Corte di Cassazione, Sezioni Unite civile, sentenza n. 24214 depositata il 18 novembre 2011

requisiti oggettivi dell’istituto dell’esdebitazione – soddisfacimento dei creditori

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 6.2003 il Tribunale di Milano dichiarava il fallimento di R.B., oltre che della P.T. s.a.s., nella qualità di socio accomandatario di quest’ultima società.

In data 15.3.2007 lo stesso Tribunale emetteva poi decreto di chiusura della procedura fallimentare ed il R.B., assumendo che ricorressero le diverse condizioni  normativamente  previste,  proponeva istanza finalizzata all’emissione di provvedimento di esdebitazione, ai sensi dell’art. 142 l.f.

All’esito del procedimento, nel corso del quale si costituivano alcuni creditori IMS s.p.a., INAIL, Raci s.r.l. opponendosi all’accoglimento della domanda, il Tribunale dichiarava inammissibile il ricorso per l’insussistenza del requisito richiesto dall’art. 142, comma 2, l.f., secondo il quale ” l’esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti neppure in parte i creditori concorsuali”

2. Il provvedimento, reclamato dall’istante, veniva confermato dalla Corte di Appello, che ne affermava la fondatezza sotto il duplice profilo del dato letterale ”  l’esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali ” e della ” ratio ” posta a base dell’introduzione dell’istituto, che sarebbe stata individuabile nell’obiettivo di favorire il recupero dell’attività economica del fallito, ove questi fosse risultato meritevole sotto il profilo soggettivo.

In particolare, rilevava la Corte di appello:

a) che il   riferimento   generalizzato e indifferenziato ai creditori concorsuali avrebbe implicato necessariamente il soddisfacimento, pur se soltanto parziale, dei creditori chirografari;

b) che il carattere eccezionale della norma non sarebbe stato compatibile con l’interpretazione estensiva suggerita dal reclamante, secondo la quale anche un solo riparto,  indipendentemente dalle classi di creditori o dai gradi di credito soddisfatti, sarebbe stato sufficiente per consentire il riconoscimento del beneficio dell’esdebitazione;

c) che segnatamente tale ” ratio ” sarebbe stata desumibile dalla relazione illustrativa della legge di riforma del 2006, che avrebbe collegato i limiti di operatività  dell’istituto  all’esigenza  di evitare uno sbilanciamento del sistema in danno dei creditori;

d) che la correttezza della detta interpretazione sarebbe stata avvalorata da altre disposizioni con le quali era stato disciplinato l’istituto, vale a dire dagli artt. 143 e 144 l.f., che avrebbero fatto rispettivo riferimento ai debiti concorsuali “non  soddisfatti  integralmente”  e, per  i creditori concorsuali non insinuati, alla  “percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado”; 

e) che ad analoghe conclusioni si sarebbe dovuto pervenire sul piano sistematico, attesa   la disciplina dettata in  tema di  concordato preventivo   e fallimentare  ) ‘ che prevede  il pagamento in percentuale dei creditori chirografari.

3. – Avverso la decisione R.B. proponeva ricorso per cassazione affidato ad un   motivo, cui resistevano  con controricorso l’INAIL e l’IMS s.p.a.

All’esito dell’udienza del 28.9.2010,  fissata per la discussione, questa Corte disponeva la trasmissione degli atti al Primo Presidente, per la valutazione circa l’opportunità di rimettere la decisione della causa alle Sezioni Unite, trattandosi di questione ritenuta di massima importanza.

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 4.10.2011.

Motivi della decisione

4. a Con il solo motivo di impugnazione R.B. ha denunciato violazione degli artt. 142 e 143 l.f., con riferimento all’affermata insussistenza del presupposto richiesto per il riconoscimento del beneficio dell’esdebitazione. Secondo la Corte di appello, infatti, il detto riconoscimento sarebbe subordinato all’intervenuto pagamento, anche parziale, di tutti i creditori compresi quindi anche quelli chirografari) mentre, a dire del ricorrente, al fine indicato sarebbe sufficiente il pagamento parziale di una parte dei creditori, senza la necessità, dunque, di operare alcuna ripartizione in favore dei creditori chirografari.

La contraria valutazione espressa sul punto dalla Corte territoriale, incentrata come detto su un argomento testuale e sulla” ratio” dell’istituto, sarebbe dunque errata per le seguenti considerazioni. 

4. b L’argomento testuale valorizzato dal giudice del merito non deporrebbe nel senso indicato, poichè la nozione di ” crediti concorsuali ”  richiamata dalla Corte di appello con riferimento ai crediti ammessi al passivo, sarebbe in realtà attinente ai crediti derivanti da fatto anteriore all’apertura del concorso, e non presupporrebbe inoltre alcun accertamento in sede di concorso.

Da ciò discenderebbe che l’espressione” creditori concorsuali ” utilizzata dal legislatore si riferirebbe al coacervo indistinto dei crediti sorti prima della dichiarazione di fallimento e, conseguentemente, che il riferimento al pagamento parziale riguarderebbe genericamente crediti con fatto genetico antecedente all’apertura del concorso.

Indiretta conferma di quanto sopra si trarrebbe poi dal fatto che l’impossibilità di individuare con certezza tutti i creditori del fallito, essendo viceversa individuabili unicamente quelli concorrenti per effetto della disposta ammissione al passivo, escluderebbe in radice che laddove il legislatore ichiama la soddisfazione parziale dei crediti abbia inteso fare riferimento alla totalità delle pretese creditorie esistenti.

4. c Ad identiche conclusioni dovrebbe poi pervenirsi, secondo il ricorrente,  in relazione alla ” ratio ”  del provvedimento impugnato che, contrariamente  a quanto affermato, non presupporrebbe il conseguimento dell’obiettivo della realizzazione di un equo contemperamento delle ragioni del debitore con quelle dei creditori.

Il soddisfacimento di tale requisito non sarebbe infatti previsto da alcuna disposizione e la relativa pretesa sarebbe comunque irragionevole, essendo la disciplina normativa incentrata esclusivamente sul comportamento del debitore fallito, nella prospettiva di un suo reinserimento nel mondo produttivo.

Non vi sarebbe dunque motivo di distinguere la posizione del debitore che abbia soddisfatto in qualche misura tutti i creditori chirografari rispetto a quella di colui che ciò non abbia fatto, tanto più ove si consideri l’assenza di ogni valutazione relativamente alla consistenza degli importi complessivamente corrisposti.

L’omessa considerazione di tale ultimo aspetto determinerebbe dunque l’irragionevole effetto di ritenere meritevole del beneficio l’imprenditore che abbia soddisfatto in misura simbolica crediti chirografari nella sostanziale assenza di crediti privilegiati, a differenza di un imprenditore che abbia soddisfatto in misura consistente crediti privilegiati di importo rilevante.

Anche i rilievi svolti dalla Corte di Appello sul piano  sistematico,  in  ragione  di  un  preteso parallelismo fra concordato ed esdebitazione, sarebbero stati a torto formulati, attesa l’assoluta diversità dei due istituti e delle loro rispettive finalità.

5. – Dalle esposte considerazioni dovrebbe dunque desumersi l’erroneità della impugnata decisione, il cui  contenuto avrebbe dovuto  essere  viceversa conforme  a quanto sostenuto, poichè:  a) la locuzione” non soddisfatti integralmente” sarebbe idonea ad includere sia le ipotesi   di soddisfacimento parziale che quelle di  totale assenza di riparto in favore di alcune classi di creditori, sicchè da essa non potrebbe desumersi la necessità di una soddisfazione ( sia pure in misura parziale dell’integralità dei creditori; b l’operatività  dell’esdebitazione in favore dei creditori non insinuati, prevista dall’art. 144 l.f., non potrebbe essere interpretata a favore della tesi contestata, per una duplicità di ragioni rispettivamente consistenti: b 1 ) nel fatto che la disposizione è stata modificata con il D.Lgs.07/169 soltanto con il richiamo ai creditori di pari grado, richiamo che non avrebbe alcun significato per quanto qui interessa, atteso che la nozione di grado sarebbe riferibile esclusivamente ai creditori privilegiati; b 2 in quanto il citato articolo 144 disciplina unicamente gli effetti dell’esdebitazione, sicchè le disposizioni ivi contenute non potrebbero essere interpretate al fine di stabilire i  requisiti necessari per accedere al beneficio; c  la legge delega in tema di modifica delle discipline concorsuali individua l’obiettivo dell’istituto dell’esdebitazione nella realizzazione della liberazione del debitore persona fisica dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti, al fine di favorirne il reinserimento nel mondo delle attività produttive. Ogni eventuale limitazione prospettata sul punto risulterebbe pertanto non in linea con l’intento perseguito dal legislatore.

In ogni modo, ove diversamente interpretata la normativa in esame, e segnatamente l’art. 143, comma 1, ult. parte 1. f.,  la stessa risulterebbe viziata sul piano della legittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 76 della Costituzione.

In tale ipotesi risulterebbe infatti incontestabile la violazione delle indicazioni contenute nella legge delega da parte del legislatore delegato, cui era stato semplicemente richiesto di rendere l’ammissione del debitore al beneficio in questione compatibile con  la mancata soddisfazione dei creditori.

6. a) – Come ha puntualmente rilevato questa Corte con l’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, la questione oggetto di esame ” consiste nello stabilire se il dettato normativo debba essere inteso nel senso che tutti i creditori siano soddisfatti almeno parzialmente oppure nel senso che sia necessario che almeno una parte dei creditori sia stata soddisfatta” questione sulla quale sia la dottrina che la giurisprudenza di merito hanno rappresentato soluzioni non coincidenti.

Al riguardo osserva il Collegio che l’istituto dell’esdebitazione nell’ambito della procedura fallimentare è stato introdotto nel nostro sistema con il decreto legislativo n. 5   del 2006 l’introduzione, per vero, non rappresenta una novità in assoluto, atteso che il legislatore aveva già previsto l’esdebitazione come conseguenza ex lege nei concordati ) ‘  avendo avuto piena attuazione in altri ordinamenti, quali quelli di Stati Uniti, Germania, Inghilterra, Francia, con modalità applicative fra loro non coincidenti.

Ed infatti, per quel che interessa in questa sede, diverse sono state le soluzioni adottate, segnatamente, per quanto concerne il verificarsi dell’effetto liberatorio  automatico o a seguito di   procedimento) ‘ il tempo delle relative determinazioni istantaneo ovvero dopo la conclusione della procedura), i termini del potere di opposizione dei creditori, l’individuazione dei comportamenti riconoscimento, del debitore ostativi al le eccezioni  per alcuni debiti insoddisfatti, l’estensione o meno della disciplina al debitore civile, la direzione dell’attenzione prevalente, talvolta orientata a  favore  delle ragioni dell’impresa e  talvolta, viceversa, indirizzata alla maggior tutela della posizione dei creditori.

6. b – A fronte di tali articolate variabili, tuttavia, il legislatore con la modifica normativa oggetto di esame si è limitato a dedicare alla disciplina dell’istituto tre articoli senza indicazioni di carattere generale, articoli aventi rispettivamente ad oggetto i presupposti per il riconoscimento del beneficio art. 142 1. f. ) , il relativo procedimento per ottenerlo ( art. 143 l.f.), gli effetti dell’istituto nei confronti dei creditori concorsuali non concorrenti  art. 144f. ) .

Orbene, prendendo dapprima in esame l’art. 142, che come detto indica le condizioni per la liberazione dai debiti residui del fallito persona fisica, si rileva che lo stesso si compone di quattro commi, di cui il primo attiene ai profili soggettivi del fallito, e segnatamente alla condotta tenuta prima che non deve essere connotata dalla commissione di fatti illeciti collaborativa  la e durante procedura occorre che sia fallimentare;  il secondo indica i requisiti di natura oggettiva, peraltro richiamati con formulazione negativa ” non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali” ); il terzo contiene l’elencazione di debiti che, per la loro natura, restano comunque esclusi  dall’esdebitazione    obblighi  di mantenimento e alimentari, debiti derivanti da rapporti non compresi nel fallimento, debiti da illecito extracontrattuale, sanzioni penali e amministrative non accessori.€ a debiti estinti ); il quarto, infine, dispone la salvezza dei diritti dei creditori nei confronti di  coobbligati   e fideiussori del debitore, nonchè degli obbligati in via di regresso.

7. a Essendo  nella specie  oggetto  di controversia la   sussistenza   del presupposto oggettivo per il riconoscimento dell’esdebitazione la cui configurabilità, come detto, era stata negata  dalla Corte   di   appello   per   l’omesso soddisfacimento, anche se parziale, di tutti i creditori ), la disposizione di cui si contesta la corretta applicazione, e quindi da considerare, è quella contenuta nel   secondo  comma,   la  cui formulazione è stata sopra richiamata.

La detta formulazione, tuttavia, presenta evidenti margini di equivocità e non consente quindi di ricostruire1 con  la  certezza  che  viceversa è necessaria, la volontà del legislatore.

Ed infatti l’avvenuta individuazione della condizione per il riconoscimento dell’esdebitazione nella parzialità del soddisfacimento dei creditori concorsuali può essere correttamente interpretata, da un punto di vista prettamente letterale, in un duplice senso, vale a dire: a nel senso che la parzialità si riferisca al non integrale soddisfacimento di ciascuno dei crediti esistenti, lettura della disposizione che, secondo il ricorrente, sarebbe poi ulteriormente confortata dalla formulazione del primo comma dello stesso art. 142, nella parte in cui recita che ”  il fallito persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dei debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti ” L’evocata indiretta conferma della interpretazione proposta è tuttavia in realtà insussistente   circostanza da cui   si   trae ” a contrario”  la conferma dell’affermata equivocità) ‘  atteso che   la residualità ivi richiamata ha   una funzione prettamente descrittiva e da essa comunque non si evince l’esistenza di un nesso fra permanenza del debito e concorso, ben potendo la residualità essere intervenuta anche in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento; b nel senso che la detta parzialità sia viceversa rapportata al numero complessivo dei creditori, interpretazione dalla cui condivisione discenderebbe che l’esdebitazione sarebbe concedibile pur a fronte di un soddisfacimento limitato ad una parte soltanto dei creditori ammessi, e che trova conforto nell’avvenuto richiamo, da parte del legislatore, ai creditori anzichè ai crediti, senza alcuna specificazione in ordine alla totalità di essi.

7. b – Non giova inoltre, ai fini ermeneutici, il dato testuale relativo agli altri due articoli 143 e 144 disciplina che il legislatore ha dedicato alla dell’istituto dell’esdebitazione, articoli che secondo la Corte di appello di Milano confermerebbero la subordinazione della concessione del detto beneficio alla realizzazione dell’avvenuta condizione del pagamento parziale di tutti i creditori, ma la cui formulazione letterale tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto, non conferisce alcuna certezza sul piano interpretativo.

Ed invero, per quanto riguarda l’art. 143, primo comma, la disposizione prevede la declaratoria di inesigibilità dei ” debiti concorsuali non soddisfatti integralmente ”  previsione che da un punto  di  vista  lessicale  appare  di  per  sè imprecisa, atteso che nel rapporto obbligatorio il soddisfacimento è riferibile ai crediti e non ai debiti, come viceversa indicato.

Inoltre  occorre considerare che l’articolo  in questione disciplina il procedimento di esdebitazione e,  per la  parte di  interesse, stabilisce  quale è l’effetto  del provvedimento emesso al relativo esito, precisando in particolare, con una connotazione cui è attribuibile una valenza puramente oggettiva, e non soggettiva, che la prescritta liberazione opera per quanto concerne i debiti  che in realtà, come detto,  sono  i crediti insoddisfatti integralmente, e ciò quindi indipendentemente da ogni riferimento al numero dei creditori partecipanti al concorso ed alla misura della loro soddisfazione.

7. c – In ordine poi all’art. 144, che estende gli effetti dell’esdebitazione ai creditori concorsuali attribuita non concorrenti nella ai  creditori  di  pari “percentuale grado”  va evidenziata, da una parte, l’atecnicità ( e dunque la  scarsa chiarezza della disposizione, in ragione del riferibile fatto che la nozione di grado è esclusivamente alla collocazione prelatizia e, dall’altra, che se interpretata come sembrerebbe ragionevole nel senso che il legislatore abbia inteso assicurare ai creditori concorsuali il medesimo trattamento riconosciuto a creditori concorrenti aventi identica posizione, la stessa non sarebbe comunque significativa nel senso prospettato dalla Corte territoriale.

La prevista estensione ai creditori concorsuali del medesimo trattamento attribuito a quelli concorrenti non ha infatti alcuna relazione con il numero dei creditori soddisfatti e con la misura della loro soddisfazione, non potendosi fra l’altro neppure escludere, alla stregua della detta formulazione, che la percentuale di soddisfazione dei creditori concorrenti sia pari a zero.

8. – In assenza di dati letterali sufficientemente chiari ed univoci, ritiene dunque il Collegio di dover fare  ricorso al  criterio interpretativo logico sistematico  ( C. 10/24630, c.  04/9700,   c. 01/5128, C. 96/3495, C. 93/11359 ) , finalizzato all’individuazione dalla ratio della disposizione che ha introdotto nel nostro ordinamento, anche per la  procedura fallimentare, l’istituto dell’esdebitazione.

In proposito occorre preliminarmente rilevare che il detto istituto, come detto già riconosciuto in altri  Paesi,  risulta  essere espressione dell’orientamento di fondo cui si è ispirato il legislatore delegante nel dettare i principi di riforma delle discipline concorsuali, orientamento per il quale, per la parte che interessa in questa sede,  l’insolvenza è percepita come uno  dei possibili  esiti,  pur se certamente negativo, riconducibile all’attività imprenditoriale svolta, esito che non può, per ciò solo, determinare la definitiva eliminazione dal mercato dell’imprenditore e l’automatica dispersione della ricchezza costituita dalle esperienze da questi acquisite. 

In   questo   quadro   complessivo l’estinzione  dei propri debiti di   riferimento sia pur non automatica ma subordinatamente all’esistenza di specifiche condizioni  assume per l’imprenditore una valenza centrale, sia in termini di prospettiva che in relazione all’esito venutosi a determinare.

Quanto al primo punto, risulta di assoluta evidenza come la consapevolezza dell’estinzione sotto il profilo dell’inesigibilità delle proprie esposizioni debitorie possa favorire la tempestiva apertura di procedure concorsuali ed indurre comunque il debitore fallito a non porre in essere condotte dilatorie ed ostruzionistiche.

Quanto al secondo, appare altrettanto evidente che la cancellazione dei debiti pregressi costituisce la premessa in punto di fatto che consente al debitore, che riprende la sua attività senza avere pendenze di sorta, di poter espandere pienamente le proprie potenzialità, senza dover subire limitazioni alle proprie iniziative, per effetto dei debiti precedenti.

Da tali considerazioni discende dunque che l’esdebitazione costituisce un aspetto di significativa rilevanza nell’ambito del disegno delineato dal legislatore e che interpretazioni normative  che   determinino una   più   ristretta applicazione dell’istituto non  si  pongono in sintonia con le opzioni effettuate dal legislatore delegante.

8 a ). – D’altro canto tale mancanza di sintonia emerge, sul piano normativo, anche sotto diverso aspetto.

Ed infatti l’art. 1,  sesto comma, lett. a ) n. 13 della legge delega 14.5.2005, n. 80, ha conferito all’esecutivo il potere di ” introdurre la disciplina dell’esdebitazione e disciplinare il relativo procedimento, prevedendo che esso consista nella liberazione del debitore persona fisica dai debiti   residui   nei   confronti   dei   creditori concorsuali non soddisfatti “, con una previsione, dunque, che non prescrive la   necessità   del pagamento integrale dei creditori privilegiati e del pagamento parziale di tutti quelli chirografari.

Inoltre non appare irrilevante il dato relativo alla modifica apportata alla proposta elaborata dalla commissione nominata con D.M. 27.2.2004 per la  predisposizione  dell’articolato  di  modifica della legge fallimentare, proposta che in un primo momento subordinava il riconoscimento dell’esdebitazione all’avvenuto pagamento dei creditori chirografari nella misura non inferiore al 25%, condizione poi eliminata e non sostituita dalla previsione di limitazioni di sorta.

Analogamente, non risulta insignificante il dato relativo alla modifica apportata con il D.Lgs. n. 169 del 2007 ( c.d. correttivo del D.Lgs. n. 5 del 2006 all’istituto dell’esdebitazione, laddove il legislatore, pur a fronte delle questioni interpretative sollevate sul punto da dottrina e giurisprudenza di merito, si intervenire sull’art. 144 l.f. è  limitato   ad la cui rubrica recita ” Esdebitazione per i crediti concorsuali non concorrenti ” ) ‘ sostituendo semplicemente i termini di operatività dell’esdebitazione, originariamente stabiliti ” per la sola eccedenza rispetto a quanto i creditori avrebbero avuto

diritto di percepire nel concorso ” con la previsione della” sola eccedenza alla percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado “

8 b ). – La ” ratio ” dell’istituto ed il dato normativo inducono dunque a privilegiare  un’interpretazione che determini una sua più ampia applicazione, conclusione   che risulta poi confortata anche per altro verso, vale dire per gli immotivati e irragionevoli effetti che altrimenti si verificherebbero.

Ed infatti, il subordinare il riconoscimento dell’esdebitazione al pagamento parziale di tutti i creditori chirografari significherebbe introdurre una distinzione, sul piano effettuale e sotto il profilo di interesse, fra fallimenti con creditori privilegiati di modesta consistenza sotto l’aspetto del numero e dell’entità) e gli altri.

Tale  distinguo,  tuttavia, risulta all’evidenza connotato da una totale assenza di ragionevolezza, essendo basato su dati del tutto casuali, quali la ripartizione dei creditori fra privilegiati e chirografari, ed essendo assolutamente disancorato dagli esiti riconducibili al comportamento dell’imprenditore dichiarato fallito, e segnatamente dalla considerazione della consistenza dell’attivo acquisito, delle somme complessivamente erogate ai creditori e del grado di soddisfazione di ciascuno di essi.

9. Non sembrano poi decisivi, in senso contrario, gli elementi valorizzabili a sostegno di interpretazioni di segno opposto.

10. a ) – Ed infatti, se è condivisibile il rilievo relativo al carattere eccezionale dell’istituto, in quanto derogante ai principi della responsabilità patrimoniale generale art. 2740 e.e. e di sopravvivenza delle obbligazioni insoddisfatte nel fallimento art. 120 l.f. ), non altrettanto può dirsi per le conseguenze che da tale premessa si ritiene di dover far discendere.

L’eccezionalità  dell’istituto  è  invero riconducibile all’avvertita esigenza già sopra richiamata) di consentire al debitore imprenditore di ripartire da zero ( “fresh start”), dopo aver cancellato i debiti pregressi  “discharge” ), ed è il soddisfacimento di tale esigenza, dunque, oggetto della mediazione che il legislatore ha attuato in relazione alla tutela dei principi vigenti nel nostro ordinamento, potenzialmente contrastanti.

Compito dell’interprete, pertanto, è proprio quello di stabilire il punto di equilibrio individuato al riguardo dal legislatore, punto di equilibrio che non appare individuabile  in quello idoneo ad evitare uno sbilanciamento del sistema in danno dei creditori, non risultando tale obiettivo nè dal dato testuale della legge delega, nè dalla” ratio “dell’istituto.

9. b ) – Peraltro non sembra inutile rilevare come una corretta applicazione del dettato normativo non determini un irragionevole ed inevitabile sbilanciamento delle posizioni delle parti in danno del ceto creditorio.

Ed infatti l’art. 142, secondo comma, l.f. recita:

“L’esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali “ nulla stabilendo dunque, in termini quantitativi, in ordine all’entità dei crediti rispetto al totale, il cui soddisfacimento è richiesto come presupposto indispensabile ai fini del riconoscimento del beneficio dell’esdebitazione.

Il legislatore si è invero limitato a stabilire al riguardo che al fine indicato occorre il pagamento di una parte dei debiti esistenti, e sarà dunque compito del giudice del merito, con il suo prudente apprezzamento, accertare quando ciò si sia verificato, quando cioè la consistenza dei riparti realizzati consenta di affermare che l’entità dei versamenti effettuati, rispetto a quanto valutati comparativamente complessivamente dovuto, costituisca quella parzialità dei pagamenti richiesti per il riconoscimento del beneficio sul quale è controversia.

9. c Nè può indurre a difformi conclusioni quanto si legge nella sentenza della Corte Costituzionale n. 181 del 30.5.2008, che nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 143 l.f.,  laddove non prevista la notificazione ai creditori insoddisfatti del ricorso del debitore di ammissione al beneficio con pedissequo decreto di fissazione riferimento integralmente di   udienza, ai creditori soddisfatti ha fatto espresso concorrenti non e all’incompleto adempimento delle obbligazioni.

Si tratta infatti di affermazioni non connesse con il tenore della decisione adottata, che pertanto rappresentano un ” obiter dictum “, e alle quali non può conseguentemente attribuirsi alcuna specifica valenza in relazione alla determinazione della portata normativa degli artt. 142 e segg. l.f.

9. d D’altro canto, da un punto di vista più generale è anche utile rilevare come il meccanismo esdebitatorio, pur essendo certamente eccezionale, non è del tutto nuovo nel nostro ordinamento, trovando espressa applicazione nelle procedure concorsuali dei concordati, preventivo art. 184 l.f.  e fallimentare ( art. 135 l.f. ), ed avendo nei fatti concreta attuazione nel fallimento, nel caso di imprenditore collettivo.

L’art. 118, secondo comma, l.f. prevede infatti che, nel caso di chiusura di fallimento di società, il curatore ne chiede la cancellazione dal registro delle imprese, vanificando in  tal  modo ogni possibile pretesa di soddisfacimento da parte dei creditori nei confronti della fallita, mentre l’art. 2495 c.c., in tema di cancellazione di società di capitali, stabilisce che i creditori sociali insoddisfatti possono far valere il proprio credito nei confronti dei soci e dei liquidatori, rispettivamente soltanto nei limiti delle somme da essi riscosse e a condizione che il mancato pagamento sia dipeso da loro colpa.

9. e ) Infine, come notazione conclusiva sul punto oggetto di esame, va ricordato che, anche a voler ipoteticamente non condividere  l’assunto  sopra prospettato, secondo  cui  la  letteralità  delle disposizioni in oggetto presenterebbe profili di ambiguità   mentre   una   loro   lettura   logico sistematica indurrebbe a privilegiare una loro interpretazione estensiva, resta comunque il fatto che sicuramente ciascuna delle  due    possibili interpretazioni fra loro antagoniste, vale a dire quella restrittiva e quella estensiva, presenterebbe margini  di incertezza sicchè, conformemente a principi precedentemente affermati da questa Corte, nel caso in cui una disposizione normativa offra una pluralità di possibili interpretazioni, va privilegiata quella che sia compatibile con il dettato costituzionale, essendo sostanzialmente il dubbio apparente e da superare pertanto  nel  senso  indicato   c. 99/3242,  c. 95/4906 )

Nella specie, come sopra debitamente evidenziato, il  legislatore  delegante,  che aveva  disposto l’introduzione dell’istituto dell’esdebitazione, non aveva posto limiti nella disciplina del relativo procedimento e soprattutto, per la parte di interesse, nella individuazione dei presupposti ai fini del relativo accesso, sicchè ogni eventuale limite al riguardo e quello affermato dal giudice del merito risulta di significativa incidenza desunto  dal  decreto  delegato   si  porrebbe  in contrasto con la legge delega, e quindi con quanto prescritto dalla Costituzione art. 76 Cost. ).

10. Da ultimo ritiene il Collegio di dover evidenziare un duplice aspetto di positività, ove applicato nel fallimento l’istituto dell’esdebitazione secondo l’interpretazione estensiva considerata preferibile.

Ed infatti, da una parte, questa Corte ha già rilevato nell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, “che richiedere la soddisfazione in qualche misura  di  tutti  i creditori concorsuali comporterebbe la necessità del pagamento integrale di quelli muniti di privilegio generale e di quelli muniti di privilegio speciale nei limiti dei beni gravati, non potendosi provvedere al soddisfacimento dei creditori chirografari se non nel rispetto delle cause   di prelazione;   ne deriverebbe non solo  l’ammissibilità dell’esdebitazione   solo situazione patrimoniale in che presenza avrebbe di una consentito l’accesso al concordato ma anche, in concreto, un’applicazione dell’istituto del tutto marginale ”  marginalità che vanificherebbe sostanzialmente la rilevanza dell’innovazione ed i risultati che da essa  il  legislatore si proponeva di poter conseguire.               

Dall’altra, la nota di discrimine fra imprenditori falliti, ai fini del conseguimento del beneficio dell’esdebitazione, non andrebbe individuata sulla base di un dato legato a contingenze casuali e non riconducibili all’operato dell’imprenditore, quale il numero dei creditori privilegiati e la consistenza dei loro crediti, ma potrebbe essere piuttosto ricercata nella valorizzazione del dato comportamentale del debitore.

Ed invero in proposito occorre rilevare che l’art. 142, primo comma nn. 1 e 2, nell’individuare le condizioni soggettive legittimanti il riconoscimento del beneficio in questione, indica rispettivamente:  n. 1 la cooperazione del fallito con gli organi della procedura, da realizzare con la fornitura delle informazioni e della documentazione utili all’accertamento del passivo e con l’attivazione di quanto necessario per il proficuo svolgimento delle operazioni concetto poi recuperato nell’art. 143, laddove è espressamente precisato che il tribunale, nel decidere sulla richiesta di esdebitazione, deve tener conto dei comportamenti collaborativi del debitore); nonchè n. 2  una linea di condotta del fallito che” non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura”.

Orbene, l’effetto indicato dal legislatore come ostativo alla concessione del beneficio, consistente nella determinazione del ritardo o nella contribuzione alla sua verificazione, è riconducibile ad una condotta non delineata nella sua specificità, sicchè questa può essere correttamente riscontrata dal giudice del merito, quando sia stata accertata la conseguenza pregiudizievole dell’allungamento dei tempi di definizione della procedura.

La genericità della formulazione normativa sul piano della condotta, essendo viceversa l’attenzione del legislatore incentrata sul profilo effettuale,  consente  dunque  al  giudice  un accertamento molto ampio, essendo il suo esame focalizzato sull’esistenza o meno di un ritardo nella definizione della procedura rispetto a quanto possibile e sull’eventuale nesso fra la condotta del fallito e detto ritardo.

Nulla esclude dunque che l’esame possa essere condotto anche con riferimento a comportamenti posti in essere prima dell’apertura del fallimento, avendo certamente incidenza sui tempi di definizione della procedura anche le modalità operative adottate dall’imprenditore nell’esercizio dei suoi poteri gestori nel periodo precedente l’apertura della procedura concorsuale.

Appare infatti di assoluta evidenza, a titolo puramente esemplificativo, come un rilevante numero di negoziazioni sospette a ridosso del fallimento possa dar luogo ad un cospicuo contenzioso giudiziario, con i connessi effetti negativi sui tempi di definizione della procedura.

Il puntuale esercizio del dovere conferito al giudice del merito di verificare l’esistenza delle condizioni necessarie per la declaratoria di inesigibilità dei crediti, se correttamente interpretato nel senso sopra indicato, unitamente al  giudizio  circa  l’avvenuto  soddisfacimento parziale dei crediti demandato al giudice del merito nei termini sopra precisati ( sub 9 b ), può dunque valere a determinare l’auspicato punto di equilibrio fra le contrastanti esigenze di un tempestivo  ritorno  sul  mercato, da parte del debitore, e del soddisfacimento dei crediti, da parte  dei creditori, punto  di equilibrio che peraltro, per le ragioni precedentemente rappresentate, non pare che possa essere in alcun modo individuato nell’interpretazione restrittiva dell’istituto dell’esdebitazione offerta dalla Corte di appello nel provvedimento impugnato.

Conclusivamente il ricorso deve essere accolto, con cassazione del decreto impugnato e rinvio alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione, per una nuova delibazione in ordine al proposto reclamo alla luce dei criteri sopra delineati.

Il giudice del rinvio provvederà infine anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.