Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 7495 depositata il 20 marzo 2024
IMPOSTA DI REGISTRO – ACCERTAMENTO ART. 20 T.U.R. – CESSIONE TOTALITARIA DI PARTECIPAZIONE SOCIALE – PRINCIPIO DI DIRITTO
FATTI DI CAUSA
1. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale dell’Emilia – Romagna il 27 ottobre 2020, n. 1175/14/2020, che, in controversia su impugnazione di avviso di liquidazione dell’imposta di registro in relazione alla riqualificazione ex art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, della cessione dell’intera partecipazione al capitale della “I.V. S.r.l.” da parte di V.C. e B.G., ciascuna per la quota di sua spettanza, a favore della “F.I. S.r.l.” per il prezzo unitario di € 175.000,00, con scrittura privata autenticata nelle firme dell’11 dicembre 2014, nei termini complessivi di cessione indiretta di azienda, ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti della “F.I. S.r.l.” avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia il 31 gennaio 2018, n. 4/02/2018, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali.
2. La Commissione tributaria regionale ha confermato la decisione di primo grado – che aveva accolto il ricorso originario con l’annullamento dell’atto impositivo – sul presupposto che l’imposta di registro dovesse applicarsi in relazione agli effetti giuridici dell’atto stipulato.
3. La “F.I. S.r.l.” ha resistito con controricorso.
4. Con conclusioni scritte, il P.M. si è espresso per il rigetto del ricorso.
5. La controricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è affidato ad un unico motivo, col quale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, 1362, 2727, 2729 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che l’imposta di registro dovesse liquidarsi in relazione agli effetti giuridici dei singoli atti, senza tener conto delle modifiche apportate al citato art. 20 dall’art. 1, comma 87, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, che esclude la rilevanza di elementi extratestuali ed atti collegati, a causa della loro inapplicabilità ratione temporis alla fattispecie in decisione.
2. Il suddetto motivo è infondato, ancorché la conformità a diritto del dispositivo non esima il collegio dalla correzione della motivazione della sentenza impugnata nei sensi specificati in appresso, a norma dell’art. 384, quarto comma, cod. proc. civ..
2.1 Al riguardo, si osserva che, in tema di imposta di registro, ai sensi dell’art. del d
modificato dall’art. 1, comma 87, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, e dall’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali, l’amministrazione finanziaria non può travalicare lo schema negoziale tipico in cui l’atto risulta inquadrabile; invero, l’art. 1, comma 87, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, prevede che: «Al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 20, comma 1: 1) le parole: «degli atti presentati» sono sostituite dalle seguenti: «dell’atto presentato»; 2) dopo la parola: «apparente» sono aggiunte le seguenti: «, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi».
2.2 L’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, prevede che: «L’articolo 1, comma 87, lettera a), della legge 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell’articolo 20, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131».
2.3 Di recente, la sentenza della Corte Costituzionale n. 158 del 21 luglio 2020 ha statuito che non è fondata la questione di legittimità costituzionale, posta in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., dell’art. 20 del modificato dall’art. 1, comma 87, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, e dall’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali.
Secondo il giudice delle leggi, «il legislatore, con la denunciata norma ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal testo unico»; per altro verso, un’interpretazione della norma in chiave antielusiva provocherebbe «incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione dell’art. 10- bis della Legge 212 del 2000» e «consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di «indebiti» vantaggi fiscali e di operazioni «prive di sostanza economica», precludendo di fatto al contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione Europea)»;
2.4 Da ultima, poi, la sentenza della Corte Costituzionale n. 39 del 16 marzo 2021 ha avuto modo di tornare sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, come modificato dall’art. 1, comma 87, lett. a), nn. 1 e 2, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., che è stata dichiarata manifestamente infondata con specifico riguardo all’efficacia retroattiva della disposizione interpretativa; secondo il giudice delle leggi, «si deve escludere che possa essere considerato irragionevole attribuire efficacia retroattiva a un intervento che, come quello descritto, ha assunto un carattere di sistema».
In tale prospettiva, la Corte Costituzionale ha ritenuto che la retroattività conseguente alla natura di interpretazione autentica riconosciuta all’art. 1, comma 87, lett. a), nn. 1 e 2, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, trova adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasta con altri valori e interessi costituzionalmente protetti, avendo riguardo al carattere di sistema assunto dall’intervento legislativo oggetto di scrutinio, che, per tale motivo, si sottrae al dubbio sollevato dal remittente; inoltre, la medesima ragione impone di disattendere la censura di irragionevolezza della disposizione anche sotto il profilo della ipotizzata violazione dei «motivi imperativi di interesse generale» desumibili dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sottolineando che tali norme sono volte a tutelare i diritti della persona contro il potere dello Stato e della Pubblica Amministrazione e non viceversa (vedasi anche: Cass., Sez. 5^, 1 aprile 2021, n. 9065).
2.5 Adeguandosi a tale interpretazione, anche questa Corte ha ribadito che l’imposta colpisce l’atto sottoposto a registrazione quale risulta dallo scritto, senza tener conto di elementi extra- testuali o atti collegati, poiché l’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, dispone che «l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi» (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 18 febbraio 2021, nn. 4315 e 4319; Cass., Sez. 5^, 1 aprile 2021, n. 9065; Cass., Sez. 6^- 5, 25 maggio 2021, nn. 14318 e 14342; Cass., Sez. 5^, 21 settembre 2021, n. 25601; Cass., Sez. 6^-5, 22 ottobre 2021, nn. 29620 e 29623; Cass., Sez. 5^, 18 novembre 2021, n. 35220; Cass., Sez. 6^-5, 2 dicembre 2021, nn. 38003 e 38005; Cass., Sez. 6^-5, 11 gennaio 2022, n. 590; Cass., Sez. 6^-5, 12 gennaio 2022, n. 715; Cass., Sez. 5^, 23 maggio 2022, nn. 16482 e 16483; Cass., Sez. 5^, 13 dicembre 2023, n. 34901; Cass., Sez. 5^, 13 dicembre 2023, n. 34917).
2.6 Va aggiunto, per mera completezza, che, in risposta al rinvio pregiudiziale del giudice di legittimità alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulla questione «se gli artt. 5, numero 8, della direttiva n. 77/388/CEE e 19 della direttiva n. 2006/112/CE ostino ad una disposizione nazionale come l’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, modificato dall’art. 1, comma 87, lettera a), numeri 1) e 2), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 e dall’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, che impone all’Amministrazione finanziaria di qualificare l’operazione intercorsa tra le parti esclusivamente sulla base degli elementi testuali contenuti nel contratto con divieto del ricorso ad elementi extratestuali (ancorché essi siano oggettivamente esistenti e provati), derivandone la preclusione assoluta per l’Amministrazione finanziaria di provare che la prestazione economica, integrante una cessione d’azienda, in sé indissociabile, è stata in realtà artificialmente scomposta in una pluralità di prestazioni – le plurime cessioni dei beni -, con il conseguente riconoscimento della detrazione IVA in assenza dei requisiti previsti dal diritto dell’Unione Europea» (Cass., Sez. 5^, 31 marzo 2022 n. 10283), il giudice eurounitario ne ha dichiarato la manifesta irricevibilità, «non avendo il giudice del rinvio esposto in modo sufficiente sotto quale profilo l’interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 8, della sesta direttiva e dell’articolo 19 della direttiva IVA sia rilevante ai fini dell’applicazione dell’articolo 20 del TUR, la Corte non può valutare in quale misura una risposta alla questione sollevata sia necessaria per consentire a tale giudice di decidere» (Corte Giust., 21 dicembre 2022, causa C-250/2022, Fallimento Villa di Campo S.r.l. contro Agenzia delle Entrate).
2.7 Dunque, ai fini della presente decisione, non resta che prendere atto della portata retroattiva della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, ritenendo applicabile l’art.
del dall’art. 1, comma 87, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, anche agli atti stipulati in epoca antecedente alla sua entrata in vigore per i quali i processi dinanzi ai giudici tributari siano ancora pendenti.
Invero, è pacifico che la qualificazione di una disposizione di legge come norma di interpretazione autentica – al di là del carattere effettivamente interpretativo della previsione – esprime univocamente l’intento del legislatore di imporre un determinato significato a precedenti disposizioni di pari grado, così da far regolare dalla nuova norma fattispecie sorte anteriormente alla sua entrata in vigore, dovendosi escludere, in applicazione del canone ermeneutico che impone all’interprete di attribuire un senso a tutti gli enunciati del precetto legislativo, che la disposizione possa essere intesa come diretta ad imporre una determinata disciplina solo per il futuro (in termini: Cass., Sez. Un., 29 aprile 2009, n. 9941; Cass., Sez. Un., 21 agosto 2009, nn. 18565, 18566, 18567, 18568, 18569, 18570, 18571, 18572, 18573, 18574, 18575, 18576, 18577, 18578, 18579, 18580, 18581 e 18582);
2.8 Ne discende che, pur avendo correttamente ritenuto che l’imposta di registro dovesse essere liquidata sulla cessione delle partecipazioni sociali, essendone preclusa un’eventuale riqualificazione nei termini di cessione indiretta di azienda per la prevalenza degli effetti giuridici sugli effetti economici, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della retroattività dell’art. 1, comma 87, lett. a), nn. 1 e 2, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, quale norma di interpretazione autentica dell’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, nel testo novellato dall’art. 1, comma 87, della legge 27 dicembre 2017, n. 205.
2.9 Nel caso di specie, infatti, stante l’applicabilità retroattiva dell’art. del d dall’art. 1, comma 87, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, per effetto della precisazione contenuta nell’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018 n. 145, l’amministrazione finanziaria non aveva facoltà di riqualificare la cessione della partecipazione integrale al capitale della “I.V. S.r.l.” nei termini di cessione indiretta di azienda, anche in assenza del riferimento ad elementi extratestuali o ad atti collegati, dovendo sempre darsi la prevalenza agli effetti giuridici sugli effetti economici del singolo atto.
Pertanto, dovendo essere considerati soltanto gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, così come da esso desumibili, non può assumere rilevanza lo scopo economico perseguito dalle parti, quand’anche fosse quello di acquistare in via indiretta l’azienda della società compravenduta (Cass., Sez. 5^, 13 dicembre 2023, n. 34929).
Ciò che è insuperabile è il diverso ed ulteriore aspetto secondo cui la cessione della partecipazione societaria non è produttiva degli effetti giuridici propri della cessione di azienda (ancorché l’atto preveda, con l’apposita pattuizione di una specifica clausola, anche la separata trasmissione dei debiti e crediti sociali), discostandosene quanto ad estraneità di istituti tipici (artt. 2556 ss. cod. civ.; art. 2112 cod.civ.) (in termini: Cass., Sez. 5^, 13 dicembre 2023, n. 34917).
2.10 Da ciò consegue che la individuazione del regime tributario applicabile, quanto all’imposta di registro avrebbe dovuto essere operata dall’amministrazione finanziaria con autonomo, distinto e separato riferimento alla cessione totalitaria della quota di compartecipazione nella società unipersonale di nuova costituzione, dovendo avallarsi la tassazione isolata del negozio veicolato dall’atto presentato alla registrazione secondo gli effetti giuridici da esso desumibili;
2.11 Peraltro, prendendo atto dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale, la stessa Agenzia delle Entrate ha recentemente finito per ritenere che «(…) la complessiva operazione descritta, comprendente la cessione totalitaria delle quote sociali preceduta dal conferimento del ramo d’azienda, non possa essere riqualificata come cessione d’azienda unitaria ai sensi dell’art. 20 del T.U.R., così come modificato dalla Legge di bilancio 2018» (vedasi la risposta ad interpello n. 371 del 17 settembre 2020);
2.12 Giova ricordare che, con riferimento agli atti di cessione di quote societarie, l’art 11 della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 prevede che gli «(…) atti pubblici e scritture private autenticate aventi per oggetto la negoziazione di quote di partecipazione in società o enti di cui al precedente art. 4 o di titoli di cui all’art. 8 della tabella o aventi per oggetto gli atti previsti nella stessa tabella, esclusi quelli di cui agli artt. 4, 5, 11, 11-bis e 11-ter; atti di ogni specie per i quali è prevista l’applicazione dell’imposta in misura fissa».
Questa Corte (in termini: Cass., Sez. 5^, 27 novembre 2006, n. 25087; Cass., Sez. 6^-5, 16 aprile 2015, n. 7809; Cass., Sez. 5^, 23 giugno 2021, n. 18037; Cass., Sez. 5^, 26 aprile 2022, n. 13006) ha già affermato che le scritture private autenticate, aventi per oggetto la negoziazione di quote di partecipazione in società di qualunque tipo, sono assoggettate all’imposta di registro in misura fissa, ai sensi dell’art. 11 della tariffa – parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131. L’affermazione che all’atto di cessione di quota societaria si applica, ex art 11 della tariffa – parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, l’imposta di registro in misura fissa risulta, poi, conforme anche ai principi comunitari, ed in particolare ai principi stabiliti dalla Direttiva n. 69/335/CEE del Consiglio del 17 luglio 1969; tale Direttiva, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, aveva lo scopo di fissare una armonizzazione nella Comunità sulla tassazione indiretta dei conferimenti societari, precisando all’art. 11 che «Gli Stati membri non sottopongono ad alcuna imposizione, sotto qualsiasi forma: a) la creazione l’emissione, l’ammissione in borsa, la messa in circolazione o la negoziazione di azioni, di quote sociali o titoli della stessa natura, nonché di certificati di tali titoli, quale che sia il loro emittente (…)».
Tale ultima disposizione è stata abrogata dall’art. 16 della Direttiva n. 2008/7/CE del Consiglio del 12 febbraio 2008, ma la previsione in essa contenuta è stata sostanzialmente riprodotta dall’art. 5 (“Operazioni non soggette all’imposta indiretta”) della medesima Direttiva.
L’esenzione da imposta proporzionale stabilita dall’art. 11 della tariffa – parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 non è, quindi, una disposizione meramente nazionale, ma è una disposizione di diretta applicazione di principi comunitari ispirati al principio della libera circolazione dei capitali in ottica di sviluppo del mercato comune (Cass., Sez. 5^, 23 giugno 2021, n. 18037).
2.13 In conclusione, il collegio ritiene di poter enunciare in funzione nomofilattica il seguente principio di diritto: «Anche in caso di cessione totalitaria della partecipazione al capitale di una società di persone o di capitali, l’imposta di registro deve essere sempre liquidata in misura fissa, ai sensi dell’art. 11 della tariffa -parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, essendo preclusa all’amministrazione finanziaria –in assenza di elementi extratestuali o atti collegati – la riqualificazione della fattispecie nei termini di cessione indiretta di azienda, in forza dell’art. 20 deld dall’art.1, comma 87, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, secondo l’interpretazione autentica dell’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018 n. 145), restando estraneo a tale contratto, in coerenza con la sua «intrinseca natura» ed i suoi «effetti giuridici», il trasferimento dell’azienda appartenente alla società di persone o di capitali».
3. Dunque, alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi l’infondatezza del motivo dedotto, il ricorso deve essere rigettato.
4. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
5. Nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228), un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 28 gennaio 2022, n. 2615; Cass., Sez. 5^, 3 febbraio 2022, n. 3314; Cass., Sez. 5^, 7 febbraio 2022, nn. 3814 e 3831; Cass., Sez. 5^, 20 giugno 2022, n. 19747).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi ed € 6.000,00 per compensi, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge.
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