CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, sentenza n. 8474 depositata il 28 marzo 2024
Tributi – Avviso di accertamento – IVA – Contratto di locazione finanziaria immobiliare – Detrazione – Abuso del diritto – Valutazione delle ragioni economiche delle operazioni negoziali – Accordo di cessione contratto di leasing – Risoluzione consensuale – Accoglimento parziale
Fatti di causa
La CTP di Genova accoglieva il ricorso proposto dalla P G Srl avverso l’avviso di accertamento, per IVA e sanzioni, in relazione all’anno 2004.
Con la sentenza in epigrafe indicata, la CTR della Liguria accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, rideterminando, tuttavia, le sanzioni nel minimo edittale.
Dalla sentenza impugnata si evince che:
– la G.C.M. Srl cedeva in data 22.12.2004 alla P G il contratto di locazione finanziaria immobiliare, stipulato tra la predetta G.C.M. e la L. Spa, avente per oggetto un immobile in S, per un corrispettivo pari ad Euro 22.500.000,00 oltre IVA al 20%, da pagare nel seguente modo: il 50%, pari ad Euro 11.250.00, in due rate e il saldo alla stipula dell’atto definitivo entro il 31.12.2005;
– ricevuta dalla G.C.M., lo stesso giorno 22.12.2004, la fattura n. (…) per Euro 11.250.000,00 oltre IVA (Euro 2.250.000,00), con la descrizione “Prima rata del corrispettivo pattuito per la cessione del contratto di locazione finanziaria immobiliare stipulato il 27 novembre 2003 con la società L. Spa avente ad oggetto un immobile sito in S”, la P G provvedeva ad effettuare la detrazione dell’IVA addebitata in fattura;
– benchè avesse ricevuto il successivo 15.11.2005 una nota di credito con la descrizione “Storno integrale ns. fattura n. (…) del 22/11/2004”, la contribuente manteneva detta detrazione;
– l’importo dell’IVA detratta veniva, quindi, recuperato con l’avviso di accertamento impugnato, con il quale venivano irrogate le previste sanzioni;
– lo scopo dell’operazione era quello di produrre nelle rispettive dichiarazioni IVA per l’anno 2004 i seguenti risultati: per la G.C.M. l’IVA a debito da utilizzare in compensazione del proprio credito e per la P G l’IVA a credito utilizzata per ridurre il proprio debito annuale che si sarebbe dovuto, altrimenti, versare all’erario;
– l’accertamento era legittimo, in quanto la condotta era “fiscalmente abusiva”, rientrando la fattispecie nell’ambito di operazioni caratterizzate dall’utilizzo di strumenti formalmente legittimi, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili, diverse dalla mera aspettativa di risparmio fiscale, che giustifichino complessivamente l’operazione (Cass. Sez. Un. n. 30055/2008);
– andava accolta, tuttavia, la doglianza della contribuente sull’entità delle sanzioni che andavano ridotte al minimo edittale, in quanto l’incremento del 50% era stato applicato senza alcuna valida ragione, in violazione dell’art. 7 del D.Lgs. n. 472 del 1997;
– ogni altra questione doveva ritenersi assorbita;
Contro la suddetta decisione proponeva ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a sei motivi.
L’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., non essendosi la CTR pronunciata sull’eccezione di inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità dei motivi.
1.1 Il motivo è inammissibile.
1.2 La ricorrente solleva una questione meramente processuale, che non può dar luogo ad un vizio di omessa pronuncia, configurabile soltanto con riferimento alle domande ed eccezioni di merito (cfr. Cass. n. 6174 del 14/03/2018; Cass. n. 321 del 12/01/2016; Cass. n. 4191 del 24/02/2006; Cass. n. 22860 del 06/12/2004).
2. Con il secondo motivo, deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., non essendosi la CTR pronunciata sulla eccepita contraddittorietà della motivazione dell’avviso di accertamento, che contestava alla contribuente un “abuso del diritto” e, contemporaneamente, la violazione dell’art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972 e la simulazione dell’operazione, benché l’abuso del diritto presupponga un comportamento lecito.
2.1 Il motivo è infondato.
2.2 Come ha più volte statuito questa Corte, non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (Cass. 6.12.2017, n. 29191); non ricorre, quindi, il vizio di omessa pronuncia, quando la sentenza di appello accolga una tesi incompatibile con quella prospettata, implicandone il rigetto (Cass. n. 2153 del 30.01.2020).
2.3 Nella specie, avendo la CTR ritenuto la pretesa fiscale fondata nel merito, si è implicitamente pronunciata anche sulla censura riguardante l’asserita illegittimità dell’atto impositivo per contraddittorietà della motivazione, che si configura come questione incompatibile con la ritenuta fondatezza della pretesa.
3. Con il terzo motivo, deduce la violazione del principio Europeo di abuso del diritto in materia di IVA, nonché degli artt. 17 della sesta direttiva 77/388/CEE, 19, 26, 30 e 54 del D.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la CTR identificato il presunto abuso del diritto in materia di IVA nel solo ipotetico vantaggio fiscale (consistente, per la P G, nella detrazione dell’IVA sulla fattura relativa alla prima tranche del prezzo di cessione del contratto e, per la G.C.M., nella compensazione del proprio credito con il relativo debito), senza verificare la sussistenza degli elementi costitutivi della condotta abusiva, come individuati dalla giurisprudenza unionale (l’operazione deve essere finalizzata ad ottenere un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito dalle pertinenti disposizioni in materia di IVA), che nel caso in esame comunque non sussistevano; sostiene, infatti, che l’operazione in esame era neutrale per l’erario, in quanto al credito IVA della P G, compensato con un debito della società in sede di liquidazione, ha fatto da contraltare il debito della GCM (società emittente la fattura), estinto con una corrispondente diminuzione del suo credito IVA, non contestato e utilizzabile per la compensazione con altri debiti erariali, sicchè non vi era stata alcuna sottrazione di IVA non spettante (vantaggio fiscale).
4. Con il quarto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 17 della sesta direttiva 77/388/CEE e 19 del D.P.R. n. 633 del 1972, in relazione ai principi Eurounitari dell’abuso del diritto, di proporzionalità e di neutralità, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., riproponendo sotto altro profilo la stessa censura mossa con il terzo motivo.
5. Con il quinto motivo, deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., in quanto la CTR, nell’individuare il presunto vantaggio fiscale per la contribuente nell’avvenuta detrazione/compensazione dell’IVA, con conseguente riduzione del “proprio debito annuale che avrebbe dovuto essere versato all’erario”, e per la CGM nella fruizione di “un’IVA a debito da utilizzarsi in compensazione del proprio credito”, ha omesso di considerare che: l’operazione era neutrale, anche per l’erario, posto che al credito della P G corrispondeva il debito della GCM; tale neutralità persisteva anche dopo la risoluzione del contratto, cui era seguita l’emissione della note di credito senza applicazione dell’imposta (come consentito dall’art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972); semmai, era la pretesa dell’Ufficio ad alterare la neutralità dell’operazione, dando luogo ad un ulteriore versamento di imposta già versata.
6. Con il sesto motivo, deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., in quanto la CTR non ha considerato che la P G e la GCM non erano parte di un gruppo al momento della conclusione del contratto preliminare di cessione, in quanto la P G era controllata dalla P 84 Srl, mentre la GCM era controllata dalla Fiduciaria Emiliana Srl
7. Il terzo e il quarto motivo, che per connessione vanno esaminati unitariamente, sono fondati.
7.1 La Corte di giustizia dell’Unione Europea è intervenuta diverse volte sulla questione dell’abuso del diritto riguardante l’IVA, in quanto tributo armonizzato, affermando che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme dell’Unione (sentenza 21 febbraio 2006, in C-255/02, H. e a., punti 68 e 69 e giurisprudenza ivi citata; nonché le sentenze 13 marzo 2014, in C-155/13, SICES e a., punti 29 e 30, e 22 novembre 2017, in C-251/16, E.C. e a., punti 30 – 33); per la configurazione di una pratica abusiva è necessario un elemento oggettivo che si manifesta in un insieme di circostanze da cui risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da detta normativa non è stato raggiunto (Corte di Giustizia, sentenza 14 dicembre 2000, in C-110/99, E.S., punto 52, nonché Corte di Giustizia, sentenza 13 marzo 2014, SICES, cit. punto 32), e un elemento soggettivo, nel senso che deve risultare da un insieme di circostanze oggettive che lo scopo essenziale delle operazioni controverse è ottenere un vantaggio indebito, anche indirettamente non voluto dal sistema tributario, non vietato peraltro da una disposizione espressa, mediante la creazione artificiosa delle condizioni richieste per il suo conseguimento.
Secondo la giurisprudenza unionale richiamata, quindi, il risultato raggiunto dal contribuente, attraverso il percorso realizzato, deve essere contrario alle disposizioni tributarie e lo scopo “essenzialmente” perseguito è quello di ottenere un (indebito) vantaggio fiscale.
7.2 Anche questa Corte si è occupata della questione (Cass. n. 9135 del 2.04.2021), affermando che l’abuso del diritto in campo tributario si manifesta quando l’operazione economica ha quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo di eludere il fisco, sicché il divieto di siffatte operazioni non opera se esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero intento di conseguire un risparmio anche implicitamente non consentito di imposta. In tal caso, sull’Amministrazione finanziaria incombe la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, mentre è posto a carico del contribuente l’onere di dedurre e provare le giustificazioni economiche poste a base dell’operazione, diverse dal mero risparmio tributario.
7.3 Sulla scia della giurisprudenza unionale è stato, quindi, evidenziato (Cass. n. 21221 del 29/09/2006; Cass. n. 33593 del 18/12/2019) che la “rigorosa applicazione del principio dell’abuso del diritto comporta, quindi, che l’operazione deve essere valutata secondo la sua essenza, sulla quale non possono influire ragioni economiche meramente marginali o teoriche, tali, quindi, da considerarsi manifestamente inattendibili o assolutamente irrilevanti, rispetto alla finalità di conseguire un risparmio d’imposta“.
7.4 Ne deriva che il risparmio è sempre “illecito” quando rappresenti l’essenza (la parte preponderante, se non essenziale comunque prevalente) dell’oggetto del contratto o degli accordi nel loro complesso (Cass. n. 9135/2021 cit.).
7.5 L’elemento integrante l’indebito vantaggio fiscale per contrarietà allo scopo perseguito dalle norme tributarie eluse è stato descritto come “una o più costruzioni di puro artificio” (Cass. n. 27158 del 2021) ovvero come “uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta” (Cass. n. 18239 del 2021; Cass. n. 1372 del 2011; Cass. n. 11236 del 2011; Cass. n. 653 del 2014), come “meccanismo giuridico contorto” (Cass. n. 8487 del 2009; n. 12788 del 2011) o “modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato” (Cass. n. 21390 del 2012).
7.6 La prevalenza delle esigenze antielusive determina così la regressione dei concetti privatistici di autonomia negoziale a semplici elementi della fattispecie tributaria, dovendosi apprezzare l’operazione nella sua “essenza”, per privilegiarne l’intrinseca natura e gli effetti giuridici rispetto al titolo e alla forma apparente (Cass. n. 9135/2021 cit.).
7.7 L’accertamento della condotta abusiva muove, dunque, dall’attenta valutazione delle “ragioni economiche” delle operazioni negoziali che sono poste in essere, in quanto, se le stesse sono giustificabili in termini oggettivi, in base alla pratica comune degli affari, minore o del tutto assente è il rischio della pratica abusiva; se, invece, tali operazioni, pur se effettivamente realizzate, riflettono, attraverso artifici negoziali, assetti di “anormalità” economica, può verificarsi una ripresa fiscale là dove è possibile individuare una strada fiscalmente più onerosa (Cass. n. 27158 del 2021).
7.8 E’ stato altresì osservato che “In ambito tributario, non assurge ad elusione fiscale – non integrando la fattispecie dell’abuso del diritto – bensì costituisce legittimo risparmio d’imposta, la scelta del contribuente, tra più operazioni volte ad assicurargli una finalità economica, di quella che gli garantisce il trattamento fiscalmente meno oneroso, purché questo non culmini in un risparmio d’imposta illecito; non è, infatti, in contrasto con una norma generale di antielusione il comportamento attraverso il quale il soggetto passivo d’imposta abbia pianificato e ottimizzato la sua attività aziendale perseguendo un risparmio d’imposta unitamente ad un reale obiettivo economico” (Cass. n. 10121 del 2020).
8. Nella vicenda in esame il presunto vantaggio fiscale indebito è stato individuato nell’accordo di cessione, intervenuto fra la cedente GCM e la cessionaria ricorrente P G, del contratto di leasing e nella successiva risoluzione consensuale di tale contratto di cessione, con la restituzione delle somme pagate, quale prima tranche del corrispettivo, dalla cessionaria alla cedente e la conseguente emissione della nota di credito rilasciata da quest’ultima, a storno della fattura emessa al momento del predetto pagamento.
8.1 Nell’individuare il vantaggio della cedente GCM nella riduzione del credito IVA vantato verso l’erario, a seguito dell’emissione della fattura relativa al pagamento da parte della cessionaria della prima tranche del corrispettivo, con conseguente addebito dell’IVA, e il vantaggio della cessionaria P G nella utilizzazione del corrispondente credito IVA per ridurre il debito annuale, la CTR non si è attenuta ai principi giurisprudenziali sopra richiamati.
8.2 A prescindere dalla prova dell’appartenenza (contestata dalla ricorrente) della cedente e della cessionaria al medesimo gruppo societario, comunque non accertata in sentenza, nella specie non è stato chiarito se vi sia stato effettivamente un risparmio fiscale e in che termini questo abbia rappresentato l’essenza (la parte preponderante) dell’oggetto del contratto concluso tra le parti, tenuto conto che la fatturazione anticipata rispetto al pagamento costituisce un’operazione di per sé stessa lecita e consente la detrazione dell’IVA (Cass. n. 29892 del 30.12.2020) e che detta detrazione viene meno con la successiva emissione della nota di credito a storno della fattura (Cass. n. 14716 27.05.2021).
Poiché sembra che, una volta emessa la nota di credito a storno della fattura emessa dalla GCM, quest’ultima (cedente) non avesse restituito alla cessionaria P G l’IVA addebitata in fattura (come afferma sia la ricorrente sia l’Agenzia delle entrate, rilevando a p. 2 del controricorso che la nota di credito era esente IVA), indipendentemente dalla causa che ha portato le parti alla decisione di non dare più esecuzione al contratto preliminare di cessione, non è chiaro per quale motivo questa mancata restituzione (e il conseguente mancato versamento dell’IVA da parte della P G) dovrebbe configurare di per sé un abuso del diritto, con conseguente recupero dell’IVA nei confronti della cessionaria che così dovrebbe pagare due volte la medesima imposta (la prima volta con l’addebito in fattura e la seconda volta con il disconoscimento della detrazione e il conseguente recupero dell’IVA).
L’accoglimento dei predetti motivi assorbe l’esame del quinto e del sesto motivo.
In conclusione, vanno accolti il terzo e il quarto motivo di ricorso, rigettati i primi due e assorbiti il quinto e il sesto motivo; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Liguria per nuovo esame e per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il terzo e il quarto motivo di ricorso, rigettati il primo e il secondo, assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Liguria, anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.