Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 10013 depositata il 15 aprile 2021
contributo unificato
FATTI DI CAUSA
1.- Il Coordinamento di associazioni per la tutela dell’ambiente e dei diritti di utenti e consumatori Onlus (di seguito, per brevità,
«Codacons» ), con ricorso notificato al TAR Lazio e al Ministero della giustizia, impugnava, davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma (CTP), l’intimazione n. 120 dell’ll maggio 2011, notificata il 21 maggio 2011, di pagamento del contributo unificato (per brevità, c.u.) per la proposizione di un ricorso (rg. n. 2209 del 2011) dinanzi al TAR Lazio, avente ad oggetto l’impugnativa di un non precisato concorso bandito dal Ministero della giustizia.
2.- La CTP di Roma rigettava il ricorso con sentenza impugnata dal Codacons, che deduceva, in appello, la sussistenza del diritto all’esenzione dal pagamento del c.u. per le associazioni di volontariato, in virtù del combinato disposto degli artt. 1 e 8, comma 1, della legge 11 agosto 1991, n. 266 (Legge quadro sul volontariato), 10 del dPR 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico in materia di spese di giustizia, per brevità t.u. del 2002) e 27 bis dell’Allegato B del dPR 26 ottobre 1972 n. 642 (Disciplina dell’imposta di bollo), eccependo, a tal fine, la illegittimità costituzionale del sistema normativo se interpretato nel senso della debenza del contributo in questione.
3.- La Commissione Tributaria Regionale di Roma (CTR), con ordinanza del 4 luglio 2013, sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 8 della legge n. 266 del 1991 e 27 bis dell’Allegato B del dPR n. 642 del 1972, nella parte in cui non prevedono, tra i casi di esenzione dall’imposta di bollo, gli atti delle organizzazioni di volontariato di natura giurisdizionale o processuale.
La Corte costituzionale, con ordinanza n. 91 del 2015, dichiarava la questione inammissibile per la ragione che «l’intervento additivo richiesto alla Corte, volto a ricomprendere tra le esenzioni dal contributo unificato anche gli atti processuali delle Onlus, non viene riferito all’art. 10 del dPR n. 115 del 2002 – il quale enumera più cause di esenzione dal contributo, ulteriori rispetto a quelle previste dal dPR n. 642 del dPR del 1972 – bensì alle disposizioni che prevedono l’esenzione dall’imposta di bollo e di registro», con la conseguenza che «le disposizioni sottoposte a scrutinio contengono una norma inconferente rispetto all’oggetto delle censure del giudice a quo».
4.- Nel prosieguo del giudizio la CTR, con sentenza del 7 luglio 2015, rigettava le altre censure concernenti la validità intrinseca della intimazione impugnata (per intempestività della stessa e insufficiente indicazione della tutela esperibile) ed accoglieva quella concernente la questione della debenza del c.u., che riteneva non dovuto per gli atti di iniziativa giudiziaria (come l’iscrizione a ruolo) compiuti dalle associazioni di volontariato, senza scopo di lucro, di cui alla legge n. 266 del 1991, in quanto connessi e strumentali alla realizzazione dei fini statutari di rilevanza sociale propri del Codacons.
Ad avviso della CTR, l’esenzione dal pagamento del c.u. è accordata, dall’art. 10 del t.u. del 2002, in relazione non ad «atti» giudiziari o processuali – non integranti, in quanto tali, il presupposto d’imposta – ma alla «iscrizione a ruolo per ciascun grado di giudizio» (art. 9 del t.u. del 2002), cioè al «processo», nei casi in qui questo sia esente dall’imposta di bollo; non si tratterebbe di estendere le vigenti norme esonerative a categorie particolari di atti (quelli giudiziari o processuali), ma di verificare se la «iscrizione a ruolo» dei processi introdotti dalle associazioni di volontariato rientri o no nelle ipotesi di esenzione dal c.u. indicate dall’art. 10 del t.u. del 2002, e tale verifica avrebbe un esito positivo; ed infatti, in primo luogo, tra le fattispecie esonerative di cui all’art. 10 è compresa l’esenzione dall’imposta di bollo che è riferibile agli «atti, documenti, istanze, contratti […] poste in essere o richiesti da organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus)», ai sensi dell’art. 27 bis dell’Allegato B del dPR n. 642 del 1972 (come aggiunto dall’art. 17 del d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, sulla disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale Onlus) e, in secondo luogo, in virtù del rinvio che si assume operato nel citato art. 10 del t.u. del 2002 all’art. 8, comma 1, della legge n. 266 del 1991, che prevede l’esenzione dall’imposta di bollo e di registro, non solo, per gli «atti costitutivi delle organizzazione di volontariato», ma anche per «quelli connessi allo svolgimento delle loro attività»; quindi, l’iscrizione a ruolo richiesta dalle associazioni, come le Onlus, costituite esclusivamente per fini di solidarietà sociale, sarebbe esente dal pagamento del c.u., quando «il processo sia stato promosso [ …] a tutela di un interesse a lei statutariamente affidato», cioè per la tutela giurisdizionale dei diritti rientranti negli scopi istituzionali dell’associazione, trattandosi, dunque, di atto connesso allo svolgimento delle attività dell’associazione stessa ( ex art. 8, comma 1, legge n. 266 del 1991).
5.- Il Ministero della giustizia e il Tar Lazio hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo. Il Codacons ha resistito con controricorso e ricorso incidentale, affidato a quattro motivi. Le parti hanno presentato memorie.
6.- La Sezione Tributaria di questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 16506 del 2020, ha sottoposto alle Sezioni Unite la questione, di massima di particolare importanza, se le associazioni di volontariato e le Onlus siano tenute al pagamento del contributo unificato per le attività giurisdizionali connesse alle loro attività istituzionali. L’ordinanza sollecita un ripensamento del costante orientamento interpretativo di questa Corte che esclude la configurabilità della esenzione dal pagamento del contributo unificato per i processi introdotti dalle predette associazioni e chiede di enunciare il diverso principio secondo cui l’esenzione dal pagamento del c.u., in base all’art. 10 del t.u. del 2002, spetta ai predetti enti, quando costituiti esclusivamente per fini di solidarietà, «limitatamente ai processi introdotti per la tutela giurisdizionale dei diritti che rientrino in quelli la cui tutela è assunta a scopo istituzionale dell’associazione dal proprio statuto».
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con un unico motivo i ricorrenti principali denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e 10 t.u. (dPR n. 115) del 2002, 12 (integrato e corretto dal dPR 30 dicembre 1982, n. 955) e 27 bis dell’Allegato B del dPR n 642 del 1972, 8 legge n. 266 del 1991 e 14 disp. prel. e.e. In particolare, essi affermano: a) che l’interpretazione sistematico-letterale dell’art. 27 bis citato non autorizza a ritenere ricompresi tra gli atti esenti dall’imposta sul bollo anche gli atti introduttivi del giudizio; b) che il pagamento del c.u. non può essere considerato di ostacolo allo svolgimento dell’attività del Codacons, essendone espressamente previsto il recupero nei confronti del soccombente in caso di esito positivo della causa; c) che la ratio decidendi espressa dalla CTR di fondare l’esenzione su ragioni soggettive e di «meritevolezza» delle attività svolte non è coerente con il sistema normativo concernente le esenzioni tributarie, che privilegia il criterio della materia o dell’oggetto del giudizio.
2.- Il Codacons propone ricorso incidentale sulla base di quattro motivi: i primi tre illustrano le ragioni a sostegno della non debenza del contributo, cui si aggiunge la prospettazione della illegittimità costituzionale dell’opposta interpretazione per violazione di vari parametri, e il quarto motivo deduce l’invalidità dell’intimazione di pagamento perché notificata oltre il termine fissato nell’art. 248 t.u. del 2002; ha formulato anche una istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, al fine di chiarire la compatibilità con numerosi parametri normativi (artt. 6 e 13 della Cedu; 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998, sull’accesso alle informazioni, la partecipazione dei cittadini e l’accesso alla giustizia in materia ambientale; direttive n. 2003/4/CE e 2003/35/CE) dell’avversata interpretazione che ritiene le organizzazioni di volontariato, le Onlus e le associazioni ambientalistiche assoggettabili al c.u. per l’accesso alla giustizia, con conseguente lesione del principio di effettività della tutela giurisdizionale.
3.- Il ricorso principale pone all’esame di questa Corte la questione, di massima di particolare importanza, se le associazioni di volontariato, ambientalistiche e le Onlus in genere – che hanno tra le loro attività istituzionali la tutela in sede giudiziaria di interessi riconosciuti di particolare rilevanza sociale – siano esenti dal pagamento del c.u., ai sensi del combinato disposto degli artt. 10 t.u. del 2002 e 8 legge n. 266 del 1991, ovvero se, invece, la normativa di riferimento imponga loro il pagamento del c.u. anche per le attività giurisdizionali connesse allo svolgimento delle attività statutarie.
4.- La disciplina del contributo unificato, anticipata nell’art. 9, comma 2, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, è contenuta nel t.u. del 2002, per effetto del quale, dal 1° marzo 2002, i procedimenti giurisdizionali sono sottoposti al pagamento di tale contributo, la cui qualità di entrata tributaria erariale è indiscussa (cfr. Corte cost. n. 73 del 2005 e Cass. SU n. 9840 del 2011). In particolare, l’art. 9, comma 1, t.u. del 2002 dispone: « E’ dovuto il contributo unificato di iscrizione a ruolo, per ciascun grado di giudizio, nel processo civile, compresa la procedura concorsuale e di volontaria giurisdizione, nel processo amministrativo e nel processo tributario, secondo gli importi previsti dall’art. 13 e salvo quanto previsto dall’articolo 10».
Il successivo art. 10 prevede alcuni regimi di esenzione dal c.u.:
«non è soggetto al contributo unificato il processo già esente, secondo previsione legislativa e senza limiti di competenza o di valore, dall’imposta di bollo o da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura […]» (segue l’indicazione di alcuni processi esenti: in materia tavolare, di rettificazione di stato civile, equa riparazione, integrazione scolastica, riguardanti la prole e il mantenimento della stessa e i processi di cui al libro V, titolo II, capi II, III, IV e V del codice di procedura civile). Sono esenti anche i processi relativi a specifiche materie previste da altre disposizioni di legge: ad esempio, oltre a quelli di cui all’art. 46 bis disp att. e.e., in tema di adozione e affiliazione (legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 82), di violenza nelle relazioni familiari (legge 4 aprile 2001, n. 154, art. 7), esercizio dell’azione civile nell’azione penale (ex art. 12 t.u. del 2002), opposizione avverso l’espatrio dello straniero (legge 25 luglio 1998, n. 286) e il diniego del ricongiungimento familiare (ex d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150), ecc.
L’art. 10 prevede, dunque, due tipi di esenzioni dall’obbligo di pagamento, una di carattere generale (mediante rinvio), riferita ai processi già esenti, secondo previsione legislativa, dall’imposta di bollo, da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura, e altre esenzioni speciali, riferite a specifici procedimenti.
Tra i processi «già esenti» rientrano quelli «esenti dall’imposta di bollo in modo assoluto» indicati nell’art. 12 dell’Allegato B del dPR. n 642 del 1972, in materia di assicurazioni sociali obbligatorie ed assegni familiari, individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego, in materia di pensioni dirette o di reversibilità, ecc.
Ai fini dell’applicazione dell’imposta di bollo, cui fa richiamo l’art. 10 succitato, l’art. 27 bis (per come inserito nell’Allegato B del dPR n. 642 del 1972 dall’art. 17 del d.lgs. n. 460 del 1997, e soggettivamente ampliato dall’art. 90, comma 6, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 e, poi, dall’art. 1, comma 646, della legge 30 dicembre 2018, n. 145) prevede l’esenzione dall’imposta stessa per gli « atti, documenti, istanze, contratti, nonché copie anche se dichiarate conformi, estratti, certificazioni, dichiarazioni e attestazioni poste in essere o richiesti da organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus), nonché dalle federazioni sportive, dagli enti di promozione sportiva e dalle associazioni e società sportive dilettantistiche senza fine di lucro riconosciuti dal CONI».
Il d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del terzo settore), al comma 5 dell’art. 82, ha riproposto, ampliandola sotto l’aspetto oggettivo, l’esenzione già prevista dall’art. 27 bis: «Gli atti, i documenti, le istanze, i contratti, nonché I e copie anche se dichiarate conformi, gli estratti, le certificazioni, le dichiarazioni, le attestazioni e ogni altro documento cartaceo o informatico in qualunque modo denominato posti in essere o richiesti dagli enti [del Terzo settore] di cui al comma 1 sono esenti dall’imposta di bollo».
5.- L’orientamento seguito costantemente dalla Sezione Tributaria, sia prima che dopo l’ordinanza di rimessione, è nel senso che «in materia di agevolazioni tributarie, le Onlus non sono esenti dal pagamento del contributo unificato, ai sensi del combinato disposto degli artt. 10 del D.P.R. n. 115 del 2002 e 27 bis della tabella B allegata al d.P.R. n. 642 del 1972, atteso che, da un lato, il termine “atti” deve riferirsi esclusivamente a quelli amministrativi e non anche a quelli processuali, giusta la necessità di un’interpretazione restrittiva quanto ai benefici fiscali, e, dall’altro, che l’esenzione dal contributo suddetto è giustificabile, alla luce dell’art. 10 del d.P.R. n. 115 del 2002, solo in base ad un criterio di meritevolezza, in funzione della solidarietà sociale, dell’oggetto del giudizio e non in considerazione della qualità del soggetto, anche in ragione di esigenze costituzionali di parità di trattamento e comunitarie di non discrim,nazione» (cfr. Cass. n. 23875, 23876, 23880, 23881, 23882, 24083 del 2020, n. 14332 del 2018, n. 27331 del 2016, n. 21522 del 2013).
Secondo tale orientamento, il dPR n. 642 del 1972, all’art. 27 bis dell’Allegato B, laddove esonera gli «atti» delle Onlus dal pagamento dell’imposta di bollo, si riferisce solo agli atti amministrativi, cioè di natura sostanziale, e non ricomprende anche gli atti giudiziari, e ciò perché, quando la legge ha inteso ricomprendere nella esenzione dall’imposta di bollo gli atti giudiziari, lo ha espressamente previsto, come nell’art. 12 dell’Allegato B.
Il diritto all’esenzione dal c.u. sussiste, in effetti, solo nelle ipotesi contemplate dall’art. 10 t.u. del 2002, che introduce un regime di esenzione di natura oggettiva, applicabile solo in presenza di «processi» esenti dall’imposta di bollo e da ogni tipologia di spesa, secondo specifiche disposizioni legislative, oltre che nei casi di esonero dal c.u. tassativamente previsti da altre disposizioni di legge (esemplificativamente indicate sub 4).
A questa conclusione il riferito orientamento interpretativo è pervenuto valorizzando il principio, costantemente affermato, della tassatività delle norme agevolative che, derogando al sistema tributario, sono di stretta interpretazione e non possono essere applicate in via estensiva o analogica (cfr. Cass. n. 21522 del 2013, n. 27331 del 2016). Pertanto, le agevolazioni fiscali non sono applicabili a casi e situazioni non riconducibili al significato letterale delle norme che le prevedono.
Tale orientamento – come rilevato anche dal Procuratore Generale nella requisitoria scritta – si muove nel quadro di un’interpretazione rispettosa del canone dell’art. 12 delle preleggi e del contenuto letterale delle disposizioni in tema di agevolazioni tributarie, restandone conseguentemente esclusa l’ammissibilità di una interpretazione in via analogica o estensiva.
6.- Il suddetto orientamento è condivisibile e non è scalfito dagli argomenti critici esposti nell’ordinanza interlocutoria a sostegno dell’auspicato revirement, i quali possono essere così sintetizzati.
a) Osserva la Sezione remittente che, prima dell’introduzione del u. (a norma dell’art. 9, comma 2, della legge 23 dicembre 1999, n. 488) e dell’art. 27 bis nell’Allegato B del dPR del 1972 (ex art. 17 del d.lgs. n. 460 del 1997), il diritto all’esenzione dall’imposta di bollo era riconosciuto alle Onlus «anche in relazione agli atti di natura giudiziaria», come si afferma essere «confermato dall’allora Ufficio del registro con nota 18.06.1993»;
b) secondo l’ordinanza interlocutoria, l’argomento circa l’assenza di sinonimia tra il c.u. e l’imposta di bollo, su cui fa leva la giurisprudenza che nega l’esenzione, trascurerebbe di considerare che è il legislatore a individuare nella esenzione «da[lla] imposta di bollo o da diritti o spese di qualsiasi specie e natura» il criterio distintivo tra i processi esenti e quelli non esenti dal pagamento del c.u.; l’uso della congiunzione «o» anziché «e» escluderebbe che la volontà del legislatore sia stata quella di esentare dal contributo i soli processi già esenti da ogni genere di pagamento, dovendo ritenersi esenti dal c.u. anche i processi esenti dalla sola imposta di bollo «o» da altre tasse «o» spese;
c) l’auspicata esenzione dal pagamento del c.u. secondo un criterio soggettivo, in correlazione alla qualità dei soggetti beneficiari, è già prevista dall’ordinamento nei casi di prenotazione a debito (a favore dello Stato) e di ammissione al «patrocinio a spese dello Stato» dei soggetti con reddito al di sotto di una certa soglia, prevedendosi che il pagamento del contributo sia dovuto dalla controparte, se soccombente;
d) l’ordinanza interlocutoria ammette che l’art. 27 bis dell’Allegato B del dPR 642 del 1972, che esonera dall’imposta di bollo gli atti «post[i] in essere o richiesti da organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus)», si riferisce ai soli atti amministrativi di tali organizzazioni e non a quelli processuali, e tuttavia ritiene che i processi «già esent[i]… dall’imposta di bollo» e, in tesi, dal c.u. non siano solo quelli indicati nell’art. 12 dell’Allegato B citato (che dispone l’esonero dall’imposta di bollo degli atti relativi a determinate tipologie di controversie giudiziarie) e in altre specifiche disposizioni di legge, ma anche quelli individuabili attraverso il rinvio mobile (che si individua nell’art. 10 t.u. del 2002) all’art. 8, comma 1, della legge n. 266 del 1991, che riconosce l’esenzione dall’imposta di bollo e dall’imposta di registro alle «organizzazioni di volontariato» costituite esclusivamente per fini di solidarietà, in relazione ai relativi «atti costitutivi […] e [a] quelli connessi allo svolgimento delle loro attività»;
e) in relazione al profilo da ultimo trattato, la Sezione remittente osserva anche che l’iscrizione a ruolo è l’atto che determina la pendenza del processo che è uno degli strumenti previsti dallo statuto del Codacons per la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi dei consumatori e degli utenti, tramite la quale si realizzano le attività e finalità sociali proprie delle Onlus e, di conseguenza, essa rientra a pieno titolo e direttamente (non mediante interpretazione estensiva) nelle ipotesi di esenzione dal pagamento del c.u. di cui all’art. 10 del t.u. del 2002;
f) inoltre, se gli atti «connessi allo svolgimento delle attività [delle associazioni di volontariato e delle Onlus]», esonerati dall’imposta di bollo, fossero solo quelli amministrativi e non anche quelli giurisdizionali necessari per la tutela dei diritti la cui protezione è assunta a scopo istituzionale dei suddetti enti, si dovrebbe concludere che il legislatore, introducendo l’art. 27 bis nell’Allegato B del dPR n. 642 del 1972 (ex art. 17 del d. lgs. n. 460 del 1997), avrebbe inutilmente reiterato il contenuto dell’art. 8 della legge n. 266 del 1991, ripetendo che gli atti amministrativi delle Onlus sono esenti dall’imposta di bollo;
g) l’ordinanza interlocutoria prosegue osservando che «è evidente nell’art. 8, comma 3, della L. n. 266 del 1991 e nell’art. 10 cit., che ad esso rinvia ai fini dell’esenzione dal contributo unificato, lo scopo di alleviare il peso dell’imposizione sugli atti che realizzano l’attività dell’associazione, in un’ottica di solidarietà dello Stato con gli scopi di interesse pubblico connessi al riconoscimento dell’associazione come “associazione di volontariato” e con la tutela delle categorie sociali deboli da essa rappresentate. Ne consegue che una diversa interpretazione, che escluda gli atti di promovimento della tutela giurisdizionale degli interessi medesimi dai “processi” esenti dal contributo unificato, risulterebbe in stridente contrasto con l’intenzione del legislatore».
6.1.- Ai suddetti argomenti è possibile replicare nel modo che segue.
aa) L’affermazione concernente il riconoscimento alle Onlus dell’esenzione dall’imposta di bollo «anche in relazione agli atti di natura giudiziaria», qualora fosse dimostrata, come puntualmente rilevato dal Procuratore Generale, non sarebbe decisiva. Essa trascura, infatti, di considerare che il c.u. è una entrata tributaria erariale – configurata come prelievo coattivo volto al finanziamento delle « spese degli atti giudiziari» (cfr. Corte cost. n. 73 del 2005; SU n. 9840 del 2011, n. 5994 del 2012) – diretta a sostituire non solo i tributi erariali gravanti anch’essi su procedimenti giurisdizionali, quali l’imposta di bollo e la tassa di iscrizione a ruolo, ma anche i diritti di cancelleria e di chiamata di causa dell’ufficiale giudiziario (cfr. art. 9, comma 1, legge 23 dicembre 1999, n. 488). Da qui la rilevanza e fondatezza dell’argomento che fa leva sull’assenza di quella sostanziale sinonimia tra il c.u. e l’imposta di bollo prospettata a sostegno della tesi favorevole al riconoscimento del diritto all’esenzione (una ulteriore indicazione proviene, indirettamente, dall’art. 18, comma 1, del t.u. del 2002, che esclude l’applicazione dell’imposta di bollo agli atti e provvedimenti del processo se sono «soggetti al contributo unificato»).
bb) Sull’argomento concernente l’assenza di sinonimia tra l’imposta di bollo e il u., utilizzato in giurisprudenza per confermare la debenza di quest’ultimo ma criticato dal Codacons, ci si è già soffermati poc’anzi. Si può aggiungere che il previgente art. 9, comma 8, legge n. 488 del 1999 (trasfuso senza modifiche sostanziali nell’art. 10, comma 1, del t.u. del 2002) – che prevedeva un analogo esonero per i procedimenti già esenti «dall’imposta di bollo, di registro, e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura» – accrediti l’interpretazione corrente che riferisce l’esonero dal c.u. ai casi in cui l’esenzione sia prevista da ogni genere di pagamento, ivi compreso dall’imposta di bollo.
In altri termini, gli ulteriori casi di esonero dal c.u. (oltre a quelli indicati nell’art. 10 t.u. del 2002) devono essere individuati tramite rinvio implicito, contenuto nel medesimo art. 10, alle fattispecie normativamente tipizzate di esonero dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e genere, non essendo sufficiente che l’esonero dalla sola imposta di bollo o di registro.
cc) L’affermata necessità di correlare la esenzione dal u. alla qualità soggettiva delle Onlus, non trova adeguato sostegno nel fatto che, talora, la legge prevede l’esonero in ragione della natura del soggetto che assume l’iniziativa di iscrivere la causa a ruolo, trattandosi pur sempre di casi specifici e tipizzati dal legislatore (ad es., di «ammissione al patrocinio a spese dello Stato» e di prenotazione a debito), da cui non è possibile estrarre in via generale la regola dell’esenzione incondizionata dal pagamento secondo criteri soggettivi.
La regola è, infatti, in senso opposto, atteso che il regime delle esenzioni non è ispirato ad un criterio soggettivo, ma ha riguardo alla materia o all’oggetto dell’attività, sostanziale o processuale, che si intende agevolare e ciò vale anche per le Onlus, poiché non è detto che «al medesimo fine generale di solidarietà istituzionalmente perseguito dalle organizzazioni di volontariato debba necessariamente corrispondere una unitaria giustificazione dei benefici fiscali ad esse accordati, così da rendere irragionevole ogni differenziazione delle agevolazioni in base ai diversi tipi di atti» (cfr. Corte cost. n. 103 del 2012).
Opinandosi diversamente, nel senso di estendere in via interpretativa l’esonero dal c.u. in ragione della qualità soggettiva di chi agisce in giudizio, nessuna delle parti sarebbe tenuta a pagare il c.u., anche nel caso di soccombenza di chi propone l’iniziativa giudiziaria, con pregiudizio per il funzionamento del servizio giudiziario cui è correlato il prelievo coattivo di cui si tratta, ma ciò è ammesso solo nei casi in cui lo Stato vi abbia rinunciato con una disposizione di legge chiara e
inequivoca che è assente nella specie. Quel pregiudizio sarebbe aggravato se si considera che l’esenzione dal c.u. è prospettata con riferimento alla generalità delle Onlus e non solo alle associazioni di volontariato e ambientalistiche (v. sub ff).
Neppure si può ritenere che il pagamento del c.u. – che è una mera anticipazione – ostacoli in modo intollerabile lo svolgimento delle attività delle Onlus, essendo il relativo costo traslato sulla parte soccombente nel giudizio. Ed infatti, «il contributo unificato per gli atti giudiziari costituisce un’obbligazione ex lege gravante sulla parte soccombente per effetto della condanna alle spese, sicché, anche in caso di mancata menzione da parte del giudice, la relativa statuizione include, implicitamente, l’imposizione della restituzione alla parte vittoriosa di quanto versato, senza che si renda necessaria alcuna correzione, per errore materiale, del provvedimento giudiziale, restando il pagamento verificabile, anche in sede esecutiva, con la corrispondente ricevuta» (cfr., ex plurimis, Cass. n. 18828 del 2015). Per altro verso, l’inadempimento dell’obbligo di pagamento in questione non preclude l’accesso alla tutela giurisdizionale, né lo svolgimento e la conclusione del giudizio.
dd) Infondato è l’argomento che fa leva sull’art. 8, comma 1, legge n. 266 del 1991, norma applicabile ratione temporis ma, in quanto abrogata dall’art. 102, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 117 del 2017 (codice del terzo settore), non idonea a fondare una interpretazione di sistema come quella proposta dal Codacons, al fine di fare dichiarare esenti, in via generale ed anche per il futuro, le iniziative giurisdizionali poste in essere dalle associazioni di volontariato – Onlus, ai fini della tutela dei diritti che rientrino in quelli la cui tutela è assunta a scopo istituzionale dell’associazione in base al proprio statuto.
Tanto premesso, pur volendo in astratto ipotizzare che gli atti «connessi allo svolgimento delle loro attività», per i quali il citato art. 8, comma 1, prevede l’esonero dall’imposta di bollo e di registro a favore delle «organizzazioni di volontariato», siano anche quelli giurisdizionali, si tratterebbe di una operazione interpretativa inidonea rispetto allo scopo, se si tiene conto di quanto già detto a proposito della assenza di sinonimia tra il c.u. e l’imposta di bollo e, comunque, inammissibile, in quanto contrastante con il principio di specialità e tassatività delle norme che, in deroga alla norma generale che istituisce il tributo, prevedono agevolazioni fiscali, qual è quella sulla esenzione dal c.u., le quali non possono applicarsi al di fuori delle ipotesi tipiche indicate dalla legge (ex plurimis, Cass. n. 27134 del 2020).
Nella stessa direzione si colloca l’interpretazione restrittiva del medesimo art. 8 legge n. 266 del 1991 offerta con riferimento alla questione della debenza dell’imposta di registro della sentenza, avendo questa Corte ritenuto che nella nozione di «atti», per i quali la norma prevede(va) un’esenzione dall’imposta, debbano essere ricompresi esclusivamente gli atti amministrativi e non anche quelli processuali, stante la loro diversa tipologia e finalità (cfr. Cass. n. 16531 del 2019, che richiama Cass. n. 27331 del 2016 cit.). La menzionata pronuncia ha fondato l’esclusione dell’esenzione sulle medesime argomentazioni di ordine letterale e sistematico esposte in relazione all’art. 27 bis dell’Allegato B del dPR n. 642 del 1972, che impediscono di affermare che il legislatore, riferendosi il testo della disposizione normativa agli «atti» senza ulteriori specificazioni, abbia voluto includervi anche gli atti introduttivi di procedimenti giurisdizionali.
Una analoga interpretazione restrittiva è stata data dell’art. 10, comma 5, d.lgs. n. 460 del 1997, in tema di agevolazioni tributarie concernenti le «attività direttamente connesse a quelle istituzionali» delle Onlus, intese come quelle «oggettivamente e strumentalmente funzionali al migliore e più efficace espletamento di quelle istituzionali», purché non emerga «il perseguimento di un fine di lucro» (cfr. Cass. n. 18396 del 2015).
ee) Neppure varrebbe sostenere, come ritengono i giudici di merito nella sentenza impugnata, che il c.u. è previsto dall’art. 9 t.u. del 2002 non in relazione ad atti giudiziari o processuali, ma alla «iscrizione a ruolo», non potendosi dubitare che l’iscrizione a ruolo è uno specifico atto del procedimento giurisdizionale, che consente di documentare la pendenza del processo davanti ad un determinato ufficio giudiziario.
Se ne ha conferma nello stesso t.u. del 2002 che, nell’art. 18, comma 1, stabilisce che gli «atti e provvedimenti del processo sono tutti gli atti processuali, inclusi quelli antecedenti, necessari o funzionali».
Come puntualmente rilevato dal Procuratore Generale, «lo svolgimento da parte delle Onlus dell’attività giurisdizionale implica dunque l’iscrizione a ruolo e, perciò, il compimento di un atto sottoposto al pagamento del contributo unificato. L’iscrizione a ruolo, cioè, non è ipotizzabile a prescindere dall’attività processuale. Così che dire che la prima, quando riferita ad un atto connesso allo svolgimento delle attività delle Onlus, è esentata dal contributo unificato significa, appunto, dire che ad essere esentata è l’attività giurisdizionale “connessa”. Ma così facendo, chiaramente si estende (inammissibilmente) l’esenzione prevista per gli atti amministrativi a quelli giudiziari».
Pure volendo identificare i casi di esenzione dal c.u. tramite un rinvio implicito, contenuto nell’art. 10 t.u. del 2002, alle norme che prevedono l’esenzione degli atti sostanziali, dovrebbe pur sempre trattarsi di una esenzione da qualsiasi tassa o spesa «di qualsiasi specie e natura», non soltanto dall’imposta di bollo e/o di registro.
Per altro verso, se si seguisse l’interpretazione proposta nell’ordinanza interlocutoria si finirebbe per far dipendere l’obbligo di pagamento del c.u. da complesse valutazioni impropriamente rimesse al funzionario di cancelleria addetto all’ufficio giudiziario, il quale dovrebbe valutare caso per caso se le singole iniziative giudiziarie siano o no funzionali alla «tutela giurisdizionale dei diritti che rientrino in quelli la cui tutela è assunta a scopo istituzionale dell’associazione dal proprio statuto», nonché se si tratti di «organizzazioni di volontariato […] costituite esclusivamente per fini di solidarietà» (cfr. art. 8, comma 1, legge n. 266 del 1991) oppure di enti di diverso tipo qualificabili come Onlus ma non come associazioni di volontariato (v. sub ff).
E ciò senza considerare che l’instaurazione di un giudizio, per quanto programmaticamente teso a ottenere tutela per interessi conformi alle finalità statutarie, è solo il momento di impulso di un procedimento complesso in cui sarà solo la pronuncia definitiva dell’autorità giudiziaria a sancire la fondatezza della domanda e, dunque, l’effettiva inerenza di quella iniziativa alle finalità statutarie dell’associazione che agisce in giudizio, la quale in tal caso si vedrebbe rifuso quanto anticipato a titolo di contributo unificato.
ff) Non convincente è l’ulteriore argomento, valorizzato nell’ordinanza di rimessione, secondo cui l’orientamento interpretativo avversato avrebbe l’effetto di rendere inutile l’inserimento dell’art. 27 bis nell’Allegato B del dPR n. 642 del 1972 (ex art. 17 del d. lgs. n. 460 del 1997), che finirebbe per essere meramente reiterativo dell’art. 8, comma 1, della legge n. 266 del 1991, entrambe le disposizioni prevedendo l’esonero dall’imposta di bollo degli atti sostanziali delle Onlus, ivi compresi quelli «connessi allo svolgimento delle attività».
E’ possibile obiettare che il citato art. 27 bis ha, in realtà, una portata innovativa, avendo esteso l’ambito dell’esenzione dall’imposta di bollo in una duplice direzione, oggettiva e soggettiva.
Ed infatti, da un lato, come acutamente rilevato dal Procuratore Generale, «nell’art. 27 bis, all. B, d.P.R. n. 642 del 1972, ai fini del diritto all’esenzione [dall’imposta di bollo], l’atto esente è individuato non sotto un profilo funzionale, di attinenza alle attività dell’associazione, ma in base al solo fatto che i documenti (indicati in una serie di atti aventi diversa natura) siano prodotti o richiesti dalla associazione stessa. In quest’ottica, è evidente, nelle intenzioni del legislatore, l’obiettivo di estendere l’ambito dell’esenzione, già prevista dalla legge sul volontariato (art. 8) limitatamente agli atti connessi allo svolgimento delle attività dell’associazione di volontariato (tipicamente atti propri, nei quali si concreta l’attuazione dei fini istituzionali dell’associazione, come previsti dallo statuto) ad altri atti, con valenza più propriamente documentale o certificativa, non solo quando posti in essere, ma anche solo quando richiesti dall’associazione, perché il permanere dell’imposizione su tali atti, anche se non costituenti diretta attuazione della attività istituzionale, ostacolerebbe in concreto quelle stesse funzioni già ritenute meritevoli di esenzione dal tributo […] cioé l’intenzione del legislatore è stata quella di ampliare l’area di esenzione relativamente
agli atti sostanziali, senza prendere in considerazione quelli processuali». E dall’altro lato, la predetta esenzione, già prevista dall’art. 8, comma 1, della legge n. 266 del 1991 per le sole «organizzazioni di volontariato […] costituite esclusivamente per fini di solidarietà», è stata estesa a favore della generalità delle Onlus, categoria quest’ultima più ampia e comprensiva delle associazioni di volontariato e di quelle ambientalistiche (cfr. artt. 2 e 5, lett. e, f, i, d.lgs. n. 117 del 2017, ove le «organizzazioni di volontariato» sono menzionate tra gli enti del Terzo settore; cfr. anche gli artt. 4 e 82, comma 3; 10, commi 1, n. 8, 4 e 8, d.lgs. n. 460 del 1997).
A quest’ultimo riguardo, il Codacons afferma, nella memoria, di avere diritto all’esenzione dal c.u. rientrando tra gli enti «finalizzati alla statutaria promozione e tutela dei diritti (art. 5, comma 1, lettere F e W del D. Lgs. 117 del 2017)», vale a dire per la «tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio» (lett. F cit.) e «dei diritti umani, civili, sociali e politici, nonché dei diritti dei consumatori e degli utenti delle attività di interesse generale [ …]» (lett. W cit.), ma tra le suddette finalità di tutela non risultano comprese (né menzionate nel brano dello statuto riportato nell’ordinanza interlocutoria) quelle di
«volontariato» (cfr. art. 8, comma 1, legge n. 266 del 1991), menzionate altrove nell’art. 5 d.lgs. n. 117 del 2017 (alla lett. i), pur rientrando il Codacons, iscritto nel registro unico nazionale del Terzo settore, tra le organizzazioni aventi finalità solidaristiche (cfr. artt. 4 d.lgs. n. 117 del 2017 cit.; 10, commi 1, lett. b, e 2 ss., d.lgs. n. 460 del 1997).
gg) Neppure convincente è l’argomento fondato sul rinvio all’art. 8, comma 1, legge n. 266 del 1991 che si afferma essere, da un lato, contenuto nell’art. 10 u. del 2002 e, dall’altro, giustificato dall’esigenza di favorire le attività delle associazioni di volontariato e delle Onlus, in quanto di interesse generale per lo Stato, nell’ottica solidaristica e in attuazione del principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, comma 4, Costituzione.
Ed infatti, premesso che l’art. 10 t.u. del 2002 non reca un rinvio al citato art. 8, comma 1 (se lo recasse, invero, un problema interpretativo neppure si porrebbe), la richiamata esigenza di favorire gli enti suddetti può essere realizzata con «una pluralità di soluzioni che possono essere offerte dal legislatore in una materia, quale quella della determinazione delle spese processuali poste a carico degli utenti della giustizia ed altresì di quella tributaria, nella quale vige il principio della sua discrezionalità e dell’insindacabilità delle opzioni legislative che non siano caratterizzate da una manifesta irragionevolezza» (in tal senso, Corte cost. n. 164 del 2010 ha ritenuto non irragionevole la scelta legislativa relativa alla determinazione del c.u. per i ricorsi dinanzi al giudice amministrativo in materia di affidamento degli appalti pubblici e avverso gli atti delle autorità amministrative indipendenti).
In realtà, lo scopo di alleviare il peso dell’imposizione sugli atti con i quali le Onlus esercitano le proprie attività può essere realizzato con l’esenzione dell’imposta di bollo di tutti gli atti sostanziali, anche non connessi ma, come rilevato ancora dal Procuratore Generale, «non è affatto certo che l’intenzione del legislatore fosse quella di esentare dall’imposta anche gli atti processuali, ciò anche in considerazione del fatto che il contributo unificato sugli atti giudiziari ha la finalità di finanziare il pubblico servizio della giustizia, che lo Stato fornisce indistintamente a tutti i cittadini, anche in ossequio alle esigenze costituzionali di assicurare parità di trattamento ai soggetti [… ] e di non operare discriminazioni fra di essi».
A dimostrazione della pluralità delle soluzioni di cui il legislatore può avvalersi per favorire gli enti che agiscono nel campo della solidarietà e a favore dei soggetti più deboli è, ad esempio, l’art. 82, comma 3, d.lgs. n. 117 del 2017, mod. dall’art. 26 d.lgs. 3 agosto 2018, n. 105, che prevede l’esenzione dall’imposta di registro per «gli atti costitutivi e quelli connessi allo svolgimento delle attività delle organizzazioni di volontariato».
7.- La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Codacons, in relazione agli artt. 9 e 10 t.u. del 2002, 12 e 27 bis dell’Allegato B del dPR n. 642 del 1972 e 8 della legge n. 266 del 1991, per violazione degli artt. 2, 3, 24, 53 e 97 Cost., è manifestamente infondata (in termini, Cass. n. 14332 del 2018).
Non può dirsi – come rilevato dal Procuratore Generale – violato il principio di uguaglianza per il diverso trattamento agevolato a cui sono sottoposti gli atti sostanziali volti al perseguimento dei fini statutari delle Onlus, stante l’eterogeneità delle situazioni messe a confronto. La
ratio dell’istituzione del c.u. va rinvenuta nell’esigenza di semplificazione dei tributi erariali gravanti sui procedimenti giurisdizionali, trattandosi di un prelievo coattivo volto al finanziamento delle spese degli atti giudiziari, inteso come onere connesso alla fruizione del servizio giudiziario. La specifica finalità da cui esso è connotato comporta la non omogeneità con altre tipologie di esenzione e rende non irragionevole il diverso trattamento fiscale a cui il legislatore ha sottoposto le attività, sostanziali e giurisdizionali, delle Onlus e delle associazioni di volontariato, in tal modo esercitando la discrezionalità che gli è propria nella scelta tra le plurime soluzioni possibili (cfr. Corte cast. n. 164 del 2010 cit.) per favorire i soggetti che compiono attività nell’interesse generale.
Quanto alla supposta violazione degli artt. 2 e 24 Cast., è possibile «imporre prestazioni fiscali in stretta e razionale correlazione con il processo» (cfr. Corte cast. n. 522 del 2002 cit.) e le prestazioni sono compatibili con il principio di tutela giurisdizionale dei diritti purché gli oneri siano razionalmente collegati alla pretesa dedotta, così da assicurare al processo uno svolgimento conforme alia sua funzione. In tal senso, l’onere di anticipo del c.u. da parte dei predetti enti, in misura parametrata al valore della pretesa azionata, non contrasta con i parametri costituzionali invocati, non precludendo lo svolgimento e la conclusione del processo, tanto più che il meccanismo delle spese di lite, regolate dalla soccombenza, consente di assorbire il quantum versato o che deve essere versato a titolo di contributo unificato (v. sub 6.1-cc).
Non vi è, dunque, quel «sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dall’art. 24 della Costituzione» (cfr. Corte cost. n. 237 del 2007) o una imposizione di oneri tali da compromettere irreparabilmente la tutela stessa (cfr. Corte cost. n. 213 del 2005) a cui è correlata la violazione dell’art. 24 Cost. e, di conseguenza, non può dirsi precluso lo svolgimento delle attività istituzionali della Onlus, quale esercizio dei diritti sanciti dall’art. 2 Cost.
Una indiretta conferma viene dall’art. 119, in relazione all’art. 76, t. u. del 2002 che consente l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato anche «ad enti o associazioni che non perseguono scopi di lucro e non esercitano attività economica», nel rispetto dei limiti reddituali e nei casi di non manifesta infondatezza della pretesa azionata in giudizio. La Corte costituzionale ha avuto occasione di confrontarsi con l’art. 119 citato, su sollecitazione di un giudice di merito che aveva dubitato della legittimità costituzionale di tale disposizione «nella parte in cui non consente l’accesso al gratuito patrocinio ad un ente di volontariato – che svolga un’attività di sicuro rilievo sociale – solo in quanto soggetto esercente un’attività economica». La Corte (sent. n. 35 del 2019), dichiarando l’infondatezza della questione, ha ribadito l’ampia «discrezionalità del legislatore nell’individuazione di un punto di equilibrio tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessità di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia» e ritenuto «non manifestamente irragionevole la scelta legislativa […] in base alla quale, in controversie civili, amministrative, contabili o tributarie, è esclusa l’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato di enti o associazioni, i quali, se pure non perseguono fini di lucro, esercitano una attività economica che – proprio perché tale, e a prescindere dalla destinazione degli eventuali utili e dalla consistenza di cespiti patrimoniali – consente accantonamenti in vista, fra l’altro, proprio di eventuali contenziosi giudiziali».
8.- Con la questione pregiudiziale proposta a sostegno dell’istanza di rinvio alla Corte di giustizia, il Codacons lamenta la violazione degli artt. 117, comma 1, Cost., 6 e 13 della Cedu, della Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998 (ratificata con legge 16 marzo 2001 n. 108), delle direttive n. 2003/4/CE (in tema di accesso del pubblico all’informazione ambientale) e 2003/35/CE (in tema di partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e partecipazione del pubblico e all’accesso alla giustizia), sostanzialmente deducendo l’impossibilità di esercitare il diritto di partecipare ai processi decisionali in materia ambientale, che includerebbe l’accesso poco oneroso e celere alla giustizia, garantito sia dalla Convenzione di Aarhus che dalle direttive comunitarie, che riconoscono alle associazioni ambientaliste un ruolo primario nella tutela del bene pubblico ambiente. E’, inoltre, invocato l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, al fine di lamentare la lesione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva. In sintesi, ci si duole della lesione del principio di effettività della tutela giurisdizionale, come diritto a garantire una protezione adeguata della situazione soggettiva lesa, il cui rispetto trova fondamento nei richiamati parametri normativi.
8.1.- La suddetta questione, in parte, è inammissibile anche per difetto di rilevanza e, in parte, è infondata.
E’ inammissibile perché non precisa quali sarebbero le specifiche disposizioni violate del diritto eurounitario (cfr. le citate direttive CE) e convenzionale, le quali, riguardando la materia dell’accesso del pubblico alle informazioni ambientali, non hanno rilevanza nella controversia in esame, ove si discute della debenza del c.u. in relazione ad un contenzioso, svoltosi dinanzi al giudice amministrativo, avente un oggetto imprecisato (nel controricorso si riferisce solo che era impugnato un concorso bandito dal Ministero della giustizia) e verosimilmente non inerente al diritto di accesso alle informazioni ambientali o ad altra materia di rilevanza eurounitaria, ciò rendendo la doglianza e l’istanza di rinvio pregiudiziale del tutto astratte e inconferenti.
Si osserva inoltre che se una indicazione normativa si voglia trarre dalla normativa europea in materia di accesso del pubblico (e, in tesi, di tutela giurisdizionale) in relazione alle informazioni ambientali, questa è nel senso che si tratta di agevolazioni riconosciute non per la qualità soggettiva della parte interessata o che agisce, ma in ragione della materia o dell’oggetto del contenzioso.
E’ significativo che «le informazioni cui fa riferimento la succitata normativa concernono esclusivamente lo stato dell’ambiente (area, sottosuolo, siti naturali etc.) ed i fattori che possono incidere sull’ambiente (sostanze, energie, rumore, radiazioni, emissioni), sulla salute e sulla sicurezza umana, con esclusione quindi di tutti i fatti ed i documenti che non abbiano rilievo ambientale» (Cons. di Stato, sez. IV, n. 2557 del 2014).
L’art. 6 d.lgs. 19 agosto 2005, n. 195 (attuativo della direttiva n. 2003/4/CE), peraltro, nemmeno esclude, in casi specifici, l’ammissibilità di una tariffa per l’accesso alle informazioni ambientali, da determinare «sulla base del costo del servizio».
8.2.- La riscossione di tributi giudiziari non è incompatibile con il diritto UE e con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, quando sia finalizzata al conseguimento di un fine legittimo, quale è il «buon funzionamento del sistema giurisdizionale, in quanto essa costituisce una fonte di finanziamento dell’attività giurisdizionale degli Stati membri e dissuade dall’introduzione di domande che siano manifestamente infondate o siano intese unicamente a ritardare il procedimento» (cfr. Corte giustizia, 6 ottobre 2015, C-61/14, Orizzonte Salute, p. 73, la quale ha escluso l’incompatibilità con il diritto UE del versamento del c.u. all’atto della proposizione dei ricorsi in materia di appalti pubblici dinanzi ai giudici amministrativi).
La Corte UE, nella citata sentenza, ha osservato che il contributo in questione «è imposto indistintamente, quanto alla sua forma e al suo importo, nei confronti di tutti gli amministrati» (p. 62); <<non crea una discriminazione tra gli operatori che esercitano nel medesimo settore di attività» (p. 63); «sebbene la parte ricorrente abbia l’obbligo di anticipare il contributo unificato all’atto di proposizione del proprio ricorso giurisdizionale […], la parte soccombente è tenuta, in linea di principio, a rimborsare i tributi giudiziari anticipati dalla parte che risulta vincitrice» (p. 65); «nessuno degli elementi fatti valere [ …] è tale da supportare l’argomento secondo cui il sistema del contributo unificato italiano si applicherebbe in modo diverso ai ricorsi fondati su diritti che spettano agli amministrati in forza del diritto dell’Unione [ …] rispetto a quelli che si fondano sulla violazione del diritto interno aventi il medesimo oggetto» (p. 68); in conclusione, il contributo unificato «non lede né l’effetto utile della direttiva […] né i principi di equivalenza e di effettività» (p. 69). Questa Corte, ritenendo infondata la domanda di una associazione Onlus che chiedeva di essere esonerata dal pagamento del c.u., ha ribadito che il contributo suddetto «non contrasta sotto il profilo del diritto europeo con il principio di equivalenza» (Cass. n. 14332 del 2018).
9.- In conclusione, il ricorso del Ministero della Giustizia e del TAR Lazio è fondato e accolto, alla luce del principio secondo cui le organizzazioni di volontariato e le Onlus non sono esenti dal pagamento del contributo unificato, ai sensi dell’art. 10 t.u. n. 115 del 2002, non essendo ammessa una interpretazione in via estensiva o analogica delle norme (come gli artt. 8, comma 1, legge n. 266 del 1991, 27 bis dell’Allegato B del dPR n. 642 del 1972 e lo stesso art. 10 citato) che prevedono agevolazioni o esenzioni tributarie, le quali sono soggette al criterio di stretta interpretazione.
Sono inammissibili i primi tre motivi del ricorso incidentale, i quali si appuntano sulla statuizione concernente l’esonero dal c.u., che il Codacons non ha interesse a censurare, non essendo sul punto soccombente in appello (cfr. Cass. n. 4472 del 2016).
Si rimette alla Sezione l’esame del quarto motivo del medesimo ricorso, che è invece ammissibile, appuntandosi sulla statuizione, sulla quale il Codacons era soccombente dinanzi alla CTR, concernente la tempestività dell’intimazione di pagamento, in relazione alla natura del termine fissato nell’art. 248 t.u. del 2002.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso del Ministero della giustizia e del TAR Lazio, dichiara inammissibili i primi tre motivi del ricorso incidentale del Codacons e rimette alla Sezione Tributaria l’esame del quarto motivo del medesimo ricorso incidentale.