Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 24416 depositata l’ 11 settembre 2024
Società non operativa – art. 30 l. n. 724/1994 – Disapplicazione – Effetti
RILEVATO CHE
L’Agenzia delle entrate emetteva atto di recupero nei confronti di I. Srl, esercente attività di servizi nel settore turistico-alberghiero e di gestione di complessi alberghieri e turistici, con cui denegava il rimborso Iva per l’anno 2006 e recuperava le somme erogate poiché la società risultava non operativa ai sensi dell’art. 30 l. n. 724 del 1994.
Impugnato l’atto da parte della contribuente, la CTP di Lecce dichiarava estinto il giudizio atteso l’avvenuto annullamento, nel parallelo giudizio, del provvedimento di improcedibilità dell’istanza di interpello per la disapplicazione della disciplina sulle società di comodo. Su ricorso dell’Ufficio, la CTR della Puglia sez. staccata di Lecce, in modifica della statuizione di primo grado, accoglieva l’originario ricorso della I. Srl.
L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione con due motivi. I. Srl resiste con controricorso.
Il ricorso, fissato all’udienza del 4 aprile 2022, veniva rinviato a nuovo ruolo in attesa della decisione della Corte di giustizia sulla questione pregiudiziale della compatibilità della disciplina sulle cd. società di comodo.
In prossimità dell’udienza la società ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
1. Preliminarmente va esaminata l’eccezione di giudicato esterno sollevata dalla I. Srl in controricorso.
Evidenzia la società che l’Ufficio, a seguito di rigetto dell’istanza di interpello disapplicativo, aveva emesso avviso di accertamento sempre per il 2006, con cui recuperava le maggiori somme dovute ai fini delle imposte dirette e che tale giudizio si era concluso con la sentenza della CTR sez. staccata di Lecce n. 2040/24/14 del 15 ottobre 2014, passata in giudicato per omessa impugnazione attesa
1.1 L’eccezione è infondata.
Come più volte precisato da questa Corte, infatti, la sentenza pronunciata in riferimento ad una determinata imposta, ancorché fondata sui medesimi fatti rilevanti ai fini dell’applicazione di un’imposta diversa, non spiega efficacia preclusiva nel giudizio avente ad oggetto quest’ultima imposta, essendosi formata mediante l’applicazione di norme giuridiche diverse da quelle sotto le quali deve aver luogo la sussunzione della fattispecie controversa (v. Cass. n. 8773 del 04/04/2008; Cass. n. 235 del 09/01/2014; Cass. n. 33596 del 18/12/2019 in motivazione).
Ne deriva che, venendo in rilievo, nella specie, da un lato le imposte dirette e dall’altro l’Iva, «l’efficacia espansiva del giudicato esterno non ricorre quando i separati giudizi riguardino tributi diversi, trattandosi di imposte strutturalmente differenti, ancorché la pretesa impositiva sia fondata sui medesimi presupposti di fatto» (Cass. n. 14596 del 06/06/2018).
2. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 36, nn. 3 e 4, d.lgs. n. 546 del 1992 e 132 c.p.c. per motivazione apparente, non essendo comprensibile la ratio decidendi posta a fondamento della decisione della CTR, né avendo indicato quali fossero le ragioni oggettive che giustificavano la disapplicazione della normativa sulle società non operative.
2.1 Il motivo, pur ammissibile, è infondato.
La CTR ha così motivato: «la Commissione ritiene che le circostanze indicate nei ricorsi introduttivo, vale a dire che la società non ha operato nell’anno 2006, trovano conforto in atti giacché era ancora in corso la ristrutturazione ed i relativi procedimenti amministrativi finalizzati a consentire alla società l’attivazione di un albergo.»
Tale motivazione, certamente sintetica ed essenziale, pone in risalto che nel 2006 la società si trovava nell’impossibilità di svolgere la sua attività perché l’immobile, destinato ad albergo, era ancora in costruzione e, anzi, anche l’attività amministrativa – funzionale alla sua successiva operatività – era in corso, sicché è ben chiara la ratio decidendi e il percorso logico posto a fondamento della statuizione, poi esplicitamente ancorato alle risultanze “in atti”, con un univoco riferimento per relationem a quanto prodotto in giudizio.
Si tratta, dunque, di motivazione che, seppur concisa, consente di apprezzare l’iter decisionale e il ragionamento del giudice di merito che, in ogni caso, si pone al di sopra del “minimo costituzionale”, la cui sola violazione attiva il sindacato giurisdizionale di legittimità per il vizio lamentato.
3. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 3 c.p.c., violazione degli artt. 30 l. n. 724 del 1994 e 37 bis d.P.R. n. 600 del 1973.
Lamenta l’Ufficio che la società non aveva effettuato, pur obbligatorio per il 2006, il test di operatività previsto dall’art. 30, comma 1, l. n. 724 del 1994 ma si era limitata a presentare istanza di disapplicazione ex art. 37 bis d.P.R. n. 600 del 1973 deducendo, in termini del tutto generici, la presenza di situazioni oggettive idonee a rendere impossibile il conseguimento di ricavi, tant’è che era stata dichiarata improcedibile da cui l’impossibilità di fruire del rimborso Iva per l’eccedenza di credito per quella annualità.
Rileva, inoltre, che il rimborso Iva era subordinato alla dimostrazione – non fornita – di situazioni oggettive di carattere straordinario, indipendenti dalla volontà imprenditoriale, tali da impedire la conclusione del cantiere e l’avvio dell’attività alberghiera.
4. Il motivo – in sé ammissibile non ponendosi una questione di valutazione delle prove ma di sussistenza dei presupposti di legge per l’applicazione della disciplina delle società di comodo – intercetta la problematica della compatibilità unionale della disciplina nazionale sulle cd. società di comodo e sulla liceità del diniego del diritto di detrazione, oggetto della decisione della Corte di giustizia, a seguito di rinvio ex 267 TFUE da parte di questa Corte in un parallelo giudizio, con la sentenza 7 marzo 2024, Feudi di San Gregorio Aziende Agricole SpA, in causa C-341/22.
4.1 La Corte di giustizia ha fornito una risposta chiara e precisa evidenziando:
- «l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo IVA al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA il cui valore economico non raggiunge la soglia fissata da una normativa nazionale, la quale soglia corrisponde ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone» (par. 25) posto che per determinare la qualità di soggetto passivo rileva «esclusivamente il fatto che detta persona eserciti effettivamente un’attività economica e … sfrutti un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità»;
- «nessuna disposizione della direttiva IVA subordina il diritto a detrazione al requisito che l’importo delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA, effettuate a valle da un soggetto passivo nel corso di un determinato periodo, raggiunga una certa soglia» e, anzi, al contrario, «il diritto alla detrazione dell’IVA è garantito, purché ricorrano le condizioni richieste … indipendentemente dai risultati delle attività economiche del soggetto passivo interessato» (par. 31), fatta salva l’ipotesi in cui ricorra una frode o un abuso del diritto (come delineati dai par. da 33 a 36 della sentenza);
- l’art. 30 della legge n. 724/1994 assolve alla funzione di disincentivare le evasioni e, a tal fine, si basa sulla presunzione per cui, quando l’importo delle operazioni effettuate a valle da una società in un determinato periodo d’imposta non raggiunge una soglia (calcolata applicando i criteri previsti dalla norma), la società non è operativa salvo che essa «non riesca a dimostrare che elementi oggettivi giustificano l’impossibilità di raggiungere la soglia» (par. 38), da cui l’impossibilità di esercitare il diritto di detrazione;
- tuttavia, tale presunzione, si fonda «su un criterio, quello di una soglia di ricavi, che è estraneo a quelli richiesti ai fini della dimostrazione di un’evasione o di un abuso» poiché prescinde da una valutazione «della realtà effettiva delle operazioni rilevanti ai fini IVA» ed è ancorata solo al parametro della «valutazione del volume» degli affari (par. 39), sicché essa «eccede quanto necessario per conseguire l’obiettivo di prevenire le evasioni e gli abusi» (par. 42).
4.2 Da tutto ciò, dunque, la Corte di giustizia ha derivato che «l’articolo 167 della direttiva 2006/112 nonché i principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità … ostano a una normativa nazionale in forza della quale il soggetto passivo è privato del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte, a causa dell’importo, considerato insufficiente, delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate da tale soggetto passivo a valle».
5. Alla luce dei principi su esposti, pertanto, l’art. 30 l. n. 724 del 1994 va disapplicato, non potendosi derivare la privazione del diritto di detrazione in mera dipendenza dell’entità delle operazioni realizzate dalla contribuente ma solo ove la situazione sia riconducibile ad una frode o ad un abuso.
6. Alla luce degli stessi principi affermati dalla Corte unionale, peraltro, il motivo deve essere accolto per le ulteriori verifiche imposte in attuazione della citata decisione, rimesse al giudice nazionale.
6.1 L’art. 30 n. 724/1994, come rilevato, va disapplicato perché non compatibile con i principi unionali.
Tuttavia, la stessa CGUE, nella citata sentenza, ha rilevato che la normativa non è incompatibile perché mira a disincentivare l’evasione ma perché si fonda su una “supposizione”, ossia su una “presunzione” estranea alla disciplina Iva dovendo diritto di detrazione restare ancorato alla “realtà effettiva”.
Ne deriva che il diritto di detrazione va riconosciuto se:
- nel corso del periodo d’imposta controverso, in relazione al quale l’autorità tributaria ha reputato la società non operativa, la stessa abbia effettivamente esercitato un’attività economica (indipendentemente dallo scopo o dai risultati), intesa come comprensiva di ogni attività di produzione, commercializzazione o prestazione di servizi, per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità;
- la società medesima abbia impiegato i beni e servizi acquistati per le sue operazioni soggette ad imposta, e ciò indipendentemente dai risultati delle attività economiche;
- le operazioni non si inseriscano in una frode (connotata anche soggettivamente secondo il consolidato principio per cui la parte sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare ad una evasione) o non integrino, ai fini unionali, un abuso, inteso anche, come si esprime la sentenza della CGUE (v. par. 33-36), quale “realizzazione di una costruzione artificiosa”.
Con riguardo ai punti a) e b), inoltre, va sottolineato che la detrazione dell’imposta può spettare anche in assenza di operazioni attive, ossia con riguardo alle attività di carattere preparatorio, purché esse siano finalizzate alla costituzione delle condizioni d’inizio effettivo dell’attività tipica (v. Cass. n. 25635 del 31/08/2022; Cass. n. 23994 del 03/10/2018).
6.2 Si tratta di un complesso di verifiche e valutazioni che non sono stati operate dalla CTR, che si è limitata a rilevare che la società non era operativa nel 2006 perché era in corso la ristrutturazione, sicché, trattandosi di accertamenti di merito non esperibili in sede di legittimità, la sentenza va cassata per un nuovo esame.
6.3 Va sottolineato, sul punto, che non viene introdotto un nuovo ambito o tema di prova ma, semplicemente, viene assolta l’esigenza del necessario accertamento della realtà concreta, la cui doverosità è diretta conseguenza ed applicazione della disciplina unionale e della sentenza della Corte di giustizia, accertamento che la disposizione in rilievo – e qui disapplicata – mirava, con una modalità incoerente e lesiva dei principi unionali, a far ritenere presunto.
Né, del resto, si poneva, a monte dell’originaria contestazione, la necessità di una ulteriore e specifica contestazione di carenza di effettività dell’attività economica ovvero di una frode e/o di un abuso posto che la ricorrenza degli indici contemplati dall’art. 30 l. n. 724/1994 era idonea a fondare (sia pure illegittimamente) una presunzione in sé esaustiva dell’inconsistenza dell’attività economica perché apparente, in frode od artificiosa.
7. In conclusione, in accoglimento del secondo motivo, infondato il primo, la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado territorialmente competente in diversa composizione per l’ulteriore esame alla luce dei principi affermati dalla Corte di giustizia e sopra esposti al punto 6.1.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, infondato il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia sez. staccata di Lecce, in diversa composizione, per l’ulteriore esame alla luce dei principi affermati dalla Corte di giustizia ed esposti al punto 6.1.