CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 6337 depositata l’ 8 marzo 2024
Tributi – Avviso di accertamento – Esenzione ICI – Beni categoria B/1 – Conventi e seminari – Requisito oggettivo – Svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza – Requisito soggettivo – Natura di ente non commerciale – Onere probatorio – Rigetto
Rilevato che
1. L.D. di C – A proponeva dinanzi alla CTP di Foggia ricorso avverso un avviso di accertamento ICI, eccependone l’illegittimità in quanto i beni di cui alla categoria B/1 (comprendente conventi e seminari) erano, a suo dire, esenti dal pagamento dell’imposta, giacché immobili utilizzati per l’esercizio del culto e per la cura delle anime, oltre che quale Seminario Vescovile, ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. i), D.Lgs. n. 504/1992.
2. La Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso.
3. Sull’appello della contribuente, la Commissione Tributaria Regionale Puglia rigettava il gravame, affermando che L.D. non aveva fornito la prova degli elementi oggettivi necessari per l’ottenimento dell’esenzione ICI, essendo rimasta l’attività di formazione del clero (Seminario) mera affermazione non provata. In particolare, la CTR segnalava che, nella specie, mentre nessuna imposta era stata applicata sugli immobili accatastati E7, per quanto concerneva l’immobile accatastato B1 (seminario), L.D. non aveva fornito prova dei presupposti dell’esenzione, anche considerato che la stessa aveva sede a C, laddove l’attività di formazione del clero “è rimasta mera affermazione non provata né da elementi documentali e neppure attraverso elementi indiziari”.
4. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per cassazione L.D. di C – A sulla base di un solo motivo. Il Comune di Ascoli Satriano non ha svolto difese.
Considerato che
1. Con l’unico motivo la ricorrente deduce la “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, concretizzata nella stessa sentenza n. 122/2021”, per non aver la CTR considerato che non era essa tenuta a provare che nel Seminario non si svolgeva alcuna attività commerciale, bensì il Comune a dimostrare il contrario, esercitando i propri poteri di verifica e ricognizione dei luoghi.
1.1. Il motivo è infondato.
Anche a voler tacer del fatto che la ricorrente, in violazione del principio di specificità enucleato nell’art. 366, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., ha omesso di indicare le norme che sarebbero state violate (in particolare, non operando alcun riferimento all’art. 2697 cod. civ. dettato in tema di ripartizione dell’onere probatorio) e, soprattutto, il vizio, tra quelli tassativamente indicati nell’art. 360, astrattamente configurabile, va ricordato che, in materia di ICI, l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. (i) del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, anche in base all’evoluzione di cui all’art. 7, comma 2 bis, del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, conv. in legge 2 dicembre 2005, n. 248 (come sostituito dall’art. 39, comma 1, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. in legge 4 agosto 2006, n. 248), impone di considerare realizzate in senso non esclusivamente commerciale le attività religiose ed istruttive che, in ciascun ambito territoriale e secondo la normativa ivi vigente, per le concrete modalità di svolgimento, non siano orientate alla realizzazione di profitti, senza che rilevi il mero fatto dell’esistenza di una convenzione pubblica alla base di tale attività. Ne consegue che il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza, in concreto, dei requisiti dell’esenzione, mediante la prova che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di un’attività commerciale ed abbia quelle finalità solidaristiche alla base delle ragioni di esenzione, mentre spetta al giudice di merito l’obbligo di accertare in concreto le circostanze fattuali, senza far ricorso ad astrazioni argomentative (cfr., in tal senso, sia pure con riferimento ad attività sanitarie e assistenziali, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 6711 del 02/04/2015; v. altresì Cass., Sez. 5, Sentenza n. 19731 del 17/09/2010).
In particolare, in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’esenzione dall’imposta prevista dall’art. 7, comma primo, lett. i), del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, è subordinata alla compresenza di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate dal legislatore ai fini dell’esenzione, e di un requisito soggettivo, costituito dallo svolgimento di tali attività da parte di un ente pubblico o privato che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (art. 87, comma primo, lett. c), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, cui il citato art. 7 rinvia). La sussistenza del requisito oggettivo – che in base ai principi generali è onere del contribuente dimostrare – non può essere desunta esclusivamente sulla base di documenti che attestino a priori il tipo di attività cui l’immobile è destinato, occorrendo invece verificare che tale attività, pur rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con le modalità di un’attività commerciale (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 20776 del 26/10/2005; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 5485 del 29/02/2008; v. altresì Cass., Sez. 5, Sentenza n. 8450 del 22/04/2005 e Cass., Sez. 5, Sentenza n. 14146 del 24/09/2003).
Da ciò consegue che, come correttamente affermato dalla CTR, sarebbe stato preciso onere della contribuente dimostrare l’effettiva destinazione dell’immobile all’attività istituzionale.
D’altra parte, la stessa ha omesso di indicare i documenti attraverso i quali asserisce di aver ampiamente dimostrato che l’unità immobiliare adibita a seminario vescovile non aveva mai smesso di essere destinata a tale scopo.
È opportuno evidenziare che le considerazioni espresse nel ricorso in ordine alla natura di ente non commerciale (o di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto) del Seminario Vescovile non sono pertinenti, atteso che concernono il requisito soggettivo per beneficiare dell’esenzione, laddove nel presente giudizio è in discussione il presupposto oggettivo.
Da ultimo, va rilevato che l’onere probatorio gravante, a norma dell’art. 2697 cod. civ., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, tanto più se l’applicazione di tale regola dia luogo ad un risultato coerente con quello derivante dal principio della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova, riconducibile all’art. 24 Cost. e al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’azione in giudizio. Tuttavia, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, o anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8018 del 22/03/2021).
2. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso non merita di essere accolto.
Nessuna pronuncia va adottata in ordine alle spese del presente giudizio, non avendo l’intimato svolto difese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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