Corte di Cassazione, sezione tributaria, Ordinanza n. 8301 depositata il 29 marzo 2025
Ires, Iva ed Irap, 2009 – Locazione di immobile – Aggiornamento Istat – Interessi su lavori di ristrutturazione – Richiesta – Necessità
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle Entrate notificava alla S. Srl l’avviso di accertamento n. T8T03TT300475, avente ad oggetto Ires, Iva ed Irap in relazione all’anno 2009, recuperando a tassazione maggiori proventi da locazione immobiliare. Contestava l’Amministrazione finanziaria che la società non aveva dichiarato e sottoposto ad imposizione i maggiori redditi conseguenti all’incremento Istat annuale del canone di locazione, ed agli interessi sugli oneri sostenuti per la ristrutturazione dell’immobile, incrementi previsti dal contratto di locazione.
2. La contribuente impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Prato, proponendo plurime censure, e criticando innanzitutto, per quanto ancora di interesse, il difetto di prova di aver conseguito i redditi che si pretendeva di sottoporre ad imposizione. La CTP reputava fondate le difese della ricorrente, ed annullava l’atto impositivo.
3. L’Agenzia delle Entrate spiegava appello avverso la pronuncia sfavorevole conseguita nel primo grado del giudizio, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Toscana, che confermava la decisione impugnata.
4. L’Agenzia delle Entrate ha quindi introdotto ricorso per cassazione, avverso la decisione adottata dalla CTR, affidandosi a due motivi di impugnazione. La contribuente resiste mediante controricorso, ed ha pure depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., l’Amministrazione finanziaria contesta la violazione dell’art. 24 della legge n. 392 del 1978 e dell’art. 14 della legge n. 431 del 1998, perché il contratto di locazione dell’immobile prevedeva espressamente che il locatario dovesse corrispondere quanto dovuto per l’aggiornamento annuale del canone di locazione in base alla variazione degli indici Istat, nonché gli interessi sugli oneri di ristrutturazione, e queste somme devono essere assoggettate ad imposizione.
2. Mediante il secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Ente impositore censura la violazione dell’art. 39, comma 1, lett. d), del Dpr n. 600 del 1973 e degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., perché la CTR non ha correttamente applicato le regole legali che disciplinano l’accertamento induttivo del reddito, in quanto il maggior reddito contestato era espressamente previsto nel contratto di locazione, e non vi è nessuna prova che la locatrice vi abbia rinunziato.
3. Occorre preliminarmente rilevare che la controricorrente ha sostenuto l’inammissibilità del ricorso per cassazione introdotto dall’Ente impositore, per aver proposto motivi di ricorso che contrastano con orientamenti consolidati della giurisprudenza di legittimità. Invero le questioni proposte presentano peculiarità in ordine alle quali non si rinviene una giurisprudenza consolidata del Giudice di legittimità, e non si rinvengono pronunce specifiche in ordine all’accertamento induttivo del reddito conseguito per il versamento degli interessi sui lavori di ristrutturazione, per effetto della sola previsione contrattuale della corresponsione degli stessi.
3.1 La società ha pure richiesto la riunione del presente giudizio con quello pendente tra le stesse parti ed avente analogo oggetto, ma in relazione a diversi anni d’imposta (RGN n. 28192/2019). Invero nel giudizio richiamato l’Amministrazione finanziaria ha proposto anche censure diverse, ma in ogni caso chiarezza espositiva suggerisce di non procedere alla riunione, assicurando comunque la trattazione contestuale dei processi.
La società ha quindi anche domandato l’applicazione del giudicato esterno in relazione alla sentenza n. 1795/17 dep. il 13.7.2017, pronunciata dalla CTR della Toscana e passata in giudicato (come da attestazione di cancelleria riportata sulla copia depositata), giudizio svoltosi tra le stesse parti in relazione a diverso anno d’imposta (2008). Invero dalla lettura della decisione non emerge con evidenza che la decisione adottata dalla CTR risulti pregiudicante in relazione al presente giudizio, e l’istante non ha indicato le specifiche ragioni di pregiudizialità.
4. Sembra quindi opportuno premettere, per chiarezza espositiva, che la società ha locato un proprio immobile di elevata quadratura (300 mq.). Dal contratto di locazione emerge la pattuizione del diritto del locatore a percepire l’incremento annuale del canone in base all’incremento dell’indice Istat, nonché gli interessi sulle spese di ristrutturazione, e l’Amministrazione finanziaria ha quindi ritenuto imponibile il maggior reddito percepito, induttivamente accertato. La società oppone che nessun incremento del canone si è registrato, perché non è stato mai richiesto al locatario, e comunque i lavori di ristrutturazione invocati dall’Agenzia hanno riguardato solo in misura marginale l’immobile locato.
4.1 Con i suoi motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente in conseguenza della loro connessione, per ragioni di sintesi e chiarezza espositiva, l’Agenzia delle Entrate critica la violazione di legge in cui ritiene essere incorsa la CTR per aver errato nella valutazione della prova presuntiva con la quale era stato dimostrato l’incremento del reddito percepito per effetto dalla locazione dell’immobile.
4.2 La CTR ha ritenuto che la mera previsione contrattuale dell’incremento del canone di locazione per le ragioni ripetutamente indicate, non comporta la prova dell’effettiva percezione del reddito contestato, in assenza di ogni ulteriore elemento presuntivo che l’Agenzia delle Entrate avrebbe potuto assicurare, come l’accertamento della corresponsione del canone aggiornato o, almeno, la richiesta di aggiornamento del canone da parte della società locatrice.
4.3 Replica l’Agenzia delle Entrate che, a seguito dell’abrogazione dell’art. 24 della legge n. 392 del 1978, il quale prevedeva la necessità della richiesta per l’aggiornamento del canone, ad opera della legge n. 431 del 1998, la richiesta di aggiornamento del canone non è più necessaria, ed era espressamente previsto dal contratto di locazione che all’aggiornamento dovesse provvedersi annualmente, così come le parti avevano pattuito la corresponsione degli interessi sulle spese di ristrutturazione. Nella tesi di parte, in mancanza di una rinunzia espressa della locatrice all’incremento del canone, sussistono sufficienti prove presuntive, in assenza di prove contrarie, che l’aggiornamento sia stato applicato e le maggiori somme siano state corrisposte, anche in relazione alle opere di ristrutturazione.
4.4 Invero l’Amministrazione finanziaria sostiene che, anche per effetto delle intervenute modifiche legislative, l’aggiornamento del canone di locazione in base agli indici Istat, che era stato espressamente previsto dal contratto stipulato dalle parti, in assenza di una rinunzia della locatrice che non è stata provata, deve ritenersi che sia stato applicato dalle parti, conseguendone la percezione di un maggior reddito imponibile non dichiarato, ed altrettanto è a dirsi con riferimento al conseguimento del versamento degli interessi sui lavori di ristrutturazione. La CTR replica che questo solo elemento, in assenza di qualsivoglia prova, anche presuntiva, dell’effettivo versamento delle somme e della stessa richiesta delle stesse, non è sufficiente a dimostrare la corresponsione degli importi che si intende sottoporre ad imposizione.
4.5 La impugnata decisione del giudice dell’appello non merita censure.
Occorre infatti innanzitutto osservare che la ricordata riforma legislativa invocata dall’Amministrazione finanziaria ha comportato l’esclusione della previsione di una espressa richiesta di aggiornamento del canone, ma neanche ha previsto che l’aggiornamento operi automaticamente per il sol fatto di essere stato contrattualmente previsto dalle parti. In proposito questa Corte regolatrice ha tradizionalmente ritenuto che “in tema di locazione, la richiesta di aggiornamento del canone da parte del locatore costituisce condizione per il sorgere del relativo diritto, con la conseguenza che il locatore stesso può pretendere il canone aggiornato solo dal momento di tale richiesta, senza che sia configurabile un suo diritto ad ottenere il pagamento degli arretrati, e ciò sia in caso di locazione di immobili ad uso non abitativo, giusta disposto dell’art. 32 della legge cosiddetto sull’equo canone, sia in caso di locazioni ad uso abitativo, ex art. 24 stessa legge”, Cass. sez. III, 2.10.2003, n. 14673; e non si è mancato più di recente di confermare che “la richiesta di aggiornamento del canone da parte del locatore, sia in caso di locazione di immobili ad uso abitativo, sia in caso di locazione ad uso diverso da quello di abitazione, costituisce condizione per il sorgere del relativo diritto. Ne consegue che solo a seguito di tale richiesta il locatore può domandare il canone aggiornato, per cui, ove non sia mai stato richiesto l’aggiornamento (o non sia stato convenuto tra le parti), lo stesso non rileva per la quantificazione dell’indennità ex art. 1591 cod. civ. per il ritardato rilascio dell’immobile”, Cass. sez. III, 26.5.2014, n. 11675; ed ancor più di recente si è ribadito che “in base all’art. 32 della l. n. 392 del 1978, così come novellato dall’art. 1, comma 9-sexies del d.l. n. 12 del 1985, conv. dalla l. n. 118 del 1985, il locatore, su conforme pattuizione con il conduttore, è abilitato a richiedere annualmente l’aggiornamento del canone per eventuali variazioni del potere di acquisto della moneta; pertanto, è contraria al disposto normativo la clausola che preveda una richiesta preventiva dell’aggiornamento con effetto attributivo di tutte le variazioni ISTAT che intervengano nel corso del rapporto ovvero una richiesta successiva riferita ad anni diversi da quello immediatamente precedente, e ciò perché la richiesta si pone come condizione per il sorgere del relativo diritto”, Cass. sez. III, 7.10.2021, n. 27287. Non vi è quindi questione di dimostrazione dell’intervenuta rinunzia all’adeguamento del canone, ma di prova che lo stesso sia stato almeno richiesto.
Il principio espresso risulta estensibile, per comunanza di ratio, anche agli interessi contrattualmente pattuiti dalle parti in conseguenza degli oneri sopportati dal locatore per la ristrutturazione dell’immobile.
4.5.1 Può quindi indicarsi il principio di diritto secondo cui “la richiesta di pagamento degli interessi contrattualmente pattuiti dalle parti in conseguenza degli oneri sopportati dal locatore per la ristrutturazione dell’immobile, sia in caso di locazione ad uso diverso da quello di abitazione, sia in caso di locazione di immobili ad uso abitativo, costituisce condizione per il sorgere del relativo diritto; pertanto solo a seguito di tale richiesta il locatore può esigere il pagamento degli interessi, ne consegue che ove non sia stata richiesta la corresponsione, l’ente impositore non può invocare la presunzione di intervenuto versamento degli interessi ai fini dell’imposizione”.
5. Il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria appare quindi infondato, e deve perciò essere respinto.
6. Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo, in considerazione della natura delle questioni affrontate e del valore della controversia.
6.1 Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere Amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M.
rigetta il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, che condanna al pagamento delle spese di lite in favore della costituita controricorrente, e le liquida in complessivi Euro 3.082,00 per compensi, oltre 15% per spese generali, Euro 200,00 per esborsi ed accessori come per legge.