Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 23273 depositata il 28 agosto 2024

credito IVA – rimborso – fallimento – principio di diritto – il processo tributario è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia, eventualmente, dell’avviso di accertamento o di rettifica dell’ufficio, sicché il giudice, ove ritenga in tutto o in parte invalido l’atto per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad accertare genericamente la debenza dell’imposta demandandone la sua successiva quantificazione ad una parte del giudizio, sia pure sulla base di alcuni criteri, atteso che l’art. 35, comma 3, ultimo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992, come interpretato alla luce degli artt. 111 Cost., 6 CEDU e 47 CDFUE, esclude la pronuncia di condanna indeterminata, rendendo necessario l’esame nel merito della pretesa, entro i limiti posti dalle domande di parte

Fatti di causa

Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Regione Emilia-Romagna n.2348/5/2018 depositata l’8 ottobre 2018 veniva rigettato l’appello principale dell’Agenzia delle Entrate e dichiarato improcedibile l’appello incidentale della fallita società Fario S.r.l., avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Bologna n. 975/11/15 che aveva accolto il ricorso introduttivo contro il diniego di rimborso n.508 dell’8.4.2014 relativo ad IVA 2013.

La controversia traeva origine dal fatto che negli anni 2003-2008 la società – costituita in data 23.7.2003 e dichiarata fallita il 23.4.2009 – maturava un credito IVA pari ad euro 167.987, costantemente indicato nelle dichiarazioni dei redditi presentate per tali periodi d’imposta come da riportarsi negli esercizi successivi per la compensazione e, da ultimo, nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta 2008. Il credito non compariva più nelle dichiarazioni dei redditi presentate dal fallimento della società per il quadriennio successivo e veniva inserito solo nella dichiarazione dei redditi presentata dalla contribuente per l’anno di imposta 2013, con un’istanza di integrale rimborso formulata dalla contribuente ex art. 30, comma 4, del d.P.R. n. 633/1972. L’Amministrazione finanziaria rigettava l’istanza di rimborso con provvedimento n. 508 dell’08.04.2014, ritenendo non ricorressero i presupposti previsti dalla legge. Successivamente, la fallita società proponeva in data 23.07.2014 anche un’istanza di rimborso anomalo.

Il giudice di prime cure riteneva infondata la richiesta di rimborso ex art. 30, comma 4 cit., in quanto la somma oggetto della pretesa restitutoria era considerata superiore al minore degli importi delle eccedenze dei due anni precedenti. Tuttavia, la CTP riteneva il ricorso meritevole di accoglimento ai sensi del 2° comma dell’articolo da ultimo menzionato, dovendo essere riconosciuto il diritto al rimborso dell’eccedenza, vertendosi in caso di cessazione dell’attività.

L’Agenzia proponeva appello principale evidenziando, tra l’altro, l’assenza dei presupposti per il rimborso, tanto in ragione del 4° comma quanto del 2° comma dell’art.30, sia in quanto la domanda amministrativa non era stata introdotta in relazione a quest’ultimo titolo, sia per assenza di cessazione dell’attività della società, smentita dalla sopravvivenza della partita IVA.

La decisione di primo grado veniva confermata in sede di appello, ma sulla base di argomentazioni parzialmente diverse. La CTR riteneva, ai fini della richiesta di rimborso ai sensi del quarto comma dell’art.30 citato, che il computo delle ultime tre annualità dovesse partire a ritroso dalla dichiarazione del 2009 e non dalla domanda di rimborso presentata nel 2014, con conseguente dimostrazione da parte del fallimento del titolo per l’accoglimento del ricorso introduttivo.

Inoltre, ai fini del secondo comma della previsione suddetta, come già il giudice di primo grado anche la CTR affermava la spettanza del rimborso in ragione della cessazione dell’attività di impresa, considerato che la società era stata dichiarata fallita il 21.4.2009, senza autorizzazione all’esercizio provvisorio, e che la norma attribuiva comunque al contribuente il diritto di rimborso dell’IVA eccedente, con conseguente rigetto dell’appello dell’Agenzia e improcedibilità dell’appello incidentale condizionato proposto dalla contribuente.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso principale per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidato a quattro motivi (erroneamente numerati alle pagg.13 e 14), cui ha replicato la contribuente con controricorso e appello incidentale condizionato per quattro motivi, che illustra con memorie. Anteriormente alla pubblica udienza, la società fallita propone istanza di riunione della controversia con il processo iscritto all’RGN 16529/2021.

Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Regione Emilia Romagna n.1486/4/2020 depositata il 14 dicembre 2020 veniva rigettato l’appello principale dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Bologna che, con la sentenza n. 332/1/17, aveva accolto il ricorso introduttivo proposto dal fallimento Fario S.r.l. avverso la cartella di pagamento n.02020160007371288 relativa ad IVA 2012 emessa dall’Ufficio ex art. 54 bis d.P.R. n. 633/1972. Con tale cartella l’Agenzia delle Entrate, dopo avere disconosciuto il credito IVA con il diniego sull’istanza predetta, provvedeva al recupero dello stesso.

La CTP, dopo aver rilevato la sostanziale sovrapponibilità tra il precedente processo – deciso dalla CTR con sentenza n.2348/5/2018 avverso il diniego di rimborso in cui accertava la prova del diritto della contribuente al rimborso dell’IVA – e il presente processo di impugnazione della cartella relativa al medesimo credito IVA di cui all’istanza di rimborso, accoglieva il ricorso del Fallimento annullando la cartella.

Egualmente, il giudice d’appello prendeva atto che, con sentenza n.2348/5/2018, la CTR aveva già accolto il ricorso avverso il diniego di rimborso del credito IVA per la somma di euro 168.867,00 e concludeva dichiarando indebito il recupero operato dall’Amministrazione attraverso la cartella di pagamento impugnata.

Avverso siffatta sentenza ha proposto ricorso principale per cassazione l’Agenzia delle Entrate, per tre motivi (uno erroneamente numerato a pag.24), cui ha resistito il Fallimento con controricorso e appello incidentale condizionato per due motivi, che illustra con memoria.

Ragioni della decisione

1. In via pregiudiziale, in accoglimento della richiesta delle parti i due processi, che vertono sul medesimo credito IVA chiesto a rimborso dal Fallimento e denegato dall’Amministrazione, oggetto di successiva cartella di pagamento emessa per conto dell’Agenzia e opposta, devono essere riuniti per connessione oggettiva e soggettiva ex art.274 cod. proc. civ., il più giovane (RGN 16529/2021) al più risalente (RGN 12192/2019).

2. Su di un piano logico dev’essere esaminato prima il ricorso RGN 12192/19 relativo alla sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Regione Emilia-Romagna n.2348/5/2018, in quanto investe la spettanza del diritto al rimborso del credito IVA. Il Collegio osserva che tale sentenza ha espresso a riguardo due distinte rationes decidendi.

2.1 La prima ratio viene espressa in relazione all’art. 30, comma 4, del P.R. n. 633/1972, disposto in forza del quale è stata introdotta la richiesta amministrativa di rimborso IVA, ed afferma che il computo delle ultime tre annualità deve partire a ritroso dalla dichiarazione del 2009 e non dalla domanda di rimborso presentata dalla contribuente nel 2014. Sulla base di tale premessa, il giudice constata che il credito IVA 2008 di euro 168.987 esposto nella dichiarazione presentata nel 2009 è il minore del triennio 2006-8 ed ha, per l’effetto, accertato il diritto al rimborso dell’imposta armonizzata.

2.2 La seconda ragione della decisione è incentrata sull’ulteriore titolo di rimborso azionato ossia il secondo comma dell’art. 30, disposto invocato nel ricorso introduttivo in ragione della cessazione dell’attività di impresa, in via concorrente al richiamo alla previsione del 4° comma ai fini del rimborso. Al proposito, il giudice d’appello accerta all’ultima pagina della sentenza che la società è stata dichiarata fallita il 21.4.2009, senza autorizzazione all’esercizio provvisorio e dichiara che la norma attribuisce comunque il diritto di rimborso dell’IVA eccedente, con conseguente rigetto dell’appello dell’Agenzia e improcedibilità dell’appello incidentale condizionato proposto dalla contribuente.

3. Ciò premesso, il Collegio osserva che con il primo motivo di ricorso principale, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 19, comma 1, d.P.R. 633/72 e dell’art. 30 del d.P.R. 633/72 in relazione all’art. 360, comma 1 3, cod. proc. civ., per non aver la CTR tenuto conto del fatto che la società contribuente ha presentato la dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta 2008. In tale dichiarazione è stato esposto un credito IVA da portare in compensazione pari ad euro 167.987,00 e, non essendo stato chiesto successivamente a rimborso, per tale credito non opererebbe la prescrizione decennale di cui all’art. 2946 cod. civ. come ritenuto dal giudice. In buona sostanza, la ricorrente si duole del fatto che la Commissione Tributaria Regionale abbia ritenuto che la mera “esposizione” di un credito in dichiarazione, indipendentemente dal fatto che lo stesso sia chiesto a rimborso o riportato in compensazione, valga come istanza di rimborso e che il diritto allo stesso si estingua per prescrizione decennale.

4. Con il secondo motivo, la ricorrente principale prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 19, comma 1, P.R. 633/72 e dell’art. 30 del d.P.R. 633/72 – in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3, cod. proc. civ. – per aver il giudice d’appello ritenuto che ai sensi del quarto comma dell’art. 30 del d.P.R. 633/72 il Fallimento ha diritto al rimborso, sul presupposto che il credito IVA del 2008, pari ad euro 168.987,00, sarebbe stato regolarmente esposto nella dichiarazione presentata nel 2009, e che è stato il minore del triennio 2006/7/8 esposto dalla società nelle rispettive dichiarazioni.

5. Il terzo motivo dell’Agenzia ricorrente principale, erroneamente numerato a 13 del ricorso come secondo, deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del d.lgs. n.546/1992 e dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4, cod. proc. civ., da parte della sentenza impugnata. Il giudice, andando oltre la materia ad essa devoluta dalle parti e delimitata dall’istanza di rimborso e dal relativo diniego, avrebbe sancito, pur in assenza di un provvedimento dell’Amministrazione sull’istanza della contribuente finalizzata ad ottenere il rimborso del credito IVA ex art. 30, comma 2, del d.P.R. 633/72, la spettanza del diritto al rimborso. La censura si appunta sul capo di sentenza in cui il giudice afferma che «il contribuente ha nella fattispecie diritto al rimborso anche ai sensi del secondo comma dell’art. 30 del d.P.R. 633/72, pur avendo chiesto la restituzione ai sensi del quarto comma: infatti in caso di impugnativa del diniego di rimborso il giudizio tributario ha per oggetto il rapporto, e non soltanto l’atto di diniego».

6. Con il quarto motivo, per mero errore materiale numerato primo a pag.14 del ricorso, viene prospettata la violazione e falsa applicazione degli 19 e 30 del d.P.R. 633/1972, nonché degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. da parte della sentenza di appello, ritenuta giuridicamente errata laddove non si sofferma sulla prova del credito chiesto a rimborso rinvenuta nella sua mera esposizione nelle dichiarazioni pregresse, mentre è onere della parte che chiede il rimborso fornire tutta la documentazione attestante la sussistenza del credito, a fronte del diniego opposto dall’Amministrazione.

7. Il terzo motivo, che prospetta la nullità della sentenza, dev’essere esaminato in via prioritaria rispetto ad ogni altro, ed è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e di infondatezza.

7.1 Quanto all’inammissibilità, il Collegio constata che con il mezzo di impugnazione in disamina viene prospettato un error in procedendo risultante in un vizio di ultrapetizione e, al riguardo, è ferma la giurisprudenza di  legittimità  (ad    Cass.  Sez. 3, n. 27181 del 22/09/2023) nel senso che la rilevazione e l’interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito, sicché non è deducibile la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., quale errore procedurale rilevante ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., quando il giudice abbia svolto una motivazione sul punto, dimostrando che la questione è stata ricompresa tra quelle oggetto di decisione, attenendo, in tal caso, il dedotto errore al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte.

7.2 In secondo luogo, funditus, la prospettazione dell’Amministrazione non è Ai fini di una più completa ricostruzione della regola di diritto applicabile alla fattispecie, il Collegio rammenta che la Corte (Cass. Sez. 5, n.  34723 del 25/11/2022;  Sez. 5,  n. 18777 del 10/09/2020) ha più volte affermato che il processo tributario è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia, eventualmente, dell’avviso di accertamento o di rettifica dell’ufficio, sicché il giudice, ove ritenga in tutto o in parte invalido l’atto per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad accertare genericamente la debenza dell’imposta demandandone la sua successiva quantificazione ad una parte del giudizio, sia pure sulla base di alcuni criteri, atteso che l’art. 35, comma 3, ultimo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992, come interpretato alla luce degli artt. 111 Cost., 6 CEDU e 47 CDFUE, esclude la pronuncia di condanna indeterminata, rendendo necessario l’esame nel merito della pretesa, entro i limiti posti dalle domande di parte.

7.3 Specularmente, con riferimento non ad un atto impositivo, bensì ad un diniego di rimborso opposto dall’Amministrazione quale è quello che riguarda la fattispecie in esame, sarebbe incongrua una valutazione limitata alla legittimità o meno del provvedimento impugnato, ossia esclusivamente considerando i presupposti di cui all’art.30, comma 4, d.P.R. n.633/72. Ciò impedirebbe di considerare i fatti, pacificamente introdotti sin dalla fase amministrativa e poi nel processo a partire dal primo grado, costituiti dalla cessazione dell’attività di impresa successiva alla declaratoria di fallimento del 21.4.2009 e dalle dichiarazioni presentate per conto della società. Il dato è evincibile dalle dichiarazioni rese dal Fallimento per le annualità 2009-12 e sino al 2013 sintetizzate nei prospetti alle pagg.4-7 del controricorso per Cassazione in cui viene unicamente riportato il credito IVA alla base del processo, senza indicazione di operazioni IVA corrispondenti ad una reale attività. Dunque, i fatti relativi all’intervenuta cessazione dell’attività non sono affatto circostanze nuove, e non modificano né il petitum, costituto dalla richiesta di rimborso del credito di euro 168.867,00, né la causa petendi, individuata nell’art.30 del d.P.R. 633/72. Alla luce di siffatte considerazioni, è indubbio il potere del giudice di qualificare la domanda, in relazione al secondo e al quarto comma dell’art.30, nell’ambito dei poteri di impugnazione-merito del giudice tributario sopra richiamati sulla base dei fatti prospettati dalle parti sin dalla fase amministrativa e senza nocumento alcuno del diritto di difesa.

8. Ciò premesso, quanto all’approccio sostanzialistico alla nozione di “cessazione dell’attività economica”, la giurisprudenza della Corte si è espressa più volte, sia a Sezioni Unite (cfr. n. 8059 del 2016) che in Sezione semplice (v. n. 29257 del 2023), nel senso che il diritto al rimborso dell’imposta per cessazione dell’attività, ai sensi dell’art. 30 del P.R. n. 633 del 1972, sorge al momento della cessazione effettiva della medesima.

8.1 Orbene, oltre a quanto già in precedenza considerato, il Collegio a pag.34 del controricorso legge, con rinvio alla documentazione rilevante prodotta già in primo grado, che l’unico bene aziendale della contribuente è stato anche venduto dal fallimento mediante incanto in regime di esenzione IVA nel corso dell’anno 2012, con conseguente impossibilità di utilizzo del credito IVA.

8.2 Vengono poi in rilievo le dichiarazioni relative al credito IVA, presentate dal fallimento. La dichiarazione prevista dall’art. 74 bis del d.P.R. n. 633 del 1972 (nel testo applicabile “ratione temporis”, anteriore alla modifica apportata dall’art. 11 del d.P.R. n. 542 del 1999), del curatore o del commissario liquidatore, relativamente alle operazioni anteriori all’apertura o all’inizio delle procedure concorsuali, è equiparabile alla dichiarazione di cessazione di attività (Cass. Sez. 6 – 5, n. 36385 del 13/12/2022). Ne consegue che essa, al pari della dichiarazione annuale, chiude il rapporto tributario antecedente alle procedure concorsuali, e fa sorgere, da quella data, ai sensi dell’art. 30 del d.P.R. 633 del 1972, il diritto al rimborso dei versamenti d’imposta che risultino effettuati in eccedenza. L’ulteriore conseguenza è che il termine decennale di prescrizione per la richiesta del rimborso dei crediti IVA, relativo ad operazioni antecedenti alla dichiarazione di fallimento, decorre dalla dichiarazione di cui all’art. 74 bis cit. oppure dallo scadere del termine per presentarla (cioè dal quarto mese successivo alla nomina del curatore fallimentare).

8.3 Nella presente fattispecie il provvedimento di diniego del rimborso ha stabilito che «non risulta agli atti presentata la dichiarazione ex art.74 bis d.P.R. n.633/72» e tale dato non è stato contestato.

Tuttavia, va anche ricordato che l’interpretazione giurisprudenziale della Corte in tema di IVA è nel senso che il termine di prescrizione per il rimborso di crediti, relativi ad operazioni antecedenti all’apertura della procedura concorsuale e alla stessa procedura di amministrazione straordinaria, è decennale e decorre non solo dalla dichiarazione di cui all’art. 74-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, ma anche (cfr. Cass. Sez. 5, n. 24891 del 21/08/2023) dalla scadenza del termine per presentarla, e cioè dal quarto mese successivo alla nomina del curatore fallimentare (Cass. Sez. 5, n. 22805 del 2021; Cass. n. 27948 del 2009).

8.4 In generale, quanto al significato dell’esposizione del credito come inequivocabile volontà di ottenere il rimborso del credito, deve tenersi distinta la domanda di rimborso del credito IVA da quella di compensazione dell’imposta (cfr. Sez. 5, n. 24655 del 10.8.2022). Nondimeno, deve considerarsi anche che in casi eccezionali, in cui la compensazione non può più essere effettuata, come nel caso di specie in cui vi è stata la cessazione dell’attività, anche la richiesta in compensazione può rilevare. Questa infatti, comunque contiene la volontà di non perdere il credito, e l’esposizione del credito in dichiarazione può valere quale richiesta di rimborso di un’eccedenza d’imposta in precedenza maturata e domandata entro il termine di prescrizione ordinaria. Tale soluzione è pienamente coerente con la giurisprudenza della Sezione (cfr.  Cass.  Sez. 6 – 5, n.  5024 del 12/03/2015,  conforme a Cass. Sez. 5, n. 9794 del 23.4.2010) secondo la quale la richiesta di rimborso dell’eccedenza IVA, formulata dalle imprese cessate o fallite, le quali, non proseguendo l’attività, non possono portare in detrazione l’eccedenza l’anno successivo è soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale.

9.  Alla luce di quanto precede, dev’essere affermato il seguente principio di diritto: «In tema di IVA, il diritto al rimborso dell’eccedenza d’imposta dell’imposta per cessazione dell’attività, ai sensi dell’art. 30, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, sorge al momento della cessazione effettiva della medesima e, in tal caso, l’anteriore esposizione da parte del curatore fallimentare nella dichiarazione ai fini della compensazione o detrazione, è idonea a costituire inequivocabile volontà di non perdere il credito e così anche di ottenere il rimborso del credito, soggetto al termine di prescrizione ordinario decennale.».

9.1 Orbene, in controricorso si afferma a 5 che la stessa curatela fallimentare ha provveduto alla presentazione della denuncia modello unico 2009 per l’anno 2008, in cui è stato esposto il credito IVA precedentemente maturato per complessivi euro 167.987 come credito da utilizzare in compensazione o in detrazione per l’anno successivo. Pertanto, il curatore ha comunicato all’Amministrazione finanziaria il credito IVA, con piena applicazione del principio di diritto che precede.

9.2 Non inficia tale risultato il fatto che da parte la fallita «con dichiarazione IVA del 28 febbraio 2014 è stato chiesto il rimborso di euro 168.867 indicando alla casella 3 del rigo VX4» (cfr. p.7 del ricorso). È vero che è stata indicata quale causale del rimborso il «codice 8 (art.30, comma 4 d.P.R. n.633/72 – rimborso della minor eccedenza detraibile del triennio)», ma il Collegio rammenta che, per giurisprudenza costante della Corte successiva alla sentenza 5, 20039 del 30/09/2011, conforme  tra  le  tante  Sez. 5, n.  19115 del 28/09/2016) la compilazione del quadro “VX” della dichiarazione annuale IVA, nel rigo rubricato «importo di cui si richiede il rimborso» configura inequivoca richiesta di rimborso del vantato credito d’imposta e formale esercizio del correlativo diritto, pur subordinato al controllo, da parte dell’Agenzia, dei dati indicati in dichiarazione. La decisione del giudice d’appello, perciò, come già quella del giudice di prime cure, anche sotto il convergente profilo già menzionato si colloca all’interno del perimetro della domanda di rimborso, chiaramente espressa.

9.3 Ragionare diversamente del resto porterebbe ad un approccio defatigatorio e irragionevolmente penalizzante per il contribuente che, come si legge a p.2 del ricorso, ha anche proposto in data 23.7.2014, oltre all’istanza di rimborso rigettata dall’Amministrazione con provvedimento 508 dell’8.4.2014, anche un’ulteriore istanza di rimborso anomalo, ai fini di ottenere il rimborso del medesimo credito IVA, che l’Agenzia precisa “non [è] ancora oggetto di disamina da parte dell’Ufficio”. Infatti, il giudice tributario deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalla domanda di parte di rimborso, esercitata in modo non equivoco attraverso la compilazione del quadro “VX” della dichiarazione annuale IVA

10. Dev’essere quindi affrontato il quarto motivo, più liquido, incentrato sulla prova del credito chiesto a rimborso, che il giudice ha rinvenuto nella sua esposizione nelle dichiarazioni IVA e che non sarebbe stato rigorosamente provato, com’è onere del richiedente il rimborso.

11. Il motivo è destituito di Non solo sia il giudice di primo sia di secondo grado hanno riconosciuto il diritto al rimborso del credito e quindi la sua esistenza in una doppia pronuncia conforme, ma la questione è pacifica sin dalla fase amministrativa, avendo l’Amministrazione rigettato l’istanza unicamente perché nel triennio antecedente la dichiarazione il credito non costituiva la minor eccedenza detraibile esposta. Inoltre, nel suo controricorso il Fallimento ha anche indicato a pag.37 i passaggi degli atti difensivi nei quali l’Agenzia ha riconosciuto il credito senza mai contestarne l’esistenza e ha evidenziato anche a pag.39 del ricorso, attraverso la produzione in giudizio sin dal primo grado dei registri IVA e delle liquidazioni periodiche IVA di tutti gli anni in contestazione dal 2003 al 2014, delle fatture di acquisto e delle denunce IVA relative al credito, elementi di prova mai contestati né in primo né in secondo grado dall’Amministrazione e alla base dell’accertamento dei giudici di merito sulla spettanza del diritto al rimborso in un doppio accertamento conforme.

12. Per effetto della reiezione dei motivi terzo e quarto divengono inammissibili per carenza di interesse i primi due motivi del ricorso principale (cfr. Cass. 11 gennaio 2007 n. 389; successive conformi, Cass. Un. 29 marzo 2013 n. 7931; Cass. 4 marzo 2016 n. 4293), relativi a distinta ratio decidendi espressa dal giudice con riferimento al calcolo della minor eccedenza detraibile nel triennio ex art. 30, comma 2, del d.P.R. n. 633/1972. Infatti, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l’omessa utile impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa.

13. Resta assorbito il ricorso incidentale condizionato all’accoglimento del ricorso principale, in cui è dedotta la violazione degli artt.132 comma 2 n.4 cod. proc. civ. e 112 cod. proc. civ. quanto all’eccepita inammissibilità dell’appello in quanto tardivo (primo motivo), alla violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 4, del d.P.R. n. 633/1972 (secondo motivo), l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti con riferimento alle circostanze di fatto di cui alla precedente censura (terzo motivo) e viene riproposto un motivo asseritamente non esaminato dal giudice di violazione dell’art.1 comma 1 d.P.R. n.443/1997.

14. Con il primo motivo del ricorso principale iscritto all’RGN 16529/21 l’Agenzia prospetta l’omessa applicazione dell’art. 39, comma 1 bis, lgs. n. 546/92 e dell’art. 295 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 cod. proc. civ. con richiesta di riunione alla causa RGN 12192/2019 e di decisione consequenziale, dal momento che la sentenza n.1486/4/2020 della CTR si fonda sulla sentenza della commissione tributaria regionale n. 2384/5/18 impugnata in cassazione nel processo connesso e qui riunito.

15. Con il secondo motivo del ricorso principale viene prospettata, in subordine, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 d.lgs. 546/1992 e dell’art. 132 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4, cod. proc. civ., perché non avrebbe rispettato i limiti entro i quali è ammessa la motivazione per relationem.

16. Il terzo motivo del ricorso principale lamenta la violazione dell’art. 2, comma 8 bis, del d.P.R. n. 322/1998 e dell’art. 54 bis del d.P.R. 633/1972, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ., per non aver il giudice tenuto conto del fatto che la cartella di pagamento n. 020201600007371288 oggetto del giudizio è stata emessa a seguito di liquidazione automatizzata, ex art. 54 bis del d.P.R. n. 633/1973, effettuata sulla dichiarazione IVA integrativa per l’anno d’imposta 2012, tardivamente presentata in data 06.2014, nella quale è stato riportato il credito IVA indicato nel Mod. Unico presentato per l’anno d’imposta 2008. In pari data la società ha presentato dichiarazioni integrative, anch’esse tardive ai sensi dell’art. 2, comma 8 bis, del d.P.R. n. 322/1998 vigente ratione temporis, anche per gli anni 2010 e 2011. Non è stata integrata la dichiarazione presentata per l’anno 2009. Nel proprio atto di appello, in merito alla legittimità del recupero a tassazione del credito IVA di euro 167.987,00, l’Agenzia ha evidenziato come, secondo la giurisprudenza, la possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi è circoscritta a precisa cornice temporale. Infatti, per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito di imposta o di un minor credito, mediante la dichiarazione integrativa di cui all’art. 2, comma 8 bis, è esercitabile non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante. La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi conseguente ad errori od omissioni in grado di determinare un danno per l’amministrazione, è esercitabile non oltre i termini stabiliti dal d.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, mentre il rimborso dei versamenti diretti di cui all’art. 38 del d.P.R. n. 602/1973 è esercitabile entro il termine di 48 mesi dalla data del versamento. Il giudice d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla suddetta censura.

17. Va quindi dato atto che il ricorso principale RGN 16529/21 ripropone, alle pagg.16 e ss. anche le quattro censure oggetto del ricorso principale RGN 12192/19 e sopra già scrutinate.

18. I motivi del ricorso principale dell’Agenzia nel processo RGN 16529/21 sono inammissibili per carenza di interesse, in conseguenza della riunione dei due ricorsi e della reiezione del ricorso principale dell’Agenzia nel processo iscritto all’RGN 12192/2019 che hanno determinato il consolidamento del diritto al rimborso del credito oggetto della cartella.

19. Dall’inammissibilità del ricorso principale discende inoltre l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato RGN 16529/2021 proposto dal fallimento.

20. Conclusivamente, è confermata la decisione del giudice d’appello che ha, in conseguenza della sentenza n.2348/5/2018 della CTR resa sul diniego di rimborso del credito IVA per la somma di euro 168.867,00, e divenuta definitiva per effetto della presente sentenza, stabilito che è indebito il recupero operato attraverso la cartella di pa- gamento impugnata.

21. Al rigetto dei ricorsi principali, assorbiti gli incidentali nei due processi riuniti, fanno seguito le spese di lite, regolate secondo la soccombenza, liquidate come da dispositivo.

Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, in presenza di soccombenza della parte ammessa alla prenotazione a debito, non sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per i ricorsi riuniti, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte,

riunisce il ricorso RGN 16529/21 a quello iscritto all’RGN 12192/19; rigetta il ricorso principale RGN 12192/19 e dichiara inammissibile il ricorso principale RGN 16529/21, dichiara assorbiti i ricorsi incidentali condizionati proposti dal fallimento;

condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di lite nei processi riuniti, liquidate in euro 8.000,00 per compensi, oltre 200 Euro per spese borsuali, Spese generali 15% Iva e Cpa.