Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 24896 depositata il 17 settembre 2024

TARI

FATTI DI CAUSA

1. H. spa (società di gestione del servizio rifiuti del Comune di Castel San Pietro Terme) propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale la Commissione Tributaria Regionale, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittimi gli avvisi di pagamento notificati a C.L.I. srl in recupero di Tari 2014 (secondo semestre; per il primo semestre è stato accolto il ricorso di H. s.p.a. dalla Cassazione 8222 del 2022). La Commissione tributaria regionale, in particolare, ha osservato che nel corso del giudizio di primo grado la società contribuente aveva documentalmente dimostrato che su gran parte delle aree occupate esistevano solo magazzini che producevano rifiuti speciali da imballaggi terziari, smaltiti in via autonoma dalla stessa C.L.I. a mezzo di un operatore specializzato, pagando direttamente il servizio in questione; – per contro, H. non aveva dimostrato il fondamento della pretesa impositiva e, segnatamente, non aveva provato l’asserita circostanza che nelle aree occupate dai magazzini che producevano rifiuti speciali smaltiti in via autonoma vi fosse, invece o in concomitanza, anche la produzione di ordinari rifiuti urbani al cui smaltimento provvedesse la stessa H. spa.

2. Resiste con controricorso C.L.I. srl

3. La ricorrente e la controricorrente hanno depositato memoria. 

4. La Procura generale della Cassazione, sostituto procuratore Stanislao De Matteis, ha presentato conclusioni, ribadite in udienza, di accoglimento del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione di legge (art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione dell’articolo 1, commi 641 e 649 della legge, n. 147 del 2013) dal momento che – diversamente da quanto sostenuto dalla Commissione Tributaria Regionale – la prova della mancata produzione di rifiuti urbani ordinari e della mancata fruizione del servizio pubblico gravava sull’ utente. Ciò in quanto il presupposto dell’imposta era costituito dal fatto obiettivo della detenzione di locali la cui normale produzione di rifiuti derivava dalla costante presenza

2. Con il secondo motivo di ricorso si prospetta una violazione di legge (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., articoli 1, commi 641 e 649 della legge, 147 del 2013 e art. 62 d. lgs. n. 507 del 1993) in quanto non risulta provata, comunque, una produzione non solo prevalente, ma anche continuativa di rifiuti speciali.

3. Con un terzo motivo si prospetta violazione di legge (art. 1, lettera A, direttiva 2016/12/CE decisione CE 3 maggio 2000, 532, direttiva 75/442/CEE, decisione 94/904/CE, direttiva 91/689/CEE, art. 218, e allegato D, del d. lgs, n. 152 del 2006, art. 3, direttiva 94/62/CEE, art. 1, commi 641, 646 e 659 della legge n, 147 del 2013, Regolamento di gestione dei rifiuti del Comune di Castel San Pietro Terme, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), in quanto i rifiuti prodotti dalla società contribuente non sono terziari, ma primari e secondari in considerazione della normativa richiamata, come emerge dai codici individuati.

4. I tre motivi di ricorso si trattano unitariamente perché tutti incentrati sull’errore logico-giuridico nel quale sarebbe incorsa la Commissione Tributaria Regionale nell’attribuire effetto esonerativo totale all’avvenuta dimostrazione della produzione, presso gran parte dei locali della società contribuente, di rifiuti speciali non assimilati né assimilabili (in quanto imballaggi terziari). I primi due motivi sono fondati, con assorbimento logico del terzo, e la sentenza deve cassarsi con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia-Romagna; del resto questa Corte ha già deciso controversia analoga tra le stesse parti (Tares 2013 e Tari 2014, primo semestre), con la decisione n. 8222 del 14 marzo 2022 e non sussistono elementi per modificare tale decisione. In base all’art.62, terzo comma, d. lgs. 507/93: «nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti». In base all’art.14, decimo ed undicesimo comma, d. l. 201/2011 nella determinazione della superficie assoggettabile al tributo non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano di regola rifiuti speciali, a condizione che il produttore ne dimostri l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente.

Il presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all’articolo 1117 del cod. civ., che non siano detenute o occupate in via esclusiva.

La TARI è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. La riduzione della superficie tassabile, in ragione della dimostrata produzione su di essa di rifiuti speciali, opera anche per quei particolari rifiuti speciali costituiti dagli imballaggi terziari (qui in considerazione), non assimilati né ex lege assimilabili ai rifiuti urbani ordinari. Si è in proposito più volte affermato (con riguardo tanto alla Tarsu quanto alle sue varianti Tia1 e Tares, assoggettate a linea normativa di continuità (vedi Sez. 5 – , Ordinanza n. 2372 del 27/01/2022, Rv. 663750 – 01) che agli imballaggi terziari (nonché agli imballaggi secondari ove non sia attivata la raccolta differenziata) si applica appunto la disciplina di cui all’art.62, terzo comma, cit., il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo l’esclusione della sola parte di esse in cui, per struttura e destinazione, si producono i rifiuti speciali; per questa loro natura, gli imballaggi terziari non possono essere immessi nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani (oggetto di privativa comunale) e devono essere comprovatamente conferiti ed avviati al recupero presso operatori autorizzati.

La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare sia l’inclusione degli imballaggi terziari in questo tipo di disciplina, sia l’accollo in capo al contribuente dell’onere di provare tutti i presupposti della riduzione di superficie (natura speciale dei rifiuti; entità della superficie di loro produzione; auto-smaltimento). In particolare, «In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e con riguardo all’art. 62, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993, in virtù del quale “nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali”, l’impresa contribuente ha l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile, atteso che, pur operando anche nella materia in esame, per quanto riguarda il presupposto dell’occupazione di aree nel territorio comunale, il principio secondo cui spetta all’amministrazione l’onere della prova dei fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia ex art. 70 del citato d.lgs. n. 507 del 1993) un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, che integra un’eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale» (Sez. 5, Sentenza n. 16235 del 31/07/2015, Rv. 636107 – 01).

5. Conseguentemente è onere del contribuente provare, a fronte della pretesa impositiva dell’Amministrazione, che tali aree producono, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, prova assente nel caso di specie, e solo all’esito di tale onere e in assenza di loro assimilazione a quelli urbani, spetta l’esenzione del pagamento della quota variabile della TARI;

il tributo da applicarsi, ex art.1, commi da 641 a 649, l. n. 147 del 2013, a chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale- è strutturato in una parte variabile ed in una parte fissa, in modo che: – il presupposto impositivo della parte variabile della tariffa (sempre che sia stato istituito ed effettivamente svolto il servizio di raccolta e smaltimento) va individuato nella produzione di rifiuti urbani o assimilati, ferma restando la facoltà dei Comuni di prevedere una riduzione di questa parte variabile nel caso in cui il contribuente provi di smaltire in proprio, in tutto o in parte, i rifiuti assimilati prodotti; per contro, la quota variabile della tariffa non è dovuta allorquando il contribuente provi di produrre in via prevalente e continuativa rifiuti speciali non assimilabili o comunque non assimilati, e smaltiti autonomamente a mezzo di ditte esterne autorizzate; – la parte fissa della tariffa è invece dovuta sempre per intero, sul mero presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, essendo essa destinata a finanziare i costi essenziali e generali di investimento e servizio nell’interesse dell’intera collettività (dunque indipendentemente dalla qualità e quantità dei rifiuti prodotti, così come dall’oggettiva volontaria fruizione del servizio comunale, purché effettivamente apprestato e messo a disposizione della collettività); si tratta di costi ai quali debbono partecipare tutti i possessori di locali all’interno del territorio comunale, in quanto astrattamente idonei ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio (Sez. 5 – , Ordinanza n. 5360 del 27/02/2020, Rv. 657343 – 01; vedi anche Sez. 5, del 15/05/ 2024 n. 13455).

5.1 Infatti, per la quota fissa, il comma 649 dell’art. 1, n. 147 del 2013 deve essere letto unitamente al successivo comma 651, che richiama espressamente il d.P.R. 17 aprile 1999 n. 158, Regolamento recante norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani (normativa tutt’ora in vigore). Ai costi di investimento generali per il servizio di smaltimento devono contribuire tutti (coloro che hanno immobili nel territorio interessato) a prescindere dallo smaltimento diretto di alcuni rifiuti.

6. Da questi principi la Commissione Tributaria Regionale si è discostata affermando la totale illegittimità degli atti impositivi opposti, solo in ragione del fatto che la società aveva provato in giudizio di produrre rifiuti speciali (imballaggi terziari), senza specificare e accertare che la produzione fosse anche continuativa (vedi art. 1, comma 649, l. n. 147 del 2013, e senza considerare che: a) la comprovata produzione di rifiuti speciali in una porzione (per quanto estesa) dell’insediamento produttivo non escludeva, né logicamente né giuridicamente, la produzione nello stabilimento anche di rifiuti urbani ordinari; produzione che non doveva essere dimostrata ad onere dell’ente impositore, in quanto ex lege ricollegata al solo ed obiettivo fatto materiale della detenzione dei locali; b) la prova della produzione di rifiuti speciali da parte della società contribuente, come riferito dalla stessa Commissione Tributaria Regionale, era stata comunque fornita con riguardo non alla totalità delle aree occupate, ma soltanto alla gran parte di esse, il che poneva il problema (non considerato dal giudice di merito) di individuare con esattezza (con onere probatorio a carico della stessa società contribuente che intendeva in tal modo fruire del regime speciale di favore) le superfici esentate dall’imposizione in rapporto a quelle complessivamente detenute dalla società e normalmente produttive di rifiuti urbani ricompresi nell’ordinario ciclo di privativa comunale; c) tanto la gran parte delle superfici produttive di rifiuti speciali, quanto le residue aree occupate, strutturalmente e funzionalmente idonee alla produzione di rifiuti urbani ordinari, concorrevano senza riduzione o esenzione di sorta al pagamento della quota fissa del tributo, in quanto – come detto – diversamente finalizzata. Tutti questi aspetti deponevano quindi per la necessità che il giudice tributario, nell’ambito di un tipico procedimento avente natura di impugnazione-merito, accertasse la eventuale parziale fondatezza della pretesa tributaria in relazione sia alla concorrente produzione di rifiuti urbani ordinari o a questi assimilati sia al concorso alla quota fissa del tributo (Tari) da parte dell’intera superficie detenuta. Ne segue la cassazione della sentenza impugnata, in accoglimento dei primi due motivi di ricorso – assorbito logicamente il terzo motivo – ed il rinvio alla C.G.T. di secondo grado dell’Emilia-Romagna, che riconsidererà la fattispecie alla luce dei principi indicati, provvedendo anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso, assorbito il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia- Romagna in diversa composizione.