Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 5964 depositata il 5 marzo 2024
sanzioni – compilazione quadro RW in caso di conti esteri cointestati
RILEVATO CHE:
1.1. K.Y. ricorre, con sei motivi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale, avverso la sentenza n.306/2016 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, pronunciata in data 11 dicembre 2015, depositata in data 20 gennaio 2016 e non notificata, che ha rigettato l’appello dell’ufficio e quello incidentale della contribuente avverso la decisione di primo grado che aveva parzialmente accolto il ricorso avverso l’avviso di irrogazione di sanzioni connesse alla violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale ex art.4, comma 1, d.l. n. 167/1990, conv. dalla legge n. 227/1990 per aver omesso l’indicazione nel quadro RW della consistenza degli investimenti ovvero delle attività di natura finanziaria detenute all’estero dal 2004 al 2008 al termine di ciascun periodo di imposta.
1.2. Con la sentenza impugnata, la C.t.r., dopo aver rilevato che l’appello dell’ufficio era meramente ripetitivo delle argomentazioni ed eccezioni avanzate in primo grado, riteneva nel merito la correttezza delle conclusioni dei giudici di primo grado, che avevano ridotto le sanzioni in misura del 50 per cento in considerazione del fatto che i conti correnti svizzeri erano cointestati alla contribuente ed al marito, con firma congiunta.
La C.t.r. rigettava anche l’appello incidentale della contribuente, perché le doglianze erano generiche, già esposte nel ricorso introduttivo e ritenute infondate dal giudice di prime cure.
1.3. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 13 aprile 2023, all’esito della quale, previa riunione del procedimento recante il n.13358/2016 R.G. al procedimento n. 13357/2016 R.G., veniva disposto il rinvio a nuovo ruolo dei ricorsi riuntiti, per consentire alla parte diligente l’integrazione della documentazione relativa alla definizione agevolata.
In particolare, la Corte, con l’ordinanza interlocutoria, rilevava la necessità di verificare l’oggetto della definizione agevolata, in quanto C.T. aveva depositato istanza di estinzione del giudizio per cessata materia del contendere, con compensazione delle spese di lite, avendo aderito alla rottamazione delle cartelle, provvedendo all’integrale pagamento del dovuto.
I ricorsi riuniti venivano nuovamente fissati per la camera di consiglio del 26 gennaio 2024.
CONSIDERATO CHE:
1.1. Preliminarmente va disposta la separazione del procedimento recante il n.13358/2016 R.G. dal procedimento n.13357/2016 R.G., in quanto l’istanza di estinzione del giudizio per cessata materia del contendere riguarda solo il ricorso avanzato da C.T., come attestato dall’Agenzia delle entrate, che ha depositato istanza di estinzione per l’avvenuta definizione, con compensazione delle spese di lite, ex art.46, comma 3, d.lgs. n.546/1992, riconoscendo la regolarità della definizione della controversia in relazione all’atto di irrogazione di sanzioni T9DIR3C00001/2013, oggetto del procedimento n. 13357/2016 R.G.
Pertanto, solo tale ultimo giudizio deve ritenersi estinto per l’intervenuta definizione della controversia, ai sensi dell’art.1 d.l. n. 148/2017, come disposto da questo collegio con separata ordinanza emessa in pari data.
2.1. Con il primo motivo del ricorso principale, parte contribuente denunzia la violazione degli artt.13-bis, comma 4, d.l. 1 luglio 2009 n.78, 14, comma 1, lett.b), d.l. 25 settembre 2001, n.350, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.
Secondo la ricorrente, la C.t.r. avrebbe errato nel ritenere che le sanzioni non fossero integralmente estinte per il rimpatrio dei capitali detenuti all’estero, per i quali l’importo da corrispondere doveva essere parametrato alle disponibilità della contribuente al 31 dicembre 2008. Ritiene la contribuente che un regolare scudo fiscale, che abbia utilizzato come parametro per gli importi da corrispondere il valore delle somme al 31 dicembre 2008, estingue le sanzioni relative alle pregresse violazioni del quadro RW per tutte le disponibilità estere non dichiarate, restando irrilevante che per gli anni precedenti tale valore fosse maggiore.
La diversa tesi dell’Agenzia delle entrate, accolta dalla sentenza della C.t.r., secondo cui colui che dichiara le disponibilità esistenti al 31 dicembre 2008, ai sensi di legge, andrebbe sanzionato per le eccedenze degli anni precedenti non dichiarate ed andate perdute, sarebbe irragionevole.
2.2. Il motivo è infondato.
La dichiarazione annuale per investimenti e attività di natura finanziaria all’estero, prevista dall’art.4, comma 2, del d.l. n. 167 del 1990 (convertito, con modificazioni, dalla l. n. 227 del 1990) ha l’esclusiva finalità di monitorare i trasferimenti di valuta da e per l’estero, quali manifestazioni di capacità contributiva; la sua omissione determina l’applicazione della sanzione di cui all’art. 5 del d.l.n.167/1990 e le relative violazioni restano sanzionate in modo specifico ed autonomo.
Ai sensi dell’art.14, comma 1, d.l. n.350/2001 lett. b), tali sanzioni sono estinte se relative alla disponibilità delle attività finanziarie dichiarate ai fini della regolarizzazione o il rimpatrio.
Dunque, l’effetto estintivo dello scudo fiscale, quanto alle sanzioni, riguarda solo le disponibilità oggetto della dichiarazione riservata con conseguente perdurare delle sanzioni collegate alle ulteriori somme detenute nelle annualità interessate e non indicate nella dichiarazione ai fini della regolarizzazione o il rimpatrio.
Oltre che sull’elemento letterale della norma, tale interpretazione si basa sulla considerazione del carattere opzionale dello scudo fiscale e sulla non irragionevolezza dell’applicabilità della sanzione per la parte non dichiarata degli investimenti all’estero ed andata perduta nel corso degli anni, in quanto tale sanzione risulta legata comunque ad un’omissione dell’obbligo dichiarativo, secondo la disposizione normativa dell’epoca, non più sanabile.
3.1. Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione degli artt.12, comma 2-ter, d.l. 1 luglio 2009 n.78, 20 d.lgs. 18 dicembre 1997, n.472, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.
Secondo la contribuente, la notifica dell’atto di irrogazione delle sanzioni sarebbe avvenuta in data 21 marzo 2012, cioè oltre i termini previsti dall’art.20 citato, che scadevano il 31 dicembre 2010.
Né alla fattispecie sarebbe applicabile il raddoppio dei termini, di cui all’art.12, comma 2-ter, d.l. n.78/2009, riferibile unicamente all’ipotesi prevista dal comma 2 della medesima disposizione, a mente del quale si presume che le disponibilità detenute all’estero siano costituite da redditi sottratti a tassazione, salva prova contraria.
Con il terzo motivo, la ricorrente denunzia la violazione dell’art.3 d.lgs. 18 dicembre 1997, n.472, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., in quanto la sentenza della C.t.r., nel ritenere applicabile il raddoppio dei termini, avrebbe violato il divieto di retroattività delle prescrizioni sanzionatorie.
3.2. Il secondo ed il terzo motivo sono da esaminare congiuntamente perché connessi; essi sono infondati e vanno rigettati. Invero, per questa Corte (Cass., sez. 5, 14 novembre 2019, n. 29632 richiamata da Cass. , sez.5, 23 giugno 2021, n.17928) la presunzione di evasione stabilita, con riguardo agli investimenti e alle attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, dall’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009, conv., con modif., dalla l. n. 102 del 2009, in vigore dal 1° luglio 2009, non ha natura procedimentale ma sostanziale – sia perché le norme in tema di presunzioni sono collocate, nel codice civile, tra quelle sostanziali, sia perché una diversa interpretazione potrebbe pregiudicare, in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., l’effettività del diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione – con la conseguenza che essa non ha efficacia retroattiva. Viceversa, hanno natura procedimentale e non sostanziale e soggiacciono perciò al principio tempus regit actum, le previsioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter del medesimo art. 12, che raddoppiano, rispettivamente, i termini di decadenza per la notificazione degli avvisi di accertamento basati sulla suddetta presunzione e quelli di decadenza e di prescrizione stabiliti per la notificazione degli atti di contestazione o di irrogazione delle sanzioni per l’omessa denuncia delle disponibilità finanziarie detenute all’estero, sicché esse si applicano anche per i periodi d’imposta precedenti alla loro entrata in vigore (il 1 luglio 2009), quando venga in rilievo la sottrazione alla tassazione di redditi esportati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, indipendentemente dall’applicabilità della presunzione legale di cui all’art. 12, comma 2.
Con riferimento al citato art.12 comma 2 bis d.l. n.78 del 2009, che prevede il raddoppio dei termini “per l’accertamento basato sulle presunzioni di cui al comma 2”, secondo l’indirizzo citato, la disposizione deve essere interpretata nel senso che il raddoppio dei termini opera sia nel caso in cui l’ufficio, avvalendosi della presunzione legale stabilita dalla citata norma, accerti che la disponibilità finanziaria detenuta nei “paradisi fiscali”, e non dichiarata, è provento di redditi sottratti a tassazione, sia nel caso, equivalente, in cui l’ufficio, senza ricorrere alla presunzione in oggetto in quanto non applicabile retroattivamente, contesti comunque la medesima fattispecie di sottrazione alla tassazione di redditi esportati in paesi a fiscalità privilegiata, avvalendosi, secondo le regole probatorie ordinarie, di presunzioni semplici, qualificate dalla gravità, precisione e concordanza.
Tale equiparazione, come viene chiarito nei precedenti di legittimità citati, è giustificata dalla ratio della disciplina palesata dall’art.12, comma 1, d.l. n.167 del 2009, secondo cui le norme in oggetto sono dirette a dare attuazione ad una intesa tra gli Stati aderenti all’OCSE in materia di emersione di attività economiche e finanziarie detenute in paesi a regime fiscale privilegiato, fornendo agli uffici finanziari strumenti più efficaci (quali il raddoppio dei termini per l’accertamento) per contrastare, con o senza l’ausilio della presunzione legale di cui all’art.12, comma 2, il fenomeno della allocazione nei “paradisi fiscali” delle disponibilità finanziarie formate con redditi sottratti alla tassazione nazionale.
Anche con riguardo all’art.12 comma 2 ter sul raddoppio dei termini di decadenza e di prescrizione stabiliti dall’art.20 d.lgs. n.472 del 1997 per la notifica degli atti di irrogazione delle sanzioni previste in caso di omessa denuncia delle disponibilità finanziarie detenute all’estero, il maggior lasso temporale concesso al fisco per l’applicazione delle sanzioni non contrasta con il principio generale di irretroattività della norma sanzionatoria stabilito dall’art.3 comma 1 del d.lgs. n.472 del 1997, posto che l’ applicazione “a ritroso” della sanzione, per tutto l’arco temporale consentito dal raddoppio dei termini, sconta comunque il limite della previa esistenza della norma sanzionatoria, come avviene nel caso in esame in cui la sanzione comminata dall’art.5 del d.l. n.167 del 1990 è di gran lunga antecedente alle annualità pregresse passibili di accertamento in forza del raddoppio dei termini, valevole per gli atti di contestazione ed irrogazione di sanzioni notificati dopo l’entrata in vigore della norma in oggetto (1 luglio 2009).
4.1. Con il quarto motivo, la ricorrente in subordine denunzia la violazione degli artt. 191 e 240, comma 2, cod. proc. pen., e dell’art.27 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Svizzera, firmata a Roma il 9 marzo 1976 e ratificata con legge del 23 dicembre 1978, n.943, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.
Deduce la ricorrente che, nel caso di specie, vi sarebbe l’inutilizzabilità delle fiches, dalle quali si sarebbero desunte le disponibilità estere, poiché l’applicazione delle sanzioni non poteva fondarsi su prove illecitamente acquisite (trattasi di documenti inseriti nella cd. “lista Falciani”).
Con il quinto motivo, la ricorrente in subordine denunzia la violazione dell’art.132 cod. proc. civ., perché la sentenza impugnata sarebbe nulla in quanto totalmente carente di motivazione sul rigetto della censura, pure avanzata in appello, in ordine all’inutilizzabilità dei documenti provenienti dalla lista Falciani.
4.2. I motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono infondati e vanno rigettati.
A prescindere da carenze motivazionali della sentenza impugnata, non può non rilevarsi che questa Corte, specificamente in tema di scudo fiscale, ha affermato che <<In tema di esercizio del potere di imposizione sui capitali cd. “scudati”, al fine di godere dell’effetto preclusivo del generale potere di accertamento tributario previsto dall’art. 14, comma 1, lett. a) del d.l. n. 350 del 2001, conv. con modif. dalla legge n. 409 del 2001, l’onere di giustificare l’incoerenza tra l’ammontare delle disponibilità in un Paese estero a regime fiscale privilegiato, che secondo il fisco fanno capo al contribuente sulla base delle risultanze della cd. “lista Falciani”, e l’ammontare delle somme oggetto del cd. “scudo fiscale” incombe sul contribuente, attesa la valenza presuntiva degli elementi desumibili dalla stessa “lista Falciani”>>(Cass., sez.5, 25 febbraio 2020, n.4984).
Tale assunto costituisce logica conseguenza del costante indirizzo di questa Corte, secondo cui l’amministrazione finanziaria può fondare la propria pretesa anche su un unico indizio, se grave e preciso, cioè dotato di elevata valenza probabilistica (v. quanto affermato in tema di “lista Falciani” dalle ordinanze gemelle di questa Corte nn. 8605 e 8606 del 2015).
Dunque, come già altrove chiarito (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 13 maggio 2015, n. 9760) la cd. scheda clienti non può essere valutata alla stregua di foglio anonimo; pertanto l’onere di giustificare l’incoerenza tra l’ammontare delle disponibilità in Paese estero a fiscalità privilegiata risultanti dalla c.d. lista Falciani e l’entità delle somme oggetto di scudo fiscale, onde godere dell’effetto preclusivo di cui all’art. 14, comma 1, lett. a), del d.l. 25 settembre 2001, n. 350, convertito, con modificazioni, dalla l. 23 novembre 2001, n. 409, incombe sul contribuente.
5.1. Con il sesto motivo, la ricorrente in estremo subordine, denunzia la violazione dell’art.3 l. 7 agosto 1990, n.241, in ordine alla mancata motivazione dell’ordine di servizio che ha esteso la verifica fiscale alle annualità 2004 e 2008.
5.2. Il motivo appare all’evidenza infondato, poichè l’ordine di servizio è atto interno dell’amministrazione e non deve essere motivato, in quanto il richiamato art.3 l. n.241/1990 riguarda l’obbligo di motivazione degli atti amministrativi aventi rilevanza esterna.
6.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art.53 d.lgs. 31 dicembre 1992, n.546, in relazione all’art. 360, primo comma, n.4, cod. proc. civ.
L’ufficio deduce l’erroneità del passaggio motivazionale della sentenza impugnata, laddove afferma che l’appello dell’Agenzia delle entrate era generico e meramente riproduttivo delle doglianze avanzate in primo grado.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate denunzia la violazione degli artt. 4 e 5 d.l. 28 giugno 1990, n.167, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.
Secondo l’Agenzia la decisione impugnata merita di essere riformata laddove riconosce che le sanzioni andavano commisurate limitatamente al 50 per cento degli importi detenuti all’estero, per la circostanza che i conti correnti della contribuente erano cointestati, con firma congiunta, con il marito.
6.2. Preliminarmente, deve rilevarsi che il ricorso incidentale è ammissibile, poichè, contrariamente a quanto sostenuto dalla contribuente, è stato notificato entro il termine perentorio previsto dalla legge, ai sensi degli artt.370 e 371 cod. proc. civ.
In particolare, il ricorso incidentale deve essere notificato nel termine perentorio di venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso principale, che, a sua volta, deve avvenire entro venti giorni dall’ultima notificazione alle parti (dunque il ricorso incidentale deve essere notificato entro quaranta giorni dal perfezionamento della notifica del ricorso principale).
Nel caso di specie, il ricorso principale risulta ricevuto dalla destinataria Agenzia delle entrate in data 20 maggio 2016 ed il ricorso incidentale risulta inoltrato alle Poste per la notifica in data 30 giugno 2016, quando il termine scadeva il 29 giugno, coincidente con la festività dei Santi Pietro e Paolo, patroni di Roma, ove avveniva la notificazione.
La data del 29 giugno, infatti, è considerata “festività” in base alla legge 27 maggio 1949, n. 260, e successive modificazioni, le quali, pur ignorando le festività dei santi patroni delle città, includono espressamente il giorno dei Santi Pietro e Paolo nell’elenco di quelli festivi agli effetti civili.
Passando al merito, il primo motivo del ricorso incidentale è inammissibile, in quanto la C.t.r. non ha ritenuto l’inammissibilità dell’appello dell’Agenzia delle entrate, ma lo ha rigettato nel merito. L’argomentazione sulla genericità dell’appello dell’amministrazione, che non si sarebbe confrontato con le statuizioni della sentenza di primo grado, non costituisce la ratio decidendi della sentenza impugnata, ma una semplice considerazione preliminare, tanto che il giudice si è pronunciato nel merito sull’infondatezza dello stesso e lo ha rigettato.
Il secondo motivo è, invece, fondato e va accolto, in quanto, in caso di attività finanziarie o patrimoniali cointestate, il modulo RW deve essere compilato da ogni intestatario con riferimento all’intero valore delle attività e non limitatamente alla quota parte di propria competenza, qualora questi abbia la disponibilità piena delle stesse.
E’ il caso, ad esempio, del conto corrente cointestato ad entrambi i coniugi, come chiarito dalla Circolare dell’Agenzia delle entrate del 13/09/2010 n. 45.
In conclusione, il ricorso principale di parte contribuente va rigettato, mentre il ricorso incidentale dell’Agenzia delle entrate va accolto, limitatamente al secondo motivo, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, il ricorso originario della contribuente va rigettato.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del doppio grado del giudizio di merito, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, dichiarato inammissibile il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario del contribuente; compensa le spese del doppio grado del giudizio di merito; condanna parte contribuente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00, per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale K.Y., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.