CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, Sentenza n. 28337 depositata il 4 novembre 2024

Tributi – Avviso di accertamento – Quote società – IRPEF – Distribuzione degli utili – Avviso congruamente motivato – Nuova pronuncia di fatto – Rigetto

Fatti di causa

1. Co.Gi. impugnava l’avviso di accertamento n. (…), con il quale veniva imputato alla ricorrente, nella sua veste di socia al 67 per cento delle quote della società S.S. Srl, e, quindi, recuperato a tassazione, ai fini IRPEF per l’anno 2007, il reddito pari ad Euro 41.287,00.

La contribuente deduceva:

a) la violazione dell’art. 7 L. 212/2000;

b) la determinazione del reddito presunto con doppia presunzione, l’una relativa all’accertamento, non definitivo, in capo alla società, l’altra relativa alla distribuzione degli utili alla socia;

c) la carenza di motivazione dell’avviso.

La CTP di Salerno rigettava il ricorso, avendo rilevato il rigetto anche della impugnazione proposta dalla società.

2. Interposto gravame dalla contribuente, la Commissione tributaria regionale della Campania, Sezione Staccata di Salerno, confermava la sentenza gravata rilevando, per quanto qui rilevi, che la compagine societaria era ristretta, su base familiare, per cui sussisteva la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili ai soci, che non avevano offerto la prova contraria. Circa il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento in quanto non vi era allegato quello relativo alla società, la CTR evidenziava, da un lato, che l’avviso era congruamente motivato e, dall’altro, che la contribuente aveva dimostrato di essere a piena conoscenza delle ragioni dell’Ufficio nei confronti della società.

3. Avverso la decisione della CTR ha proposto ricorso per cassazione la contribuente, affidandosi a tre motivi. L’Ufficio ha depositato unicamente l’atto con cui ha chiesto di partecipare alla discussione orale.

Il Sostituto Procuratore Generale, nella persona del dr. M.D.M., ha depositato memoria scritta con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

All’udienza pubblica del 03/10/2024 il Sostituto Procuratore Generale ha concluso come da memoria, l’avvocato dello Stato G.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo la contribuente deduce la “illegittimità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione e prova: violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, dell’art. 7, comma 1 della legge n. 212/2000, dell’art. 42, comma 2 del D.P.R. n. 600/1973, nonché dell’art. 24 Cost. e dell’art. 2697 cod. civ., nella parte in cui i giudici di secondo grado non hanno dichiarato illegittimo l’originario avviso di accertamento per difetto di motivazione e prova, non avendo l’Ufficio allegato allo stesso l’atto impositivo della società da cui scaturiva (art. 360, c. 1, n. 3 c.p.c.)”.

Ribadisce la nullità dell’avviso di accertamento, in quanto allo stesso non era stato allegato l’avviso relativo alla società.

Deduce, poi, l’illegittimità dell’avviso per ‘difetto di prova’, con violazione dell’art. 2697 cod. civ., per avere l’ente accertatore rettificato il reddito della contribuente esclusivamente sulla base della presunta distribuzione degli utili della società.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

1.1. Il motivo è inammissibile sotto il profilo della asserita violazione dell’art. 2697 cod. civ.; la disamina operata dalla C.T.R. esclude la fondatezza della doglianza del contribuente, la quale, ancorché proposta in termini di violazione di legge, si risolve in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia di fatto, certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. U., 25/10/2013, n. 24148).

1.1.1. La violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura unicamente nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando il ricorrente intenda lamentare che, a causa di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata non avesse assolto tale onere (Cass., 21/3/2022, n. 9055).

1.1.2. Peraltro, anche la selezione, tra gli indizi offerti dall’Amministrazione a dimostrazione delle pretese fiscali, di quelli reputati rilevanti rientra a pieno titolo nel meccanismo di operatività dell’art. 2729 cod. civ., il quale, nel prescrivere che le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla “prudenza del giudice” (secondo una formula analoga a quella che si rinviene nell’art. 116 cod. proc. civ. a proposito della valutazione delle prove dirette), si articola nei due momenti valutativi della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, volta a scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e a conservare viceversa quelli che, presi singolarmente, rivestono i caratteri della precisione e gravità, e della successiva valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, oltreché dell’accertamento della loro idoneità alla prova presuntiva se considerati in combinazione tra loro (c.d. convergenza del molteplice), essendo erroneo l’operato del giudice di merito il quale, al cospetto di plurimi indizi, li prenda in esame e li valuti singolarmente, per poi giungere alla conclusione che nessuno di essi assurga a dignità di prova (da ultimo Cass., 21/03/2022, n. 9054; Cass. 05/04/2023, n. 9336; v. anche Cass., 09/03/2012 n. 3703).

1.1.3. Pertanto, come affermato da questa Corte, intanto può denunciarsi la violazione o falsa applicazione del ridetto art. 2729 cod. civ., in quanto il giudice di merito ne abbia contraddetto il disposto, affermando che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni (rectius: fatti), che non siano gravi, precisi e concordanti, ovvero abbia fondato la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e abbia dunque sussunto erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione fatti concreti accertati che non siano, invece, rispondenti a quei caratteri, competendo soltanto in tal caso alla Corte di cassazione controllare se la norma in esame sia stata applicata a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta o il giudice non sia incorso in errore nel considerare grave una presunzione che non lo sia sotto il profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi, al pari di quanto può accadere con riguardo al controllo della precisione e della concordanza (in questi termini, v. ex multis Cass., 21/03/2022, n. 9054).

1.1.4. Se questo è il presupposto della violazione o errata applicazione dell’art. 2729 cod. civ., la deduzione del vizio, come già sostenuto da questa Corte, non può che estrinsecarsi nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione dei motivi per i quali il ragionamento del giudice di merito sia irrispettoso dei paradigmi della gravità, precisione e concordanza, risolvendosi altrimenti la critica al ragionamento presuntivo svolto, che si sostanzi nell’enunciazione di una diversa modalità della sua ricostruzione, nel suggerimento di un diverso apprezzamento della questio facti che si pone al di là della fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., atteso che il giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., 02/08/2016, n. 16056), e che la valutazione del compendio probatorio è preclusa a questa Corte, essendo riservata al giudice di merito al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass., 13/01/2020, n. 331; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 04/11/2013, n. 24679; Cass., 16/12/2011, n. 27197; Cass., 07/02/2004 n. 2357).

1.1.5. Nella specie la CTR, sulla base dei diversi elementi dedotti dall’Ufficio, ha ritenuto congruamente motivato l’avviso di accertamento; in tal modo, non ha affatto violato il disposto dell’art. 2697 cod. civ., come dedotto dalla ricorrente, che deduce l’illegittimità dell’avviso per ‘difetto di prova”.

1.2. Il motivo è, invece, infondato nella parte in cui pretende di far derivare l’illegittimità dell’avviso di accertamento dalla mancata allegazione dell’avviso relativo alla società.

Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte “in materia di accertamento tributario di un maggior reddito nei confronti di una società di capitali, organizzato nella forma della società a responsabilità limitata ed avente ristretta base partecipativa, e di accertamento conseguenziale nei confronti dei soci, l’obbligo di motivazione degli atti impositivi notificati ai soci è soddisfatto anche mediante rinvio “per relationem” alla motivazione dell’avviso di accertamento riguardante i maggiori redditi percepiti dalla società, ancorché solo a quest’ultima notificato, giacché il socio, ex art. 2476 c.c., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione dell’accertamento presupposto e dei suoi documenti giustificativi” (Cass. 02/10/2020, n. 21126; Cass. 08/11/2023, n. 31129).

La decisione della CTR è, sul punto, conforme ai principi enucleati da questa Corte in materia, atteso che l’odierna ricorrente era ancora socia della S.S. Srl al momento della notifica dell’avviso di accertamento.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la “illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli  artt. 44, comma 1, lett. e), 45, comma 1 e 73 del t.u.i.r. e per violazione degli artt. 24 e 53 Cost., nella parte in cui i giudici di seconde cure hanno confermato l’operato dell’Ufficio che ha attribuito alla ricorrente gli utili extra-contabili presunti in capo alla società, in base alla quota di partecipazione al capitale sociale (art. 360, c. 1, n. 3 c.p.c.)”.

Afferma che, trattandosi di società di capitali, non sarebbe possibile l’automatismo accertativo – previsto ex lege solo per i soci delle società di persone – secondo cui gli utili extrabilancio della società vengono distribuiti ai soci.

Nella specie, inoltre, l’accertamento nei confronti della società non sarebbe ancora definitivo, essendo pendente in cassazione il giudizio di impugnazione dell’avviso di accertamento relativo all’ente.

3. Con il terzo motivo la contribuente deduce la “illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., nella parte in cui i giudici di seconde cure non hanno censurato l’operato dell’ente impositore, il cui originario avviso di accertamento è basato su una illegittima doppia presunzione (art. 360, c. 1, n. 3 c.p.c.”.

Precisamente, l’operato dell’Ufficio sarebbe illegittimo perché fondato su una duplice, anzi triplice, presunzione in quanto: a) il maggior reddito accertato induttivamente in capo alla società sarebbe stato distribuito tra i soci, b) in maniera proporzionale alle quote dagli stessi posseduti e c) nel corso di un determinato esercizio (l’anno 2007).

4. I due motivi possono trattarsi congiuntamente in quanto giuridicamente e logicamente connessi; essi sono infondati.

Premesso che l’accertamento nei confronti della società S.S. Srl è divenuto nelle more definitivo (essendo stato rigettato il ricorso per cassazione proposto dalla società, con sentenza n. 16635/2018), la decisione della CTR, anche in parte qua, è conforme alla granitica giurisprudenza di legittimità.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi nel caso di società di capitali che presenti una ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione (semplice) di attribuzione ai soci partecipanti alla società degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non essendo comunque a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (ex multis, Cass. 22/11/2017, n. 27778; da ultimo, Cass. 06/06/2024, n. 15895/2024).

Ciò vale anche nelle ipotesi di assenza di rapporti di parentela, in quanto la ristrettezza della base sociale implica di per sé un elevato grado di compartecipazione dei soci, e dunque la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza dell’esistenza di utile extrabilancio, consentendo di riconoscere sussistenti, ai fini della prova presuntiva, i requisiti richiesti dall’art. 2729 cod. civ.

Tale meccanismo probatorio non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria (Cass. 24/01/2019, n. 1947).

La detta presunzione, in altri termini, non va corroborata da altri elementi indiziari; in particolare non occorre che l’accertamento emesso nei confronti dei soci risulti fondato anche su elementi di riscontro tesi a verificare, attraverso l’analisi delle loro movimentazioni bancarie, l’intervenuto acquisto di beni di particolare valore, non giustificabili sulla base dei redditi dichiarati (Cass. 11/08/2020, n. 16913).

5. Il ricorso va, in definitiva, rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1quater del D.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, delle spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1quater del D.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.