Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza n. 5542 depositata il 22 febbraio 2023
contratto di lavoro subordinato a tempo determinato – fondazioni lirico-sinfoniche – normativa applicabile – trasformazione dell’ente pubblico in fondazione di diritto privato
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello di C.D. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato il ricorso, proposto nei confronti della Fondazione Teatro dell’Opera di Roma, volto ad ottenere: l’accertamento dell’inefficacia dei termini apposti ai contratti di lavoro subordinato intercorsi fra le parti nell’arco temporale 9 maggio 2006/25 marzo 2011; la dichiarazione della sussistenza di un unico rapporto a tempo indeterminato instauratosi con decorrenza dal 9 maggio 2006 o dalla diversa data ritenuta di giustizia; la condanna della resistente alla regolarizzazione del rapporto, al pagamento delle differenze retributive, da quantificare previa ricostruzione della carriera, al risarcimento del danno nella misura consentita dall’art. 32 della legge n. 183/2010.
2. L’originario ricorrente, a sostegno della domanda, aveva dedotto di essere stato ripetutamente assunto, con mansioni di macchinista ed inquadramento nel V livello del C.C.N.L. di settore, in relazione alla produzione di spettacoli, specificati nei contratti, che coincidevano, nella sostanza, con il «cartellone di attività» della stagione teatrale. Aveva aggiunto che la Fondazione non aveva precisato le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che giustificavano il ricorso al rapporto a tempo determinato, nella fattispecie utilizzato pur a fronte di uno stabile inserimento nell’organizzazione produttiva del Teatro, reso evidente dal rilievo che le prestazioni avevano finito per interessare l’intero arco annuale.
3. La Corte territoriale ha fondato la pronuncia di rigetto dell’appello su una duplice ratio decidendi, perché, da un lato, ha escluso la genericità delle causali indicate nei contratti e, quindi, l’eccepita nullità delle clausole durata; dall’altro ha ritenuto, all’esito della ricostruzione del complesso quadro normativo, che non potesse essere accolta la domanda di conversione in contratto a tempo indeterminato, impedita, per i rapporti sorti a far tempo dal 1° gennaio 2006, dal divieto di nuove assunzioni imposto dall’art. 1, comma 595, della legge 266/2005, dall’art. 1, comma 392 della legge n. 244/2007, dall’art. 3, comma 5, del d.l. n. 64/2010, nonché da norme successive, non applicabili ratione temporis alla fattispecie.
4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso C.D. sulla base di due motivi. La Fondazione ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato, affidato ad un’unica
5. La Quarta Sezione di questa Corte, con ordinanza interlocutoria del 10 giugno 2022 n. 18865, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite al fine di risolvere il contrasto di giurisprudenza sulla questione della convertibilità in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine con clausola di durata affetta da nullità nelle ipotesi in cui la legislazione speciale, pur a fronte della natura privatistica del rapporto di lavoro, imponga un generalizzato divieto di assunzione a tempo indeterminato o subordini l’instaurazione del rapporto al previo superamento di procedure concorsuali o selettive.
Il Primo Presidente ha disposto l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.
6. Le parti ed il Pubblico Ministero hanno depositato memoria nel rispetto del termine di cui all’art. 378 cod. proc. civ..
La Fondazione ha altresì depositato copia del Protocollo d’intesa stipulato con l’Avvocatura Generale dello Stato il 26 giugno 2015 nonché copia della delibera del Consiglio d’indirizzo del 23 giugno 2022, concernenti l’affidamento del patrocinio ad avvocati del libero foro nelle cause aventi ad oggetto controversie in materia di lavoro, previdenza ed assistenza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso principale denuncia con il primo motivo, formulato ai sensi del n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 1 e 2, del lgs. n. 368/2001 e censura il capo della sentenza impugnata che ha escluso l’eccepita nullità delle clausole di durata.
Sostiene il ricorrente che la ragione di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo richiesta per la legittimità dell’apposizione del termine al rapporto di lavoro non può coincidere con i «normali elementi identificativi e costitutivi» del contratto e, pertanto, l’onere di specificità non può essere assolto mediante la sola indicazione del termine, della sede di lavoro e delle mansioni. Precisa che detto onere non è soddisfatto neppure dall’elencazione degli spettacoli per i quali la prestazione è richiesta, che vale solo a circoscrivere l’oggetto del contratto e non è sufficiente a giustificare il ricorso all’assunzione a tempo determinato.
Aggiunge che nella fattispecie la Fondazione si era riservata la facoltà di utilizzare il prestatore anche nella realizzazione di «ulteriori o diverse manifestazioni al momento non previste dalla programmazione ufficiale, in aggiunta o in sostituzione di quelle specificate» sicché, nella sostanza, l’assunzione a termine era stata disposta, in assenza di ragioni temporanee, per far fronte all’esigenza di realizzazione di tutti gli spettacoli organizzati dal datore, esigenza che dovrebbe essere assicurata da dipendenti a tempo indeterminato, stabilmente inseriti negli organici della Fondazione.
Addebita, inoltre, alla Corte territoriale di avere richiamato, nella motivazione della pronuncia impugnata, anche l’art. 3, comma 6, del d.l. n. 64/2010, norma inapplicabile alla fattispecie, giacché per il principio tempus regit actum la validità della clausola appositiva del termine deve essere valutata in relazione alla disciplina vigente al momento dell’instaurazione del rapporto.
2. Con la seconda censura, ricondotta al vizio tipizzato dal 3 dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente principale denuncia la violazione dell’art. 3, comma 5, del d.l. n. 64/2010 e, richiamati il principio di diritto enunciato da Cass. 19 maggio 2014 n. 10924 e la sentenza della Corte Costituzionale 1° dicembre 2015 n. 260, sostiene che la trasformazione in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine con clausola di durata affetta da nullità non è impedita dalle leggi che negli anni hanno imposto divieti di assunzione, trattandosi di norme esterne alla fattispecie dedotta in giudizio, riguardanti il funzionamento e l’autorganizzazione del datore di lavoro, come tali inidonee ad incidere sul diritto soggettivo sorto in conseguenza di atti di gestione del rapporto privatistico.
3. Il ricorso incidentale condizionato addebita alla sentenza impugnata, con un unico motivo formulato ai sensi dell’art. 360 3 e 4 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 346, 434, 414 e 112 cod. proc. civ.. Sostiene la Fondazione che la Corte distrettuale avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello perché, a fronte della pronuncia di rigetto del Tribunale, fondata solo sulla non convertibilità del rapporto, il C.D. non aveva «riproposto ed articolato le domande contenute nel ricorso di primo grado assorbite dal Tribunale, aventi ad oggetto l’accertamento della nullità del termine…».
4. Occorre in premessa rilevare che, secondo l’orientamento consolidato nella giurisprudenza della Sezione Lavoro, dal quale queste Sezioni Unite non hanno motivo di discostarsi, qualora venga dedotta in giudizio la nullità della clausola di durata apposta al contratto a termine e si sia in presenza di una successione di norme nel tempo, occorre fare riferimento alla normativa vigente alla data della stipulazione del contratto e non a quella in vigore al momento della pronuncia accertativa, perché la conversione del rapporto è la conseguenza del vizio genetico attinente all’apposizione del termine e pertanto, sia ai fini della decisione sulla legittimità della clausola sia in relazione agli effetti che dall’illegittimità derivano, rileva il momento temporale in cui l’actum è stato posto in essere dalle parti (Cass. 18 novembre 2009 n. 24330 e negli stessi termini, fra le tante, Cass. 6 settembre 2018 n. 21724, Cass. 10 ottobre 2018 n. 25080, Cass. 17 settembre 2020 n. 19418).
Dal principio di diritto discende che, al fine di valutare la fondatezza del ricorso principale, occorre ricostruire la complessa normativa del rapporto di lavoro a tempo determinato alle dipendenze degli enti lirici, normativa connotata da specialità, rispetto a quella generale applicabile ai rapporti di diritto privato, sia con riferimento ai requisiti necessari per la valida apposizione del termine di durata, sia in relazione alle conseguenze che derivano dall’accertata nullità della clausola appositiva del termine.
5. Qualche cenno va fatto in premessa alla disciplina settoriale dettata per i rapporti di lavoro alle dipendenze degli enti lirici nell’ordinamento pubblicistico, delineato dalla legge 14 agosto 1967 800 che, affermato l’interesse generale dello Stato alla «formazione musicale, culturale e sociale della collettività nazionale» (art.1), aveva riconosciuto agli enti lirici autonomi ed alle istituzioni concertistiche assimilate la personalità di diritto pubblico (art. 5) ed aveva sottoposto detti enti alla vigilanza del Ministero del Turismo e dello Spettacolo. Queste Sezioni Unite, pur in assenza di un’espressa qualificazione normativa in tal senso, avevano costantemente affermato la natura non economica di detti enti, desumendola dagli interessi perseguiti, dalla mancanza di finalità di lucro, dal godimento di sovvenzioni e contributi pubblici, dalla presenza di entrate non destinate a remunerare fattori produttivi (cfr. Cass. S.U. 5 agosto 1977 n. 3519, Cass. S.U. 21 luglio 1978 n. 3630, Cass. S.U. 29 giugno 1984 n. 3838), sicché, ai fini del riparto di giurisdizione, avevano qualificato di impiego pubblico i rapporti di lavoro, sebbene già all’epoca instaurati su base contrattuale, nel rispetto della contrattazione collettiva di diritto comune (art. 25 l. n. 800/1967) e di forme di collocamento speciale (art. 47 l. n. 800/1967).
Detta qualificazione veniva, poi, ribadita, sempre ai fini del riparto di giurisdizione, anche all’esito dell’entrata in vigore dell’art. 3 del d.l. 11 settembre 1987 n. 374, che aveva esteso ai dipendenti degli enti lirici l’applicazione della normativa vigente per gli enti pubblici economici. Le Sezioni Unite, nell’escludere che l’intervento normativo avesse inciso sulla natura dell’ente e dei rapporti di lavoro, valorizzavano, da un lato, la progressiva accentuazione, rispetto all’impianto della disciplina originaria, degli interventi finanziari e dei controlli, anche sostitutivi, da parte dello Stato; dall’altro il principio di diritto secondo cui, salva espressa disposizione normativa derogatoria, la natura pubblica del rapporto di impiego è correlata alla personalità del datore di lavoro e non muta per il solo fatto che il rapporto medesimo sia costituito su base contrattuale e disciplinato da contratti privatistici (Cass. S.U. 28 ottobre 1993 n. 10705, richiamata, fra le altre, da Cass. S.U. 3 marzo 2010 n. 5029).
6. In quel contesto la giurisprudenza amministrativa (cfr. C.d.S. 20 luglio 2006 n. 4602 e le pronunce ivi richiamate) aveva escluso l’invocata estensibilità al personale degli enti lirici della disciplina dettata dall’art. 2 della legge 18 aprile 1962 230 in tema di conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato, reiteratamente prorogato, in rapporto a tempo indeterminato.
A tal fine, oltre a ribadire il divieto di conversione già affermato, più in generale, per i rapporti di impiego pubblico, aveva fatto leva su specifiche disposizioni derogatorie emanate dal legislatore, il quale, all’evidente fine di contenere la spesa per il personale e di porre rimedio alla cronica situazione di dissesto delle finanze degli enti lirici, già con la legge 22 luglio 1977 n. 426 aveva, all’art. 3, previsto: il principio del necessario pareggio di bilancio; il divieto di assunzioni di personale amministrativo, artistico e tecnico, «anche in adempimento di obblighi di legge», comportanti l’aumento del contingente in servizio alla data del 31 ottobre 1973 ( comma 2); il divieto di «rinnovi dei rapporti di lavoro che, in base a disposizioni legislative o contrattuali, comporterebbero la trasformazione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato» (comma 4). L’art. 2 della legge 17 febbraio 1982 n. 43 aveva, poi, aggiunto, al richiamato art. 3, il comma 5, secondo cui «le assunzioni attuate in violazione del divieto di cui al precedente comma sono nulle di diritto, ferma la responsabilità personale di chi le ha disposte».
L’inapplicabilità agli enti lirici della citata legge n. 230 del 1962 nella sua interezza era stata, poi, sancita dall’art. 9, comma 4, della legge 23 dicembre 1992 n. 498, che aveva anche previsto, per l’anno 1993, il divieto di assunzione di personale a tempo indeterminato ed aveva consentito solo a determinate condizioni il ricorso al rapporto a tempo determinato (Per il 1993, gli enti e le istituzioni di cui al comma 1 non possono assumere personale a tempo indeterminato, neanche in sostituzione di personale cessato dal servizio. Sono altresì vietate assunzioni di personale a tempo determinato, salvo che si tratti di personale artistico e tecnico da impiegare per singole opere o spettacoli, o di personale tecnico, artistico e amministrativo addetto alla preparazione e allo svolgimento di festival estivi o all’aperto di fama internazionale che risultino realtà consolidate e con carattere di continuità. Non si applicano le disposizioni della legge 18 aprile 1962, n. 230, e successive modificazioni.).
Si trattava, quindi, di specifiche disposizioni impeditive della costituzione di rapporti a tempo indeterminato che, in ragione della loro specialità, la giurisprudenza amministrativa aveva valorizzato per affermare, in adesione a quanto statuito da queste Sezioni Unite, che, pur a fronte del rinvio contenuto nel d.l. n. 374 del 1987, la permanenza della caratterizzazione non economica degli enti lirici e della natura stricto sensu pubblicistica del rapporto di lavoro, impediva l’estensione delle norme relative agli enti pubblici economici eccentriche rispetto alle disposizioni intese alla regolazione dei profili economici del rapporto stesso.
Conclusivamente, già all’epoca, si era in presenza di un rapporto di lavoro per così dire «ibrido», che presentava, cioè, elementi di diversificazione sia rispetto all’impiego pubblico tradizionale, perché costituito su base contrattuale e disciplinato da contratti collettivi di natura privatistica, sia rispetto al rapporto di lavoro privato, in quanto la natura pubblica dell’ente e la disciplina settoriale impedivano l’estensione piena della disciplina privatistica, applicabile agli enti pubblici economici, solo apparentemente richiamata nella sua interezza dal d.l. n. 374 del 1987.
7. Con il d.lgs. 29 giugno 1996 n. 367 è stato avviato il processo di trasformazione degli enti lirici in fondazioni di diritto privato, del quale il legislatore ha previsto la doverosità (art. 1), rimettendone, però, inizialmente l’attuazione ai singoli enti, nei termini e con le modalità previste dagli artt. da 5 a 9 del decreto, e stabilendo che il riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato sarebbe stato conseguente all’approvazione della delibera di trasformazione da parte della competente autorità di Governo (artt. 8 e 9).
Il d.lgs. ha previsto, come principio di carattere generale, che le fondazioni « sono disciplinate, per quanto non espressamente previsto dal presente decreto, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo», principio, poi, ripreso, quanto al personale, dall’art. 22 che, nel testo originario, al comma 1 prevede che « i rapporti di lavoro dei dipendenti delle fondazioni sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa e sono costituiti e regolati contrattualmente.» ed ai commi successivi inserisce specifiche deroghe stabilendo: l’inapplicabilità dell’art. 2 della legge n. 230 del 1962; l’applicabilità dell’art. 2103 cod. civ. solo a condizione che risulti superata la verifica di idoneità professionale nelle forme stabilite dalla contrattazione collettiva; la riserva alla contrattazione collettiva della quantificazione del trattamento retributivo (Al personale artistico e tecnico della fondazione non si applicano le disposizioni dell’art. 2 della legge 18 aprile 1962, n. 230. L’art. 2103 del codice civile si applica al personale artistico, a condizione che esso superi la verifica di idoneità professionale, nei modi disciplinati dalla contrattazione collettiva. La retribuzione del personale è determinata dal contratto collettivo nazionale di lavoro. Resta riservato alla fondazione ogni diritto di sfruttamento economico degli spettacoli prodotti, organizzati o comunque rappresentati, ed in generale delle esecuzioni musicali svolte nell’ambito del rapporto di lavoro.)
7.1 Al decreto legislativo 367 del 1996 ha, poi, fatto seguito il d.l. 20 novembre 2000 n. 345, convertito dalla legge 26 febbraio 2001 n. 6, che, reiterando nella sostanza le disposizioni già contenute nel d.lgs. 23 aprile 1998 n. 134, dichiarato incostituzionale per difetto di delega con sentenza 18 novembre 2000 n. 503, ha previsto la trasformazione ex lege degli enti lirici in fondazioni di diritto privato con decorrenza retroattiva dal 23 maggio 1998 e, quanto alla disciplina applicabile ai rapporti di lavoro instaurato dalle fondazioni, ha richiamato il precedente decreto n. 367 del 1996, aggiungendo solo minime specificazioni, non rilevanti in questa sede perché relative al regime pensionistico ed assicurativo.
A partire, dunque, dalla data sopra indicata la mutata natura del datore di lavoro (inizialmente pubblica e poi trasformata in personalità giuridica di diritto privato) ha comportato la sottrazione dei rapporti di lavoro instaurati dagli enti lirici dall’area dell’impiego pubblico, con la conseguenza che è mutato integralmente il sistema delle fonti, perché se, in precedenza, secondo le indicazioni date dalla giurisprudenza citata al punto 6, era alla normativa dell’impiego pubblico che occorreva fare riferimento (in assenza di disciplina speciale), successivamente alla trasformazione l’applicabilità di quest’ultima è condizionata da un espresso richiamo, in difetto del quale trova applicazione la disciplina dell’impiego privato.
8. Di questo rapporto fra le fonti ha, evidentemente, tenuto conto il legislatore allorquando, con il lgs. n. 368 del 6 settembre 2001, nel dare attuazione alla direttiva 1999/70/CE, ha riscritto la disciplina del rapporto di lavoro a tempo determinato, più volte, poi, modificata nel tempo, e, per quel che qui rileva, all’art. 11, comma 4, ha previsto che «al personale artistico e tecnico delle fondazioni di produzione musicale previste dal decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, non si applicano le norme di cui agli articoli 4 e 5», ossia la disciplina della proroga, del rinnovo del contratto, della prosecuzione del rapporto oltre la scadenza del termine.
Così come, in precedenza, l’art. 22, comma 2, del d.lgs. n. 367 del 1996 aveva escluso l’applicazione del solo art. 2 della legge n. 230 del 1960, relativo ai medesimi istituti, con il d.lgs. n. 368 del 2001 il legislatore delegato non ha inserito il personale delle fondazioni liriche nelle categorie sottratte, dall’art. 10, all’applicazione dell’intero decreto, bensì ha affermato l’inapplicabilità delle sole disposizioni espressamente richiamate, con una tecnica legislativa che rende evidente la volontà di ritenere per il resto applicabile il decreto.
9. Non dissimile è stata la scelta del legislatore delegato in occasione della revisione della «disciplina organica dei contratti di lavoro …» approvata con il d.lgs. 15 giugno 2015 n. 81. Anche in tal caso i rapporti intercorrenti con il personale artistico e tecnico delle fondazioni di produzione musicale di cui al lgs. n. 367 del 1996 non sono stati sottratti alla disciplina privatistica nella sua interezza bensì, nella versione originaria, è stata prevista l’inapplicabilità delle sole disposizioni dettate dagli artt. 19, commi da 1 a 3, e 21, relativi, rispettivamente, alla durata massima del rapporto a tempo determinato ed alla disciplina delle proroghe e dei rinnovi.
Il legislatore delegato ha ampliato il regime derogatorio rispetto all’analoga disciplina dettata dal d.lgs. n. 368 del 2001 e nel far ciò ha, evidentemente, tenuto conto dello sviluppo della normativa settoriale verificatosi medio tempore.
10. Infatti con l’art. 3 del d.l. 30 aprile 2010 n. 64, convertito dalla legge 29 giugno 2010 100, erano state dettate ulteriori disposizioni in materia di personale delle fondazioni lirico-sinfoniche e, quanto al rapporto di lavoro a tempo determinato, era stato previsto, al comma 6, che « Non si applicano, in ogni caso, alle fondazioni lirico-sinfoniche le disposizioni dell’articolo 1, commi 01 e 2, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368.».
Dalla comparazione fra il testo della norma in commento e quello del già richiamato art. 11 del d.lgs. n. 368/2001, emerge evidente l’estensione della deroga contenuta in quest’ultima disposizione, perché, all’esito dell’intervento riformatore, la deroga stessa risulta, non più limitata alla sola disciplina delle proroghe e dei rinnovi, bensì ampliata sino a ricomprendere anche parte dell’art. 1 che, nel testo all’epoca vigente (antecedente alla modifica attuata dalla legge 28 giugno 2012 n. 92), sanciva, al comma 01, la regola secondo cui il contratto di lavoro è stipulato, di regola, a tempo indeterminato, ed al comma 2 prevedeva che, a pena di inefficacia, l’apposizione del termine dovesse risultare da atto scritto, nel quale dovevano essere specificate le ragioni (tecniche, produttive, organizzative o sostitutive) del ricorso alla tipologia contrattuale.
11. Il medesimo 3 stabiliva, inoltre, sempre al comma 6, che «Alle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, continua ad applicarsi l’articolo 3, quarto e quinto comma, della legge 22 luglio 1977, n. 426, e successive modificazioni, anche con riferimento ai rapporti di lavoro instaurati dopo la loro trasformazione in soggetti di diritto privato e al periodo anteriore alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368.».
La disposizione, in parte qua, a partire da Cass. 26 maggio 2011 n. 11573, poi ripresa da Cass. 20 marzo 2014 n. 6547 e da altre successive conformi, era stata interpretata da questa Corte in senso restrittivo ed era stato escluso che la sanzione di nullità, prevista dal comma 5 (aggiunto dalla legge n. 43 del 1982), si riferisse a qualsivoglia contratto a tempo determinato stipulato in assenza delle condizioni di legge, essendo, invece, limitata ai soli rinnovi richiamati nel comma 4, al quale il comma 5 fa specifico riferimento.
Il legislatore è, quindi, intervenuto nuovamente sul tema e, con l’art. 40, comma 1 bis, del d.l. 21 giugno 2013 n. 69, convertito dalla legge 9 agosto 2013 n. 98, ha previsto che «L’articolo 3, comma 6, primo periodo, del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 giugno 2010, n. 100, si interpreta nel senso che alle fondazioni, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, non si applicano le disposizioni di legge che prevedono la stabilizzazione del rapporto di lavoro come conseguenza della violazione delle nome in materia di stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine, di proroga o di rinnovo dei medesimi contratti».
11.1 La disposizione, espressamente qualificatasi interpretativa, è stata dichiarata incostituzionale dal Giudice delle leggi con sentenza n. 260 dell’11 dicembre 2015, con la quale la Corte, in sintesi, ha rilevato che il legislatore, estendendo il divieto di stabilizzazione sancito dall’art. 3, quinto comma, della legge n. 426 del 1997 oltre il limite del rinnovo, aveva attribuito alla norma interpretata «un contenuto precettivo dissonante rispetto al significato della parola “rinnovi”, accreditato da una costante elaborazione della giurisprudenza di legittimità» e così facendo aveva leso l’autonomo esercizio della funzione giurisdizionale, interferendo sui giudizi in corso, nonché « l’affidamento dei consociati nella sicurezza giuridica e le attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria».
12. Nel dichiarare l’incostituzionalità della norma interpretativa la stessa Corte Costituzionale ha dato atto, nella motivazione, delle disposizioni di carattere innovativo con le quali, in un disegno complessivo improntato all’esigenza di razionalizzare la spesa, il legislatore aveva accentuato, per le fondazioni lirico-sinfoniche, gli aspetti derogatori rispetto alla disciplina generale, sottraendo i rapporti a termine delle fondazioni medesime, oltre che al rispetto delle condizioni imposte per le proroghe ed i rinnovi, all’applicazione dei commi 01 e 2 dell’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, nel testo all’epoca vigente.
In questo contesto, sollecitata dalla domanda di pronuncia pregiudiziale avanzata dalla Corte d’appello di Roma con ordinanza del 15 maggio 2017, è intervenuta la Corte di Giustizia dell’Unione europea che, con sentenza del 25 ottobre 2018, in causa C-331/17, Sciotto, sulla quale si tornerà in prosieguo, ha ritenuto contrastante con la clausola 5 dell’Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP allegato alla direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato « una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in forza della quale le norme di diritto comune disciplinanti i rapporti di lavoro, e intese a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato tramite la conversione automatica del contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato se il rapporto di lavoro perdura oltre una data precisa, non sono applicabili al settore di attività delle fondazioni lirico-sinfoniche, qualora non esista nessun’altra misura effettiva nell’ordinamento giuridico interno che sanzioni gli abusi constatati in tale settore.».
13. La pronuncia della Corte di Giustizia ha sollecitato un ulteriore intervento del legislatore che con il d.l. 28 giugno 2019 n. 59, convertito dalla legge agosto 2019 n. 81, ha aggiunto all’art. 29 del d.lgs. n. 81 del 2015 i commi 3 bis e 3 ter, prevedendo la possibilità per le fondazioni lirico-sinfoniche di ricorrere al contratto a termine, nel limite massimo di trentasei mesi, «in presenza di esigenze contingenti o temporanee determinate dalla eterogeneità delle produzioni artistiche che rendono necessario l’impiego anche di ulteriore personale artistico e tecnico ovvero, nel rispetto di quanto previsto nel contratto collettivo di categoria, dalla sostituzione di lavoratori temporaneamente assenti», da indicare nell’atto scritto, richiesto a pena di nullità, «anche attraverso il puntuale riferimento alla realizzazione di uno o più spettacoli, di una o più’ produzioni artistiche cui sia destinato l’impiego del lavoratore assunto con contratto di lavoro a tempo determinato» (comma 3 bis).
E’ stata, altresì, esclusa, dal comma 3 ter, la conversione in rapporto a tempo indeterminato del rapporto a termine stipulato in violazione delle norme inderogabili riguardanti la costituzione, la durata, la proroga o i rinnovi dei contratti ed è stato testualmente previsto che in detti casi il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro resa in violazione di norma imperativa, con obbligo per la fondazione di agire nei confronti dei dirigenti, che abbiano agito con dolo o colpa grave, per il recupero delle somme pagate a tale titolo.
In tal modo, quindi, quanto alle conseguenze della nullità della clausola appositiva del termine, è stata dettata una disciplina speciale derogatoria rispetto a quella prevista per l’impiego privato e nella sostanza sovrapponibile a quella prevista per l’impiego pubblico contrattualizzato dall’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001.
14. Il d.l. n. 50 del 2019 ha contestualmente riformulato l’art. 22 del d.lgs. 367 del 1996 che, nel testo risultante all’esito della riscrittura, ribadisce, al comma 1, la natura privatistica dei rapporti instaurati dalle fondazioni lirico-sinfoniche ma inserisce anche, dal comma 2 ter al comma 2 decies, una serie di condizioni limitative delle facoltà assunzionali, a tempo determinato ed indeterminato, con obbligo per le fondazioni di rideterminazione delle dotazioni organiche.
Il comma 2 prescrive per il reclutamento del personale il previo esperimento di procedure selettive pubbliche (Le fondazioni di cui all‘articolo 1 e di cui alla legge 11 novembre 2003, n. 310 procedono al reclutamento del personale con contratti di lavoro a tempo indeterminato, previo esperimento di apposite procedure selettive pubbliche. Con propri provvedimenti, le fondazioni stabiliscono criteri e modalità per il reclutamento del personale di cui al primo periodo nel rispetto dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all’articolo 35, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. In caso di mancata adozione dei suddetti provvedimenti, trova diretta applicazione il citato articolo 35, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001. I provvedimenti di cui al secondo periodo sono pubblicati sul sito istituzionale della fondazione. In caso di mancata o incompleta pubblicazione si applicano gli articoli 22, comma 4, 46 e 47, comma 2, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, e successive modificazioni ) ed il comma 2 bis, oltre a devolvere alla giurisdizione del giudice ordinario la cognizione delle controversie sulla validità di dette procedure, prevede la nullità dei contratti stipulati in assenza delle stesse, ferma restando l’applicazione dell’art. 2126 cod. civ. ( Fermo quanto previsto dall’articolo 2126 del codice civile, i contratti di lavoro stipulati in assenza dei provvedimenti o delle procedure di cui al comma 2, sono nulli. Sono devolute al giudice ordinario le controversie relative alla validità dei provvedimenti e delle procedure di reclutamento del personale).
La disciplina del reclutamento, quindi, è stata dettata dal legislatore assumendo a modello di riferimento quella prevista dall’art. 19 del d.lgs. 19 agosto 2016 n. 175 per il personale delle società a controllo pubblico.
15. Così come avvenuto per queste ultime (per le quali era intervenuto l’art. 18 del l. 25 giugno 2008 n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008 n. 133), il previo esperimento di procedure selettive pubbliche era già stato previsto, per il reclutamento del personale a tempo indeterminato, dall’art. 11 del d.l. 8 agosto 2013 n. 91, convertito dalla legge 7 ottobre 2013 n. 112, che, nel dettare «Disposizioni urgenti per il risanamento delle fondazioni lirico-sinfoniche e il rilancio del sistema nazionale musicale di eccellenza», aveva limitato le capacità di spesa e le facoltà assunzionali delle fondazioni e stabilito, al comma 19, che «Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato presso le fondazioni lirico-sinfoniche è instaurato esclusivamente a mezzo di apposite procedure selettive pubbliche.».
16. Il d.l. in commento, ispirato dall’intento di contenere i costi e di abbattere le spese attinenti al personale, era stato a sua volta preceduto da altri interventi normativi, tutti finalizzati al raggiungimento del medesimo obiettivo, con i quali era stato fatto divieto alle fondazioni di procedere a nuove assunzioni, per singole annualità espressamente indicate nelle disposizioni di legge, salva la ricorrenza dell’autorizzazione rilasciata dal Ministero per i beni e per le attività culturali, previa verifica dell’assoluta necessità dell’assunzione.
Già la legge 31 marzo 2005 n. 43, di conversione del d.l. 31 gennaio 2005 n. 7, aveva inserito nel testo del decreto l’art. 3 ter che, per l’anno 2005, faceva divieto alle fondazioni lirico-sinfoniche di assunzione di nuovo personale a tempo indeterminato, fatta eccezione per le fondazioni che avevano raggiunto nell’anno precedente almeno il pareggio di bilancio ed a condizione che le assunzioni stesse avvenissero nei limiti della pianta organica e senza aggravamento della spesa ( Per l’anno 2005, alle fondazioni lirico-sinfoniche e’ fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato. Fino al medesimo termine, il personale a tempo determinato non può superare il quindici per cento dell’organico funzionale approvato. Hanno comunque facoltà di assumere personale a tempo indeterminato, nei limiti delle rispettive piante organiche e senza nuovi oneri o maggiori oneri per la finanza pubblica, le fondazioni con bilancio verificato dell’anno precedente almeno in pareggio).
Una disposizione ancor più limitativa era contenuta nell’art. 1, comma 595, della legge finanziaria per l’anno 2006 (legge 23 dicembre 2005 n. 266), che prevedeva un divieto assoluto di assunzione a tempo indeterminato per gli anni 2006 e 2007 ( Per gli anni 2006 e 2007 alle fondazioni lirico-sinfoniche è fatto divieto di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato. Fino al medesimo termine il personale a tempo determinato non può superare il 20 per cento dell’organico funzionale approvato).
Il divieto veniva, poi, prorogato agli anni dal 2008 al 2010 dall’art. 2, comma 392, della legge n. 244 del 24 dicembre 2007, che consentiva solo l’instaurazione di nuovi rapporti, nei limiti delle vacanze della pianta organica, se autorizzati dal Ministero vigilante e finalizzati a sopperire a comprovate esigenze produttive ( Ai sensi dell’articolo 1, comma 595, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, per gli anni 2008, 2009 e 2010 alle fondazioni lirico-sinfoniche è fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato. Possono essere effettuate assunzioni a tempo indeterminato di personale artistico, tecnico ed amministrativo per i posti specificatamente vacanti nell’organico funzionale approvato, esclusivamente al fine di sopperire a comprovate esigenze produttive, previa autorizzazione del Ministero vigilante. Per il medesimo periodo il personale a tempo determinato non può superare il 15 per cento dell’organico funzionale approvato.)
Infine con l’art. 3, comma 5, della già citato d.l. n. 64 del 2010, da un lato, il divieto di nuove assunzioni veniva prorogato sino a tutto il 2012 (termine poi anticipato al 2011 dalla legge di conversione), con previsione dell’inefficacia anche delle procedure concorsuali in atto, fatte salve le assunzioni delle professionalità artistiche indispensabili per l’attività di produzione degli spettacoli; dall’altro si stabilivano, a regime e a decorrere dall’anno 2013 ( termine anticipato al 2012 dalla legge di conversione), limitazioni alle facoltà assunzionali, riconosciute solo nel rispetto del turn over e della compatibilità di bilancio (A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2012, alle fondazioni lirico-sinfoniche è fatto divieto di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato, nonché di indire procedure concorsuali per tale scopo, fatto salvo che per quelle professionalità artistiche, di altissimo livello, necessarie per la copertura di ruoli di primaria importanza indispensabili per l’attività produttiva, previa autorizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali. Le procedure concorsuali non compatibili con le disposizioni del presente decreto, in atto al momento della sua entrata in vigore, sono prive di efficacia. A decorrere dall’anno 2013 le assunzioni a tempo indeterminato, effettuate previa autorizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, sono annualmente contenute in un contingente complessivamente corrispondente ad una spesa non superiore a quella relativa al personale cessato nel corso dell’anno precedente. In ogni caso il numero delle unità da assumere non potrà essere superiore a quello delle unità cessate nell’anno precedente, fermo restando le compatibilità di bilancio della fondazione….).
17. Dalla ricostruzione del complesso quadro normativo si può trarre una prima conclusione, che è poi quella dalla quale prende le mosse l’ordinanza interlocutoria: gli interventi legislativi succedutisi nel tempo hanno progressivamente accentuato il carattere di specialità della disciplina dettata per il personale delle fondazioni lirico- sinfoniche rispetto a quella dei rapporti di lavoro fra privati e di pari passo sono stati estesi agli enti lirici, pur se privatizzati, limiti analoghi a quelli imposti alle facoltà assunzionali delle pubbliche amministrazioni e delle società da queste ultime controllate.
La trasformazione dell’ente pubblico in fondazione di diritto privato non ha risolto le aporie già emerse nella fase antecedente alla privatizzazione, atteso che la nuova qualificazione giuridica delle fondazioni ha lasciato immutati quegli aspetti della regolamentazione
delle modalità di funzionamento di detti enti che si giustificano solo in ragione degli interessi generali che, attraverso le fondazioni, lo Stato persegue, interessi che, a loro volta, danno ragione dell’impiego di capitale in prevalenza pubblico.
Non a caso la Corte Costituzionale, chiamata a giudicare sul riparto di competenze fra Stato e Regioni in relazione alla normativa di revisione organica delle fondazioni dettata dalla d.l. n. 64 del 2010, ha ritenuto che l’intervento attuato rientrasse nella materia «ordinamento ed organizzazione amministrativa dello Stato e degli altri enti pubblici», alla luce degli indici pubblicistici conservati dalle fondazioni anche all’esito della trasformazione, indici ravvisati nella preminente rilevanza dello Stato nei finanziamenti, nel conseguente assoggettamento al controllo della Corte dei Conti, nella previsione del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, nell’inclusione di detti enti fra gli organismi di diritto pubblico soggetti, all’epoca, al rispetto del d.lgs. n. 163 del 2003 ( Corte Costituzionale 21 aprile 2011 n. 153).
Quegli aspetti evidenziati dal Giudice delle leggi giustificano, pur a fronte della qualificazione privatistica delle fondazioni e dei rapporti di lavoro dagli stessi instaurati, deroghe alla disciplina dettata per i rapporti fra privati, disciplina alla quale, secondo un meccanismo non dissimile da quello indicato dal legislatore e da queste Sezioni Unite in tema di società a controllo pubblico, occorre, sì, fare riferimento, ma a condizione che non si rinvengano disposizioni speciali di settore o ragioni ostative di sistema ( cfr. fra le tante Cass. S.U. n. 29078/2019, Cass. S.U. n. 21299/2017, Cass. S.U. n. 7759/2017, Cass. S.U. n. 26591/2016).
18. L’esame dei motivi posti dal ricorso principale va, dunque, condotto alla luce di quanto evidenziato in premessa.
Il primo motivo del ricorso principale, che censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la legittimità delle clausole appositive del termine, è fondato.
I contratti dei quali qui si discute hanno interessato l’arco temporale compreso fra il 9 maggio 2006 ed il marzo 2011 nella vigenza, sino all’entrata in vigore del d.l. 30 aprile 2010 n. 64, della normativa richiamata al punto 8, ossia dell’art. 11 del d.lgs. n. 368 del 2001, che affermava l’inapplicabilità al personale artistico e tecnico delle fondazioni delle sole disposizioni dettate dagli artt. 4 e 5 dello stesso decreto, e, di conseguenza, non derogava all’applicazione dell’art. 1, commi 1 e 2, che, nel testo vigente sino all’entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, consentivano l’apposizione del termine di durata solo a fronte di esigenze tecniche, produttive, organizzative o sostitutive, che dovevano essere specificate per iscritto nel contratto. L’ordinanza interlocutoria richiama il consolidato orientamento della giurisprudenza della Sezione Lavoro alla stregua del quale il legislatore, nel prevedere la specificazione della causale, ha imposto un onere di indicazione sufficientemente dettagliata delle ragioni del ricorso al rapporto a tempo determinato, onere che non è soddisfatto dalla sola indicazione delle mansioni, del termine e dello spettacolo in relazione al quale la prestazione lavorativa è richiesta, in assenza di qualsivoglia ulteriore precisazione in ordine allo scopo del contratto, alla temporaneità delle esigenze che hanno reso necessario il ricorso all’assunzione a termine, alla professionalità del soggetto assunto, ossia alla particolarità dell’apporto lavorativo per ciascuno dei diversi spettacoli con riferimento a ragioni tecniche o artistiche ( cfr. fra le tante Cass. 10 dicembre 2019 n. 32150; Cass. 7 marzo 2019 n. 6679 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione).
Non sussistono ragioni per discostarsi dal richiamato orientamento che, per le fattispecie disciplinate dal d.lgs. n. 368 del 2001, ritiene non sufficiente, ai fini della specificazione della causale, la sola indicazione dello spettacolo o dell’opera alla cui realizzazione il contratto è finalizzato, di per sé inidonea, rispetto ad un’attività che si caratterizza per essere finalizzata alla produzione in ogni stagione di una serie di rappresentazioni, a rendere evidenti le ragioni oggettive poste a fondamento del ricorso alla tipologia contrattuale del rapporto a tempo determinato.
I precedenti citati non hanno mancato di richiamare l’interpretazione data alla clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE dalla Corte di Giustizia la quale, proprio in relazione al settore che qui viene in rilievo, ha evidenziato che non è consentita la rinnovazione del contratto a termine «per la realizzazione, in modo permanente e duraturo, di compiti nelle istituzioni culturali di cui trattasi che rientrano nella normale attività del settore di attività delle fondazioni lirico-sinfoniche» (Corte di Giustizia 25 ottobre 2018, in causa C- 331/17, Sciotto, punto 49), essendo, invece, necessario, a fronte di una programmazione annuale di spettacoli, che risultino specificate le esigenze, di carattere provvisorio e non duraturo, assicurate attraverso il ricorso al lavoro a tempo determinato ( punti 53 e 54).
Si tratta di un’interpretazione del concetto di specificità della causale, nel settore che qui interessa, che trova oggi riscontro nella riformulazione dell’art. 29 del d.lgs. n. 81 del 2015 ad opera del citato d.l. n. 59 del 2019, non applicabile alla fattispecie ratione temporis, secondo cui il ricorso al contratto a termine è consentito a fronte di esigenze contingenti o temporanee determinate dalla eterogeneità delle produzioni artistiche e l’onere di specifica indicazione della causale deve essere assolto attraverso l’indicazione espressa di detta condizione, indicazione alla quale si deve accompagnare «anche» il puntuale riferimento alla realizzazione di uno o più spettacoli.
La Corte territoriale, pertanto, è incorsa nella denunciata violazione di legge, perché ha espresso il giudizio di merito sulla specificità delle causali indicate nel contratto muovendo da un’errata interpretazione dell’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, nella parte in cui richiede che nell’atto scritto devono essere specificate le ragioni di cui al comma 1.
19. La fondatezza del primo motivo impone, seguendo l’ordine delle questioni, l’esame del ricorso incidentale condizionato proposto dalla Fondazione Teatro dell’Opera, che ha censurato la sentenza impugnata per non avere dichiarato l’inammissibilità dell’appello.
L’ordinanza interlocutoria, nel prospettare l’eventuale inammissibilità dell’impugnazione incidentale, segue il medesimo iter argomentativo sulla base del quale Cass. 10 maggio 2022 n. 14839, Cass. 6 giugno 2022 n. 18127, Cass. n. 7 giugno 2022 n. 18321, pronunciando in fattispecie analoga a quella oggetto di causa, hanno dichiarato l’inammissibilità delle impugnazioni proposte dalla Fondazione Teatro dell’Opera di Roma, perché redatte, in violazione del disposto dell’art. 1 del d.l. 24 novembre 2000 n. 345, da avvocato del libero foro in assenza della apposita motivata delibera, da sottoporre agli organi di vigilanza, richiesta dall’art. 43 del R.d. 30 ottobre 1933 n. 1611.
In quelle pronunce si richiama il principio di diritto affermato da queste Sezioni Unite con la sentenza n. 24876 del 20 ottobre 2017 (richiamata da Cass. 5 ottobre 2018 n. 24545, Cass. 13 dicembre 2021 n. 39430 e, in tema di fondazioni lirico sinfoniche, da Cass. 21 novembre 2018 n. 30118) e si sottolinea che quell’orientamento, sia pure in un contesto connotato dalla specialità della normativa dettata per ADER dall’art. 1 del d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, è stato ribadito, al punto 28 della motivazione, da Cass. S.U. 19 novembre 2019 n. 30008.
In quei giudizi, come si desume dalla narrativa dei fatti di causa e dallo sviluppo argomentativo delle decisioni, l’onere probatorio imposto dall’art. 43 del richiamato R.d. non era stato assolto dalla Fondazione ricorrente, la quale, invece, in questa sede ha depositato, oltre alla deliberazione del Consiglio di indirizzo adottata a « sanatoria» il 23 giugno 2022, di per sé non rilevante in ragione dell’inapplicabilità al giudizio di cassazione dell’art. 182 cod. proc. civ. (cfr. Cass. S.U. 21 dicembre 2022 n. 37434), il Protocollo di Intesa, sottoscritto il 26 giugno 2015 dall’Avvocatura Generale dello Stato e dal Sovrintendente dell’epoca, approvato in pari data dal Consiglio, che consente, all’art. 9, in via generale l’affidamento ad avvocati del libero foro delle controversie in materia di lavoro, previdenza e assistenza, fatta eccezione per quelle che abbiano notevole rilevanza e possano avere riflessi sugli assetti organizzativi e finanziari della Fondazione. Trattandosi di atto formato in epoca antecedente al rilascio della procura speciale della cui validità si discute, si dovrebbe allora valutare se la sua esistenza (in questo caso documentata e rispondente, come si legge nelle premesse della stessa convenzione, ad una prassi adottata dall’Avvocatura Generale per disciplinare le deroghe al carattere generale ed esclusivo del patrocinio) possa giustificare l’estensione, a tutti gli enti ammessi al patrocinio ex art. 43 del R.d. n. 1611 del 1933 che abbiano stipulato analoga convenzione, del principio di diritto affermato da queste Sezioni Unite con la richiamata pronuncia n. 30008 del 2019, nella parte in cui afferma che «se, invece, la convenzione non riserva all’Avvocatura erariale la difesa e rappresentanza in giudizio, non è richiesta l’adozione di apposita delibera od alcuna altra formalità per ricorrere al patrocinio a mezzo di avvocati del libero foro» e ne trae l’ulteriore conseguenza della non necessità della produzione, anche nel giudizio di legittimità, dell’atto deliberativo di conferimento dell’incarico, da adottare antecedentemente al rilascio della procura.
Si tratta di questione che, oltre ad esulare da quelle che hanno determinato la rimessione a queste Sezioni Unite, non è stata specificamente dibattuta dalle parti le quali, anche in sede di discussione orale, hanno affrontato tutte il merito dei ricorsi.
A fronte del quadro venutosi a delineare, successivamente all’ordinanza di rimessione, quanto alla prospettata inammissibilità in rito del ricorso incidentale, sta l’evidente infondatezza nel merito dell’impugnazione, per le ragioni di cui si dirà in prosieguo, sicché ritengono le Sezioni Unite che si possa soprassedere dal pronunciare sull’applicabilità o meno alla fattispecie dei principi di diritto enunciati dalle richiamate Cass. S.U. n. 24876/2017 e Cass. S.U. n. 30008/2019.
Infatti, sebbene, in linea generale e nella normalità, l’art. 276 cod. proc. civ., comma 2, imponga al giudice di esaminare con priorità le questioni pregiudiziali di rito rispetto a quelle di merito, non di meno non sono mancate pronunce di queste Sezioni Unite che, in ragione della peculiarità delle fattispecie che venivano in rilievo, hanno ritenuto di poter superare quell’ordine, valorizzando il principio dell’evidenza (Cass. S.U. 8 maggio 2014 n. 9936, Cass. S.U. 8 novembre 2015 nn. 23542 e 23543 del 2015).
19.1 Come si è anticipato il ricorso incidentale è manifestamente infondato.
Non integra violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. la mancata pronuncia sull’eccezione di inammissibilità dell’appello, perché il vizio denunciato è configurabile solo allorquando il giudice ometta di esaminare domande o eccezioni di merito (cfr. fra le tante Cass. 11 ottobre 2018 n. 25154 e Cass. 4 giugno 2021 n. 15613, che estende il medesimo principio al lodo arbitrale). L’omesso esame di una questione di carattere processuale non determina nullità della sentenza ed assume rilievo solo se l’implicito rigetto dell’eccezione di rito integri un error in procedendo, ossia la violazione delle norme processuali delle quali, nel formulare l’eccezione, la parte aveva lamentato la violazione.
Nella fattispecie l’errore denunciato, ossia la violazione degli artt. 434 e 346 cod. proc. civ., non è configurabile, atteso che la stessa ricorrente incidentale riconosce, nel corpo del motivo, che il Tribunale aveva ritenuto assorbente, per escludere la fondatezza del ricorso, l’inammissibilità della domanda di conversione e, di conseguenza, non aveva pronunciato sull’asserita nullità delle clausole di durata apposte ai contratti a tempo determinato intercorsi fra le parti.
E’ ius receptum l’orientamento secondo cui, qualora il giudice di primo grado non si sia espressamente pronunciato su una questione, avendola ritenuta assorbita, l’appellante può limitarsi a censurare specificamente il capo della decisione riguardante la questione assorbente ed è tenuto solo a riproporre ex art. 346 cod. proc. civ. la domanda sulla quale non vi è stata alcuna statuizione (cfr. fra le tante Cass. 20 dicembre 2021 n. 40833).
La riproposizione è libera nelle forme e va effettuata con modalità tali da rendere evidente, nel particolare contesto dell’atto nel quale si inserisce, la volontà di volere coltivare la domanda o l’eccezione, sicché la stessa non richiede che nell’appello vengano riportati integralmente gli argomenti sui quali il giudice di primo grado non ha pronunciato, essendo sufficiente che risulti chiaro l’intento dell’appellante di ottenere una pronuncia sugli stessi, una volta che venga accolto il motivo attinente alla questione assorbente.
Nel caso che ci occupa detta volontà è chiaramente espressa nelle conclusioni dell’atto di appello ed inoltre è imprescindibile presupposto dei motivi di gravame formulati avverso il capo della sentenza che aveva rigettato la domanda di conversione. E’ evidente, infatti, che quest’ultima domanda implica in sé la volontà di coltivare in appello la richiesta di accertamento dell’illegittimità del termine, in assenza del quale non avrebbe senso alcuno discutere di conversione, che necessariamente postula la nullità della clausola di durata.
20. La fondatezza del primo motivo del ricorso principale e l’infondatezza del ricorso incidentale rendono necessario l’esame del secondo motivo, con il quale è stata censurata da C.D. la seconda ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha ritenuto non convertibile in rapporto a tempo indeterminato i contratti a termine stipulati, in assenza dei presupposti di legge, con le fondazioni lirico –sinfoniche
20.1 Nel dare conto degli interventi normativi successivi alla trasformazione degli enti lirici in fondazioni di diritto privato si è già fatto cenno all’orientamento espresso dalla Sezione Lavoro sull’interpretazione dell’art. 22 del d.lgs. n. 367 del 1996, nel testo originario, e dell’art. 3, comma 6, del d.l. n. 64 del 2010.
Secondo quell’orientamento, richiamato ed avallato dalla Corte Costituzionale nella motivazione della sentenza n. 260 del 2015, la privatizzazione degli enti lirici ha indotto, quale effetto, l’estensione della disciplina privatistica dei rapporti di lavoro, anche speciali, fatte salve le specifiche deroghe espressamente previste dal legislatore, deroghe che non possono essere tratte da disposizioni antecedenti alla trasformazione, ove non richiamate, in quanto dette disposizioni, intervenute in un diverso contesto, si devono ritenere abrogate per incompatibilità con la nuova disciplina del rapporto privatizzato.
Valorizzando i commi 1 e 2 dell’art. 22 del d.lgs. n. 367 del 1996, che fissano, rispettivamente, in tema di rapporto a tempo determinato la regola e l’eccezione, nonché il disposto dell’art. 11 del d.lgs. n. 368 del 2001, sono stati, dunque, enunciati, da Cass. 20 marzo 2014 n. 6547 e da numerose pronunce successive conformi, i principi di diritto riportati nell’ordinanza interlocutoria secondo cui:
- ai contratti del personale artistico sottoscritti prima della trasformazione degli enti lirici in fondazioni con personalità giuridica di diritto privato (ovvero prima del 23 maggio 1998) sono inapplicabili le disposizioni della 18 aprile 1962, n. 230, e in particolare le norme sui rinnovi dei rapporti di lavoro (L. n. 426 del 1977, art. 3, commi 4 e 5);
- successivamente alla trasformazione (a partire, dunque, dal 23 maggio 1998), e fino all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001, ai contratti di lavoro a termine stipulati con le fondazioni lirico- sinfoniche si applica la disciplina prevista dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, con l’unica esclusione costituita dell’art. 2 legge, relativa alla proroghe, alla prosecuzione ed ai rinnovi dei contratti a tempo determinato, come stabilito dal D.Lgs. 29 giugno 1996, n. 367, art. 22;
- dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, ai contratti di lavoro a termine stipulati dal personale delle fondazioni lirico-sinfoniche previste dal D.Lgs. 29 giugno 1996, n. 367, si applicano le disposizioni di cui al Lgs. n. 368 del 2001, con le uniche esclusioni costituite dall’art. 4, relativo alle proroghe, e dall’art. 5, relativo alle prosecuzioni ed ai rinnovi, come stabilito dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11, comma 4;
- il D.L. 30 aprile 2010, n. 64, art. 3, comma 6, convertito in legge con modificazioni, con L. 29 giugno 2010, n. 100, nella parte in cui dispone che “alle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione soggetti di diritto privato, continua ad applicarsi la L. 22 luglio 1977, 426, art. 3, commi 4 e 5, e successive modificazioni, anche con riferimento ai rapporti di lavoro instaurati dopo la loro trasformazione in soggetti di diritto privato e al periodo anteriore alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368”, ha un valore meramente confermativo della inapplicabilità ai rapporti in esame delle norme in tema di rinnovi dei contratti a tempo determinato, dovendosi intendere tale termine riferito alla continuazione del rapporto di lavoro dopo la sua scadenza e per un periodo superiore a quello indicato dal legislatore, la riassunzione del lavoratore effettuata prima della scadenza del periodo minimo fissato dalla legge, nonchè, infine, il fenomeno delle assunzioni successive alla scadenza del termine e senza soluzione di continuità. L’art. 3 non riguarda invece i vizi afferenti alla mancanza dell’atto scritto e alla insussistenza delle ipotesi tipiche ovvero delle ragioni di carattere produttivo che legittimano l’apposizione del termine.
Per i contratti stipulati nella vigenza del d.lgs. n. 368 del 2001 si è, dunque, operata la distinzione fra il vizio genetico del rapporto, ravvisato in assenza di specificazione della causale e di insussistenza delle ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive, e quello derivante dal mancato rispetto della disciplina dettata dagli artt. 4 e 5 del decreto, in tema di prosecuzione, proroga e rinnovi.
L’impossibilità di convertire il rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato è stata affermata in relazione alle sole fattispecie per le quali il legislatore ha espressamente previsto la deroga all’applicazione della disciplina ordinaria, disciplina che la Sezione Lavoro, quanto alle conseguenze della nullità della clausola di durata, a partire da Cass. 21 maggio 2008 n. 12985 ha costantemente interpretato nel senso che, pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente l’insussistenza delle ragioni giustificative del termine, la nullità della clausola di durata resta circoscritta a quest’ultima e determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonché alla stregua dell’interpretazione dell’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001 alla luce della direttiva comunitaria 1999/70/CE e del sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato.
20.2 All’applicazione di detto ultimo principio non sono stati ritenuti ostativi né il divieto di assunzione a tempo indeterminato, che la disciplina settoriale snodatasi nel tempo ha imposto alle fondazioni liriche sinfoniche, in termini assoluti o relativi, né la previsione, contenuta nell’art. 11, comma 19, del l. n. 91 del 2013, secondo cui i rapporti di lavoro a tempo indeterminato con dette fondazioni si instaurano «esclusivamente» a seguito di procedure selettive pubbliche.
Le richiamate conclusioni sono state ribadite, fra le tante, da Cass. 10 dicembre 2019 n. 32150 e da Cass. 11 dicembre 2019 n. 32420 che, riprendendo l’iter argomentativo già sviluppato nelle precedenti pronunce, hanno ritenuto le disposizioni dettate in materia di blocco delle assunzioni norme esterne alla fattispecie dedotta in giudizio, perché riguardanti il funzionamento e l’autorganizzazione del datore di lavoro, con la conseguenza che le stesse, pur potendo incidere indirettamente sull’esistenza del rapporto invocata dal privato, non possono far degradare la posizione di diritto soggettivo sorta in conseguenza di atti di gestione del rapporto di tipo privatistico. Quanto agli adempimenti imposti per la costituzione del rapporto a tempo indeterminato si è evidenziato che «la circostanza che le assunzioni avvengano di norma per concorso pubblico (disposizione ben diversa da quella di cui all’art. 97 Cost.) non pone limitazioni al giudice in caso di accertata sussistenza dei presupposti per la conversione del rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato».
20.3 L’ordinanza interlocutoria osserva che l’orientamento espresso in tema di rilevanza, ai fini dell’accertamento della costituzione fra le parti di un valido rapporto di lavoro a tempo indeterminato, della normativa settoriale che pone limiti alle facoltà assunzionali contrasta con i principi di diritto enunciati dalla Sezione Lavoro in fattispecie nelle quali, pur discutendosi di contratti a termine stipulati da enti diversi dalle fondazioni lirico sinfoniche, venivano comunque in rilievo disposizioni limitative o proibitive delle assunzioni a tempo indeterminato, imposte dal legislatore, statale o regionale, in relazione a rapporti che, seppure regolati in linea generale dal diritto privato in ragione della natura del datore di lavoro, sono riferibili a soggetti che impiegano nella gestione risorse pubbliche e, in ragione di ciò, sono soggetti al controllo dell’amministrazione pubblica di riferimento, oltre che a quello contabile della Corte dei Conti.
Richiama, in particolare, quanto all’incidenza del divieto di assunzione, l’orientamento, espresso da Cass. 9 gennaio 2019 n. 274 e da numerose pronunce successive conformi, sull’impossibilità di convertire in rapporto a tempo indeterminato i contratti a termine stipulati dai Consorzi di bonifica della Regione Siciliana.
Evidenzia, poi, che, in relazione all’incidenza della normativa inerente alle modalità di costituzione dei rapporti a tempo indeterminato, a conclusioni diverse, rispetto a quelle espresse per le fondazioni lirico sinfoniche, la Sezione Lavoro è pervenuta in fattispecie nelle quali veniva in rilievo la normativa, come si è visto analoga se non sovrapponibile, dettata per regolare il reclutamento del personale delle società a controllo pubblico (orientamento inaugurato da Cass. 14 febbraio 2018 n. 3621 e poi ripreso e sviluppato da Cass. 23 luglio 2019 n. 19925, Cass. 11 febbraio 2022 n. 4571, Cass. 14 settembre 2022 n. 27126, Cass. 14 ottobre 2022 n. 30235).
Sottolinea che quest’ultimo orientamento ha fatto leva sull’analogo principio affermato da queste Sezioni Unite con la sentenza 9 marzo 2015 n. 4685 sugli enti pubblici economici della Regione Sicilia, con la quale la convertibilità del rapporto, seppure privatistico, è stata ritenuta condizionata dall’assenza di una disciplina di settore volta ad imporre per il reclutamento procedure concorsuali o selettive.
Rileva, infine, che quelle pronunce hanno richiamato il principio, più generale, enunciato da queste Sezioni Unite con la sentenza 19 dicembre 2007 n. 26724 che, ribadita la rilevanza ai fini della cosiddetta nullità virtuale della tradizionale distinzione fra norme di comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto, ha osservato, in motivazione, che nell’area delle norme inderogabili sono sicuramente ricomprese quelle disposizioni che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto.
La questione posta dall’ordinanza interlocutoria, seppure prospettata in relazione alle fondazioni lirico sinfoniche, chiama, dunque, queste Sezioni Unite a pronunciare su un tema più generale, ossia sulla possibilità di ritenere costituito fra le parti, come conseguenza dell’inefficacia o nullità della clausola appositiva del termine, un valido rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in presenza di discipline settoriali che facciano divieto di instaurazione di detto rapporto o la subordinino al rispetto di forme di reclutamento finalizzate alla selezione dei più meritevoli ed alla verifica della sussistenza dei requisiti richiesti per l’assunzione.
21. Il tema si collega a quello, di respiro ancor più ampio, della nullità contrattuale cosiddetta «virtuale», ossia non espressamente sancita dal legislatore, che rileva anche in ambito lavoristico.
I principi affermati dalla citata Cass. S.U. n. 26724 del 2007 sono stati più di recente ripresi e sviluppati da queste Sezioni Unite con la sentenza 15 marzo 2022 n. 8472, che ha ribadito l’orientamento secondo cui la mancanza di una espressa sanzione di nullità non è decisiva per escludere che l’atto negoziale sia nullo, atteso che l’art. 1418, comma 1, cod. civ., è espressione di un principio di carattere generale, ed è volto ad impedire che possano essere produttivi di effetti negozi giuridici posti in essere in violazione di norme imperative.
Affermato che imperatività della norma non è sinonimo di inderogabilità, perché solo la prima è espressione di interessi pubblici fondamentali per l’ordinamento, le Sezioni Unite hanno ripercorso lo sviluppo giurisprudenziale che ha portato progressivamente a superare la tesi secondo cui l’invalidità deve rimanere circoscritta al vizio o alla mancanza dell’elemento costitutivo della fattispecie negoziale, ossia al contenuto del negozio, ed hanno sottolineato che alla base del superamento del «dogma della fattispecie» sta l’esigenza di tutelare i preminenti interessi generali della collettività, che la norma imperativa intende tutelare.
Si è detto, dunque, ed il principio è stato poi ribadito da Cass. S.U. 16 novembre 2022 n. 33719, che «pur nel polimorfismo che caratterizza la nozione di nullità negoziale, un elemento accomunante nella evoluzione giurisprudenziale si coglie nella tendenza attuale a utilizzare tale nozione – e quella di norma imperativa – come strumento di reazione dell’ordinamento rispetto alle forme di programmazione negoziale lesive di valori giuridici fondamentali», con la conseguenza che, come già avvertito da Cass. S.U. n. 26724 del 2007, ai fini dell’accertamento sulla sussistenza o meno della nullità e sul carattere imperativo della norma, non sempre è decisiva la tradizionale distinzione fra norme di comportamento e norme di validità, giacché non di rado la tutela di interessi generali e fondamentali è assicurata da disposizioni che non attengono al contenuto del regolamento contrattuale, bensì riguardano elementi esterni al negozio. E’ stato, quindi, affermato che è ravvisabile la nullità del contratto in tutti i casi in cui lo stesso, pur formalmente rispondente al tipo legale quanto ai requisiti richiesti dall’art. 1325 cod. civ., «è stato stipulato in situazioni che lo avrebbero dovuto impedire», evenienza, questa, che si verifica ogniqualvolta il legislatore faccia divieto di concludere il negozio o richieda la presenza di condizioni soggettive o oggettive per la sua stipulazione.
21.1 La tesi già accolta da queste Sezioni Unite, che deve essere qui ribadita, valorizza, dunque, i limiti posti dal legislatore all’esercizio del potere di autonomia dei privati e prospetta una ricostruzione dell’invalidità che tiene conto delle indicazioni che si traggono dall’art. 41 Cost., secondo cui l’iniziativa economica privata, pur libera, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
In quest’ottica sono da ricondurre alle norme imperative, che determinano nullità ex art. 1418, comma 1, cod. civ., oltre a quelle che fanno divieto assoluto di stipulazione del contratto, anche le disposizioni che, pur fissando apparentemente un obbligo di comportamento esterno alla fattispecie negoziale in senso stretto, limitano il potere di autonomia contrattuale e ne consentono l’esplicazione solo in presenza delle condizioni richieste, sempre che quest’ultime rispondano ad interessi pubblici fondamentali rispetto ai quali, secondo il bilanciamento operato dal legislatore, l’autonomia del singolo viene ad essere subvalente.
21.2 Queste Sezioni Unite non hanno mancato di sottolineare, ed il principio deve essere qui ribadito, che l’applicazione dell’art. 1418, comma 1, cod. civ., in presenza di norma ritenuta imperativa in ragione degli interessi pubblici che la stessa tutela, non apre la strada alla discrezionalità del giudice nell’individuazione di nuove ipotesi di nullità.
Occorre, infatti, che la norma abbia un contenuto specifico, preciso ed individuato; che la stessa non preveda specificamente altra sanzione per la sua violazione; che il giudizio sulla natura imperativa e sugli interessi che la disposizione mira ad assicurare venga espresso senza mai trascurare che il bilanciamento fra gli opposti interessi in gioco è riservato al legislatore, il cui silenzio quanto alla sanzione, seppure non decisivo, non può essere ritenuto irrilevante e va sempre apprezzato dall’interprete.
22. Applicando detti principi alla fattispecie che qui viene in rilievo si deve affermare che è affetto da nullità ex art. 1418, comma 1, cod. civ. il rapporto di lavoro a tempo indeterminato instaurato dalla fondazione lirico sinfonica in violazione dei divieti di assunzione imposti dalla normativa vigente ratione temporis o in assenza delle prescritte procedure selettive pubbliche richieste per la scelta del
Si è in presenza, infatti, di norme inderogabili, di contenuto specifico e ben individuato, imperative perché dettate a tutela di interessi di carattere generale, non dissimili da quelli la cui realizzazione è imposta alle amministrazioni pubbliche dall’art. 97 Cost. e dalle disposizioni dettate per l’impiego pubblico contrattualizzato dal d.lgs. n. 165 del 2001.
22.1 Si è già detto della particolare connotazione che le fondazioni liriche sinfoniche hanno in ragione delle finalità alle stesse imposte dal legislatore delegato che, con l’art. 3 del d.lgs. n. 367 del 1996, ha indicato quale scopo quello, non di lucro, della diffusione dell’arte musicale, della formazione professionale dei quadri artistici e dell’educazione musicale della collettività.
La presenza di un preminente interesse generale giustifica i limiti posti all’autonomia statutaria e gestionale delle fondazioni medesime, quali: la sottoposizione degli statuti al potere di approvazione del Ministero; la vigilanza da parte di quest’ultimo; il controllo della Corte dei Conti; l’obbligatorietà delle procedure di risanamento del deficit disciplinate dal d.l. n. 91 del 2013. Il d.lgs. n. 376 del 1996 annovera lo Stato, le Regioni e i Comuni tra i soci di diritto della fondazione, dagli stessi finanziata in via prevalente attraverso il Fondo Unico per lo spettacolo ed i contributi locali; pone limiti alla partecipazione di fondatori privati, il cui contributo non può superare il 40% del patrimonio; stabilisce la necessaria rappresentanza in seno all’organo deliberativo dello Stato e della Regione, a prescindere dall’ammontare dei contributi dagli stessi versati; assegna la presidenza della fondazione al Sindaco del luogo dove ha sede l’ente.
Si tratta di indici di una persistente rilevanza di tipo pubblicistico che hanno indotto la dottrina a ritenere l’intervenuta privatizzazione più formale che sostanziale e che sono stati valorizzati dalla Corte costituzionale nell’affermare che «la dimensione unitaria dell’interesse pubblico perseguito, nonché il riconoscimento della “missione” di tutela dei valori costituzionalmente protetti dello sviluppo della cultura e della salvaguardia del patrimonio storico e artistico italiano, confermano, sul versante operativo, che le attività svolte dalle fondazioni lirico-sinfoniche sono riferibili allo Stato ed impongono, dunque, che sia il legislatore statale, legittimato dalla lettera g) del secondo comma dell’art. 117 Cost., a ridisegnarne il quadro ordinamentale e l’impianto organizzativo.» ( Corte Cost. 21 aprile 2011 n. 153).
Il limite posto alle facoltà assunzionali delle fondazioni e gli stringenti obblighi fissati in tema di determinazione delle dotazioni organiche disvelano un approccio di tipo pubblicistico alla questione del contenimento della spesa per il personale, reso necessario dalla situazione deficitaria delle fondazioni, tanto che i commentatori della normativa snodatasi nel tempo non hanno esitato nel definire anomala la disciplina che, pur a fronte dell’intervenuta attribuzione della personalità giuridica di diritto privato, assegna al Ministero vigilante un penetrante potere di intervento, anche attraverso la riserva a quest’ultimo del potere di autorizzazione, in deroga, di nuove assunzioni.
A fronte degli interessi di carattere generale che costituiscono il substrato e la ratio degli interventi normativi, non si può, dunque, ritenere che le conseguenze della violazione del divieto di assunzione debbano rimanere circoscritte alla responsabilità gestionale e contabile degli amministratori che quelle assunzioni hanno disposto perché, come già evidenziato da Cass. S.U. n. 26704 del 2007 « se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni – se così può dirsi – ancor più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto medesimo».
22.2 Analoghe considerazioni vanno espresse quanto all’obbligo imposto alle fondazioni di effettuare il reclutamento solo previo esperimento di procedure selettive pubbliche.
Quell’obbligo, che come per le società controllate si lega al ruolo che in seno al soggetto privato svolge l’ente pubblico che ne assume il controllo o la vigilanza, si prefigge lo scopo di assicurare che le pubbliche amministrazioni agiscano nel rispetto dei principi indicati dall’art. 97 Cost. anche allorquando il perseguimento degli interessi pubblici, che giustificano la partecipazione maggioritaria e di controllo alla persona giuridica di diritto privato, venga realizzato non direttamente dall’ente, ma per il tramite di un soggetto privato.
Non a caso la Corte Costituzionale ha ritenuto (per le società a controllo pubblico ma sviluppando considerazioni che possono valere anche nella fattispecie) che i criteri di trasparenza, pubblicità e imparzialità per il reclutamento di personale debbano venire in rilievo anche rispetto all’agire delle pubbliche amministrazioni per mezzo di soggetti privati dalle stesse controllati (Corte Cost. n. 3 marzo 2011 n. 68).
D’altro canto se, come già affermato da Cass. S.U. n. 33719 del 2022, il silenzio serbato dal legislatore sul vizio derivante dalla violazione della norma inderogabile va apprezzato dall’interprete e può essere indice del carattere non imperativo della disposizione, correlativamente si deve ritenere che qualora, a fronte di diversi orientamenti espressi sulla natura della norma e sulle conseguenze della sua violazione, il legislatore intervenga e sancisca la nullità del contratto, quell’intervento, seppure successivo, deve orientare nella valutazione sul carattere imperativo o meno della disposizione che già in precedenza imponeva il medesimo requisito.
Nella specie la sanzione della nullità conseguente alla violazione delle procedure di reclutamento è contenuta nell’art. 22, comma 2 bis, del d.lgs. n. 367 del 1996, come riformulato dal d.l. n. 59 del 2019, e ciò conferma l’imperatività dell’art. 11, comma 19, del d.l. n. 91 del 2013 che l’ordinanza interlocutoria, sostanzialmente, prospetta.
23. Venendo alle conseguenze di quanto si è sin qui detto sulla sorte dei rapporti a termine con clausola di durata affetta da nullità, ritengono le Sezioni Unite che il contrasto, fra i principi che sorreggono le decisioni, denunciato nell’ordinanza interlocutoria, debba essere risolto con l’affermazione della prevalenza delle disposizioni settoriali che vietano in assoluto l’instaurazione di rapporti a tempo indeterminato o ne consentono la stipula solo in presenza di requisiti oggettivi e soggettivi imperativamente richiesti dal legislatore.
Quelle disposizioni, infatti, quanto agli effetti che producono sulla validità del contratto, non possono restare circoscritte, come sostenuto dalla difesa del ricorrente anche nel corso della discussione orale, ai soli rapporti instaurati ab origine a tempo indeterminato, perché la tesi predicata, che fa leva sul preteso diritto soggettivo alla conversione, finisce per ipotizzare che sia possibile che si produca, in conseguenza della sentenza accertativa della nullità della clausola di durata, un effetto espressamente vietato dal legislatore.
Si è già richiamato al punto 20.1 il percorso argomentativo che la Sezione Lavoro, a partire da Cass. n. 12985/2008, ha seguito per affermare che, pur in difetto di una espressa previsione, nella vigenza del d.lgs. n. 368/2001, la nullità originaria della clausola di durata, resta circoscritta a quest’ultima, con la conseguenza di determinare l’instaurazione fra le parti di un rapporto a tempo indeterminato.
Quell’orientamento, consolidato nella giurisprudenza della Sezione Lavoro, valorizza il principio di carattere generale secondo cui il rapporto di lavoro si intende nella normalità stipulato a tempo indeterminato, sicché non può trovare applicazione nei casi in cui, per effetto di disposizioni speciali settoriali, la conclusione del rapporto a tempo indeterminato sia impedita in assoluto o sia subordinata alla ricorrenza di specifiche condizioni, imposte da norme imperative.
Sia la conversione disciplinata dall’art. 1424 cod. civ. sia quella, connotata da specialità, che tale si è soliti definire in ambito lavoristico, presuppongono che l’atto posto in essere possa validamente produrre gli effetti di altro contratto, sicché la stessa non può operare qualora quest’ultimo, a sua volta, si riveli affetto da nullità.
In tali casi, quindi, si è in presenza di un contratto di lavoro nullo, rispetto al quale le tutele, sul piano del diritto interno, sono solo quelle assicurate dall’art. 2126 cod. civ..
24. Né si può sostenere che la conversione del rapporto a termine dovrebbe necessariamente derivare dalla necessaria conformazione al diritto dell’Unione ed in particolare alla clausola 5 dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE.
Precisato, in premessa, che la richiamata clausola viene in rilievo nei soli casi in cui si sia in presenza di una reiterazione abusiva del contratto, va detto che la Corte di Giustizia nella decisione del 25 ottobre 2018, in causa C-331/17, ha ribadito, ai punti 59 e 60 della motivazione, l’interpretazione consolidata secondo cui «la clausola 5, punto 2, dell’accordo quadro lascia, in linea di principio, agli Stati membri la cura di determinare a quali condizioni i contratti o i rapporti di lavoro a tempo determinato vadano considerati come conclusi a tempo indeterminato. Da ciò discende che l’accordo quadro non prescrive le condizioni in presenza delle quali si può fare uso dei contratti a tempo determinato (sentenza del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, EU:C:2014:2401, punto 80, nonché ordinanza dell’11 dicembre 2014, León Medialdea, C-86/14, non pubblicata, EU:C:2014:2447, punto 47). …. Tuttavia, affinché una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che vieta, nel settore delle fondazioni lirico-sinfoniche, la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato di una successione di contratti a tempo determinato, possa essere considerata conforme all’accordo quadro, l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere, in tale settore, un’altra misura effettiva per evitare, ed eventualmente sanzionare, l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato (v., per analogia, sentenze del 14 settembre 2016, Martínez Andrés e Castrejana López, C-184/15 e C-197/15, EU:C:2016:680, punto 41, nonché del 7 marzo 2018, Santoro, C-494/16, EU:C:2018:166, punto 34).».
Ha, conseguentemente, ritenuto non conforme al diritto dell’Unione la richiamata normativa sul presupposto che, una volta esclusa la conversione, l’ordinamento nazionale non assicurerebbe alcuna misura idonea a sanzionare l’abuso ( punto 62 ove si legge: « Ne deriva che l’ordinamento giuridico italiano non comprende, nel settore delle fondazioni lirico-sinfoniche, nessuna misura effettiva, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 60 della presente sentenza, che sanzioni l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato, e ciò sebbene il personale di tale settore, contrariamente ai lavoratori di cui trattasi nella causa che ha condotto alla sentenza del 7 marzo 2018, Santoro (C-494/16, EU:C:2018:166, punti 35 e 36), non abbia diritto all’attribuzione di un’indennità ai fini del risarcimento del danno subito»).
24.1 In realtà la misura rimediale del risarcimento del danno è riconosciuta dall’ordinamento nazionale in ogni ipotesi di responsabilità contrattuale o extracontrattuale ed anche qualora venga in rilievo un contratto invalido (art. 1338 cod. civ.).
L’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, applicabile alle Pubbliche Amministrazioni, nella parte in cui prescrive che «il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di norme imperative» (disposizione, questa, integralmente ripresa per i dipendenti delle fondazioni lirico sinfoniche dall’art. 29, comma 3 ter, del d.lgs. n. 81 del 2015, come modificato dal d.l. n. 59 del 2019) è specificazione di un principio di carattere generale, sicché gli argomenti sulla base dei quali queste Sezioni Unite, con sentenza n. 5072 del 15 marzo 2016, hanno ritenuto necessaria, a fronte della legittima previsione della non convertibilità dei rapporti a termine, un’agevolazione probatoria che conduca al riconoscimento ed alla liquidazione del «danno comunitario», necessari, in caso di reiterazione abusiva del contratto a tempo determinato, per conformare il diritto interno a quello dell’Unione, possono essere estesi anche alle fattispecie nelle quali la conversione, per la qualità soggettiva del datore di lavoro e per la natura del rapporto del quale si discute, sia impedita da norme diverse dall’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, che nulla di specifico prevedano quanto alla pretesa risarcitoria.
Merita condivisione l’orientamento espresso in tal senso dalla Sezione Lavoro (cfr. fra le tante Cass. 22 febbraio 2017 n. 4631; Cass. 26 febbraio 2020 n. 12876; Cass. 15 settembre 2020 n. 25625; Cass. 22 marzo 2022 n. 9372) secondo cui anche in caso di inapplicabilità dell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, le norme di diritto interno che disciplinano il risarcimento del danno vanno interpretate in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, ( ora art. 28 del d.lgs. n. 81 del 2015) quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto.
La Corte di Lussemburgo, chiamata a pronunciare sulla conformità al diritto dell’Unione, dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001, come interpretato da queste Sezioni Unite, ha evidenziato che «la clausola 5 dell’accordo quadro dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che, da un lato, non sanziona il ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, a una successione di contratti a tempo determinato mediante il versamento, al lavoratore interessato, di un’indennità volta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato bensì, dall’altro, prevede la concessione di un’indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione di detto lavoratore, accompagnata dalla possibilità, per quest’ultimo, di ottenere il risarcimento integrale del danno» anche facendo ricorso, quanto alla prova, a presunzioni (Corte di Giustizia 7.3.2018 in causa C – 494/16 Santoro).
Il riconoscimento del «danno comunitario», nei termini sopra indicati, comporta, dunque, la piena conformazione del diritto interno a quello unionale.
24. 2 Infine va escluso che la ritenuta non convertibilità dei rapporti a termine stipulati dalle fondazioni lirico sinfoniche possa essere ritenuta discriminatoria rispetto ai lavoratori dipendenti di datori di lavoro privati, ai quali l’ordinamento assicura la conversione del rapporto stesso, oltre all’indennità onnicomprensiva prevista dalle disposizioni richiamate nel punto che precede.
Basterà al riguardo richiamare quanto sopra si è detto circa la natura peculiare dei rapporti dei quali qui si discute, che si correla agli interessi di natura pubblica che permangono anche all’esito della trasformazione delle fondazioni in soggetti di diritto privato e che ab origine ha giustificato la disciplina settoriale dettata dal legislatore. Detti rapporti non sono, dunque, comparabili con quelli alle dipendenze degli altri datori di lavoro privati e, rispetto al tema che qui viene in rilievo, presentano, piuttosto, profili di affinità al rapporto di impiego pubblico contrattualizzato, in relazione al quale la diversità di tutela rispetto al settore privato non è stata ritenuta né discriminatoria né in contrasto con i principi dettati dalla richiamata direttiva 1979/70/CE.
25. In via conclusiva il ricorso principale va accolto limitatamente al primo motivo e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame, al fine dell’accertamento del diritto al risarcimento del danno comunitario, e si atterrà ai principi di diritto che, sulla base delle considerazioni sopra esposte, di seguito si enunciano:
- in caso di successione di leggi nel tempo la legittimità della clausola di durata apposta al contratto a tempo determinato e le conseguenze che derivano dall’invalidità della stessa devono essere valutate facendo applicazione della disciplina vigente al momento dell’instaurazione del rapporto;
- l’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, nel testo antecedente alle modifiche apportate dalla legge n. 92 del 2012, impone di specificare nel contratto le ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive che giustificano l’assunzione a tempo determinato e detto obbligo di specificazione non può essere soddisfatto per le fondazioni lirico sinfoniche attraverso la sola indicazione dello spettacolo o dell’opera, non sufficiente, rispetto ad un’attività che si caratterizza per essere finalizzata alla produzione in ogni stagione di una serie di rappresentazioni, a rendere evidenti le ragioni oggettive del ricorso al rapporto a tempo determinato;
- nei casi di rapporto a tempo determinato con clausola affetta da nullità l’instaurazione del rapporto a tempo indeterminato è impedita dalle norme imperative settoriali, vigenti al momento della stipulazione del contratto, che fanno divieto assoluto di assunzione a tempo indeterminato o subordinano l’assunzione stessa a specifiche condizioni oggettive e soggettive, fra le quali rientra il previo esperimento di procedure pubbliche concorsuali o selettive;
- in caso di reiterazione di contratti a tempo determinato, affetti da nullità perché stipulati in assenza di ragioni temporanee, ove la conversione sia impedita dalle norme settoriali richiamate al punto che precede, vigenti ratione temporis, le disposizioni di diritto interno, che assicurano il risarcimento in ogni ipotesi di responsabilità, vanno interpretate in conformità al canone dell’effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia e, pertanto, al lavoratore deve essere riconosciuto il risarcimento del danno con esonero dall’onere probatorio nei limiti previsti dall’art. 32 della legge 4 novembre 2010 n.183 ( successivamente trasfuso nell’art. 28 del d.lgs. 15 giugno 2015 n. 81), ferma restando la possibilità di ottenere il ristoro di pregiudizi ulteriori, diversi dalla mancata conversione, ove allegati e provati.
26. Alla Corte territoriale è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente incidentale.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, accoglie il primo motivo del ricorso principale e rigetta il secondo motivo. Rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo ed al ricorso accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto