Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 26432 depositata il 10 ottobre 2024

in tema di “transfer pricing”, ai fini dell’individuazione del “valore normale” dei prezzi di trasferimento applicati ai sensi dell’art. 110, comma 7, T.U.I.R. (“ratione temporis” vigente), come integrato dalle linee guida OCSE del 2010 sui prezzi del trasferimento per le imprese multinazionali e le Amministrazioni fiscali, il metodo transazionale di ripartizione degli utili (cd. “transactional profit split method”, TPSM o PSM) è utilizzabile in modo altrettanto affidabile rispetto agli altri metodi di determinazione dei prezzi a condizione che, dopo l’accurata delimitazione della transazione, ivi compresa l’analisi funzionale, sia possibile procedere all’identificazione di una forte correlazione tra i costi sostenuti ed il valore aggiunto creato nel corso della transazione e purché le chiavi di allocazione selezionate

FATTI DI CAUSA

La contribuente soc. I.I. s.p.a. realizza in agro aretino macchine per l’imballaggio di prodotti alimentari ed è l’unica unità produttiva del Gruppo Ilapak, di cui tutte le altre afferenti società estere si occupano della distribuzione e della commercializzazione del prodotto sui mercati dei diversi Paesi di afferenza.

Per l’anno di imposta 2008 la contribuente era incisa da avviso di accertamento articolato su tre riprese a tassazione, rispettivamente per costi deducibili non inerenti e relativi ai compensi dei manager, per transfer pricing infragruppo, per pagamento di diritti d’autore (royalties). Ai fini che interessa il prosieguo della vicenda, non rileva il primo profilo, attinente ai premi per i dirigenti, in quanto già oggetto di autotutela amministrativa nel corso del primo grado del giudizio, mentre la quota più cospicua rimane il transfer pricing e, segnatamente, il criterio contabile o modello statistico con cui rappresentare la “normalità” dei prezzi di cui parla l’art. 109 del Testo unico delle imposte sui redditi (d.P.R. n. 917/1986).

Per questi aspetti, i gradi di merito erano sfavorevoli alla società incisa, che reagisce proponendo quattro mezzi cassatori avanti questa Corte, cui replica il patrono erariale con tempestivo controricorso.

In prossimità della pubblica udienza, il Pubblico Ministero, in persona del sost. Procuratore generale dott. Michele Di Mauro, ha depositato requisitoria in forma di memoria, concludendo per il rigetto del ricorso, mentre la parte contribuente ha depositato memoria ad illustrazione delle proprie ragioni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Vengono proposti quattro motivi di ricorso.

Con il primo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 4 del codice di procedura civile per violazione dell’articolo 36, secondo comma, numero 4 del decreto legislativo numero 546 del 1992 anche in relazione all’articolo 111, sesto comma, della Costituzione nonché all’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nonché all’articolo 118 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile ai sensi dell’articolo secondo 62, primo comma, del decreto legislativo 546 del 1992.

In altri termini, si prospetta la censura di motivazione meramente apparente per non aver preso posizione sostanziale sui profili oggetto del decidere ovvero sul criterio per l’analisi di redditività, riferendosi la sentenza in scrutinio alla pronuncia di primo grado di cui dichiara di condividere integralmente il contenuto.

Con il secondo motivo si prospetta censura i sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione o falsa applicazione dell’articolo 110, settimo comma, in combinato disposto con l’articolo 9, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica un numero 917 del 1986, per non aver rilevato che fra i diversi criteri di valutazione della normalità del prezzo, vi sia una primogenitura del sistema CUP rispetto al sistema TNMM. Mentre sul primo criterio sono tarate le giustificazioni offerte dalla contribuente incisa, sul secondo metodo ha operato l’Ufficio.

Con il terzo motivo si profila ancora censura ai sensi dell’articolo 360 numero 4 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 del medesimo codice di rito, nonché per violazione e falsa applicazione dei principi generali sulla prevalenza del diritto dell’Unione europea rispetto alle norme nazionali interne; in subordine, si prospetta questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 281, della legge 27 dicembre 2013 numero 147 con riferimento agli articoli 3 e 53 della Carta fondamentale anche in relazione all’articolo 1, comma secondo, e 3, comma primo, della legge numero 212 del 2000.

Con il quarto motivo si prospetta ulteriore censura ai sensi dell’articolo 360 numero 4 del codice di procedura civile per violazione o falsa applicazione dell’articolo 112 del medesimo codice, per omissione di pronuncia sulla prospettata questione e motivo di appello in ordine alla rimodulazione delle sanzioni in ragione dell’apporto partecipativo della contribuente incisa.

Il primo motivo non può essere accolto. La sentenza in scrutinio, infatti, si diffonde ampiamente nel ricostruire le posizioni delle parti durante lo svolgimento dei due gradi di merito per giungere infine a trarre le conclusioni argomentative nelle due ultime pagine, dove peraltro mette in comparazione i due diversi metodi di rappresentazione della normalità del prezzo (TNMM e CUP), per giungere a un bilanciamento che dà prevalenza al criterio adottato dall’Ufficio.

Peraltro, il motivo di doglianza si riduce a lamentare l’omessa valutazione degli elementi contabili posti a fondamento della propria rappresentazione statistica ed un tanto fuoriesce dal sindacato di valutazione di questa Corte di legittimità.

Deve premettersi che è ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. VI- 5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza  resta  sprovvista  in  concreto  del  c.d.  “minimo costituzionale” di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI – 5, n. 5209/2018). In termini si veda anche quanto stabilito in altro caso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 161 del 08/01/2009) nel quale questa Corte ha ritenuto che la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cfr. Cass V, n. 24313/2018). Sotto altro profilo è stato ribadito essere inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr. Cass. S.U. n. 34476/2019).

Il primo motivo, pertanto, dev’essere disatteso.

Neppure può essere accolto il secondo motivo, dove si lamenta la violazione dell’art. 110 d.P.R. n. 917/1986, come interpretato alla luce delle regola OCSE, per aver dato prevalenza al criterio di TNMM (Transactional Net Margin Method) rispetto al sistema CUP (Comparable Uncontrolled Price), ritenuto più aderente assieme al RPM (Resale Price Method) per individuare la “normalità” dei prezzi indicata dalla norma al fine di stabilire se vi sia elusione fiscale nelle attività intragruppo dislocate su diversi Paesi.

Detto diversamente, la violazione di legge deriva dall’applicazione di un metodo di calcolo non aderente alla realtà, ritenuto cedevole dalla giurisprudenza di questa Corte, di cui vengono citate le coeve pronunce n. 22005 e 22010 del 2013.

La censura richiede la ricostruzione dell’orientamento di questa Suprema Corte di legittimità in tema di metodi matematici, statisti ed attuariali secondo le osservazioni OCSE, la loro natura e la relativa collocazione nella gerarchia delle fonti.

Com’è noto, l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione per lo Sviluppo Economico) è organismo sovranazionale di natura convenzionale con compiti di elaborazione di raccomandazioni, buone prassi, principi contabili, modelli matematici e strumenti conoscitivi in genere per armonizzare il modus operandi fra i Paesi aderenti, rendendo quindi comparabili i sistemi operativi -pur a legislazione nazionale invariata- in modo da favorire l’omogeneità procedurale su cui si fonda una reale concorrenza che richiede trasparenza e “parità dei punti di partenza”. In base all’andamento dei mercati, alle decisioni degli istituti monetari sovrani o sovranazionali, alle prassi mutate o consolidate nei diversi settori, alle novità tecnologiche disponibili, l’OCSE emana con cadenza regolare gli aggiornamenti alle proprie raccomandazioni. Per quanto qui maggiormente interessa, il riferimento è all’edizione del 1995 e a quella del 2010 con gli aggiornamenti relativi al transfert pricing. Anche sulla base di tali raccomandazioni sono state novellate diverse disposizioni di legge, nell’intento di rafforzare la cooperazione fra Stati, armonizzandone le fonti normative e, tra queste, senz’altro rientra l’art. 110 del citato d.P.R. n. 917/1986, intitolato “Norme generali sulle valutazioni”, che dedica il settimo comma alle componenti di reddito per operazioni con soggetti aventi sede in Paesi esteri.

Con le menzionate coeve pronunce del 2013, n. 24005 e 24010 questa Corte ha richiamato le priorità di criteri fissati dal dato normativo di cui all’art. 3, nono comma, del detto d.P.R. n. 917/1986, dando prevalenza -ma secondo una logica di tendenziale possibilità- ai listini di chi ha fornito i beni, poi alle mercuriali e tabelle camerali o professionali, ai casi d’uso o al mercato interno, quale criterio residuale. Il confronto del prezzo è dunque criterio opportuno, ma non in astratto ed in ogni caso, bensì in base alle specifiche dell’operazione di comparazione da svolgere ed in presenza di sufficienti parametri oggettivi di riferimento (il tertium comparationis ben noto già agli antichi), cui agganciare il modello da applicare.

Rispetto a tali arresti giurisprudenziali, che facevano riferimento al modello OCSE 1995, questa Corte ha proceduto nell’affinamento quando è stata chiamata ad applicare il criterio OCSE 2010, avendo modo di osservare che in tema di “transfer pricing”, ai fini dell’individuazione del “valore normale” dei prezzi di trasferimento applicati ai sensi dell’art. 110, comma 7, T.U.I.R. (“ratione temporis” vigente), come integrato dalle linee guida OCSE del 2010 sui prezzi del trasferimento per le imprese multinazionali e le Amministrazioni fiscali, il metodo transazionale di ripartizione degli utili (cd. “transactional profit split method”, TPSM o PSM) è utilizzabile in modo altrettanto affidabile rispetto agli altri metodi di determinazione dei prezzi a condizione che, dopo l’accurata delimitazione della transazione, ivi compresa l’analisi funzionale, sia possibile procedere all’identificazione di una forte correlazione tra i costi sostenuti ed il valore aggiunto creato nel corso della transazione e purché le chiavi di allocazione selezionate – per le quali rilevano la classificazione contabile dei costi infragruppo e l’esistenza di eventuali differenze (“higt labour-cost country vs. low labour-cost country”) – siano conformi (“compliant”) per affidabilità dei risultati (OECD Guidelines, 2010, § 2.116) (cfr. Cass. V, n. 11837/2020).

Più precisamente, con riguardo al sistema TNMM che qui rileva, si è detto che in tema di determinazione del reddito di impresa, la disciplina di cui all’art. 110, comma 7, del d.P.R. n. 917 del 1986, finalizzata alla repressione del fenomeno economico del “transfer pricing”, cioè dello spostamento dell’imponibile fiscale in seguito ad operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti, impone la determinazione dei prezzi ponderati di trasferimento per operazioni similari poste in essere da imprese concorrenti sul mercato, al cui fine è possibile utilizzare il metodo elaborato dall’Ocse che si basa sulla determinazione del margine netto della transazione (cd. “TNMM”), a condizione che sia selezionato il periodo di indagine, siano identificate le società comparabili, siano apportate le appropriate rettifiche contabili al bilancio della parte testata, siano tenute in debito conto le differenze tra la parte testata e le società comparabili in termini di rischi assunti o di funzioni svolte e sia assunto un indicatore affidabile del livello di profitto di redditività (cfr. Cass. V, n. 15668/2022, seguita da Cass. T., n. 2853/2024).

Dal dipanarsi del filone giurisprudenziale in esame, si riscontra un riferimento continuo alla comparabilità effettiva nello specifico, alla necessità dell’aderenza del modello alla fattispecie concreta, che merita qui maggior sistematica e precisazione di approfondimento. Non è revocato in dubbio che le raccomandazioni Ocse fuoriescano dalla gerarchia delle fonti. Si tratta infatti di norme tecniche, sistemi derivati da modelli matematici, contabili e attuariali che sono tradizionalmente sussidiari alle disposizioni normative di rango legislativo o regolamentare. La loro stessa natura, quindi, ne esclude un sistema di primogenitura, salvo i casi in cui la preferenza viene espressamente fissata in forma normativa, che è però operata direttamente dal legislatore, mai dall’Ocse. Ne deriva quanto sia fuorviante ricercare nelle raccomandazioni Ocse un metodo in astratto prevalente sull’altro, perché cioè è estraneo alla struttura istituzionale di quella Organizzazione, né pertiene al suo compito convenzionale   fissare   priorità,   bensì   solo    proporre modelli. All’opposto, resta ai singoli Paesi contraenti -in espressione di quel “nocciolo duro” della sovranità statale che è il potere impositivo- fissare eventualmente un ordine di precedenze che, peraltro, non è nel settore che qui occupa.

Ed infatti, il continuo riferimento alla “normalità” dei prezzi, forma un rinvio alla scelta del sistema che sia -nel concreto- più aderente a rappresentare il caso in esame. Se non si tratta di ordine gerarchico (delle fonti), come detto, si concreta invece il fenomeno della pluriqualificazione, ovvero la possibilità che il medesimo fenomeno possa essere rubricato sotto plurime figure giuridiche, cioè -secondo la tradizionale terminologia dogmatica- la stessa fattispecie concreta può essere sussunta in più fattispecie astratte concorrenti. Donde l’interprete è chiamato a scegliere -motivatamente- quello ritenuto più aderente al caso, secondo lo scopo (tèlos) della norma.

Per gli atti amministrativi in genere e per quelli impositivi in particolare, la scelta del modello applicabile dev’essere giustificata con le forme proprie della motivazione degli atti provvedimentali cui accedono, con la conseguenza che è scrutinabile avanti il giudice di merito l’aderenza del modello proposto al caso concreto in esame e diviene sindacabile in sede di legittimità, mediante la denuncia di violazione di legge, l’applicazione di un modello o sistema di calcolo che non risulti coerentemente motivato in relazione alla fattispecie concreta. Trattandosi infatti, come detto in premessa, di norme tecniche, si è di fronte a strumenti operativi (tekne, sive mezzo per un fine) funzionali al perseguimento ed all’attuazione specifica di una disposizione normativa che li richiama o li prevede.

Si possono quindi esprimere i seguenti principi di diritto:

Le raccomandazioni Ocse non si inseriscono nella gerarchia delle fonti normative, ma forniscono sussidi e metodi operativi (norme tecniche) per l’attuazione nello specifico di disposizioni legislative o regolamentari di ampia portata (norme elastiche) quale l’espressione di “condizioni usuali”, “prezzo normale” ed altre consimili.

Fra i diversi criteri forniti dalle norme tecniche, spetta all’interprete individuare quello più aderente alla fattispecie concreta, tenendo presente lo scopo perseguito dalla norma.

La motivazione sulla scelta del criterio di calcolo o del modello matematico è scrutinata dal giudice di merito in base ai canoni propri del provvedimento (accertativo, impositivo, impoesattivo) cui accede, mentre è sindacabile in sede di legittimità attraverso la censura della violazione di legge, individuando con precisione il vizio di sussunzione del giudice di merito ed indicando nel contempo il criterio alternativo ritenuto più aderente al caso concreto.

Nella fattispecie in esame correttamente è stato escluso il criterio del CUP (Comparable Uncontrolled Price). Non è contestato ed, anzi, è confermato dalla stessa ricostruzione in fatto di parte contribuente, che il gruppo si strutturi su di un’unica società produttrice con sede in Toscana, per poi articolarsi in tante società, ciascuna operate in esclusiva su uno o più Paesi di riferimento, raccogliendo gli ordini ed assicurando la fornitura della macchina richiesta. La struttura comporta la cessione di beni infra-gruppo a basso rischio, con alea ridotta in ragione dell’unicità del centro di produzione che opera sostanzialmente su ordini già confermati. Non si tratta quindi di mercato aperto con prezzo non controllabile, quindi il sistema di TNMM risulta più aderente rispetto al CUP, perché il margine di guadagno è criterio più indicativo rispetto al prezzo che non è frutto di libero mercato. Come ricordato anche nella sentenza in scrutinio (pag. 11, secondo capoverso), l’Ufficio ha individuato degli operatori similari, ne ha escluso altri (perché con modalità eccentrica di struttura, in disparte l’affinità merceologica), traendo quindi le conclusioni sulle differenze ed articolando la conseguente ripresa a tassazione.

La correttezza dell’operato dell’Ufficio, come verificata ben argomentando dal collegio di merito, conduce quindi a disattendere il secondo motivo di ricorso.

Con il terzo motivo si prospetta censura per violazione della prevalenza del diritto eurounitario rispetto alla disciplina nazionale, nonché si profila eccezione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 281, della legge 27 dicembre 2013 numero 147 con riferimento agli articoli 3 e 53 della Costituzione, anche in relazione all’articolo 1, comma secondo, e 3, comma primo, della legge numero 212 del 2000. Nella sostanza si lamenta una portata retroattiva del calcolo ai fini imponibile IRAP della norma citata, alla cui doglianza non sarebbe stata data risposta in grado d’appello.

La questione è già stata scrutinata da questa Corte in caso analogo, ritenendo infondata la censura di merito, donde la dedotta omissione di pronuncia non porterebbe alla parte ricorrente alcuna utilità. E infatti, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 281, della legge n. 147 del 2013, che ha esteso l’applicazione del “transfer pricing” a periodi di imposta anteriori rispetto alla sua entrata in vigore, venendo in rilievo una norma di interpretazione autentica che ha consentito l’applicazione della disciplina di cui all’art. 110, comma 7, Tuir per i periodi di imposta dal 2008 in poi. Tale previsione non viola gli artt. 3 e 41 Cost., non essendo manifestamente irragionevole né contrario alla libertà di iniziativa economica prevedere, per la violazione di una norma, un effetto più grave rispetto alla disciplina previgente; né viola gli artt. 111 e 117 Cost. (in relazione all’art. 6 Cedu), non potendo il contribuente riporre un ragionevole affidamento in relazione ad una questione (rilevanza del “transfer pricing” ai fini Irap) controversa per le varie abrogazioni succedutesi in materia e, quindi, meritevoli di interpretazione autentica (Cfr. Cass. V, n. 18436/2021).

Peraltro, non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito sollevata in appello qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione (Cass. III, n. 24953/2020).

Neppure il terzo motivo può quindi essere accolto.

Con il quarto motivo si prospetta l’omissione di pronuncia sulla censura di mancata rimodulazione delle sanzioni, non ostante il comportamento collaborativo della contribuente incisa.

Più precisamente, si lamenta che la sentenza di primo grado si limiti ad affermare che le sanzioni siano da applicarsi nel minimo di legge, senza precisare se con il cumulo giuridico, materiale o con l’istituto della continuazione, mentre il giudice di appello non ne ha fatto oggetto di decisione, pur investito ritualmente della questione a pag. 73 dell’appello ed invocandosi, altresì il riferimento allo ius superveniens più favorevole al contribuente di cui al d.lgs. n. 158/2015.

Il motivo è fondato e dev’essere accolto. In disparte la rilevanza dello ius superveniens ed il dovere del giudice di valutarne l’applicazione in concreto ove sia anche astrattamente indicato un profilo di vantaggio (Cass. T. n. 577/2024), qui si controverte di omissione di pronuncia su censura specifica e motivo di gravame espressamente formulato. A fronte dell’indicazione del passo negli atti processuali ove la censura è stata formulata, occorre rilevare che la sentenza in scrutinio non abbia preso in considerazione tale rilevante e specifico aspetto.

Donde il ricorso è fondato per le ragioni attinte dal quarto motivo, relativamente alla rimodulazione delle sanzioni in base alla disciplina sopravvenuta, la sentenza dev’essere cassata con rinvio -su questo specifico aspetto- al giudice di merito che si pronuncerà sul punto nel rispetto dei superiori principi indicati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per la Toscana, in diversa composizione, cui demanda altresì la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.