CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, Sentenza n. 24944 depositata il 17 settembre 2024
Tributi – Verifica fiscale – Sottofatturazione – Vendita di immobili – Distribuzione a favore dei soci di utili non dichiarati – Procedimento con pluralità di parti – Valore indiziante della ristretta base sociale – Clausole di riserva della proprietà – Rigetto – nei procedimenti con pluralità di parti, una volta avvenuta ad istanza di una di esse la notificazione del ricorso per cassazione, le altre parti, alle quali il ricorso sia stato notificato, debbono proporre, a pena di decadenza, i loro eventuali ricorsi avverso la medesima sentenza nello stesso procedimento e, perciò, nella forma del ricorso incidentale, ai sensi dell’art. 371 c.p.c., in relazione all’art. 333 dello stesso codice, salva la possibilità della conversione del ricorso comunque presentato in ricorso incidentale
Fatti di causa
1. A seguito di verifica fiscale conclusa con processo verbale di constatazione in data 26/07/2010, l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Barletta – Andria – Trani, contestava alla società costruttrice Ca. C. Srl, nonché ai soci Ca.Ca. e Ba.An., una “sottofatturazione” derivante dalla vendita di immobili per l’anno di imposta 2009.
Più precisamente, la rideterminazione dei ricavi non dichiarati, cui in tesi aveva fatto seguito una distribuzione a favore dei soci medesimi degli utili non dichiarati, era dall’ufficio fiscale così determinata:
– quanto ad Euro 146.000 per maggiori corrispettivi versati dagli acquirenti Di. e Do. rispetto al prezzo formalmente dichiarato nei due contratti di compravendita;
– quanto ad Euro 630.000 per omessa contabilizzazione nel 2009 dei corrispettivi di tre compravendite immobiliari a favore dei sigg.ri Ca., Mu. e Di.
2. Con ricorso depositato il 12/04/2012 gli odierni ricorrenti avevano impugnato gli avvisi di rettifica e liquidazione rispettivamente notificati alla società ed ai due soci, avanti alla CTP di Bari, contestando la veridicità e comunque l’attendibilità di quanto dichiarato dai promissari acquirenti a proposito delle maggiori somme versate “in nero” rispetto agli importi formalmente indicati in contratto e la duplicazione di imposta che gli accertamenti comportavano quanto alle restanti compravendite: i ricorrenti, infatti, rilevavano che nel 2009 gli acquirenti erano soltanto stati immessi nel godimento anticipato del bene (contratto preliminare con comodato temporaneo) in attesa di pervenire a rogito, in corrispondenza del quale gli incassi erano stati dichiarati e regolarmente sottoposti ad imposizione fiscale.
Si costituiva l’Agenzia delle Entrate contestando gli avversi ricorsi.
3. La CTP di Bari, con sentenza n. 204/2012, respingeva i ricorsi.
4. Il gravame proposto dai contribuenti avanti la CTR della Puglia – Bari veniva deciso con la sentenza n. 969/2015, oggetto qui di impugnazione, che accoglieva parzialmente l’appello laddove si contestava che non sarebbe stato sottoposto a tassazione per l’anno 2009 il corrispettivo di Euro 630.000 derivante da tre compravendite a favore dei sigg.ri Ca., Mu. e Di., in quanto in materia di imposte dirette l’art. 109, comma 2, lett. A) del D.P.R. 917/86 prevede che i corrispettivi delle cessioni si considerino conseguiti alla data di stipula delle compravendite immobiliari, ciò che era appunto avvenuto negli anni successivi, di cui la contabilità della società Ca. C. aveva tenuto regolarmente conto.
La sentenza di primo grado veniva invece confermata nella parte in cui erano giudicate pienamente attendibili le dichiarazioni rese alla GDF da due acquirenti, in ordine alle maggiori somme di fatto versate alla società di costruzioni e, di conseguenza, in ordine all’attribuzione ai soci dei maggiori utili extracontabili accertati nei confronti della società.
5. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i contribuenti, con atto iscritto al numero di R.G. 28796/2015.
6. L’Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso e, separatamente, ha proposto altra impugnazione della medesima sentenza n. 969/2015 – con il quale ci si duole del parziale accoglimento dell’appello proposto dalla Ca. C. Srl e dai due soci – con atto iscritto al numero di R.G. 29380/2015.
7. Entrambi i ricorsi sono stati chiamati alla pubblica udienza del 10 luglio 2024, in vista della quale la Procura generale, nella persona del Sostituto dott.ssa P.F., ha depositato memorie scritte con le quali ha chiesto, rispettivamente, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso proposto da Ca. C. Srl e dai suoi soci, nonché l’accoglimento del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate.
Ragioni della decisione
1. Il ricorso R.G.N. 29380/2015 deve essere riunito a quello R.G.N. 28796/2015. Trattandosi infatti dell’impugnazione della medesima sentenza n. 969/2015 resa dalla CTR della Puglia – Bari, opera la causa di riunione obbligatoria prevista dall’art. 335 c.p.c., a tenore del quale “tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza debbono essere riunite, anche d’ufficio, in un solo processo”.
Conseguentemente il ricorso proposto cronologicamente per primo dai contribuenti deve essere considerato come principale, mentre quello proposto successivamente dall’Agenzia delle Entrate viene trattato come impugnazione incidentale.
Come statuito da Cass. n. 25054/2013 e Cass. n. 33809/2019, infatti, nei procedimenti con pluralità di parti, una volta avvenuta ad istanza di una di esse la notificazione del ricorso per cassazione, le altre parti, alle quali il ricorso sia stato notificato, debbono proporre, a pena di decadenza, i loro eventuali ricorsi avverso la medesima sentenza nello stesso procedimento e, perciò, nella forma del ricorso incidentale, ai sensi dell’art. 371 c.p.c., in relazione all’art. 333 dello stesso codice, salva la possibilità della conversione del ricorso comunque presentato in ricorso incidentale – e conseguente riunione ai sensi dell’art. 335 c.p.c. – qualora risulti proposto entro i quaranta giorni dalla notificazione del primo ricorso principale, posto che in tale ipotesi, in assenza di una espressa indicazione di essenzialità dell’osservanza delle forme del ricorso incidentale, si ravvisa l’idoneità del secondo ricorso a raggiungere lo scopo.
2. Il ricorso principale proposto dai contribuenti avverso la sentenza della C.T.R. della Puglia – Bari n. 969/2015, dep. il 05.05.2015, si fonda su un motivo composito intitolato come segue:
I) NULLITÀ DELLA SENTENZA PER VIOLAZIONE DELL’ART. 360 N. 4 E 5, DELL’ART. 24 CARTA COST. ED ARTT. 115 E 116 C.P.C. In estrema sintesi, secondo i contribuenti, le dichiarazioni rese dagli acquirenti Di. e C. dovrebbero ritenersi inattendibili, prevalendo su di esse quanto indicato nei rogiti notarili di acquisto immobiliare; in secondo luogo dai maggiori corrispettivi ripresi a tassazione avrebbero dovuto scomputarsi taluni costi, che secondo una prassi seguita dall’ufficio territorialmente competente andrebbero individuati nel 20% dei maggiori ricavi presuntivamente accertati; infine, sarebbe infondata la pretesa di imputare ai soci i maggiori utili accertati nei confronti della società, trattandosi di pretesa apodittica fondata su di un automatismo indimostrato.
3. Il motivo di ricorso avanzato da Ca. C. Srl e dai soci Ca.Ca. e Ba.An. appare inammissibile in quanto, da un lato, sotto l’egida della violazione di legge, tende a sovvertire la ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito, così come la valutazione del materiale probatorio che lo stesso ne ha fornito.
Dall’altro, neppure si confronta pienamente con le motivazioni della sentenza impugnata, tendendo perciò ad un risultato che non può certo essere perseguito attraverso il ricorso in sede di legittimità.
Sotto un primo profilo, infatti, non si comprende perché il prezzo indicato in un rogito notarile dovrebbe essere maggiormente attendibile di quello, maggiore, dichiarato dagli acquirenti nei processi verbali redatti dalla G.d.F. Come è persuasivamente scritto nella motivazione della sentenza impugnata, infatti, “invero le dichiarazioni rese inizialmente dagli acquirenti alla G.d.F. risultano altamente attendibili atteso che essi non avevano motivo alcuno, per le conseguenze negative nei loro stessi confronti, per mentire nel dichiarare di aver versato delle somme in nero.
Tali dichiarazioni sono altresì supportate dai risultati delle indagini della polizia giudiziaria da cui emerge il sistematico ed illecito fenomeno del sovrapprezzo in nero applicato sulle vendite di unità immobiliari, confermate dallo stesso Ca.Ca. in sede di interrogatorio di garanzia disposto dal G.I.P. del Tribunale di Trani”.
Orbene, a tal riguardo è sufficiente ricordare, sulla scia di un costante indirizzo, la più recente Sez. 2, ord. n. 10927 del 23/04/2024 (Rv. 670888 – 01), per la quale “deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme“; in precedenza anche Sez. U., sent. n. 34476 del 27/12/2019 (Rv. 656492 – 03) ha affermato esplicitamente che “È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito“.
Del resto, con più specifico riferimento alla valutazione probatoria dei documenti operata dal giudice del merito, Sez. 2, ord. n. 20553 del 19/07/2021 (Rv. 661734 – 01), secondo cui “La valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito“.
Il motivo di ricorso, inoltre, non si confronta con la motivazione della decisione impugnata laddove la stessa ricorda le dichiarazioni di valore “confessorio” rese dal medesimo sig. Ca.Ca.
Il che vale, giova aggiungere, anche per quanto riguarda i pretesi costi da applicare su detto sovrapprezzo, rispetto alla quale la sentenza impugnata afferma che “non è neanche accoglibile la richiesta, formulata del resto in via subordinata soltanto con l’appello, del riconoscimento di costi relativi ai ricavi omessi, giacché è presumibile che tali costi, privi peraltro di alcun riscontro, siano stati già esposti in dichiarazione”.
Il che riporta alle ragioni di inammissibilità appena ricordate, non essendo consentito in questa sede sovvertire detta valutazione operata dal giudice del merito che, occorre aggiungere, pur nella sua sinteticità si muove su due piani entrambi coesistenti:
a) quello della novità della domanda, proposta per la prima volta soltanto nel giudizio d’appello;
b) quello del mancato riscontro probatorio dei costi asseritamente non considerati. Orbene, il motivo di ricorso “composito” non affronta minimamente tali asserzioni, non indicando in quale atto processuale la domanda fosse stata proposta (ed anzi neppure contestando che la stessa fosse stata avanzata, come scritto nella sentenza impugnata, soltanto in appello) né quali documenti o altri indici probatori supportassero la richiesta di scomputo di asseriti maggiori costi di costruzione sostenuti.
Infine, nella parte in cui l’unico complesso motivo di ricorso affronta la questione della imputazione ai soci dei maggiori utili extracontabili, lo stesso risulta parimenti inammissibile, non superando il vaglio posto dall’art. 360-bis, n. 1, c.p.c.
La giurisprudenza del tutto prevalente da tempo ha riconosciuto il valore indiziante della c.d. “ristretta base sociale”. Per tutte, cfr. Sez. 5, sent. n. 25468 del 18/12/2015 (Rv. 638161 – 01): “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società a ristretta base familiare, è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, che, attesa la mancanza di una deliberazione ufficiale di approvazione del bilancio trattandosi di utili occulti, deve ritenersi avvenuta nello stesso periodo d’imposta in cui gli stessi sono stati conseguiti”.
Ancora, Sez. 5, sent. n. 27778 del 22/11/2017 (Rv. 646282 – 01), secondo cui “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non essendo comunque a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili“. Sostanzialmente conformi anche Sez. 5, ord. n. 32959 del 20/12/2018 (Rv. 652116 – 01); Sez. 6 – 5, ord. n. 1947 del 24/01/2019 (Rv. 652391 – 01); Sez. 5, ord. n. 16913 del 11/08/2020 (Rv. 658657 – 01); da ultimo, Sez. 5, ord. n. 4861 del 23/02/2024 (Rv. 670408 – 01).
Nessun argomento viene concretamente fornito per sovvertire tale condivisibile indirizzo, se non, anche in questo caso, la pretesa di individuare un onere probatorio diverso da quello legale.
In definitiva, pertanto, il ricorso principale deve essere respinto.
4. Con distinto ricorso, qui considerato quale impugnazione incidentale, l’Agenzia delle Entrate censura la medesima sentenza impugnata dai contribuenti, rilevando che – nella parte in cui ha ritenuto di accogliere parzialmente l’appello dei medesimi – la decisione sarebbe incorsa nella violazione e/o falsa applicazione dell’art. 57, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.); sotto altro profilo, nel comportamento dei contribuenti sarebbe ravvisabile una violazione del divieto di abuso del diritto (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.).
Entrambi tali motivi non hanno, tuttavia, fondamento.
Quanto al primo, risulta dagli atti che i contribuenti, fin dal primo grado, avessero contestato la duplicazione di imposta realizzata dalla pretesa ripresa a tassazione di ricavi per Euro 630.000 per l’anno di imposta 2009, quando gli stessi ricavi erano poi stati regolarmente dichiarati negli anni successivi, 2011, 2012 e 2013 nei quali i rogiti di acquisto immobiliare erano stati effettivamente stipulati.
Del resto, ove così non fosse stato, non si vede perché l’Agenzia si sarebbe dovuta costituire e resistere asserendo che nel 2009, comunque, gli acquirenti avevano ricevuto il possesso anticipato, a titolo di comodato, degli immobili medesimi.
Del resto, a p. 9 del proprio ricorso, l’Ufficio estrapola il proprio atto di costituzione riportando testualmente le seguenti parole: “Anche in sede di appello, la parte reitera il motivo concernente la asserita duplicazione di imposta, perché i maggiori ricavi pari ad Euro 630.000, che l’ufficio presuppone essere stati contabilizzati nel 2009 dall’odierna società appellante “sono stati invece, tutti contabilizzati (o, quanto meno lo saranno) – ai sensi e per gli effetti dell’art. 109, co. 2 lett. A) D.P.R. 917/1986 negli anni di imposta relativi agli atti di cessione degli immobili rispettivamente ai signori Ca., Mu. e Di….”.
Il che conferma direttamente come tale doglianza in sede d’appello fosse appunto “reiterata” e non per la prima volta inammissibilmente formulata.
Del tutto generico, infine, appare nel caso di specie il rinvio al c.d. abuso del diritto. Giova ricordare che, in materia tributaria, ricorre l’abuso del diritto, enucleabile in base ai principi di capacità contributiva e di progressività ex art. 53 Cost., ogni qual volta si sia in presenza di una o più costruzioni di puro artificio che, pur se non contrastanti con alcuna specifica disposizione, sono realizzate al fine di eludere l’imposizione e siano prive di sostanza commerciale ed economica; di talché, per configurare la condotta abusiva è necessaria un’attenta valutazione delle “ragioni economiche” delle operazioni negoziali che sono poste in essere, in quanto, se le stesse sono giustificabili in termini oggettivi, in base alla pratica comune degli affari, minore o del tutto assente è il rischio della pratica abusiva; se, invece, tali operazioni, pur se effettivamente realizzate, riflettono, attraverso artifici negoziali, assetti di “anormalità” economica, può verificarsi una ripresa fiscale là dove è possibile individuare una strada fiscalmente più onerosa.
In tal senso, la prova dell’elusione deve incentrarsi sulle modalità di manipolazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché sulla loro mancata conformità ad una normale logica di mercato. (cfr. Cass. n. 27158/2021).
Alla luce di tale principio, nel caso di specie l’istituto viene invocato in modo generico, senza l’indicazione di modalità artificiose di utilizzo degli strumenti negoziali impiegati, posto che – al contrario – l’anticipazione della consegna dell’immobile al preliminare rappresenta una prassi frequentemente impiegata nella pratica del settore delle compravendite immobiliari e che – dall’altro lato – proprio l’art. 109, comma 2, lett. A) del TUIR afferma che “2. Ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza: a) i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei beni si considerano sostenute, alla data della consegna o spedizione per i beni mobili e della stipulazione dell’atto per gli immobili e per le aziende, ovvero, se diversa e successiva, alla data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale.
Non si tiene conto delle clausole di riserva della proprietà.
La locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti è assimilata alla vendita con riserva di proprietà”.
Anche l’impugnazione incidentale, pertanto, non può trovare accoglimento.
La soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese.
Occorre dare atto dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato da parte dei ricorrenti principali, mentre in relazione al ricorso dell’Agenzia delle Entrate, qui riunito e trattato come ricorso incidentale, a fronte della soccombenza della parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Riuniti il ricorso R.G.N. 29380/2015 a quello R.G.N. 28796/2015, dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale.
Compensa integralmente le spese processuali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.