Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 9430 depositata il 10 aprile 2025

IMU – esenzione per abitazione principale

FATTI DI CAUSA

1. La CTR, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato l’appello del contribuente con la conferma dell’avviso di accertamento IMU 2013;

2. ricorre per cassazione D.F. con tre motivi di ricorso;

3. si è costituito con controricorso il Comune di San Prisco che preliminarmente prospetta l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 336 proc. civ. per mancata specificazione e indicazione dei motivi di ricorso; nel merito ha chiesto il rigetto del ricorso in quanto infondato.

RAGIONI DELLA DECISIONE 

1. Il ricorso è infondato e deve rigettarsi, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese e con il raddoppio del contributo unificato. 

2. Contrariamente a quanto prospettato dal controricorrente, il ricorso risulta ammissibile poiché rappresenta la questione di fatto anche riportando gli atti essenziali del processo e prospetta violazioni di legge in maniera comprensibile e specifica.

Del resto, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. – quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri vs Italia del 28 ottobre 2021; vedi ora anche CEDU Patricolo vs Italia, del 23 maggio 2024 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (vedi Sez. U – , Ordinanza n. 8950 del 18/03/2022, Rv. 664409 – 01).

Il ricorso contiene tutti gli elementi della fattispecie e le analisi in diritto della questione controversa, in quanto richiama gli atti del processo ed il giudicato che si assume sussistente.

3. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente prospetta violazione o falsa applicazione di legge (art. 13, secondo comma, l. n. 201 del 2011 e dell’art. 1192, cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n 3, cod. proc. civ.) per omessa esenzione dall’IMU dell’intero immobile e non solo della quota del 50 %, di cui la ricorrente era proprietaria.

Il fatto risulta accertato dalle decisioni di merito e, del resto, pacifico tra le parti. Il ricorrente e la sorella risultano comproprietari di due immobili, al 50 %; in uno vi abita il primo ed in un altro abita la seconda. La destinazione a prima casa, per il ricorrente, dovrebbe comportare l’esenzione dell’IMU sia per il 50 % della sua formale proprietà (quota) sia per il restante 50 % di proprietà della sorella. Per il ricorrente, l’art. 1102 cod. civ. consente l’uso della cosa comune (il possesso esclusivo per l’abitazione principale, nel caso).

La tesi del ricorrente risulta infondata in quanto soggetto passivo dell’ IMU (vedi art. 9, d. lgs. n. 23 del 2011, nel testo in vigore all’epoca, 2013) è il proprietario di immobili (“ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie”); non risulta sufficiente il possesso di un bene comune pur se di fatto adibito a prima casa.

Quello che rileva per l’esenzione introdotta dall’art. 1, d. l. n. 93 del 2008 è il possesso di diritto (quale proprietario) dell’immobile in relazione alla disposizione dell’art. 9 cit., nel testo in vigore all’epoca; il possesso e l’uso di fatto non comporta l’esenzione dal pagamento dell’imposta, in quanto la mancanza di proprietà (anche se al 50 %) comporta la considerazione dell’immobile quale seconda casa (per il proprietario del 50 %).

Infatti, «In tema di imposta comunale sugli immobili, l’esenzione introdotta dall’art. 1 del d.l. n. 93 del 2008, conv. dalla l. n. 126 del 2008, non si applica al titolare pro quota del diritto di proprietà sull’immobile, nel quale egli ed il suo nucleo familiare non dimorino stabilmente e non vi abbiano la residenza anagrafica. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva esentato dal pagamento del tributo tre fratelli, titolari per successione della quota di un terzo su ciascuno dei tre immobili ricadenti nell’asse ereditario, non solo in relazione al bene da ciascuno di essi adibito ad abitazione principale, ma anche per gli altri due immobili in comproprietà, concessi in uso gratuito agli altri contitolari)» (Sez. 5 – , Ordinanza n. 24462 del 08/08/2022, Rv. 665784 – 01).

Del resto la disciplina di esenzione, quale norma derogatoria all’obbligo generale di contribuzione, deve essere interpretata restrittivamente: «In tema di IMU, in base al chiaro tenore dell’art. 13, comma 2, d.l. n. 201 del 2011, l’esenzione dall’imposta può essere riconosciuta ad un’unica unità immobiliare destinata ad abitazione principale e, stante la natura di stretta interpretazione delle norme di agevolazione, non può essere estesa ad ulteriori unità contigue, di fatto unificate ed utilizzate anch’esse come abitazione principale» (Sez. 5 – , Ordinanza n. 4530 del 20/02/2024, Rv. 670367 – 01).

L’utilizzazione del bene (quale abitazione principale) deve essere effettuata da parte del proprietario (o di titolare di diritto reale) e no di terzi (vedi Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 8073 del 21/03/2019, Rv. 653398 – 01 e Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 19773 del 23/07/2019, Rv. 654969 – 01, per l’esenzione ex art. 7, primo comma, lettera a, d. lgs. n. 504 del 1992; Sez. 5, n. 4530 del 2024, Rv. 670367).

Infatti, la normativa (l. n. 160 del 2019, art. 1, comma 747) concede una riduzione del 50 % per le abitazioni concesse in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado con il contratto registrato. Argomentando al contrario, non può applicarsi l’esenzione dell’imposta nel caso prospettato dalla ricorrente, possesso di fatto dell’abitazione di un comproprietario.

3. Con il secondo motivo il ricorrente prospetta violazione dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 2909 cod. civ. per omessa pronuncia sull’eccezione di giudicato, sentenza CTP n. 6439 del 2018. Con il terzo motivo il ricorrente prospetta violazione dell’art. 360, primo comma n. 5, cod. proc. civ. per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (il giudicato).

I motivi, che si trattano congiuntamente per la identità di questioni, sono infondati. A prescindere dalla diversa annualità e dal passaggio in giudicato della sentenza (attestazione ex art. 124 disp att cpc), si deve rilevare che sulle questioni giuridiche di interpretazione delle norme non può trovare applicazione la regola del giudicato esterno ex art. 2909 cod.civ. (che riguarda l’accertamento dei fatti): «In tema di giudicato esterno, l’interpretazione delle norme giuridiche compiuta dal giudice non può mai costituire limite all’attività esegetica esercitata da altro giudice, la quale, in quanto essenziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può incontrare vincoli, non trovando riconoscimento, nell’ordinamento processuale italiano, il principio dello stare decisis. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza con la quale la Commissione tributaria regionale, respingendo l’eccezione di giudicato esterno, aveva operato un’autonoma valutazione della fattispecie oggetto di giudizio, relativamente alla legittimità del metodo utilizzato dall’Ente comunale per la stima dell’immobile soggetto ad ICI)» (Sez. 5 – , Ordinanza n. 5822 del 05/03/2024, Rv. 670813 – 01; vedi anche Sez. 5, Sentenza n. 23723 del 21/10/2013, Rv. 628972 – 01).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto .