CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 5269 depositata il 28 febbraio 2024
Tributi – Avvisi di accertamento – Emissione fatture inesistenti – Recupero IVA dovuta – Rigetto
Rilevato che
– A.P., in qualità di autore della violazione, impugnava gli avvisi di accertamento per le annualità 2012, 2013 e 2014, con i quali era stata contestata alla (…) A.S.D. (Associazione Sportiva Dilettantistica) e alla stessa A.P., in qualità di autore delle violazioni, l’emissione di fatture oggettivamente e soggettivamente inesistenti con conseguente recupero dell’IVA dovuta per le annualità in contestazione;
– i recuperi si fondavano sulle risultanze della verifica per l’anno 2011 che aveva indotto l’Amministrazione Finanziaria ad estendere anche alle annualità successive i controlli ai soggetti destinatari delle fatture emesse dall’ente: N.C. Spa, R. CF, E. Spa e B.S. C.F., rilevando la reiterazione delle criticità del precedente periodo anche per il 2012, 2013, 2014, così da concludere che anche le annualità successive fossero state compiute operazioni inesistenti (oggettivamente e soggettivamente) con ripresa a tassazione dell’IVA dovuta per ogni annualità; per tali annualità veniva riconteggiata l’IVA dovuta e veniva quindi accertata una maggiore imposta di Euro 46.248,00 anno 2012; Euro 26.181,00 anno 2013; Euro 34.100,00 anno 2014;
– la CTP di Milano rigettava il ricorso; appellava la contribuente;
– con la pronuncia gravata il giudice di secondo grado ha confermato la sentenza di prime cure;
– ricorre a questa Corte A.P. con atto affidato a cinque motivi; resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate;
Considerato che
– con il primo motivo la contribuente deduce la violazione degli art. 360 n. 3 C.p.c. e art. 360 n. 5, art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., art. 118 disp. att. ne c.p.c., l’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia per avere la CTR meramente riportate acriticamente in motivazione le argomentazioni contenute negli atti dell’Agenzia delle Entrate;
– il motivo è infondato;
– secondo i principi più volte ribaditi da questa Corte in merito al concetto di motivazione apparente. Il rispetto del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Ricorre, quindi, il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass. n. 6758 del 2022). Nella specie la motivazione, ancorché succinta ed a prescindere dalla sua esattezza, rispetta i principi innanzi indicati consentendo di comprendere agevolmente il ragionamento effettuato dal giudice di seconde cure;
– il secondo motivo si incentra sulla violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2697 C.C. (onere della prova) per avere la CTR mancato di dar conto della prova degli elementi giustificativi della pretesa impositiva;
– il motivo è inammissibile, non risultando dalla sentenza gravata che l’eccezione qui posta sia stata formulata nei gradi di merito; la stessa risulta quindi nuova a va dichiarata inammissibile;
– il terzo motivo si duole della violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 24 Legge n. 4/1929 e all’art. 12 co. 4 e 7, D.Lgs. 212/2000 (ndr art. 12 co. 4 e 7, Legge 212/2000), per non avere la CTR ritenuto necessario il contraddittorio endoprocedimentale, nonostante l’IVA sia un tributo armonizzato, in quanto la parte non avrebbe superato la “prova di resistenza”
– il motivo è all’evidenza infondato, in quanto – anche tenendo in disparte le modalità di controllo, operate nei confronti di soggetti terzi, come rileva la sentenza impugnata – nel caso che ci occupa non risulta che la contribuente abbia mai né dedotto né comunque fornito la c.d. “prova di resistenza”
– come è noto, questa Corte con riferimento alla disciplina dettata dalla legge n. 212 del 2000 vigente ratione temporis, ha chiarito come il contraddittorio endoprocedimentale sia normalmente obbligatorio, nel nostro ordinamento, solo nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, laddove è previsto – a pena di nullità (Cass. S.U. n. 18184 del 29/07/2013) ed anche con riferimento all’IVA (Cass. nn. 701 e 702 del 15/01/2019) – il rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni di cui all’art. 12, comma 7, della l. 27 luglio 2000, n. 212. Il contraddittorio, invece, non è obbligatorio – fatta eccezione per specifiche previsioni di legge (ad es., per gli accertamenti a mezzo studi di settore) – per le altre ipotesi di accertamento e, in particolare, per le verifiche cd. a tavolino (Cass. S.U. n. 24823 del 09/12/2015);
– in ultimo, con riguardo all’Iva che qui viene in rilievo, si è chiarito (ancora Cass. S.U. n. 24823 del 2015 cit.) che, nel caso di verifica concernente i tributi armonizzati (qual è l’IVA), secondo quanto emerge dal diritto unionale, per come interpretato dalla Corte di giustizia della UE, “l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa” (cd. prova di resistenza);
– e nel presente caso detta prova non risulta né dedotta né in ogni caso fornita; anzi, l’Associazione contribuente ha aderito al PVC in origine redatto per il periodo d’imposta 2011 con istanza del 15 ottobre 2015, con ciò tenendo un comportamento – sia pure per quel periodo – del tutto incompatibile con l’intento di dar prova che l’esecuzione del contraddittorio ora invocato avrebbe potuto sortire effetti differenti da quelli contestati nell’accertamento;
– il quarto motivo censura la pronuncia gravata per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 38 c.c. per avere la CTR erroneamente ritenuto A.P. responsabile personalmente in forza unicamente della sua qualifica di legale rappresentante dell’associazione;
– il motivo è infondato;
– scrive la CTR “circa la presunta violazione dell’art. 38 c.c., si ribadisce che il ruolo di responsabilità rivestito da A.P. nell’Associazione, per il periodo in oggetto, implica che la gestione dell’Ente stesso fosse affidata a lei. Per giurisprudenza costante della Suprema Corte, il legale rappresentante di un’associazione non riconosciuta è coobbligato delle imposte da questa dovute anche senza la prova della attività negoziale svolta. La sig. ra A.P. è stata rappresentante legale dal 15/03/12 allo 01/09/13, pertanto durante detto periodo era considerata responsabile della gestione dell’Ente in questione”
– sul punto, questa Corte ha precisato che la responsabilità personale e solidale, prevista dall’art. 38 c.c. di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta è collegata all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra l’ente ed i terzi. Si è, altresì, chiarito che tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione, con la conseguenza che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege, assimilabili alla fideiussione (ex plurimis, Cass., sez. 3, 24/10/2008, n. 25748, Cass., sez. 3, 29/12/2011, n. 29733). Si è spiegato che la ratio della previsione di una responsabilità personale e solidale, in aggiunta a quella del fondo comune, delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, è volta a contemperare l’assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell’ente, con le esigenze di tutela dei creditori (che abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio di dette persone), e trascende, pertanto, la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell’ambito della compagine sociale, ricollegandosi piuttosto ad una concreta ingerenza dell’agente nell’attività dell’ente (Cass., sez. 5, 12/03/2007, n. 5746; Cass., sez. 5, 10/09/2009, n. 19486);
– il principio suesposto è stato, poi, ritenuto espressamente da questa Suprema Corte applicabile naturaliter anche ai debiti di natura tributaria (v. Cass., sez. 5, 17/06/2008, n. 16344; Cass., sez. 5, 10/09/2009, n. 19486), pur senza trascurare, tuttavia, una caratteristica fondamentale che connota siffatte obbligazioni. Si è rilevato, in proposito, che il principio in questione non esclude che per i debiti d’imposta, i quali non sorgono su base negoziale, ma ex lege al verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato, fermo restando che il richiamo all’effettività dell’ingerenza, implicito nel riferimento all’aver “agito in nome e per conto dell’associazione”, contenuto nell’art. 38 c.c. vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni che siano concretamente insorte nel periodo di relativa investitura (Cass., sez. 5, 12/03/2007, n. 5746; Cass., sez. 6-5, 19/06/2015, n. 12473; Cass., sez. 5, 15/10/2018, n. 25650; Cass., sez. 6-5, 29/01/2018, n. 2169; Cass., sez. 6-5, 24/02/2020, n. 4747);
– più recentemente, si è chiarito come (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 3093 del 09/02/2021) in tema di associazione non riconosciuta, nell’ipotesi di avvicendamento nella carica sociale di rappresentante legale, colui che invoca in giudizio la responsabilità personale e solidale ex art. 38 c.c. del rappresentante subentrante – il quale non può andarne esente, ai fini fiscali, soltanto per la mancata ingerenza nella pregressa gestione dell’ente, in quanto è obbligato a redigere ed a presentare la dichiarazione dei redditi e ad operare, ove necessario, le rettifiche della stessa – ha l’onere di provare gli elementi da cui desumere la sua qualità di rappresentante e/o di gestore di tutta o di parte dell’attività dell’associazione, mentre grava sul chiamato a rispondere dei debiti d’imposta – derivanti ex lege dal verificarsi del relativo presupposto – dimostrare la sua estraneità alla partecipazione e gestione dell’ente nel periodo di relativa investitura;
– nel ritenere quindi la contribuente responsabile ex se, in quanto legale rappresentante dell’ente, la CTR non ha commesso alcun errore di diritto;
– il quinto motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 12 del D.Lgs. 472 del 1997 per non avere la CTR, motivando in modo apodittico, rilevato la mancata corretta irrogazione delle sanzioni secondo la regola del c.d. “cumulo giuridico”;
– il motivo è inammissibile;
– invero, difetta in ricorso sia la trascrizione dell’avviso di accertamento impugnato sia l’indicazione di precisi riferimenti ad esso, per la parte relativa alla determinazione in concreto delle sanzioni; né l’atto in argomento risulta esser stato riprodotto a questa Corte, la quale pertanto non è in grado di verificare quale applicazione sia stata fatta in concreto di quelle norme delle quali si assume la violazione (in argomento Cass. n. 34868/2021);
– conseguentemente, il ricorso va rigettato;
– le spese sono regolate dalla soccombenza;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore di parte controricorrente che liquida in Euro 4.300,00 oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto
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