CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, Ordinanza n. 29830 depositata il 19 novembre 2024

Tributi – Classamento catastale – Impianti di risalita – Pubblico servizio del trasporto universale – Attività commerciale – Attività ludico sportive – Rigetto

Fatti di causa

1. La Società Funivie M.D.C. Spa ha impugnato, con distinti ricorsi, gli atti di classamento con cui l’Ufficio del Catasto di Tione ha ricondotto gli impianti di risalita, le relative stazioni, le cabine elettriche, gli impianti di innevamento nella categoria D/8, con attribuzione della rendita.

2. I ricorsi riuniti sono stati accolti in primo grado, ma respinti all’esito dell’appello.

La Commissione tributaria di secondo grado ha escluso che gli impianti in esame, strumentali non al collegamento dei centri abitati, ma alla pratica di sport invernali, a servizio di una limitata categoria di utenti, possano essere qualificate quali stazioni per servizi di trasporto e, quindi, classificate nella categoria catastale E, richiamando anche l’orientamento della Suprema Corte e della Commissione Europea.

3. Avverso la sentenza di secondo grado la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione.

4.Si è costituita con controricorso la Provincia.

5.Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Deve, però, rilevarsi che la memoria della controricorrente è stata depositata nella giornata di sabato 12 ottobre 2024 ed è, quindi, tardiva.

Al presente procedimento si applica, difatti, l’art. 378, secondo comma, cod. proc. civ., come modificato dal D.Lgs. n. 149 del 2022, ai sensi del quale le parti possono depositare sintetiche memorie illustrative non oltre dieci giorni prima dell’udienza (e non l’art. 378 cod. proc. civ., nella versione anteriore alla novella, ai sensi del quale le parti possono presentare le loro memorie in cancelleria non oltre cinque giorni prima dell’udienza).

Difatti, l’art. 35, comma 6, del D.Lgs. n. 149 del 2022 ha disposto che l’art. 378 cod. proc. civ., come modificato, si applica anche ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio.

Nel caso di specie, come risulta dall’avviso, l’adunanza è stata fissata a luglio 2024, precisandosi, peraltro, l’applicazione del termine di cui all’art. 378 cod. proc. civ. nella nuova versione.

La memoria avrebbe dovuto, quindi, essere depositata entro la data 11 ottobre 2024 (venerdì), essendo il termine libero a ritroso di dieci giorni prima dell’udienza del 23 ottobre 2024 prorogato al primo giorno non festivo, diverso dal sabato e dalla domenica, e, cioè, al venerdì 11 ottobre 2024.

Come già chiarito da questa Corte, l’art. 155, quarto e quinto comma, cod. proc. civ., diretto a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada in un giorno festivo o nella giornata di sabato, opera anche con riguardo ai termini che si computano a ritroso ovvero contraddistinti dall’assegnazione di un intervallo di tempo minimo prima del quale deve essere compiuta una determinata attività: tale operatività deve, però, correlarsi alle caratteristiche proprie di siffatto tipo di termine, producendo il risultato di individuare il dies ad quem dello stesso nel giorno non festivo cronologicamente precedente rispetto a quello di scadenza in quanto, altrimenti, si produrrebbe l’effetto contrario di una abbreviazione dell’intervallo, in pregiudizio per le esigenze garantite dalla previsione del termine medesimo (così, per tutte, Cass., Sez. 6-2, 14 settembre 2017, n. 21335, che, essendo stata fissata la camera di consiglio per il 3 marzo 2017 e scadendo, pertanto, il termine ex art. 380-bis, comma 2, c.p.c., nuova formulazione, di domenica 26 febbraio 2017, ha ritenuto tardivo il deposito delle memorie contemplate da tale norma avvenuto di lunedì 27 febbraio 2017, giacché il detto termine doveva intendersi prorogato a ritroso al venerdì 24 febbraio 2017).

6. La causa è stata decisa all’adunanza camerale del 23 ottobre 2024.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo la società contribuente ha dedotto, previa trascrizione degli atti processuali (in particolare del ricorso introduttivo e delle controdeduzioni in appello, nei punti riferiti all’eccezione in esame), oltre che dell’avviso impugnato, la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 112 cod. proc. civ., per l’omessa pronuncia sul dedotto difetto di motivazione del provvedimento di classamento.

Il motivo non può essere accolto, in quanto la sentenza impugnata ha superato implicitamente l’eccezione avente ad oggetto la carente motivazione dell’avviso impugnato.

Difatti, la ritenuta legittimità formale e, quindi, l’esaustività della motivazione dell’avviso costituisce l’implicito presupposto della verifica della sua legittimità sostanziale e, cioè della correttezza della classificazione.

Va ribadito che è configurabile la decisione implicita di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio) quando queste risultino superate e travolte, benché non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza.

Ne consegue che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività (tra le molte, Cass., Sez., 3 8 maggio 2023, n. 12131).

Solo per completezza va ricordato l’orientamento di questa Corte, secondo cui, ai fini della motivazione dell’avviso di classificazione di un immobile in una determinata categoria, è sufficiente anche la semplice indicazione della consistenza, della categoria e della classe acclarati dall’ufficio tecnico erariale, trattandosi di dati sufficienti a porre il contribuente nella condizione di difendersi (Cass., Sez. 5, 1 luglio 2004, n. 12068 e Cass., Sez. 5, 30 giugno 2011, n. 14379).

2. Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto la falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 8 del D.P.R. n. 1142 del 1949 e 2, comma 40, del D.L. n. 262 del 2006, conv. in L. n. 286 del 2006, che chiaramente dispongono l’inquadramento nella categoria catastale E/1 (stazioni per servizi di trasporto, terrestri, marittimi ed aerei) di tutte le unità immobiliari che, in ragione delle loro caratteristiche oggettive, di natura morfologica, strutturale e funzionale, sono strumentali al trasporto, senza attribuire alcuna rilevanza alla finalità di lucro dell’attività, al carattere permanente o stagionale dell’attività ed alla categoria di utenti.

Con il terzo motivo che, essendo strettamente connesso al secondo, va trattato congiuntamente, la ricorrente ha dedotto la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., dell’art. 8 del D.P.R. n. 1142 del 1949, in quanto, in assenza di una definizione di pubblico servizio nell’ambito della disciplina catastale, non può prescindersi, da un lato, dalla legge n. 7 del 1987 della Provincia Autonoma di Trento, che disciplina l’erogazione del servizio di trasporto pubblico locale mediante impianti a fune, utilizzati anche con finalità sportive e/o turistiche, salve specifiche eccezioni (non ricorrenti nella specie), e, dall’altro lato, dalla nozione comune di pubblico servizio, di cui, nella fattispecie in esame, ricorrono sia il presupposto oggettivo (perseguimento di scopi sociali) sia quello soggettivo (riconducibilità all’ente pubblico).

I motivi sono infondati, in quanto i fabbricati inclusi nella categoria catastale E/1 (“stazioni per servizi di trasporto, terrestri, marittimi ed aerei”) sono soltanto quelli adibiti al pubblico servizio del trasporto universale, mentre gli immobili pertinenti agli impianti di risalita (sciovie, seggiovie, funivie), adibiti in via esclusiva al servizio delle piste da sci o dei rifugi in alta quota, rientrano nella previsione della categoria catastale D/8, comprendente i fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni (così Cass., Sez. 5, 9 marzo 2020, n. 6555; v. anche Cass., Sez. 5, 21 febbraio 2019, n. 5070, secondo cui, in tema di classamento catastale dei beni immobili, gli impianti di risalita al servizio di piste sciistiche, come le sciovie, le funivie e le seggiovie, possono essere classificati come mezzi pubblici di trasporto, con il conseguente accatastamento nella categoria catastale E, ove, pur soddisfacendo un interesse commerciale, siano anche funzionali alle esigenze di mobilità generale della collettività; Cass., Sez. 6-5, 20 gennaio 2017, 1442, secondo cui, in materia di classamento catastale, i locali tecnici e la cabina di manovra di una seggiovia, che non è un mezzo di trasporto a disposizione del pubblico, ma un bene avente un’esclusiva funzione commerciale, collegata all’uso delle piste sciistiche, non possono essere inquadrati nella stazione di un servizio di pubblico trasporto, sicché devono essere classificati non nella categoria catastale E, che ricomprende, peraltro, solo gli immobili specificamente ed analiticamente indicati, ma in quella D/8.).

Si è, difatti, rilevato che se l’impianto di risalita svolge un’esclusiva funzione commerciale di ausilio ed integrazione dell’uso delle piste sciistiche, non sussiste il presupposto del classamento come mezzo pubblico di trasporto, che presuppone una utilizzabilità, pure parziale, della struttura come mezzo di trasporto a servizio dell’intera collettività e non solo di categorie ristrette di specifici utenti.

Né rileva la circostanza che il servizio di trasporto degli utenti della seggiovia sia oggetto di concessione di pubblico servizio, atteso che gli immobili rientranti nel gruppo “E” sono indicati in maniera analitica e specifica, con metodo casistico che non legittima una estensione a tutti gli immobili di rilevanza pubblica, tanto che anche la categoria residuale E/9 non menziona affatto il requisito della pubblicità, ma fa riferimento alla sola particolarità della destinazione.

Invero, è la destinazione dell’impianto che assume concreto rilievo ai fini dell’attribuzione della categoria catastale, per cui, in relazione al disposto dell’art. 8, secondo comma, del d.P.R n. 1142 del 1949, deve essere escluso l’inquadramento nella categoria E/1 (stazione di trasporto terrestre) dell’impianto a servizio esclusivo di una ben specifica categoria di utenti (gli utilizzatori, per scopi ludico-sportivi, delle piste) nel contesto dello svolgimento di un’attività tipicamente ed esclusivamente caratterizzata dal fine di lucro.

Deve, peraltro, ricordarsi che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 103 del 2020, nel dichiarare inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 3, della legge prov. Bolzano n. 10 del 2018, ha sottolineato che il termine ‘concessione’ non comporta automaticamente la qualificazione degli impianti a fune come servizio pubblico, dovendo verificarsi, alla luce della complessiva disciplina, se la concessione integri un contratto pubblico di concessione o piuttosto un provvedimento che, nella sostanza, abbia contenuto autorizzatorio di un’attività economica privata, conformemente ai limiti e alle prescrizioni eventualmente fissati dall’amministrazione competente.

In pratica, deve indagarsi se l’ente territoriale consideri il trasporto di persone mediante impianti a fune come un proprio compito, da realizzare, in base a contratti di concessione, tramite imprese esterne, in quanto la qualificazione in termini di servizio pubblico locale di rilevanza economica, ai sensi della legislazione nazionale, o quella di servizio di interesse economico generale, ai sensi della disciplina dell’Unione Europea, non dipendono tanto dalla natura dell’attività svolta, quanto dalla circostanza che l’ente pubblico abbia in concreto inteso assumersi la responsabilità dell’attività stessa a beneficio dei consociati – responsabilità che poi potrà essere svolta in proprio, ovvero attraverso affidamenti cosiddetti in house, o ancora delegandone l’esercizio a imprese private mediante contratti di concessione.

Fatta questa precisazione, deve ribadirsi, però, che, ai fini catastali, non è decisivo che il bene sia strumentale all’esercizio di un pubblico servizio o sia oggetto di un provvedimento di concessione, in quanto, come già evidenziato, l’elencazione dei beni da inquadrare nella categoria E è fatta in modo analitico e casistico, per cui non ne risulta possibile l’estensione indiscriminata e generalizzata a tutti i beni di rilevanza pubblica.

Ne deriva che la qualifica, da parte dell’art. 8 della legge n. 7 del 1987 della Provincia autonoma di Trento, di tutte le linee funiviarie, salve limitate eccezioni (quelle a uso privato o quelle amovibili, collegate alle attività agonistiche), in termini di pubblico servizio, non comporta, come pretende la ricorrente, il necessario inquadramento nella categoria catastale E/1, che presuppone, invece, una destinazione particolare rivolta al pubblico, per ragioni collegate al trasporto e, quindi, alla circolazione, e non ad una limitata categoria di utenti per ragioni ludiche e di svago.

3. Con il quarto ed ultimo motivo la ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per omessa valutazione delle prove documentali e, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., atteso che il giudice di secondo grado, sulla base del solo provvedimento relativo ad uno degli impianti in contestazione, ha escluso la natura pubblica del servizio di trasporto in esame, senza valutare tutti gli altri documenti prodotti, a dimostrazione di tale circostanza.

La censura è inammissibile.

In primo luogo, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 cod. proc. civ. (Cass., Sez. U, 30 settembre 2020, n. 20867).

A ciò si aggiunga che il passaggio motivazionale aggredito con il presente motivo, avente ad oggetto l’inquadramento degli impianti di risalita nell’ambito della seconda categoria (invece che della prima) di cui all’art. 9 della legge della Provincia autonoma di Trento n. 7 del 1987 è svolto ad abundantiam e non integra la ratio decidendi della sentenza, costituita dalla destinazione degli impianti in esame ad attività ludico sportive e, dunque, all’uso di un gruppo limitato di utenti e non al trasporto pubblico ed alla circolazione dell’intera collettività.

Deve, pertanto, ribadirsi che è inammissibile, in sede di giudizio di legittimità, il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam, in quanto la stessa, non costituendo una ratio decidendi della decisione, non spiega alcuna influenza sul dispositivo della stessa e, pertanto, essendo improduttiva di effetti giuridici, la sua impugnazione è priva di interesse (Cass., Sez. 1, 8 giugno 2022, n. 18429).

Infine, pur denunciando violazioni giuridiche, la ricorrente finisce con il chiedere, tramite il motivo in esame, una rivalutazione dell’accertamento di fatto, inammissibile in sede di legittimità.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, senza tenere conto, come precisato nella parte dedicata ai fatti di causa, della memoria della controricorrente, in quanto tardiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5.000,00 per compensi, oltre ad € 200,00 per esposti, rimborso forfettario ed accessori di legge;

ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.