Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 22608 depositata il 9 agosto 2024
Iva – Ripresa – Leveraged buy out – Detraibilità dell’IVA
Fatti di causa.
Nel corso del 2015 la C. s.p.a., controllante di P. & c. s.p.a., da una parte, e la società C.C., dall’altra, costituirono la MPI s.p.a. (MPI), quale società veicolo nell’ambito di una operazione di leveraged buy out.
La società veicolo MPI nasceva in funzione dell’acquisto, tramite finanziamento bancario, di una rilevante quota delle azioni della stessa P., al fine di consentire l’ingresso di nuovi azionisti nel controllo di questa.
Avvenuto l’acquisto, P. nel 2016 operò una fusione inversa e incorporò la MPI, che si estinse.
La società veicolo nel periodo della sua esistenza svolse soltanto l’attività di possesso delle azioni P., tuttavia dotandosi di partita IVA, onde essere identificata ai fini della relativa imposta.
Nel periodo 2015-2016, la MPI commissionò e ricevette prestazioni di servizi di consulenza legati all’operazione di leveraged buy out, servizi che vennero resi da soggetti residenti in Italia, da altri soggetti residenti in Stati dell’UE e da soggetti residenti in Paesi terzi extra UE.
La società veicolo non esercitò il diritto alla detrazione dell’IVA addebitata nelle fatture delle prestazioni consulenziali ricevute dai fornitori italiani, mentre con riferimento alle prestazioni rese in suo favore da fornitori dell’Unione e di paesi terzi, applicò il regime del reverse charge previsto dall’art. 17, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972.
Successivamente alla fusione inversa P. presentò istanze di rimborso “atipico” ex art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 546 del 1992, quale successore universale per incorporazione di MPI. I dinieghi erariali opposti alle istanze di rimborso vennero impugnati con separati ricorsi alla CTP di Milano, che li accolse con due sentenze di identico tenore. Gli appelli dell’Agenzia delle Entrate, previa riunione, sono stati rigettati dalla CTR della Lombardia con la sentenza ora gravata dinanzi a questa Corte.
Il ricorso per cassazione dell’Agenzia delle Entrate è affidato ad un’unica censura. Resiste con controricorso la P., spiegando ricorso incidentale condizionato che s’incentra anch’esso su un solo motivo. P. ha depositato successiva memoria.
Ragioni della decisione.
Con l’unico motivo di ricorso principale l’Agenzia adduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 4, commi 2 e 5, lett. b), 7-ter, commi 1 e 2, 17, comma 2, 19, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972, 43 e 44 Direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune IVA, 19 Reg. (CE) 15/03/2011, n. 282/2011, recante disposizioni di applicazione della Direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune di IVA, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la CTR erroneamente trascurato di considerare che l’identificazione ai fini IVA della Società veicolo valesse di per sé a renderla soggetto passivo ai fini della debenza di detta imposta.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato la P. assume la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 e 10 L. n. 212 del 2000, dell’art. 3 L. n. 241 del 1990, degli artt. 23 e 57 D.Lgs. n. 546 del 1992, degli artt. 3, 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per non avere la CTR valorizzato la circostanza del progressivo mutamento in costanza di giudizio delle motivazioni poste dall’Ufficio alla base del rigetto della richiesta di rimborso, dacché, se i provvedimenti di diniego poggiavano sull’identificazione della società veicolo come “consumatore finale”, successivamente nelle deduzioni di primo grado l’Agenzia rilevava come la società in parola fosse da considerare “soggetto passivo” e metteva in risalto negli atti d’appello che a prescindere da tale ultima circostanza l’identificazione ai fini IVA implicava di per sé “la territorialità dell’operazione comunitaria o extra UE posta in essere”.
Il motivo di ricorso principale è infondato.
Parte ricorrente mette in evidenza, nel corpo della censura, che l’art. 43 della Direttiva CE del 28/11/2006 n. 112 prevede che la persona che è identificata ai fini IVA è considerata soggetto passivo e che tale identificazione “rende inderogabilmente soggetto passivo” la società; pone poi in luce che “se un soggetto si identifica ai fini IVA, si presume che per sua scelta egli dichiari che i servizi a lui resi si connettono ad una attività economica”, salvo i servizi stessi non siano “destinati esclusivamente ad un uso privato”. Nel motivo di ricorso si rimarca che MPI “utilizzava i servizi di consulenza per un uso istituzionale e tutt’altro che privato, vale a dire per condurre a termine la complessa operazione di ‘leveraged buy out’”.
Ora, nel disattendere gli appelli erariali, la CTR ha, in effetti, testualmente valorizzato la circostanza per la quale “secondo i consolidati principi di giurisprudenza comunitaria, le holding statiche, vale a dire le società che si limitano a detenere partecipazioni in altre società senza interferire direttamente o indirettamente nella gestione delle stesse, non hanno la qualifica di soggetto passivo IVA”; ha soggiunto anche che il “livello comunitario è stato recepito in toto dalla normativa nazionale”, dal momento che l’art. 4, comma 5, d.P.R. n. 633 del 1972 esclude che il possesso di partecipazioni, non strumentale né accessorio ad altre attività, costituisce attività commerciale. È stato poi richiamato dalla CTR il contenuto della Circolare n. 19/E/2018 che esclude la soggettività ai fini IVA delle holding statiche, nel cui paradigma MPI si è iscritta nel segmento della sua esistenza. I giudici d’appello insistono, inoltre, nel rimarcare che “l’elemento essenziale affinché una holding possa acquisire lo status di soggetto passivo IVA è, dunque, l’interferenza in modo diretto o indiretto, nella gestione delle partecipate, mentre il mero esercizio di direzione e coordinamento, in assenza dello svolgimento di attività economica, non è sufficiente a far acquisire alla holding la qualifica di soggetto passivo d’imposta”. Le circostanze annoverate dalla CTR come confermative della non ascrivibilità a MPI della connotazione di soggetto passivo ai fini IVA sono le seguenti: la sua costituzione esclusivamente in funzione dell’acquisizione di una quota rilevante delle azioni di P.; la mancata effettuazione di operazioni passive in costanza di esistenza, al netto del compimento di “acquisti di servizi di consulenza, funzionali e necessari per porre in essere l’operazione finanziata”; la mancata effettuazione durante la propria esistenza di “alcuna operazione attiva”. Infine, viene sottolineata la circostanza della mancata effettuazione da parte di MPI di “acquisti intracomunitari di beni”.
Su questa premessa, osserva questa Corte che nel caso che occupa si è al cospetto un’operazione inquadrabile nel c.d. merger leveraged buy out, ossia un’operazione volta all’acquisizione delle quote di partecipazione (del pacchetto azionario) di una società c.d. bersaglio (o target) – nella specie la P. & C. s.p.a. – da parte di un’altra società, generalmente costituita per l’occasione e con tale fine specifico (SPV o newco) – nella specie la MPI –, la quale normalmente ricorre a fonti esterne di finanziamento; una volta acquisita la partecipazione, la società veicolo procede – com’è accaduto nel caso di specie – alla fusione, diretta o – com’è accaduto in quest’occasione –, inversa, con la società target, con l’effetto di ribaltare anche l’indebitamento sul patrimonio della società target, ormai confuso con quello della società veicolo (SPV). L’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta dalla società veicolo, qualora correlata ad acquisti di beni e servizi che si accertino preordinati alla realizzazione della tratteggiata operazione di fusione a seguito di acquisizione con indebitamento, è in linea di principio detraibile ai sensi degli artt. 19 e ss. d.P.R. n. 633 del 1972, qualora la società risultante dalla fusione con la società c.d. target sia qualificabile alla stregua di soggetto passivo IVA e goda, a propria volta, del diritto alla detrazione dell’imposta.
La disciplina IVA subordina, infatti, l’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta ad un duplice presupposto: da un lato, è necessario che il soggetto che invoca la detrazione sia titolare dello status di “soggetto passivo” dell’imposta che ambisce a detrarre; dall’altro lato, è imprescindibile che i beni e servizi acquistati siano impiegati da tale soggetto passivo in funzione di operazioni sue proprie, soggette ad IVA, ossia di operazioni imponibili o di operazioni ad esse assimilate ai fini della detrazione.
Le fasi dell’operazione di merger leveraged buy out prima delineata sono specificamente scandite: costituzione della società veicolo (SPV), ricorso al capitale di debito, acquisizione della società target da parte della società veicolo e successiva fusione per incorporazione di quest’ultima nella società target (o viceversa).
Dette fasi rendono evidente che l’acquisizione della partecipazione nel capitale della società target, da parte della società veicolo, rappresenta una fase meramente transeunte e strumentale alla fusione della società veicolo medesima con quella che – transitoriamente – è la propria controllata. La fusione tra società veicolo e società target assurge, infatti, ab origine a presupposto necessario dell’intera operazione, in quanto funzionale alla congiunzione del debito finanziario della società veicolo con il patrimonio della società target.
La società veicolo è in grado di svolgere nel contesto dell’operazione ora in discorso un ruolo del tutto divaricato rispetto a quello di una holding destinata alla detenzione ed eventuale gestione di partecipazioni societarie. La c.d. società veicolo (SPV) non nasce, infatti, a meri fini di detenzione di partecipazioni, connotandosi, piuttosto, come strumento finalizzato ad attingere le risorse indispensabili all’acquisizione della società target, allo scopo precipuo di gestirne in via diretta l’azienda e di implementarne la struttura economico-finanziaria, in seguito al perfezionarsi di una già preordinata fusione.
In questo contesto, ai fini IVA l’acquisizione della società target s’atteggia ad attività preparatoria dell’attività economica che in esito all’acquisizione della società bersaglio verrà esercitata. Il sostenimento di per sé, da parte della società veicolo, di spese di investimento orientate all’acquisizione delle partecipazioni azionarie fa di detto ente un soggetto passivo, ancorché i beni e servizi acquistati non siano immediatamente utilizzati per lo svolgimento di tale attività economica, ma siano prodromici al suo concreto avvio.
Per il principio di neutralità immanente al regime dell’IVA le spese di investimento effettuate ai fini di un’operazione orientata all’esercizio finale dell’attività produttiva si iscrivono nel perimetro delle attività economiche. Non rileva, in altri termini, il momento in cui si realizzano le prime operazioni attive da parte di un ente, non potendosi ragionevolmente distinguere tra spese di investimento effettuate prima oppure in costanza dell’effettivo svolgimento dell’attività economica.
Con la sentenza del 12 Novembre 2020 relativa alla causa C-42/19 (Sonaecom SGPS SA), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, riprendendo i principi espressi nella precedente sentenza del 17 Ottobre 2018 relativa alla causa C-249/17 (Ryanair Ltd), è intervenuta in materia di detraibilità dell’IVA per i c.d. “transaction cost” relativi ai servizi di consulenza ricevuti da una holding mista al fine di acquisire delle partecipazioni in una società. Nell’occasione il giudice unionale ha avuto significativamente modo di fornire alcune essenziali coordinate d’approccio. Segnatamente, è stato chiarito che “chiunque abbia l’intenzione, confermata da elementi obiettivi, di iniziare in modo autonomo un’attività economica ed effettua a tal fine le prime spese di investimento deve essere considerato un soggetto passivo”. Più nello specifico, la soggettività passiva ai fini IVA, non riconducibile – secondo l’ottica della Corte eurounitaria – ad una holding “statica”, la cui mera attività consiste “nell’acquisizione di partecipazioni in società, senza interferire direttamente o indirettamente nella gestione di queste ultime“, è, viceversa, ascrivibile ad una holding “mista“, ossia ad una società che, parallelamente alla sua attività di detenzione di partecipazioni, fornisce servizi ai soggetti controllati, esercitando proprio in ragione di ciò un’attività economica.
Nell’ottica della Corte di Giustizia UE, a norma della Sesta Direttiva, gli atti preparatori devono, in particolare, già ritenersi parte integrante delle attività economiche (sentenza del 29 febbraio 1996, INZO, C-110/94, EU:C:1996:67, punto 15 e giurisprudenza ivi citata), di talché chiunque abbia l’intenzione, confermata da elementi obiettivi, di iniziare in modo autonomo un’attività economica ed effettui a tal fine le prime spese di investimento deve essere considerato come un soggetto passivo (sentenze dell’8 giugno 2000, Breitsohl, C-400/98, EU:C:2000:304, punto 34, e del 14 marzo 2013, Ablessio, C-527/11, EU:C:2013:168, punto 25 e giurisprudenza ivi citata). Nel contesto delle operazioni di merger leveraged buy out, le SPV sono società costituite allo scopo assorbente della realizzazione dell’acquisizione (con indebitamento) di una società target e della successiva fusione della stessa, e svolgono quindi un’attività di natura preparatoria rispetto alla rilevazione del controllo della società-obiettivo e alla susseguente gestione della relativa azienda.
I costi sostenuti dalla società veicolo, benché anteriormente alla fusione non si risolvano in una interferenza diretta nella gestione societaria della controllata che implichi l’effettuazione di operazioni soggette a IVA, nondimeno appaiono intimamente preparatori dell’esercizio dell’attività economica e del suo rafforzamento. La società veicolo neocostituita sostiene i costi stessi con la finalità di utilizzare i beni o i servizi consulenziali acquistati per la prosecuzione dell’attività economica della società target, altrimenti non avrebbe neppure ragione di acquistarli.
Quand’anche manchi in capo alla società veicolo l’effettuazione di operazioni attive, nondimeno, ai fini del riconoscimento del diritto alla detrazione Iva, va evidenziato come questa Corte abbia più volte, dal canto suo, precisato che, se, da un lato, in ordine agli acquisti di beni ed in generale alle operazioni passive occorre accertare, ai fini della detraibilità dell’imposta, che ricorra l’effettiva inerenza all’esercizio dell’impresa, cioè il loro compimento in stretta connessione con le finalità imprenditoriali, d’altro lato, non è richiesto, tuttavia, “il concreto esercizio dell’impresa, potendo la detrazione dell’imposta spettare anche nel caso di assenza di operazioni attive, con riguardo alle attività meramente preparatorie” poiché “è inerente all’esercizio dell’impresa anche l’acquisto di beni e servizi destinati alla costituzione delle condizioni necessarie perchè l’attività tipica possa cominciare, rientrando nel concetto di strumentalità altresì le attività meramente preparatorie“ (Cass. n. 7344 del 2011; Cass. n. 1578 del 2015; Cass. n. 18475 del 2016; Cass. n. 23994 del 2018).
In ultima analisi, le attività preparatorie costituiscono pur sempre esercizio di un’attività economica e, conseguentemente, anche l’acquisto dei beni e dei servizi necessari alla costituzione delle condizioni necessarie perché l’attività economica tipica dell’impresa possa concretamente iniziare devono considerarsi strumentali e inerenti allo svolgimento della futura attività economica. Detta strumentalità non è peraltro contestata dalla P. e si palesa incontroversa e pacifica.
Il motivo di ricorso principale va, pertanto, rigettato.
Il ricorso incidentale condizionato va, pertanto, dichiarato assorbito.
Le spese seguono la soccombenza e sono regolate nella misura esposta in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna l’Agenzia delle Entrate a pagare in favore della ricorrente in via incidentale le spese del presente giudizio, che liquida in euro 30.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi nonché accessori come per legge.