CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, Ordinanza n. 30829 depositata il 2 dicembre 2024
Tributi – Impugnazione silenzio rifiuto opposto dall’amministrazione finanziaria – Richiesta rimborso ritenute subite a titolo di IRPEF ed ILOR – Soggetti colpiti dal sisma del 13-16 dicembre 1990 – Lavoratore autonomo in possesso di partita IVA – Accoglimento parziale
Rilevato che
1. In controversia avente ad oggetto l’impugnazione del silenzio rifiuto opposto dall’amministrazione finanziaria alla richiesta avanzata da Ra.Pa. e Zi.Mi. ai sensi dell’art. 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002, di rimborso delle ritenute subite a titolo di IRPEF ed ILOR negli anni d’imposta dal 1990 al 1992, quali soggetti colpiti dal sisma del 13-16 dicembre 1990 che aveva interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, la CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) della Sicilia con la sentenza impugnata rigettava l’appello dell’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sostenendo, per quanto ancora qui di interesse, che, “pur trattandosi, nel caso di specie, di lavoratore autonomo… in possesso di partita I.V.A.”, avesse comunque diritto al rimborso dell’Irpef e dell’Ilor versata in tali anni e non dell’Iva, al pari di un qualsiasi lavoratore dipendente.
2. Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione sulla base di tre motivi, cui non replica l’intimata.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 18,19,22,27 e 57 del D.Lgs. n. 546 del 1992 nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., dell’art. 2697 cod. civ.
1.1. Sostiene la ricorrente che la CTR aveva omesso di dichiarare l’inammissibilità del ricorso introduttivo dei contribuenti nonostante la mancanza di un’istanza di rimborso in relazione al quale si sarebbe dovuto formare il silenzio rifiuto, nonché della prova dei versamenti delle imposte chieste a rimborso.
2. Il motivo è inammissibile.
2.1. Quanto alla prima censura, è la stessa ricorrente a dedurre nel motivo (pag. 7) che nel caso in esame emergeva “limpidamente… che la richiesta di rimborso del contribuente fosse del tutto sfornita dei suoi elementi essenziali e, si ribadisce, financo inidonea alla formazione dell’asserito silenzio-rifiuto impugnabile” (ricorso, pag. 7) e che i contribuenti avevano allegato all’originario ricorso “la ricevuta di presentazione dell’istanza di rimborso”.
Trattasi di affermazioni fatte in evidente contraddizione con la censura di omessa presentazione di tale istanza da parte dei contribuenti.
2.2. Quanto alla seconda censura, incentrata sull’inammissibilità del ricorso introduttivo per mancanza di prova dei versamenti delle imposte chieste a rimborso, la stessa si infrange contro l’accertamento in fatto contenuto nella sentenza impugnata in cui si dà atto che le imposte chieste a rimborso risultavano da ritenute alla fonte operate dal sostituto d’imposta (sentenza, pag. 2) sicché i contribuenti nessun versamento diretto risultano aver effettuato.
3. Con il secondo motivo viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., 36 del D.Lgs. n. 546 del 1992, 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 112 cod. proc. civ., per essere la sentenza impugnata incorsa nel vizio di difetto assoluto di motivazione in punto di spettanza del rimborso a soggetto titolare di reddito di lavoro autonomo.
Sostiene la ricorrente che i giudici di appello, pur escludendo l’IVA dal rimborso, ha contraddittoriamente riconosciuto ai contribuenti il rimborso dell’intero importo richiesto, comprensivo dell’IVA.
4. Con il terzo motivo viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 107 e 108 del TFUE e dei principi stabiliti dalla Commissione europea con Decisione C(2015) 5549 final, nonché degli artt. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, e 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002, per avere i giudici di appello riconosciuto il diritto al rimborso a soggetto che non ne aveva diritto in quanto svolgente attività d’impresa.
5. I motivi secondo e terzo, che vanno esaminati congiuntamente, sono fondati e vanno accolti nei termini di cui si dirà.
6. Va premesso che per stessa ammissione della ricorrente i coniugi Ra.Pa. – Zi.Mi. avevano presentato dichiarazione fiscale congiunta e che solo il Ra.Pa. svolgeva attività di lavoro autonomo.
7. Orbene, in relazione alla richiesta di rimborso avanzato da quest’ultimo, è orientamento consolidato di questa Corte (cfr., ex multis, Cass. n. 8375 del 2021, citata dalla ricorrente) quello secondo cui lo svolgimento di un’attività di lavoro autonomo costituisce, ai sensi dell’art. 1, comma 665, prima parte, della legge n. 190 del 2014, limite all’applicabilità del beneficio in esame.
Il diritto al rimborso delle imposte versate per il triennio 1990-1992 in misura superiore al 10 per cento, previsto dall’art. 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002, in favore dei “soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, individuati ai sensi dell’articolo 3 dell’ordinanza del Ministro per il coordinamento della protezione civile 21 dicembre 1990, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 24 dicembre 1990”, è espressamente escluso per “quelli che svolgono attività d’impresa, per i quali l’applicazione dell’agevolazione è sospesa nelle more della verifica della compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’Unione europea”, atteso che la Corte di giustizia nella sentenza del 17/07/2008, in causa C-132/06, aveva già rilevato l’incompatibilità delle disposizioni condonistiche di cui alla legge n. 289 del 2002 con il sistema comune dell’IVA, in quanto, introducendo rilevanti differenze di trattamento tra i soggetti passivi sul territorio italiano, alteravano il principio di neutralità fiscale.
7.1. La Commissione UE, con la Decisione C(2015) 5549 final del 14/08/2015, (impugnata da una società siciliana dinanzi al Tribunale di primo grado UE, che l’ha confermata con sentenza del 26 gennaio 2018 e che, pertanto, è vincolante per il giudice nazionale, che deve darvi attuazione anche attraverso la disapplicazione delle norme interne con essa contrastante – Cass. n. 15354 del 2014 e n. 22377 del 2017), ha stabilito, in via generale, che “Le misure di aiuto di Stato in oggetto (Legge 27 dicembre 2012, n. 289, articolo 9, comma 17 (ndr Legge 27 dicembre 2002, n. 289, articolo 9, comma 17), e successive modifiche e integrazioni; Legge 24 dicembre 2003, n. 350, articolo 4, comma 90, e successive modifiche e integrazioni; Legge 23 dicembre 2005, n. 266, articolo 1, comma 363, e successive modifiche e integrazioni; Legge 27 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, comma 1011, e successive modifiche e integrazioni; Legge 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 2, comma 109, e successive modifiche e integrazioni; Decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, articolo 6, comma 4-bis e 4-ter, e successive modifiche e integrazioni; Legge 12 novembre 2011, n. 183, articolo 33, comma 28, e successive modifiche e integrazioni; e tutti gli atti esecutivi pertinenti previsti dalle leggi sopraccitate), che riducono tributi e contributi dovuti da imprese in aree colpite da calamità naturali in Italia dal 1990 e cui l’Italia ha dato effetto in maniera illegale in violazione dell’articolo 108, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, sono incompatibili con il mercato interno”, salvo che si tratti di “aiuto individuale” che, “al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento (CE) n. 1407/2013 o dal regolamento (CE) n. 717/2014”, ovvero dei regolamenti che prevedono gli aiuti c.d. de minimis (art. 2 della decisione) o che, “al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento adottato in applicazione dell’articolo 1 del regolamento (CE) n. 994/98” (del 7 maggio 1998, sull’applicazione degli articoli 92 e 93 (ora 87 e 88) del trattato che istituisce la Comunità europea a determinate categorie di aiuti di Stato orizzontali) “o da ogni altro regime di aiuti approvato”, ma “fino a concorrenza dell’intensità massima prevista per questo tipo di aiuti” (art. 3).
7.2. Ha precisato al riguardo la Commissione UE che “una decisione negativa in merito ad un regime di aiuti non pregiudica la possibilità che determinati vantaggi concessi nel quadro dello stesso regime non costituiscano di per sé aiuti di Stato o configurino, interamente o in parte, aiuti compatibili con il mercato interno (ad esempio perché il beneficio individuale è concesso a soggetti che non svolgono un’attività economica e che pertanto non vanno considerati come imprese oppure perché il beneficio individuale è in linea (con) il regolamento de minimis applicabile oppure perché il beneficio individuale è concesso in conformità di un regime di aiuto approvato o un regolamento di esenzione)” (p. 134 della “decisione”).
7.3. Da tali statuizioni discende, anzitutto, la necessità di individuare la categoria di “impresa comunitaria”, dato che soltanto l’appartenenza a tale categoria rende di per sé inapplicabile, salvo le precisazioni di cui ai citati artt. 2 e 3 della decisione (di cui si dirà in prosieguo), il beneficio in esame.
7.4. Soccorrono, al riguardo, le pronunce con le quali questa Corte ha chiarito che: “In tema di agevolazioni tributarie, il rimborso d’imposta di cui all’art. 1, 665 comma, L. n. 190 del 2014, a favore dei soggetti colpiti dal sisma siciliano del 13 e 16 dicembre 1990, a seguito dell’intervento della commissione Ue con la decisione del 14 agosto 2015, C (2015) 5549, non è applicabile ai soggetti che esplicano attività di “impresa comunitaria”, rispetto alla quale rileva esclusivamente lo svolgimento di attività economica volta a fornire beni o servizi, essendo invece irrilevante l’elemento soggettivo, sia sotto il profilo della qualifica dell’attività (di impresa o professionale, di lavoro autonomo e di esercente attività c.d. protette), sia sotto il profilo della struttura propria del soggetto (persona fisica o ente collettivo, soggetto di diritto privato o pubblico), rilevando esclusivamente lo svolgimento di una attività economica volta a fornire beni o servizi” (Cass. n. 29905 del 2017); “In tema di aiuti di stato, la nozione euro-unitaria di impresa include – come confermato dalla normativa europea in tema di individuazione del soggetto passivo dell’iva nonché da quella sugli appalti pubblici – qualsiasi entità che eserciti un’attività economica consistente nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato, a prescindere dallo status giuridico e dalle modalità di finanziamento della stessa, sicché vi rientrano anche le libere professioni regolamentate che si estrinsecano nello svolgimento di prestazioni intellettuali, tecniche e specialistiche” (Cass. n. 10450 del 2018).
7.5. Pertanto, una volta accertato lo svolgimento da parte del contribuente di un’attività economica, assoggettata ad imposizione sul valore aggiunto e sulle attività produttive, il giudice di merito è tenuto a verificare in concreto che il beneficio individuale sia in linea con il regolamento de minimis applicabile (artt. 2 e 3 dec. cit.), “tenendo conto, in specie, che la regola de minimis, stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale l’art. 92, n. 1 TFUE, può considerarsi inapplicabile, costituisce un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, per modo che, quando la soglia dell’irrilevanza dovesse essere superata, il beneficio dovrà essere negato nella sua interezza” (Cass., n. 22377/2017, cit.; conf. n. 29905/2017, cit.).
In difetto, il giudice di merito deve valutare la sussistenza delle condizioni che, secondo la ridetta decisione della Commissione UE, fanno ritenere comunque compatibili gli aiuti in esame con il mercato interno, ai sensi dell’art. 107, par. 2, lett. b) TFUE, ovvero che si tratti di “aiuti destinati a compensare i danni causati da una calamità naturale” (par. 150, lett. b), dec. cit.), sempre che sussista “un nesso chiaro e diretto tra i danni subiti dalla singola impresa in seguito alle calamità naturali in oggetto e l’aiuto di Stato concesso a norma delle misure in esame” (par. 136 dec. cit.); il che presuppone necessariamente (ma non unicamente) che il beneficiario abbia sede operativa nell’area colpita dalla calamità naturale al momento dell’evento, e che sia evitata una sovra-compensazione rispetto ai danni subiti dalla impresa, scorporando dal danno accertato l’importo compensato da altre fonti (assicurative o da altre misure di aiuto (par. 148 dec. cit.); inoltre, per il rispetto del principio de minimis, non basta che l’importo chiesto in rimborso ed oggetto del singolo procedimento sia inferiore alla soglia fissata del diritto dell’UE, dovendo invece la relativa prova riguardare l’ammontare massimo totale dell’aiuto rientrante nella categoria de minimis su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo (Cass. sez. lav., 09/06/2017, n. 14465).
7.5. Al riguardo occorre precisare che la prova delle suddette circostanze è a carico del soggetto che invoca il beneficio, ma, in sintonia con quanto affermato da Cass. n. 22377 del 2017 citata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla vincolante decisione della Commissione UE (sopravvenuta nel corso del giudizio di appello), e la sua diretta incidenza sulla decisione della lite, nel determinare la cassazione della sentenza delle commissione regionale, consentono alle parti l’esibizione, in sede di rinvio, di quei documenti prima non ottenibili ovvero l’accertamento di quei fatti che in base alla precedente disciplina non erano indispensabili, ma che costituiscono il presupposto per l’applicazione della nuova regola giuridica (cfr. in tal senso già Cass. n. 5224 del 1998, cit.).
8. Orbene, di tali questioni la sentenza di merito non si è occupata minimamente, essendosi limitata a riconoscere al contribuente Ra.Pa., in evidente violazione dei suddetti principi, il rimborso richiesto peraltro fornendo una motivazione contraddittoria là dove, da un lato, ha escluso l’IVA dal rimborso e, dall’altro, lo ha concesso per l’intero importo richiesto, comprensivo anche dell’IVA.
9. Quanto, invece, alla richiesta avanzata dalla Zi.Mi. in proprio, non vi sono ragioni per escludere il diritto della stessa di ottenere il rimborso delle somme dalla stessa versate o delle ritenute subite negli anni d’imposta dal 1990 al 1992 in misura maggiore al beneficio spettantele quale soggetto che non svolgeva attività d’impresa, previo scorporo delle somme riferibili al coniuge stante la presentazione di dichiarazione fiscale congiunta.
10. In estrema sintesi, la sentenza impugnata va cassata nei termini di cui sopra si è detto, in accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso, e rigetto del primo.
La causa va, quindi, rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado territorialmente competente cui è demandato il compito di procedere a nuovo esame e di provvedere alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.