ferma restando la facoltatività di tale opzione; in tale eventualità, posto che i predetti edifici non rientrano tra gli immobili iscrivibili in catasto senza attribuzione di rendita di cui all’art. 3, comma 2, del D.M. 2 gennaio 1998, n. 28, la dichiarazione per l’accertamento di immobili urbani di nuova costruzione (ex art. 56 del regolamento di cui al D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142), ovvero la dichiarazione di variazione (ex art. 20 del r.d.l. 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, come sostituito dall’art. 2 del D.Lgs. 8 aprile 1948, n. 514), devono contenere la proposta di attribuzione della categoria e della rendita (in quanto unità a “destinazione particolare”) e sono soggette al controllo dell’amministrazione finanziaria anche in vista della determinazione, seppure a soli fini statistico-inventariali, della rendita definitiva, ai sensi dell’art. 1, commi 2 e 3, del D.M. 19 aprile 1994, n. 701».

5. Alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, valutandosi la fondatezza del motivo dedotto, il ricorso può trovare accoglimento e la sentenza impugnata deve essere cassata; non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, primo comma, ultima parte, cod. proc. civ., con il rigetto del ricorso originario della contribuente e la conferma dell’avviso di accertamento.

6. La novità della questione controversa, sulla quale non si registrano precedenti specifici di questa Corte, giustifica la compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario;

compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.