CORTE di CASSAZIONE, Sezioni Unite, sentenza n. 12190 depositata il 14 giugno 2016
Tributi – IVA – Consorzio – Scopo mutualistico – Assegnazione dei lavori o servizi ai consorziati – Ribaltamento dei costi e ricavi – Fatturazione integrale o parziale ai singoli consorziati
Svolgimento del processo
1. Con ricorso depositato il 21.6.2005, la società O.C. s.r.l. (già O.C. s.n.c., impresa consorziata al Consorzio M.) impugnò l’avviso di accertamento n. R24020200126, per € 126.078,97, notificato il 31.5.2005, emesso dall’Agenzia delle Entrate, per recupero dell’Iva relativo all’anno di imposta 1999, oltre sanzioni. L’avviso aveva a suo fondamento le modalità di contabilizzazione operate dal consorzio M. e dalla società consorziata per i lavori o servizi alla stessa affidati. Nel constatare che il consorzio M., nelle proprie fatture verso il terzo committente, aveva applicato un ricarico sugli importi fatturatigli dall’impresa consorziata, per i lavori da quest’ ultima eseguiti, l’Ufficio contestava l’indebita compensazione tra i ricavi che il consorzio avrebbe dovuto trasferire alla consorziata ed il contributo che quest’ultima doveva al consorzio per il suo funzionamento; secondo l’ufficio tale modalità di fatturazione comportava la mancata evidenziazione di parte dei ricavi percepiti dalla società consorziata.
2. Con sentenza n. 1/20/06 del 12.1.2006 la Commissione Tributaria Provinciale di Torino accolse il ricorso proposto dalla O.C. s.r.l..
3. Il successivo appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, con atto del 29.3.2007, venne respinto dalla CTR del Piemonte con sentenza n. 4/29/08 del 24.1-3.3.2008. La CTR ritenne che la differenza tra quanto i consorziati fatturavano al consorzio e quanto quest’ultimo fatturava al terzo rappresentava il risultato dell’attività di impresa svolta dal consorzio in favore delle singole imprese; i giudici di appello reputarono regolare la condotta contabile tenuta nei rapporti interni, sul rilievo che le singole imprese associate avevano fatturato al Consorzio il valore della quota delle prestazioni di servizi dalle stesse eseguite, al netto delle spese generali, così attuando il fine mutualistico attraverso l’offerta di opportunità di lavoro in favore delle 180 imprese consorziate. Secondo la CTR i costi di gestione sostenuti dal Consorzio non dovevano essere fatturati ai singoli consorziati, in considerazione sia dell’art. 6 dello Statuto, che attribuiva agli organi del Consorzio la mera facoltà di deliberare la ripartizione tali costi (spese generali) tra le imprese associate (le quali quindi, in difetto di delibera assembleare che disponesse la ripartizione delle spese generali, nulla avrebbero potuto e dovuto fatturare), sia della disciplina dei rapporti tra mandatario senza rappresentanza e mandante, prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, comma 2, lett. b), che escludeva dalla base imponibile, per la liquidazione IVA, la provvigione dovuta dal mandante al mandatario.
4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione fondato su sette motivi l’Agenzia delle Entrate con atto del 10.2.2009. Resiste con controricorso la O.C. s.r.l..
5. Con ordinanza 951/15 del 21.1.2015 la sezione tributaria civile della Corte di Cassazione, nell’evidenziare che il rapporto tra il consorzio M. e le singole imprese consorziate ha dato origine ad un cospicuo contenzioso anche davanti alla Corte di Cassazione, e che sul punto del “ribaltamento” di ricavi e costi tra consorzio e imprese esiste un contrasto tra decisioni della stessa sezione Quinta, ha rimesso la causa al Primo Presidente che ne ha disposto l’assegnazione alle Sezioni Unite. L’Agenzia delle Entrate ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, recante l’intitolazione “violazione dell’art. 112 c.p.c. vizio di ultrapetizione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, la ricorrente assume che i Giudici di merito avrebbero pronunciato “ultrapetita”, ricostruendo la fattispecie concreta in modo difforme dai limiti dell’oggetto della controversia, come definiti dall’atto introduttivo e dalla memoria difensiva in grado di appello della società: la CTR avrebbe ritenuto giustificato il maggior prezzo percepito dal consorzio sulle commesse eseguite dalla consorziate sulla base di “presunti servizi a valore aggiunto erogati dal consorzio”, giustificazione estranea a quanto dedotto dalla società contribuente che, in proposito, aveva fatto riferimento soltanto a costi di gestione del consorzio.
2. Con il secondo motivo e terzo motivo, recanti rispettivamente la rubrica “omessa motivazione su un fatto decisivo e controverso del giudizio, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.”, e “Insufficiente motivazione su un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.”, l’ Agenzia assume la carenza di motivazione della decisione laddove la CTR, in assenza di alcuna documentazione ed allegazione difensiva, ha ritenuto giustificato il ricarico medio operato dal consorzio rispetto al prezzo delle singole prestazioni effettuate dalle consorziate nella misura del 61,80% come corrispettivo per una serie di servizi a valore aggiunto.
3. Con il quarto motivo, recante l’intitolazione Contraddittoria motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’Agenzia deduce la contraddittorietà della motivazione in relazione alle ragioni poste a base del ricarico di cui è causa, ragioni identificate, da un lato, nei “servizi aggiuntivi svolti dal Consorzio”; dall’altro, in “costi gestionali” sostenuti per l’attività di coordinamento e supporto resa a favore delle imprese consorziate (mandanti).
4. Con il quinto e settimo motivo – recanti l’intitolazione:” violazione e falsa applicazione degli artt. 1241, 1706, 1709, e 1719 c.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 3, comma 3, art. 6, comma 3, art. 13, comma 2, art. 15, nonché del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3″ – la parte ricorrente sostiene, da un lato, che la CTR, nell’affermare che “ogni singolo consorziato deve fatturare al consorzio esclusivamente il valore dei lavori eseguiti, i cui corrispettivi vengono predeterminati all’atto dell’assegnazione della commessa”, avrebbe violato tali norme “non tenendo conto del fatto che una parte del ricavo può non essere materialmente versata dal consorzio/mandatario in ragione della compensazione tra i ricavi che il mandatario senza rappresentanza deve ribaltare al mandante e il rimborso delle spese da questo sostenute”; dall’altro, la erroneità della decisione laddove, incompatibilmente con il fine mutualistico del Consorzio, aveva qualificato quale provvigione la differenza tra i corrispettivi percepiti dalla M. e quelli percepiti dalle imprese consorziate.
5. Con il sesto motivo, recante la intitolazione: “Insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso del giudizio In relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.”, l’ Agenzia delle Entrate censura la sentenza di appello laddove la CTR, nell’affermare che: “oltretutto detti costi, se non vengono ripartiti dal Consorzio, non sono conoscibili dai singoli consorziati che si trovano pertanto nell’impossibilità di emettere autofattura”, non ha ritenuto possibile una preventiva determinazione forfettaria dei costi sul prezzo di ogni singola commessa.
6. Infondato è il primo motivo di ricorso. La CTR, a giustificazione dei differenti importi tra le fatturazioni emesse dal Consorzio nei confronti dei committenti e quelle emesse dalle consorziate nei confronti del consorzio, ha affermato che “il valore delle prestazioni effettuate dalle consorziate può benissimo essere inferiore a quello pattuito con il committente dal Consorzio in quanto quest’ultimo svolge una serie di servizi a valore aggiunto come le pratiche commerciali, i controlli di sicurezza”, aggiungendo: “i costi di gestione non vengono ribaltati alle imprese consorziate ma seguono la sorte dei costi di gestione come in qualsiasi impresa commerciale”…e concludendo: “la pretesa dell’Ufficio di ribaltare i costi specifici delle commesse e dei costi di gestione sui consorziati non trova giustificazione normativa”.
7. Tenuto conto che la questione controversa oggetto del presente giudizio è costituita dalla disciplina fiscale applicabile alle società consortili, con particolare riferimento al “ribaltamento” di costi e ricavi derivanti dalla esecuzione delle commesse sulle consorziate, la elencazione delle attività correlate ai costi medesimi, attività indicate dalla CTR: “come le pratiche commerciali, i controlli di sicurezza, coordinamento e direzione lavori”, deve intendersi formulata ai soli fini esemplificativi; va pertanto esclusa la sussistenza dell’assunta ultrapetizione.
8. L’ordinanza di rimessione, in punto di fatto, afferma che:
– il Consorzio M., costituito in forma di società di capitali, ha per oggetto sociale oltre agli scopi propriamente consortili (organizzazione e coordinamento della attività delle consociate, attività di pubblicità e procacciamento di affari per le singole società consorziate) anche lo svolgimento di attività esterna – attività di manutenzione in “global service” di complessi immobiliari civili ed industriali -, sia in proprio, eseguendo direttamente i lavori di appalto, che come mandatario senza rappresentanza, stipulando in nome proprio i contratti di appalto con i terzi committenti ed assegnando la esecuzione dei lavori alle consorziate;
– oltre alla costituzione del Fondo consortile, le singole consociate sono tenute ad effettuare eventuali successivi versamenti in denaro, deliberati dalla assemblea, che si rendano necessari per il funzionamento del Consorzio;
– nella specie non sono stati deliberati dall’assemblea e riversati sulle imprese consorziate i costi relativi alla gestione ed organizzazione del Consorzio, in quanto l’ente consortile ha fatto fronte a tali spese con i propri utili derivanti anche dai “ricarichi” applicati sui corrispettivi versati dal Consorzio alle singole imprese consorziate, per i lavori da queste eseguiti, e trasferiti sul prezzo d’appalto convenuto con il terzo committente;
– il Consorzio, infatti, emetteva nei confronti del committente una fattura con indicato un importo maggiore della somma degli importi indicati nelle fatture emesse nei confronti del Consorzio dalle singole consociate che avevano partecipato alla esecuzione dell’appalto, trasferendo sul prezzo pagato dal terzo committente i costi di gestione e funzionamento che, altrimenti, avrebbero dovuto essere deliberati a carico di tutte le società consorziate.
9. Rileva quindi l’ordinanza di rimessione che, secondo un primo indirizzo giurisprudenziale, la “funzione mutualistica” ex art. 2602 c.c., comma 1 e art. 2614 c.c., non si esaurirebbe nell’oggetto o scopo della società consortile (art. 2615 ter c.c.), ma informerebbe la stessa causa del negozio consortile, con la conseguenza che una eventuale elusione della stessa attraverso l’applicazione della disciplina normativa del tipo societario prescelto, “può assumere rilievo in particolare, ai sensi del successivo art. 1344 c.c. se tesa a violare norme tributarie, attesa l’imperatività propria di queste” (cfr. Cass. n. 13293/2011), venendo a configurare in ambito tributario la fattispecie dell’abuso di diritto”. Secondo l’indirizzo in esame, il Consorzio, proprio in considerazione della causa negoziale predetta, “non può e non deve avere nessun vantaggio economico….per sé” “perché tali vantaggi (come gli eventuali svantaggi) appartengono (in aderenza alla convenuta finalità negoziale) unicamente, sempre e solo, alle imprese consorziate” (id. n. 14782/2011). Ne consegue che il Consorzio – anche se costituito in forma societaria – non potrebbe “trattenere” utili, né costi derivanti dalla attività svolta nell’interesse delle consorziate, ma dovrebbe sempre e comunque ritrasferire alle consociate l’intero importo del corrispettivo ricavato dai contratti stipulati con i terzi committenti e “riaddebitare” (o con altra terminologia “ribaltare”) i costi generali – concernenti le spese di funzionamento della organizzazione – e specifici – relativi alle spese sostenute per la stipula ed esecuzione dei singoli contratti – ripartendoli tra le consociate in proporzione alla quota di partecipazione detenuta da ciascuna impresa. Da tali premesse è stata tratta la conseguenza che la difformità tra il maggiore importo fatturato dal Consorzio e gli importi fatturati dalle singole conosciate occulterebbe “una indebita….compensazione tra i ricavi del Consorzio (che devono invece essere interamente ribaltati alla consorziata) ed il rimborso delle spese da esso sostenute” (cfr. Cass. n. 20778/2013 cit.), non potendo neppure giustificarsi tale differenza di importi in base alla provvigione richiesta dal Consorzio-mandatario (senza rappresentanza) alle consociate imprese-mandanti in quanto, se da un lato non può escludersi che il mandato, “In assenza di finalità lucrativa”, ben potrebbe essere svolto a titolo gratuito dal Consorzio, dall’altro, la richiesta di provvigione deve necessariamente trovare corrispondente riscontro probatorio nelle scritture contabili sia del Consorzio che delle consorziate (cfr. Cass. n. 13293/2011) e, dunque, deve essere evidenziato nella determinazione della base imponibile indicata nelle fatture emesse dalle consorziate.
10. Con secondo indirizzo, incentrato sulla autonoma soggettività giuridica e fiscale del Consorzio rispetto alle singole imprese associate, la sezione Quinta di questa Corte (Cass. n. 24014/2013 cit.), prendendo le mosse dallo scopo tipico del contratto di consorzio, ha affermato che “…la natura di ente non a fini di lucro rivestita del Consorzio M. – e desumibile dallo statuto – non esclude che il medesimo potesse svolgere – all’epoca del fatti – un’attività intrinsecamente commerciale Se ne deve inferire che, al pari di tutti i soggetti che svolgono attività commerciale, il suddetto Consorzio traeva da essa del ricavi, parte dei quali – com’è del tutto ovvio – erano diretti a coprire i costi di gestione. Per il che – contrariamente all’assunto dell’Amministrazione – la natura di ente non avente finalità di lucro, rivestita dal Consorzio M., non implica affatto che siffatti costi di gestione dovessero obbligatoriamente cedere a carico delle imprese consorziate. Di contro, è proprio lo svolgimento di fatto di un’attività commerciale ad evidenziare che l’ente si comportava, nello svolgimento dei rapporti con i committenti, sebbene contratti nell’interesse delle consorziate, né più né meno, come un qualsiasi altro soggetto economico…” Tale orientamento ripete il proprio fondamento dalla impostazione teorica secondo cui lo scopo di mutualità non contraddice allo scopo di lucro, inteso in senso oggettivo come esigenza di economicità della gestione dell’attività svolta dalla società consortile, con la conseguenza che la società consortile ben può conseguire autonomi ricavi dall’attività svolta nei confronti dei terzi, salvo il perseguimento dello scopo mutualistico – assunto nell’oggetto sociale – nei rapporti interni con le imprese consociate. Da ciò la conclusione che il Consorzio, agendo in conformità allo scopo indicato, evita di addossare alle società consociate eventuali maggiori oneri connessi ai costi di gestione (spese generali) della propria attività ed alle spese di funzionamento della organizzazione consortile, ricavando dallo svolgimento della attività esterna i proventi necessari a coprire integralmente tali costi, nella specie trasferendoli, attraverso la applicazione di una percentuale di ricarico, sul “maggiore” corrispettivo che riceve dai terzi committenti per i contratti di appalto stipulati in nome proprio e per conto delle consorziate.
11. Osserva il collegio remittente che l’adesione al primo indirizzo – che vede l’organismo consortile come struttura servente dell’attività esterna delle singole imprese consorziate- comporterebbe: a) una sostanziale privazione di autonoma soggettività giuridica alla società consortile di capitali; b) una equivalenza – meramente assiomatica – tra maggiore corrispettivo convenuto dal Consorzio con il terzo committente e minore valore della prestazione eseguita e fatturata dalla consorziata; c) l’ assenza di un vincolo giuridico idoneo a fare insorgere nelle singole consociate l’obbligo di integrare i contributi versati in relazione a sopravvenute esigenze finanziarie dell’ente consortile nel perseguimento degli scopi comuni. Il secondo orientamento, pur conforme al riconoscimento della società consortile come ente commerciale, soggetto d’imposta, dotato di autonoma personalità giuridica, non fornirebbe tuttavia esaustiva risposta al principio della rilevanza fiscale dei rapporti mandante-mandatario – indipendentemente dalla ritenuta gratuità del mandato senza rappresentanza svolto dal Consorzio. La configurazione delle relazioni interne tra società consortile e società consociate, come rapporto di mandato senza rappresentanza (art. 2609 c.c., comma 2), non giustificherebbe la mancanza di corrispondenza tra la prestazione erogata dal mandatario al committente e quella erogata dal mandante al mandatario, come previsto, in materia IVA, dall’art. 3, comma terzo del D.P.R. n. 633 del 1972, conformemente alla norma comunitaria di cui all’art. 6 paragr. 4) della VI direttiva del Consiglio n. 77/388 del 17.5.1977 e succ. mod..
12. Delineato il quadro giurisprudenziale di riferimento, la disciplina civilistica dei fenomeno consortile in esame va rinvenuta nell’art. 2615 ter c.c., articolo introdotto dalla L. 10/5/1976, n. 377, secondo cui le società previste nei capi III e seguenti del titolo V possono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell’art. 2602.
13. Il mero richiamo a tali ultimi scopi e la mancata indicazione della disciplina applicabile a tali società ha determinato una pluralità di orientamenti dottrinari, alcuni inclini a conferire prevalenza alla causa del contratto di consorzio sulla forma societaria (le norme sui consorzi sarebbero direttamente applicabili alle società consortili), altri dando rilevanza alla disciplina tipica della forma societaria adottata, altri ancora favorevoli ad una disciplina mista (quella della società atterrebbe al solo funzionamento dell’organizzazione associativa), altri infine affermanti l’intangibilità delle norme societarie dettate a tutela degli interessi di terzi o di interessi necessari.
14. Questa Corte, in materia di responsabilità civile dei soci verso terzi per obbligazioni assunte dalla società consortile, ha da tempo affermato l’autonomia della società consortile rispetto alte società consorziate e la sua specificità anche rispetto ai consorzi non in forma societaria, precisando che la causa consortile può comportare la deroga delle norme che disciplinano il tipo adottato, qualora la loro applicazione sia incompatibile con profili essenziali del fenomeno consortile, fermo restando che siffatta deroga non può giustificare lo stravolgimento dei principi fondamentali che regolano il tipo di società di capitali scelto, al punto da renderlo non più riconoscibile rispetto ai corrispondente modello legale (Cass. Sez. 1, sent. 27/11/2003, n. 18113). Con riferimento all’assoggettabilità al fallimento di una società cooperativa per azioni è stato di recente ribadito che lo scopo mutualistico non esclude la natura commerciale dell’impresa, e che anche tale società ove svolga attività commerciale può, in caso di insolvenza, può essere assoggettata a fallimento in applicazione dell’art. 2545 terdecies cod. civ.(Cass. Sez. l, Sent. 24/03/2014 n. 6835). Ciò peraltro conformemente ai precedenti di questa Corte (Sez. 1, Sent. 14/7/2010 n. 16558) secondo cui “il consorzio esterno è ora un autonomo centro di imputazione che può assumere, ex art. 2615 ter c.c. forma di società di capitali …. con personalità giuridica, restando soggetto a fallimento ed alla disciplina antitrust in tema di intese“; nonché alla sentenza della Sez. 1, 8/9/1999 n. 9513, secondo cui “lo scopo mutualistico proprio delle cooperative può avere gradazioni diverse, che vanno dalla cosiddetta mutualità pura, caratterizzata dall’assenza dì qualsiasi scopo di lucro, alla cosiddetta mutualità spuria che, con l’attenuazione del fine mutualistico, consente una maggiore dinamicità operativa anche nei confronti di terzi non soci, conciliando così il fine mutualistico con un’attività commerciale e con la conseguente possibilità per la cooperativa di cedere beni o servizi a terzi a fini di lucro”.
15. Alla luce di quanto sopra va pertanto riaffermato che l’esercizio di un’impresa commerciale ed il relativo intento di lucro non sono inconciliabili con lo scopo mutualistico proprio della cooperativa, essendosi ormai “superata l’immedesimazione tra società e scopo di lucro, da un lato, e cooperativa ed interesse mutualistico dall’altro. Dopo aver ammesso che vi sono società senza scopo di lucro e consorzi in forma societaria (art. 2615 ter come modificato dalla L. 10 maggio 1976, n. 377), occorre rilevare come la società cooperativa può ben avere anche uno scopo di lucro” (Cass. n. 6835/2014).
16. E che tale compatibilità vada confermata anche ai fini fiscali trova conforto indiretto nel dettato normativo di cui all’art. 4 della L. 240/1981, laddove si subordina la possibilità per i consorzi e le società consortili di fruire di una determinata agevolazione fiscale alla previsione statutaria di un divieto di distribuzione di utili alle consorziate; divieto altresì disposto dall’art. 18 della L. 5/10/1991, n. 317, e che non avrebbe ragion d’essere qualora si escluda la possibilità per le società consortili di conseguire utili.
17. Tale coincidenza, unitamente alla distinta soggettività fiscale ed all’autonoma responsabilità delle obbligazioni tributarie connesse alle operazioni poste in essere da ciascuna consorziata, nonché dalla società consortile, comporta la necessaria distinzione tra le operazioni poste in essere dalla società consortile in esecuzione del patto mutualistico, da quelle costituenti esercizio di un’autonoma attività commerciale della società consortile.
18. I contrapposti suesposti indirizzi giurisprudenziali, che essenzialmente non colgono il fenomeno nella sua complessità, vanno disattesi, in particolare, nella parte in cui, rispettivamente, negano rilevanza alcuna allo scopo lucrativo o, per converso, alla causa mutualistica, la cui presenza è a fondamento della distinzione tra le società di cui all’art. 2615 ter c.c. e quelle del capo III e seguenti del titolo V -libro V.
19. Alla riconosciuta possibile coesistenza della causa mutualistica con lo scopo lucrativo peraltro non consegue tuttavia “ex se” il riconoscimento della effettiva sussistenza di entrambi, in pari misura, in una società consortile; bensì postula, in primo luogo, la necessità di un accertamento, alla luce dei patti consortili e dell’attività in concreto esercitata, teso a valutare se il ricorso all’organizzazione consortile sia finalizzato unicamente a conseguire un indebito risparmio fiscale (v. Cass. 23/12/2008, nn. 30055, 30056, 30057), intento ben presumibile laddove lo scopo mutualistico risulti di carattere del tutto residuale.
20. Le diverse modalità attraverso le quali viene svolta l’attività della società consortile, nonché la correlazione delle stesse con gli scopi di volta in volta perseguiti, impongono la necessità di un ulteriore accertamento circa i rapporti intercorsi tra la società consortile e la consorziata nella fase di assegnazione dei lavori o dei servizi ai singoli consorziati, rapporti che, in assenza di specifica disposizione normativa, possono anche essere in concreto ricondotti ad istituti diversi dal mandato con o senza rappresentanza.
21. L’accertamento in ordine alla natura delle operazioni o servizi rispettivamente espletati dalla società consortile o dalle consorziate, ed al rapporto sottostante all’assegnazione dei servizi alle consorziate, costituiscono poi presupposti imprescindibili per stabilire se sia o meno necessario il “ribaltamento” Integrale o parziale di costi e ricavi.
22. Ed invero nell’ipotesi in cui il consorzio acquisisca una commessa e proceda ad un autonomo adempimento della stessa, indipendentemente dalla partecipazione delle consorziate, va esclusa la legittimità di un ribaltamento dei costi tra tutti i consorziati; si dovrà di contro procedere al “ribaltamento” di costi e ricavi nel caso in cui il consorzio, pur avvalendosi di proprie strutture, svolga servizi complementari, comunque connessi al criterio mutualistico di utilizzo del servizio consortile.
23. Con riferimento all’eventuale differenza tra quanto fatturato dal consorzio al terzo committente e quanto fatturato dal consorziato al consorzio, possono enuclearsi le seguenti evenienze: a ) differenza costituita dal costo delle spese di gestione generali ripartito tra i singoli consorziati e addebitato al consorziato in occasione della commissione dei lavori; b) differenza costituita dal costo di specifici servizi forniti dal consorzio al consorziato in relazione ai lavori che questo è deputato a svolgere; c) differenza costituita dalle provvigioni dovute dal consorziato (mandante) al consorzio (mandatario senza rappresentanza), escluse dall’imponibile IVA (art. 13 D.P.R. 633/72; d) differenza costituita dal costo e dagli utili per ulteriori servizi forniti solo dal consorzio, quale soggetto imprenditoriale, in favore del terzo committente, in relazione ai lavori posti in essere dal consorziato a seguito della commessa in suo favore.
24. E’ evidente che l’individuazione dell’evenienza nel concreto realizzatasi costituisce un problema di prova e di onere della prova. Nelle prime due ipotesi la differenza del “quantum” fatturato, nel caso di compensazione tra consorziato e società consortile, in assenza di dettaglio di costi e ricavi, si risolve in un occultamento dei ricavi del consorziato. Costituirà onere del consorziato fornire la prova che tale differenza non sia costituita da ricavi, nel rispetto dei principi di certezza, effettività, inerenza e competenza. Egualmente sarà onere del consorziato, nelle ulteriori ipotesi, provare che la differenza suddetta sia costituita da provvigioni o da servizi resi dal consorzio al terzo.
25. Analogamente, in correlazione tra attività esercitata dalla società consortile o dalla consorziata in relazione ai diversi scopi (consortile-lucrativo), andrà riconosciuto il diritto alla detrazione dei costi ai fini iva; e ciò conformemente alla direttiva comunitaria (art. 17, par.2 della VI direttiva).
26. Tale ricostruzione dei rapporti intercorrenti tra la società consortile e le consorziate conferisce opportuno rilievo, anche ai fini fiscali, all’organizzazione societaria adottata dagli imprenditori, risolvendo altresì i dubbi espressi nell’ordinanza di rimessione circa la rilevanza fiscale dei rapporti mandante-mandatario, la possibile mancanza di corrispondenza tra gli importi fatturati ai terzi e quelli fatturati alla società consortile, nonché le modalità ed i limiti entro i quali ammettere il ribaltamento totale dei costi.
27. Vanno conseguente affermati i seguenti principi di diritto: La causa consortile non è ostativa allo svolgimento, da parte della società consortile, di una distinta attività commerciale con scopo di lucro. Costituisce questione di merito l’accertamento in ordine ai rapporti intercorsi tra la società consortile e la consorziata nell’assegnazione dei lavori o servizi ai singoli consorziati e nella esecuzione delle commesse. Nel caso di differenza tra quanto fatturato dalla società consortile al terzo committente e quanto alla prima fatturato dai consorziato, nel rispetto dei principi certezza, effettività, inerenza e competenza, costituisce onere del consorziato fornire la prova che tale differenza non sia costituita da ricavi, o che la stessa corrisponda a provvigioni o servizi resi dal consorzio al terzo.
28. Nella caso in esame, non è controversa tra le parti la circostanza che il Consorzio M. abbia operato sulle commesse in virtù di un mandato senza rappresentanza (come affermato dalla CTR (pag. 2 della sentenza), dalla ricorrente (pag. 5 del ricorso) nonché dalla controricorrente (pag. 3 del controricorso).
29. Vertendosi in materia di iva, ne consegue, ai sensi dell’art. 3 comma terzo e 13 comma 2 lett. b) del dpr 633/72, l’inammissibilità di alcuna differenza tra importo fatturato dal mandatario al terzo e dal mandante al mandatario, e quindi, nella specie, dalla singola impresa ai consorzio e quello fatturato dal consorzio al terzo, salva la rilevanza fiscale della provvigione laddove pattuita e formalizzata.
30. Ai principi sovraesposti non è conforme la decisione impugnata laddove, senza esplicitare alcuna argomentazione in ordine alla natura delle commesse, con riferimento allo scopo consortile, né alle prove eventualmente fornite dalla O.C. s.r.l., anche in ordine alla pattuizione ed alla corresponsione di una provvigione, ha ritenuto priva di giustificazione normativa la pretesa dell’Ufficio di ribaltare i costi specifici delle commesse e dei costi di gestione.
31. Quanto sopra ha efficacia assorbente sulle censure relative alla motivazione.
32. Va conseguentemente cassata la sentenza impugnata con rinvio alla CTR del Piemonte, che, in diversa composizione, alla luce dei principi sovraesposti e del materiale probatorio precedentemente acquisito, valuterà l’esatto ammontare degli importi oggetto di contestazione ai fini IVA, nonché determinerà le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il quinto ed il settimo nei limiti di cui in motivazione, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla CTR del Piemonte.