CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, sentenza n. 15518 depositata il 4 giugno 2024

Tributi – Diniego rimborso IVA – Società statunitense – Chiusura della partita IVA – Estinzione del mandato di rappresentanza fiscale – Notifica del provvedimento di archiviazione del rimborso – Rigetto

Fatti di causa

1. Con sentenza n. 2286/10/16 del 22/04/2016 la Commissione tributaria regionale del Lazio (di seguito CTR) rigettava l’appello proposto da Ma.Gi., n.q. di rappresentante fiscale della società statunitense T.S.I., avverso la sentenza n. 24051/60/14 della Commissione tributaria provinciale di Roma (di seguito CTP), la quale aveva a sua volta respinto il ricorso proposto dal contribuente avverso un diniego di rimborso dell’IVA relativa all’anno d’imposta 2000.

1.1. Come si evince anche dalla sentenza impugnata, il credito IVA spettante alla società era incontestato e il diniego dell’Agenzia delle entrate (di seguito AE) era motivato dal fatto che, a seguito della chiusura della partita IVA della società statunitense in Italia, era venuto meno anche il potere di rappresentanza di Ma.Gi., con conseguente legittimità della richiesta (rimasta inevasa) di ottenere le coordinate bancarie di T. o di una procura speciale all’incasso in favore del rappresentante.

1.2. La CTR respingeva l’appello proposto dal contribuente evidenziando che:

a) Ma.Gi. aveva volontariamente chiuso la partita IVA;

b) tale chiusura determinava la cessazione della rappresentanza fiscale, l’estinzione del mandato e la perdita della legittimazione ad agire per conto del mandante;

c) era irrilevante l’errore, in cui era caduto l’appellante, in ordine alla chiusura della partita IVA, errore non riconoscibile dall’Amministrazione finanziaria.

2. Avverso la sentenza della CTR Ma.Gi. proponeva ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrati da memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

3. AE si costituiva al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione orale ai sensi dell’art. 370 primo comma, cod. proc. civ.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso Ma.Gi. deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 36 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR fatte proprie le difese di AE senza indicare le ragioni del proprio convincimento.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “Nel processo civile ed in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, tanto piche la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato” (Cass. S.U. n. 642 del 16/01/2015; conf. Cass. n. 29028 del 06/10/2022; Cass. n. 22562 del 07/11/2016; Cass. n. 9334 del 08/05/2015).

1.3. Nel caso di specie, la CTR non compie un mero rinvio alle difese di AE, ma ne fa motivatamente proprie le argomentazioni in ordine all’estinzione del rapporto di mandato del rappresentante fiscale all’esito della chiusura della partita IVA.

1.4. Tale modalità di motivazione è pienamente conforme al principio di diritto pi sopra enunciato.

2. Con il secondo motivo di ricorso si contesta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 17, terzo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dell’art. 1, comma 4, del d.P.R. 10 novembre 1997, n. 441 e degli artt. 1703 ss. cod. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto che il mandato del rappresentante fiscale cessi con la chiusura della partita IVA, mentre, in realtà, il contratto di mandato e le sue vicende sarebbero connesse ma non direttamente collegate alla apertura e chiusura della partita IVA. In particolare, all’istituto della rappresentanza fiscale sarebbero applicabili, in quanto compatibili, le disposizioni civilistiche sul mandato, con la conseguenza che il mandato in favore di Ma.Gi. non si sarebbe estinto.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. Non è dubbio che, come evidenziato anche dal P.G., la nomina a rappresentante fiscale sia un prius rispetto all’apertura, da parte di quest’ultimo della partita IVA, che rappresenta lo strumento attraverso il quale il rappresentante opera. Né è dubbio che l’apertura e la chiusura della partita IVA siano atti che possa compiere unicamente il rappresentante dotato di mandato.

2.3. Ciò premesso, peraltro, la CTR ha ritenuto che dalla chiusura della partita IVA da parte del rappresentante legale possa ragionevolmente presumersi l’estinzione del mandato in capo al rappresentante fiscale, atteso che, senza una partita IVA aperta il rappresentante fiscale non potrebbe svolgere i propri compiti e, quindi, la sua figura sarebbe del tutto inutile per il mandante.

2.4. Se a ciò si aggiunge la circostanza, quanto mai anomala, di un rappresentante fiscale che chiude la partita IVA dimenticandosi di riscuotere un credito e che, inoltre, preferisce chiedere la riapertura di detta partita piuttosto che (operazione sicuramente più celere) farsi dare procura speciale all’incasso da parte di T., è possibile concludere che l’accertamento di fatto contenuto nella sentenza della CTR in ordine all’estinzione del mandato è del tutto logico e plausibile, in assenza di una ulteriore manifestazione di volontà da parte del mandante.

2.5. La diversa ricostruzione dei fatti proposta da controparte è inammissibile, sia perché non è stata dedotta la violazione dei canoni interpretativi del contratto (cfr. Cass. n. 9461 del 09/04/2021; si vedano altresì, ex multis, Cass. n. 873 del 16/01/2019; Cass. n. 16987 del 27/06/2018; Cass. n. 28319 del 28/11/2017; Cass. n. 27136 del 15/11/2017; Cass. n. 17168 del 09/10/2012), sia perché tende ad accreditare, con la proposizione di un vizio di violazione di legge, una diversa valutazione dei fatti rispetto a quella fornita dalla CTR.

3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 36 del D.Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 1431 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto la non riconoscibilità dell’errore in cui è incorso il rappresentante fiscale allorquando ha chiuso la partita IVA, non motivando sul punto.

3.1. Il motivo è infondato.

3.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (così Cass. S.U. n. 22232 del 03/11/2016; conf. Cass. n. 13977 del 23/05/2019).

3.3. Nel caso di specie, affermando che l’errore in cui sarebbe incorso il rappresentante fiscale nel chiudere la partita IVA non fosse riconoscibile dall’Amministrazione finanziaria, il giudice di appello non ha motivato apparentemente, ma ha qualificato giuridicamente il fatto sottoposto dalle parti alla sua attenzione, esprimendo chiaramente la ratio decidendi.

3.4. Gravava, dunque, sul ricorrente l’onere di censurare la valutazione sotto il profilo della violazione di legge, spiegando le ragioni per le quali detta valutazione non fosse giuridicamente corretta.

4. Con il quarto motivo di ricorso si contesta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 46 e 47 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, per avere la CTR ritenuto che il conferimento di un mandato non possa essere oggetto di autocertificazione.

4.1. Il motivo è inammissibile.

4.2. In realtà, l’affermazione della CTR, in questa sede impugnata, è del tutto superflua e ultronea rispetto all’accertamento in fatto dell’estinzione del mandato, che è l’unica questione che realmente entra a far parte della ratio decidendi.

4.3. Ne consegue che, da un lato, il contribuente impugna una statuizione che non ha interesse ad impugnare, in quanto la questione controversa non riguarda la nuova apertura della partita IVA, ma l’estinzione del mandato tra Ma.Gi. e T.

5. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta la sussistenza di un errore di fatto nell’esposizione del giudice di appello, laddove si afferma che l’Ufficio avrebbe notificato l’originario provvedimento di archiviazione della richiesta di rimborso.

5.1. Il motivo è inammissibile.

5.2. La sussistenza o meno di una notifica del provvedimento di archiviazione del rimborso non ha alcuna refluenza sulla soluzione della controversia, la quale riguarda – giova ribadirlo ancora una volta – la ritenuta estinzione del mandato.

6. In conclusione, il ricorso va rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo avuto conto di un valore dichiarato della lite di Euro 68.871,94.

6.1. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente procedimento, liquidate in complessivi Euro 5.900,00, oltre alle spese di prenotazione a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.