Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza n. 8486 depositata il 28 marzo 2024

Azione di risarcimento danno – questione di massima di particolare importanza sull’interpretazione dell’art. 334 cpc in materia di obbligazioni solidali – il principio di consumazione dell’impugnazione non esclude che, fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità, possa essere proposto un secondo atto di impugnazione, immune dai vizi del precedente, destinato a sostituirlo e relativo anche a capi della sentenza diversi da quelli oggetto del precedente atto di impugnazione – Obbligazioni solidali – appello – coobbligato solidale – impugnazione principale – impugnazione tardiva adesiva – ammissibilità – consumazione

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Tribunale di Varese, con sentenza n. 281 del 2011, in accoglimento della domanda proposta dal fallimento di A. s.p.a., in liquidazione, condannava P.P., C.M. e S.P., in solido fra loro, a pagare, in favore dell’attore, la somma di € 2.413.810,63, oltre accessori fino alla concorrenza di € 2.500.000,00 per il danno arrecato, nella loro qualità di amministratori delegati, alla società e ai creditori sociali per la perdita di bancali non rinvenuti dal Curatore.

La Curatela del citato Fallimento aveva originariamente convenuto in giudizio anche altri amministratori e i sindaci, con i quali, però, nelle more del giudizio di primo grado, erano intervenute una serie di transazioni pro quota.

1.1 Avverso la sentenza di primo grado formulava appello principale P.P. (con atto di citazione notificato anche ai condebitori), a seguito del quale S.P., nel costituirsi in giudizio (con comparsa del 29 dicembre 2011), avanzava appello incidentale, chiedendo, a sua volta, in riforma della sentenza del Tribunale, il rigetto delle domande del menzionato Fallimento nonché della domanda di manleva spiegata dal P.P. nei suoi confronti.

Nel giudizio di appello interveniva la L.I. s.r.l., quale assuntrice del concordato fallimentare di A. s.p.a. in liquidazione, proponendo appello incidentale condizionato, con cui invocava la condanna del P.P. e del S.P. in solido, nei limiti della somma di euro 2.500.000,00, in ragione delle ulteriori condotte addebitate con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado e disattese dalla sentenza di primo grado.

All’udienza (del 25 gennaio 2012, differita ex art. 168-bis, comma 4, c.p.c. al 26 gennaio 2012) fissata per la prima comparizione delle parti, si costituiva in giudizio anche C.M., attraverso una comparsa “contenente di fatto” un’impugnazione incidentale (così qualificata dalla Corte di appello ed adesiva a quella dell’appellante principale P.P.).

Inoltre, lo stesso C.M., con autonomo atto di citazione notificato a L.I. s.r.l. (costituitasi nel giudizio di appello, nella qualità di assuntore del Concordato fallimentare del Fallimento A. s.p.a.), impugnava la sentenza di primo grado sollecitando il rigetto delle pretese risarcitorie del Fallimento.

La Corte d’appello di Milano, riunite le impugnazioni proposte contro la medesima sentenza, con sentenza n. 2346 del 2016 (depositata il 14 giugno 2016) , in accoglimento degli appelli proposti da P.P., C.M. e S.P., in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava che gli stessi nulla dovevano al predetto Fallimento per essere il relativo credito già estinto in conseguenza dell’intervenuto pagamento da parte degli originari coobbligati, nonché, conseguentemente, assorbita la domanda di manleva proposta dal P.P. nei confronti del S.P..

Con la medesima sentenza la Corte d’appello riteneva infondate le eccezioni di inammissibilità dell’impugnazione proposta da C.M., sollevate da L.I. s.r.l., in ragione del fatto che il suo interesse all’impugnazione sarebbe sorto dall’appello incidentale del coobbligato S.P..

Al riguardo, nella sentenza della Corte d’appello si legge (alle pagg. 17-18) testualmente: «…Discende da quanto argomentato che S.P. ha, comunque, impugnato tempestivamente la sentenza de qua. Benché analoghe conclusioni non si possano trarre nei confronti di C.M. posto che la sua costituzione nell’ambito dell’appello iscritto al N. R.G. 3322/2011 (ancorché allo stesso modo  contenente  di  fatto  impugnazione  incidentale)  è avvenuta direttamente all’udienza, quindi senza il rispetto dei termini di cui all’art. 334, comma 1, c.p.c., ritiene tuttavia la Corte che l’impugnazione notificata a L.I. il 26/01/2012 possa valere quale impugnazione incidentale tardiva, ex art. 334, comma 2, c.p.c. e sia perciò da ritenersi ammissibile. Ciò sul rilievo che l’impugnazione incidentale del coobbligato S.P. (nel procedimento N. R.G. 3322/2011) ha determinato l’insorgere in capo a Carlo Aberto C.M. di nuovo ed autonomo interesse ad impugnare la sentenza nei confronti di L.I. s.r.l., conseguendo ad essa la possibilità – in caso di accoglimento (anche) del gravame proposto da detto coobbligato – di vedere definitivamente perso il vincolo della solidarietà e di trovarsi perciò esposto, da solo e per l’intero, alla pesante condanna emessa dal tribunale (arg. ex Cass. S.U. 24627/2007)».

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.2  Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione L.I. s.r.l., quale assuntrice del Concordato fallimentare del Fallimento A. s.p.a., nei confronti del solo C.M., censurandola, nella sostanza, per avere ritenuto ammissibile il relativo appello incidentale avverso la sentenza di primo grado sulla base del percorso motivazionale poc’anzi riportato.

1.2.1 Con il primo motivo si denuncia – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e falsa applicazione degli artt. 343, comma 2, e 100 c.p.c., deducendo che, essendo stato introdotto l’appello principale, proposto nei confronti della  Curatela,  dal  P.P.,  C.M. avrebbe dovuto proporre il proprio gravame in via incidentale, nelle modalità previste dall’art. 343, comma 1, c.p.c. o notificando un atto introduttivo nel termine di venti giorni prima dell’udienza fissata; l’appellato, non avendo rispettato questo termine, avrebbe dovuto essere considerato decaduto dalla possibilità di impugnare, non potendo trovare applicazione il comma 2 dell’art. 343 c.p.c., in quanto – contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello – nessun “nuovo e autonomo” interesse ad impugnare sarebbe sorto dall’impugnazione incidentale del S.P..

Si sostiene che, d’altra parte, il precedente delle Sezioni unite n. 24627 del 2007 (evocato nella sentenza impugnata), che ha ritenuto ammissibile l’impugnazione incidentale tardiva e adesiva del coobbligato, nel caso di impugnazione principale esperita dall’altro coobbligato avverso la sentenza di condanna in solido, sarebbe stato erroneamente posto a sostegno della conclusione di ammissibilità dell’appello del C.M., in quanto da esso non potrebbe trarsi alcun argomento ai fini dell’applicabilità, al caso di specie, dell’art. 343, comma 2, c.p.c.

Si evidenzia che la citata pronuncia delle Sezioni unite, infatti, da un lato si riferirebbe a una diversa norma, l’art. 334 c.p.c., e, quindi, all’appello incidentale tardivo in senso stretto, e, dall’altro lato, risolvendo il contrasto sull’ammissibilità dell’impugnazione incidentale tardiva adesiva, individuerebbe proprio nell’impugnazione principale la fonte dell’interesse all’impugnazione.

Si precisa che, nel caso di specie, invece, avrebbe dovuto escludersi che l’interesse all’impugnazione di C.M., tesa ad ottenere la riforma della sentenza di primo grado per gli stessi motivi dedotti a sostegno dell’impugnazione principale proposta dal P.P., e quindi adesiva alla principale, fosse sorto dall’impugnazione incidentale (anch’essa adesiva alla principale) del S.P. «perché solo l’impugnazione principale segna, a tutto concedere, il discrimine tra la definitività dell’assetto stabilito in sentenza, che potrebbe essere accettata dalle parti soccombenti (di qui la ratio dell’art. 334 c.p.c.) e un possibile diverso assetto del rapporto, che può evidentemente essere anche di natura quantitativa».

Si aggiunge che a ragionare diversamente, cioè individuando nell’appello incidentale tempestivo del coobbligato (nel giudizio di impugnazione promosso da altro coobbligato) un fatto idoneo a far sorgere un nuovo e distinto interesse di un terzo coobbligato (nel caso di specie il C.M.), consentendone l’appello incidentale tardivo nel termine di cui all’art. 343, comma 2, c.p.c., si sovvertirebbe il sistema di preclusioni delineato dal codice di procedura civile in tema di impugnazioni, rendendosi ammissibili appelli incidentali tardivi “a catena”, tanti quanti sono gli obbligati, con successive fissazioni di udienze, tante quante sono le parti in lite.

Si segnala, inoltre, che lo stesso precedente delle Sezioni unite del 2007 è stato superato dalla successiva giurisprudenza di questa Corte, che è tornata ad affermare l’inammissibilità dell’impugnazione incidentale tardiva adesiva (si citano Cass. 25 febbraio 2008, n. 1610; Cass. 28 aprile 2014, n. 9369; Cass. 23 luglio 2014, n. 16787).

1.2.2 Con il secondo motivo di ricorso si lamenta – con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e falsa applicazione degli artt. 333, 334 e 343 c.p.c., perché la Corte di merito, dichiarando tardivo l’appello incidentale proposto da C.M. nella comparsa depositata all’udienza del 26 gennaio 2012 e, viceversa, tempestivo l’appello incidentale proposto con citazione notificata nella stessa data, sarebbe contraddittoria e non avrebbe considerato che, stante la natura incidentale dell’impugnazione, l’atto di citazione con cui la stessa era stata introdotta doveva essere notificato entro il termine previsto dall’art. 343, comma 1, c.p.c. (vale a dire entro il 5 gennaio 2012).

1.2.3 Con il terzo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deduce – per il caso in cui non si ritenesse che la Corte di merito, nel riferirsi all’art. 334 c.p.c., anziché all’art. 343 c.p.c., sia incorsa in un mero errore materiale – la violazione e falsa applicazione dell’art. 334 c.p.c., in quanto tale norma non stabilisce il termine per la proposizione dell’appello incidentale, ma solo la possibilità per le parti convenute di proporlo.

1.3 Ha resistito con controricorso l’intimato C.M., il quale deduce l’applicabilità al caso di specie del principio enunciato dalle Sezioni Unite nella già indicata sentenza n. 24627 del 2007, ritenendo irrilevante il fatto che nella pronuncia la Corte di legittimità si sia specificamente occupata di stabilire l’ammissibilità dell’impugnazione ai sensi dell’art 334 c.p.c. e che abbia individuato nell’impugnazione principale la  fonte  dell’interesse  ad  ad impugnare.   Con  tale sentenza, infatti, la Corte di cassazione ha affermato il principio secondo cui «l’impugnazione incidentale tardiva va sempre concessa contro le sentenze di condanna di coobbligati solidali, anche quando le loro posizioni siano sicuramente coincidenti e non si verifichi tra esse alcun rapporto di interrelazione che dia luogo a cause dipendenti». Non vi sarebbe, pertanto, ragione di distinguere tra impugnazione incidentale tardiva, perché proposta successivamente alla scadenza dei termini ex art. 325 e ss., ed impugnazione incidentale tardiva ex art. 343, comma 2, c.p.c., né tra l’ipotesi in cui l’interesse derivi dall’impugnazione principale e quella in cui l’interesse derivi da altra impugnazione incidentale di un coobbligato in solido.

Quanto allo specifico interesse all’impugnazione sorto dall’impugnazione del S.P., lo stesso controricorrente rappresenta che l’accoglimento del gravame di S.P. avrebbe per lui comportato il venir meno di coobbligati solidali con cui ripartire l’esito negativo della soccombenza. Ritiene che la proposizione dell’impugnazione adesiva del secondo coobbligato (a quella principale proposta dal primo coobbligato) aggraverebbe la posizione personale del terzo coobbligato, ulteriormente rispetto a quanto determinato dall’impugnazione principale, perché rischierebbe di far venir meno un altro (e ultimo) coobbligato.

In ordine al secondo motivo di ricorso, oltre a dedurne l’inammissibilità riproponendo la censura già svolta con il primo motivo, il medesimo controricorrente ne sostiene l’infondatezza nel merito. Rileva che non corrisponde al vero che  la  Corte  d’appello  abbia  dichiarato  tardivo  l’appello incidentale proposto con la comparsa depositata all’udienza, essendosi limitata ad accertare che la costituzione era avvenuta senza il rispetto dei termini di cui all’art. 343, comma 1, c.p.c. qualificando ammissibile il suo appello quale impugnazione incidentale tardiva ex art. 343, comma 2, c.p.c.

Infine, con riferimento al terzo motivo di ricorso, il controricorrente riconosce che la Corte d’appello è incorsa in errore materiale e che, pertanto, il richiamo all’art. 334 c.p.c. va inteso come richiamo all’art. 343 c.p.c., e conclude, quindi, per l’inammissibilità del motivo.

2. Fissata la trattazione del ricorso dinanzi alla I Sezione civile, il collegio designato per la stabilita adunanza camerale del 30 maggio 2023 adottava, all’esito, l’ordinanza interlocutoria n. 20588 del 2023 (pubblicata il 17 luglio 2023), con la quale si ravvisava la necessità del “superamento della distonia tuttora persistente nella giurisprudenza di questa Corte” (di cui – si rammenta – ha già dato atto Cass., Sez. 3, n. 26139 del 5/09/2022) sulla disciplina delle impugnazioni incidentali tardive prevista, in via generale, dall’art. 334 c.p.c., anche in relazione agli artt. 331 e 332 c.p.c.

L’ordinanza parte dall’evocazione dei principi sanciti sulla questione dalle Sezioni unite con la citata sentenza n. 24627/2007, ma evidenzia che – nel successivo sviluppo giurisprudenziale – sono state emesse decisioni contrastanti (si richiama, in particolare, l’ordinanza della Sesta Sezione civile-1 n. 12584 del 22/05/2018), le quali implicano l’esigenza di ritornare sulla portata e sull’impianto motivazionale addotto a  sostegno  della  suddetta  sentenza  e  sulle  relative conseguenze applicative con riguardo ad una serie di tematiche correlate

Nella stessa ordinanza di rimessione si rileva, infatti, che la decisione della Corte di appello sull’ammissibilità del ricorso incidentale tardivo adesivo del C.M. si è fondata sull’esplicito richiamo alla sentenza delle Sezioni unite n. 24627 del 27/11/2007, nonché sulla considerazione che i principi in essa affermati siano applicabili con riferimento non solo all’appello principale di un coobbligato, ma anche all’appello incidentale di un diverso coobbligato, che avrebbe determinato l’insorgere in capo al terzo coobbligato di un nuovo e autonomo interesse a impugnare, in conseguenza della possibile ulteriore restrizione del novero degli obbligati solidali.

2.1 Secondo il collegio rimettente, il primo problema posto dai motivi di ricorso è dato dal fatto che il principio affermato dalle Sezioni unite del 2007, riguardo all’ammissibilità dell’impugnazione incidentale tardiva adesiva nel processo con pluralità di parti, non appare univoco e incontroverso, essendosi registrato un più recente approdo interpretativo non del tutto in linea con il citato arresto delle Sezioni unite con la pronuncia n. 24627 del 2007, riconducibile alla sentenza n. 23903 del 29/10/2020 delle stesse Sezioni

Viene, perciò, individuata una prima questione consistente nel «verificare se l’impugnazione incidentale tardiva sia ammissibile anche quando rivesta le forme dell’impugnazione adesiva rivolta contro la parte investita dell’impugnazione principale,  in  ragione  del  fatto  che  l’interesse  alla  sua proposizione sorge dall’impugnazione principale (la quale, se accolta, comporterebbe una modifica dell’assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate dal coobbligato solidale), oppure se la stessa possa essere esperita (tenuto conto del tenore letterale dell’art. 334, comma 1, cod. proc. civ. e del carattere riflesso, e non diretto, dell’interesse suscitato nell’obbligato solidale dall’impugnazione principale del coobbligato) soltanto dalla parte “contro” la quale è stata proposta l’impugnazione principale o da quella chiamata ad integrare il contraddittorio a norma dell’art. 331 cod. proc. civ.».

2.2 Quindi, l’ordinanza di rimessione, rilevando che il principio affermato dalle Sezioni Unite nel 2007 si riferisce all’ipotesi in cui l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza alla quale il coobbligato solidale aveva prestato acquiescenza (e quindi all’ipotesi di cui all’art. 343, comma 1, c.p.c., in cui un coobbligato aderisca, con l’impugnazione incidentale, all’appello principale di altro coobbligato), segnala che la sentenza impugnata ha applicato tale principio alla diversa ipotesi in cui un terzo coobbligato aderisca, con l’impugnazione incidentale tardiva, all’appello incidentale del secondo coobbligato, adesivo all’appello principale del primo coobbligato.

Tale diversa ipotesi sarebbe riconducibile al secondo comma dell’art. 343 c.p.c., che contempla il caso in cui l’interesse all’impugnazione incidentale sorga dall’impugnazione  proposta  da  “altra  parte  che  non  sia l’appellante  principale”,  quindi  necessariamente  da  un appellante incidentale.

La I Sezione civile rileva, quindi, la necessità di verificare non solo se il principio fissato dalle Sezioni Unite, nella sentenza n. 24627 del 2007, possa essere confermato, ma anche – così ponendo una seconda specifica questione – se lo stesso «possa essere applicato con riferimento all’interesse insorto a seguito di un’impugnazione non principale, ma incidentale adesiva».

2.3 L’ordinanza di rimessione ritiene, inoltre, indispensabile considerare se una simile impugnazione incidentale tardiva, ove ammissibile, possa essere introdotta non solo “nella prima udienza successiva alla proposizione dell’impugnazione stessa”, come prevede la norma, ma anche con autonomo atto di citazione, come avvenuto nel caso di

2.4 Infine, muovendo dalla considerazione che l’impugnazione proposta in risposta all’appello principale del P.P. (per quanto adesiva rispetto a questa, in base alla sintesi dei relativi contenuti evincibili dalla impugnata sentenza di appello) è stata ritenuta inammissibile, perché tardiva, da una statuizione che non è stata impugnata, l’ordinanza ritiene – così ponendo un terza questione – che si debba, altresì, verificare «se, una volta dichiarata inammissibile l’impugnazione incidentale tardiva proposta reagendo all’impugnazione principale, debba considerarsi inammissibile, per consumazione del diritto di impugnazione, una seconda impugnazione incidentale presentata dalla stessa parte in relazione  all’impugnazione  incidentale  di  un  differente coobbligato solidale».

Ciò in applicazione, nel particolare ambito per cui è causa, del principio – fissato dalla richiamata ordinanza della Sesta Sezione civile-1 n. 12584 del 22/05/2018 – secondo cui «è inammissibile l’appello incidentale tardivo che riproponga le medesime censure già presentate dalla stessa parte mediante l’appello principale, sebbene proposto prima che l’originario gravame sia dichiarato inammissibile, perché, qualora sia decorso il termine utile per l’impugnazione principale, non trova applicazione il principio desumibile dall’art. 358 cod. proc. civ., secondo cui la consumazione del diritto di impugnazione si verifica solo se, al momento dell’introduzione del nuovo gravame, sia già intervenuta la dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità di quello precedente».

3. Occorre, innanzitutto, rilevare che la ricorrente M. s.p.a. (già L.I. s.r.l. a socio unico) ha depositato in cancelleria dichiarazione – sottoscritta dal suo legale rappresentante oltre che dal suo difensore – del 6 febbraio 2024, con la quale ha rinunciato al ricorso e agli atti del giudizio.

Il controricorrente C.M. Carlo Alberto ha, di seguito, depositato, a sua volta, dichiarazione del 7 febbraio 2024 – dal medesimo sottoscritta, congiuntamente al suo difensore – con la quale ha accettato la suddetta rinuncia della ricorrente.

Sussistono, pertanto, le condizioni per dichiarare – ai sensi dell’art. 391 c.p.c. – l’estinzione del giudizio di cassazione senza far luogo ad alcuna pronuncia sulle spese, ricorrendo le condizioni di cui al comma 4 della citata norma e rimanendo, altresì, esclusa la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, in funzione dell’attestazione della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Ciò malgrado, queste Sezioni unite ritengono che – alla stregua della particolare rilevanza delle questioni processuali (specialmente di quella riferita all’interpretazione dell’art. 334, comma 1, c.p.c.) poste con l’ordinanza di rimessione, anche per effetto della sollecitata possibile rimeditazione della conclusione raggiunta (in tempi ormai non più recenti) dalle Sezioni unite con la più volte menzionata sentenza n. 24627/2007 (sottoposta a critica da parte di un certo orientamento di questa Corte e particolarmente dibattuta anche in dottrina, soprattutto con riguardo alle conseguenze derivanti in tema di obbligazioni solidali) e della notevole incidenza riconducibile alla sua soluzione (anche per gli effetti correlati che può produrre su questioni processuali dipendenti) – emerga una effettiva opportunità di enunciare i correlati principi di diritto ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c., ovviamente all’esito di un percorso logico-giuridico- argomentativo che supporti la soluzione che si riterrà conferente rispetto alle plurime questioni poste con l’ordinanza di rimessione.

Occorre, peraltro, rimarcare che, pur facendo la norma appena richiamata specifico riferimento alla possibilità di pronunciare il principio di diritto, anche d’ufficio, quando il ricorso proposto è inammissibile, tale potere – in continuità con l’evoluzione giurisprudenziale di questa Corte (cfr., ad es., Cass. SU, ordinanza 6 settembre 2010, n. 19051; Cass. SU, sentenza 24 settembre 2018, n. 22438 e, da ultimo, Cass. Sezione 1, ordinanza 28 febbraio 2023, n. 6074, nonché Cass. SU, sentenza 6 aprile 2023, n. 9479) – deve ritenersi esercitabile anche in caso di declaratoria di estinzione conseguente alla rinuncia al ricorso, sulla scorta della valorizzazione della ratio sottesa a tale norma, la quale è stata concepita in funzione dell’attivazione della funzione nomofilattica pur a prescindere, eccezionalmente, dalla decisione sul fondo delle censure con effetti sul concreto diritto dedotto in giudizio.

Questa esigenza viene, infatti, certamente in rilievo anche nel caso di estinzione del giudizio di cassazione qualora la questione da risolvere sia di particolare importanza o, ancor di più, se riguarda una questione oggetto di contrasto giurisprudenziale (al limite rinnovatosi nel tempo dopo una già intervenuta decisione delle Sezioni unite) all’interno delle Sezioni civili della Corte, e, quindi, soprattutto quando la decisione è rimessa alle Sezioni unite, nella sussistenza delle condizioni previste dall’art. 374, comma 2, c.p.c. (come verificatosi nel caso di specie).

Si   è,   al   riguardo, opportunamente sottolineato  che, nell’applicazione dell’istituto del principio di diritto nell’interesse della legge, rimane viva e vitale quella necessaria compenetrazione tra l’esercizio dei compiti di nomofilachia e i “fatti della vita” portati dalle parti dinanzi al giudice; ciò dà fondamento alle ragioni di una disciplina che, a fronte di questioni di diritto e di fatto rivestenti particolare importanza, consente di pronunciare una regola di giudizio che, sebbene non influente sulla concreta vicenda processuale, serva tuttavia come criterio di decisioni di casi analoghi o simili (v. Cass. SU n. 27187/2007; Cass. SU n. 19051/2010 e Cass. SU n. 9479/2023, cit.), finalità che si prospetta ancora più avvertita quando trattasi di pronunciarsi su questione processuale di carattere generale, come quella che viene in rilievo nella presente sede.

4. Tutto ciò premesso, si può, dunque, passare allo svolgimento motivazionale supportante le risposte risolutive delle importanti e controverse questioni poste con la su richiamata ordinanza interlocutoria.

Quanto al tema dei limiti oggettivi dell’impugnazione incidentale tardiva (anche se tale non costituisce un aspetto sollecitato con l’ordinanza di rimessione, ma che – tuttavia – risulta connesso a quello dei “limiti soggettivi” di tale forma di impugnazione e che si ritiene opportuno richiamare), si osserva quanto segue. La giurisprudenza di questa Corte – dopo un lungo periodo in cui aveva imposto rigorosi confini oggettivi alla possibilità di esperire l’impugnazione incidentale tardiva, ritenendola ammissibile solo in quanto rimanesse nell’ambito del capo della sentenza investita dall’impugnazione principale o riguardasse un capo connesso con quest’ultimo o da questo dipendente – a partire dagli anni ottanta del secolo scorso aveva avviato un percorso di ripensamento, consacrato dalla sentenza delle SU n. 4640 del 7/11/1989, con la quale venne affermato il seguente principio di diritto: «l’art. 334 cod. proc. civ., che consente alla parte, contro cui è stata proposta impugnazione (o chiamata ad integrare il contraddittorio a norma dell’art. 331 cod. proc. civ.), di esperire impugnazione incidentale tardiva, senza subire gli effetti dello spirare del termine ordinario o della propria acquiescenza, è rivolto a rendere possibile l’accettazione della sentenza, in situazione di reciproca soccombenza, solo quando anche l’avversario tenga analogo comportamento, e, pertanto, in difetto di limitazioni oggettive, trova applicazione con riguardo a qualsiasi capo della sentenza medesima, ancorché autonomo rispetto a quello investito dall’impugnazione principale».

Con questa pronuncia si ritenne che:

        (a) la ratio dell’art. 334 c.p.c. è una finalità “transattivo- ritorsiva”: la norma, infatti, ha lo scopo di indurre la parte parzialmente vittoriosa a rinunciare all’impugnazione, per non correre il rischio che l’appellato, attraverso l’impugnazione tardiva, possa rimettere in discussione anche le parti della sentenza favorevoli all’appellante principale;

        (b) se questa è la ratio della norma, essa sarebbe frustrata se si impedisse all’appellato di impugnare tardivamente anche capi di sentenza diversi da quelli impugnati in via principale, perché l’esigenza di favorire la definitiva composizione della lite, dissuadendo le parti dall’impugnazione, sussiste anche in questa ipotesi;

        (c) pertanto, l’interesse a proporre l’impugnazione tardiva non coincide con quello che sorge dalla mera soccombenza, ma è un interesse diverso e sorge dall’impugnazione altrui, “che tende a modificare l’assetto di interessi che l’impugnato, in mancanza dell’altrui impugnazione principale, avrebbe accettato”. Per effetto della sentenza appena ricordata, cadde il limite all’impugnazione incidentale tardiva rappresentato dalla medesimezza o dipendenza tra il capo di sentenza impugnato dall’impugnante principale e quello impugnato dall’impugnante incidentale. A quest’ultimo, di conseguenza, si è consentito impugnare qualsiasi capo della sentenza, anche se diverso da quello investito dall’impugnazione principale (cfr., ad es., Cass., Sez. 3, n. 14596 del 9/07/2020) e anche se autonomo rispetto a questo (v. Cass., Sez. 3, n. 26139 del 5/09/2022).

E’ importante rimarcare che questo principio è stato recepito nell’art. 96 del d. lgs. n. 104/2010 – che reca la nuova disciplina sul processo amministrativo – prevedendosi proprio, al comma 4, che «Con l’impugnazione incidentale proposta ai sensi dell’art. 334 del codice di procedura civile possono essere impugnati anche capi autonomi della sentenza; tuttavia, se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l’impugnazione incidentale perde ogni efficacia», impugnazione che la giurisprudenza amministrativa ha denominato come impugnazione incidentale tardiva c.d. “impropria”.

5. La prima questione sottoposta all’esame delle Sezioni Unite coinvolge, direttamente, i temi della legittimazione attiva e passiva all’impugnazione incidentale tardiva e quello – comunque correlato – dei limiti oggettivi di tale impugnazione, nei processi con pluralità di parti, nella peculiare fattispecie delle obbligazioni solidali cd. “paritarie” o “a interesse comune”.

L’impugnazione incidentale tardiva c.d. adesiva, nella fattispecie oggetto del ricorso oggi rimesso alle Sezioni Unite, infatti:

  • proviene da un soggetto (il coobbligato condannato in solido) diverso da quello contro il quale è rivolta l’impugnazione principale (proposta dall’altro coobbligato, pure condannato in solido, nei confronti del creditore), e coinvolge, pertanto, il tema della legittimazione attiva all’impugnazione incidentale tardiva;
  • è rivolta contro una parte diversa da quella che ha proposto l’impugnazione principale, e coinvolge, pertanto, anche sotto questo profilo, il problema della legittimazione passiva all’impugnazione incidentale tardiva;
  • ha ad oggetto un capo diverso della sentenza (la condanna dell’impugnante incidentale) rispetto a quello oggetto dell’impugnazione principale (la condanna dell’impugnante principale).

5.1 Con riferimento a tale questione si registrava nella giurisprudenza di questa Corte un contrasto – persistito per un tempo considerevole – che fu risolto dal successivo intervento delle Sezioni unite, con la (più volte indicata) sentenza n. 24627 del 27/11/2007.

Questa pronuncia venne emessa con riferimento ad una causa avente ad oggetto un caso in cui, rimasti soccombenti due coobbligati solidali, solo uno di essi impugnò tempestivamente la sentenza, mentre l’altro l’impugnò tardivamente in via incidentale. Tutte e due le impugnazioni erano ovviamente rivolte contro il creditore comune. Chiamate a stabilire se l’impugnazione incidentale tardiva fosse in questo caso ammissibile, le Sezioni Unite dettero a tale quesito risposta affermativa, facendo leva sul concetto di “interesse” all’impugnazione e sulla necessità soddisfare l’esigenza della tutela dell’«assetto comune» dell’interesse delle parti e della conservazione dell’unitarietà del rapporto sostanziale già dedotto in giudizio in primo grado.

Nella motivazione, infatti, si affermò che sussiste un interesse all’impugnazione tardiva, meritevole di tutela, tutte le volte che l’impugnazione proposta da uno qualsiasi dei litisconsorti, se accolta, comporterebbe una modifica dell’assetto delle situazioni giuridiche accettate da uno qualsiasi degli altri, poiché darebbe luogo o ad una soccombenza totale, oppure ad una soccombenza più grave di quella stabilita dalla sentenza impugnata.

Con questa sentenza le Sezioni unite stabilirono, quindi, che l’impugnazione incidentale tardiva potesse essere rivolta anche contro parti diverse dall’impugnante principale (conformandosi come “adesiva”). Peraltro, fu precisato che questa ammissibilità non è automatica e non sussiste sempre e comunque, ma esige che il giudice valuti se l’interesse all’impugnazione tardiva, nel caso concreto, possa davvero reputarsi sorto per effetto dell’impugnazione principale: dunque si tratterà di stabilire caso per caso se l’accoglimento eventuale di quest’ultima possa pregiudicare o meno l’impugnante incidentale tardivo. In caso affermativo l’impugnazione tardiva sarà ammissibile, nel caso contrario no.

Così ricostruito il contrasto, le Sezioni Unite del 2007 ritennero di dover sottoporre a revisione «l’orientamento dominante – secondo cui l’impugnazione principale fissa immodificabilmente l’oggetto del giudizio determinando in modo automatico l’ambito dell’eventuale impugnazione incidentale in considerazione dei limiti derivanti dalla decadenza, dall’acquiescenza e dalla mancata riproposizione delle domande e delle eccezioni non espressamente riproposte» perché messo in crisi dalla enorme casistica con la quale viene valorizzato un diverso elemento, e cioè la ricerca dell’interesse all’impugnazione.

Il principio definitivamente statuito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 24627 del 2007 è stato condensato nella massima ufficiale di seguito riportata: «Sulla base del principio dell’interesse all’impugnazione, l’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, tutte le volte che l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza alla quale il coobbligato solidale aveva prestato acquiescenza; conseguentemente, è ammissibile, sia quando rivesta la forma della controimpugnazione rivolta contro il ricorrente principale, sia quando rivesta le forme della impugnazione adesiva rivolta contro la parte investita dell’impugnazione principale, anche se fondata sugli stessi motivi fatti valere dal ricorrente principale, atteso che, anche nelle cause scindibili, il suddetto interesse sorge dall’impugnazione principale, la quale, se accolta, comporterebbe una modifica dell’assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate dal coobbligato solidale».

5.2 Nello sviluppo successivo della giurisprudenza di questa Corte si è, tuttavia, constatato che:

– mentre un orientamento ha continuato a fare applicazione dei principi espressi dalle citate Sezioni Unite del 2007 – e, quindi a ritenere ammissibile, sotto il profilo della legittimazione attiva, l’impugnazione incidentale tardiva anche proveniente da parte diversa da quella contro la quale è rivolta l’impugnazione principale o chiamata ad integrare il contraddittorio ex art. 331 c.p.c. -, un diverso orientamento della Corte ha negato che l’art. 334 c.p.c. sia applicabile al di fuori delle ipotesi ivi espressamente previste e quindi che sia ammissibile, in ipotesi di cause scindibili, l’impugnazione incidentale tardiva di un soggetto diverso da quelli indicati da tale norma.

Il contrasto sulla legittimazione attiva a proporre impugnazione incidentale tardiva assume rilievo soprattutto, nel campo delle obbligazioni solidali a “interesse comune”, in quanto in ambiti in cui la connessione di cause è meno rilevante la giurisprudenza della Corte, sulla base dei diversi principi affermati, è giunta a conclusioni non contrastanti.

Tale contrasto può, peraltro, assumere rilievo anche nei settori delle obbligazioni solidali a interesse unisoggettivo e, in generale, delle cause connesse per pregiudizialità-dipendenza, ove non ricondotte sotto la disciplina di cui all’art. 331 c.p.c., come  ad  esempio  nel  caso  in  cui  il  debitore  principale condannato in primo grado in solido con il condebitore (o il convenuto, nel caso di accoglimento tanto della domanda principale quanto quella di garanzia) proponga impugnazione nei soli confronti dell’attore, essendo, in tal caso, il condebitore o il terzo chiamato condannati parti diverse da quelle a cui l’art. 334 c.p.c. consente espressamente l’impugnazione incidentale tardiva.

I principi affermati dalle Sezioni Unite del 2007 sembrano, invece, essere rimasti consolidati nella giurisprudenza della Corte quanto all’ammissibilità dell’impugnazione incidentale tardiva nei confronti di soggetti diversi da quello che ha proposto impugnazione principale.

D’altra parte, la giurisprudenza di questa Corte esclude pianamente tanto che la riforma della sentenza di condanna di un coobbligato in solido abbia efficacia nei confronti del condebitore non impugnante, sia che il giudicato formatosi nei confronti di un condebitore in solido all’esito di un giudizio a cui non abbia partecipato un altro condebitore, possa esplicare efficacia nel successivo giudizio di regresso tra costoro, in ragione dei limiti soggettivi del giudicato.

5.3 Le Sezioni unite del 2007 avevano, quindi, affrontato e risolto due questioni distinte: – quella dell’ammissibilità dell’impugnazione incidentale tardiva rivolta contro una parte diversa dall’impugnante principale, che attiene ai limiti della “legittimazione passiva” del gravame ex 334 c.p.c., che ritengono diversa da quella su cui vi era il contrasto; – quella dell’ammissibilità dell’impugnazione incidentale tardiva adesiva proposta dal coobbligato nelle cause scindibili, a fronte dell’impugnazione di altro coobbligato, relativamente ai limiti della legittimazione attiva del medesimo gravame, in quanto proveniente da soggetto diverso da quello contro il quale è proposta l’impugnazione principale.

L’ampiezza dei temi sottostanti alla specifica questione dell’ammissibilità dell’impugnazione incidentale tardiva adesiva proposta dal coobbligato in solido a seguito dell’impugnazione proposta in via principale da altro coobbligato fu immediatamente sottoposta dalla dottrina alla sua attenzione.

5.3.1 L’eliminazione ad opera delle Sezioni Unite dei limiti soggettivi, sotto il profilo della “legittimazione passiva”, dell’impugnazione incidentale tardiva proposta dalla parte contro la quale è proposta l’impugnazione principale, è stata accolta con favore da una parte della dottrina, secondo cui tali limiti non sono previsti dall’art. 334 c.p.c. La soluzione è stata ritenuta coerente con la ratio di tale norma, che è quella di evitare la “corsa” all’impugnazione e di consentire alla parte parzialmente soccombente disposta ad accettare l’esito complessivo della lite di stare “alla finestra” sapendo che se la sentenza, nella parte ad essa favorevole, sarà impugnata, potrà a sua volta impugnare nei termini ordinari, qualunque sia la ragione del cumulo nello stesso processo di più cause tra parti differenti.

La parte contro la quale è stata proposta l’impugnazione avrebbe, infatti, un concreto interesse a proporre l’impugnazione incidentale tardiva, anche nei confronti di una parte diversa da quella che ha proposto l’impugnazione principale, derivante dalla circostanza che l’impugnazione (principale) rimette in discussione il risultato pratico complessivamente  determinato  dalla  sentenza  impugnata, potendo condurre ad una soccombenza «più grave» di quella che l’impugnante incidentale era disposto ad accettare.

Tale indirizzo dottrinale ha illustrato i positivi effetti della eliminazione dei limiti soggettivi in questione, nel settore delle obbligazioni solidali, nel caso in cui, avendo il creditore ottenuto la condanna di taluno soltanto dei più condebitori convenuti (che tuttavia potrebbe soddisfarlo pienamente, qualora egli faccia affidamento sulla solvibilità del soccombente), la sentenza sia impugnata da quest’ultimo, con il conseguente rischio per l’attore di un rigetto totale della domanda, che lo abilita ad avvalersi dell’impugnazione incidentale tardiva nei confronti degli altri coobbligati risultati vittoriosi in primo grado. Effetti altrettanto positivi – come rilevato dalla stessa decisione delle Sezioni Unite del 2007 – conseguirebbero con riferimento alle fattispecie di garanzia c.d. impropria (facendo l’esempio della vendita a catena, in cui l’ultimo acquirente faccia valere i vizi della cosa nei confronti dell’ultimo venditore, e questi chiami a sua volta in causa il proprio dante causa), allorché, avendo la sentenza accolto tanto la domanda principale quanto quella di rivalsa, l’impugnazione (principale) sia proposta dal garante, con l’evidente effetto di porre a rischio il risultato pratico derivante al convenuto-garantito dalla sentenza impugnata, che ha perciò interesse a proporre tardivamente l’impugnazione nei confronti dell’originario attore, senza che rilevi la circostanza che il garante abbia censurato la sentenza impugnata solo nella parte relativa alla sussistenza ed ai limiti dell’obbligo di garanzia ovvero anche per ragioni concernenti l’esistenza dell’obbligazione principale in capo al convenuto.

5.3.2 Altra parte della dottrina ha, invece, criticato la sentenza delle Sezioni Unite n. 24627 del 2007 per aver ritenuto ammissibile l’impugnazione incidentale tardiva proposta dal coobbligato soccombente a fronte dell’impugnazione principale proposta da altro coobbligato pure soccombente, sia perché proveniente da una parte diversa da quella contro la quale è proposta l’obbligazione principale, in contrasto con la lettera dell’art. 334 c.p.c., sia perché, con detta pronuncia, si sarebbe data per scontata l’efficacia dell’eventuale riforma della sentenza di primo grado in accoglimento dell’impugnazione principale, nel successivo giudizio di regresso tra i condebitori, che sarebbe, invece, da escludersi. 

Altri indirizzi teorici sembrano far leva sui limiti soggettivi del giudicato, escludendo tale efficacia «in quanto quella sentenza non ha avuto alla base un giudizio che vedesse davvero ancora come parte il condebitore solidale inerte», perché la notifica, dell’impugnante principale, nei casi di cui all’art. 332 c.p.c., dovrebbe considerarsi una mera litis denuntiatio, con la conseguenza di doversi recisamente negare in apicibus il fatto che chi riceve questa notifica diventi parte del giudizio di gravame e possa subire un qualsivoglia tipo di deterioramento della sua complessiva situazione giuridica quale fuoriuscente dalla sentenza di primo grado che egli ha espressamente, o tacitamente, o semplicemente facendo decorrere i termini, sostanzialmente accettato, facendo sì che si consolidi il capo di sentenza scindibile relativo alla propria condanna.

Si è, infine, ritenuto che la soluzione tracciata dalle Sezioni Unite con la più volte citata sentenza del 2007 finisca per prestare eccessiva attenzione alla posizione dei coobbligati (in vista di un diritto, quello di regresso, non ancora esercitato) a scapito della posizione del creditore che, per essere certo della propria vittoria, non dovrebbe soltanto attendere il decorso dei termini brevi o lunghi per l’impugnazione, ma anche chiedersi se, in ragione del gravame proposto da un coobbligato, l’altro o gli altri coobbligati rimasti inerti possano subire un qualche pregiudizio, sia pure di mero fatto, tali da legittimarli all’esercizio dell’impugnazione incidentale tardiva, in contrasto con la funzione stessa della solidarietà, intesa quale istituto che tutela, in via prioritaria, la posizione del creditore.

6. Il principio di diritto enunciato con la sentenza delle Sezioni unite n. 24627 del 2007 è stato ribadito dalla prevalente successiva giurisprudenza di questa Corte che ha valorizzato la sussistenza in capo al condebitore solidale di un suo reale interesse a proporre impugnazione incidentale tardiva congiuntamente al soddisfacimento – innanzi ricordato – dell’esigenza di garantire l’assetto complessivo delle situazioni giuridiche dedotte in causa fin dalla sua introduzione nell’ottica di addivenire ad una soluzione riguardante un rapporto comune nella sua unitarietà (cfr., tra quelle massimate ufficialmente, come conformi , Sez. L, n. 9264 del 9/04/2008; Cass., Sez. 3, n. 10125 del 30/04/2009; Cass., Sez. L, n. 15050 del 26/06/2009; Cass., SU, n. 18049 del 4/08/2010, ancorché in modo solamente reiterativo; Cass., Sez. 1, n. 5146 del 30/03/2011; Cass., Sez. L, n. 5086 del 29/03/2012; Cass. SU, n. 18752 del 7/08/2013, sempre in senso soltanto reiterativo; Cass., Sez. 3, n. 25848 del 9/12/2014; Cass., Sez. 1, n. 23396 del 16 novembre 2015; nonché, tre le più recenti, Cass., Sez. 2, n. 1879 del 25/01/2018; Cass., Sez. 2, n. 5876 del 12/03/2018; Cass., Sez. 2, n. 14596 del 9/07/2020; Cass., Sez. 3, n. 25285 dell’11/11/2020; Cass., Sez. 3, n. 26139 del 5/09/2022).

Si è, in special modo, affermato – ad es., con Cass., Sez. 3, n. 25285 dell’11/11/2020, cit. (ampiamente motivata sulla questione in oggetto) – che l’impugnazione incidentale tardiva del coobbligato in solido, rivolta contro la parte investita dell’impugnazione principale, è ammissibile anche se fondata su motivi diversi da quelli fatti valere dal ricorrente principale, rilevandosi che «una diversa e più restrittiva interpretazione indurrebbe ciascuna parte a cautelarsi proponendo un’autonoma impugnazione tempestiva sulla statuizione rispetto alla quale è rimasta soccombente, con inevitabile proliferazione dei processi d’impugnazione».

Sotto il profilo dell’interesse all’impugnazione, con la stessa Cass. n. 25285 del 2020, si è, poi, osservato che «nel caso delle obbligazioni solidali l’interesse è dato dal possibile mutamento dell’ampiezza della propria responsabilità, a nulla valendo la circostanza che la decisione da impugnare abbia, come nell’ipotesi, lasciato impregiudicato il profilo dei rapporti interni tra coobbligati, ovvero che, astrattamente, l’intera responsabilità, in sede di rivalsa (trattandosi di titoli differenti), potrebbe essere imputata a un solo soggetto: infatti, proprio perché il profilo in parola è impregiudicato, e proprio perché il soggetto in questione potrebbe essere o meno pregiudicato dalla rivalsa, è evidente che ha un interesse specifico che sorge dall’impugnazione del coobbligato, poiché quella vuole incidere sull’assetto regolato dalla decisione oggetto di censura e che lo coinvolge».

Quanto alla compatibilità con la lettera dell’art. 334 c.p.c. dell’interpretazione che, in base al principio dell’interesse all’impugnazione, ritiene ammissibile l’impugnazione incidentale tardiva adesiva del coobbligato in solido, con la medesima  pronuncia  è  stato  evidenziato  che  mancano «limitazioni letterali evincibili dall’art. 334, primo comma, cod. proc. civ., dovendosi intendere per “parte contro cui è proposto” il gravame ogni parte che ne potrebbe subire effetti pregiudizievoli dall’accoglimento dell’impugnazione proposta da altri» (in termini omologhi v., da ultimo Cass., Sez. 3, n. 26139 del 5/09/2022, anch’essa diffusamente motivata sulla questione, con il riesame di tutto il pregresso stato giurisprudenziale e la riaffermazione della condivisibilità dell’impianto logico-giuridico-argomentativo della sentenza delle SU n. 24627/2007: è opportuno segnalare che con quest’ultima ordinanza citata si era ritenuto non necessario investire nuovamente della specifica questione le Sezioni Unite, giacché quello che si era definito come “orientamento minoritario” poteva in realtà ascriversi a fisiologiche oscillazioni giurisprudenziali, non convincenti nell’elaborazione dei presupposti ed in ogni caso non tali da ingenerare un autentico contrasto o contrapposizione tra indirizzi consolidati).

6.1 All’orientamento giurisprudenziale, adesivo alla sentenza delle Sezioni Unite n. 24627 del 2007, se ne è contrapposto un altro secondo cui, a fronte dell’impugnazione principale, proposta da un coobbligato contro la sentenza di condanna in solido, l’altro coobbligato, pur avendo il potere di impugnare in via incidentale adesiva, non può farlo quando siano spirati i termini lungo o breve per proporre impugnazione (tra quelle massimate si richiamano Cass., Sez. 5, n. 1610 del 25/01/2008; Cass., Sez. 3, n. 1120 del 21/01/2014; Cass., Sez. 5, n. 20040 del 7/10/2015; Cass., Sez. 3, n. 17614 del 24/08/2020 e Cass., SU, n. 23903 del 29/10/2020). E’ stata esclusa l’ammissibilità dell’impugnazione incidentale tardiva del coobbligato in solido, sulla base del principio secondo cui «l’art. 334 cod. proc. civ., che consente di proporre l’impugnazione incidentale tardiva nei confronti di qualsiasi capo della sentenza impugnata dalla controparte, si riferisce infatti esclusivamente all’impugnazione incidentale in senso stretto, ovverosia a quella proveniente dalla parte contro la quale è stata proposta l’impugnazione principale o che sia stata chiamata ad integrare il contraddittorio, a norma dell’art. 331 cod. proc. civ.: quando invece il ricorso incidentale abbia contenuto adesivo a quello principale, la parte che lo propone è tenuta a rispettare il termine lungo di cui all’art. 327, primo comma, cod. proc. civ.».

Occorre evidenziare che l’ordinanza della Sez. 6-1 n. 12584 del 22/05/2018 evocata nell’ordinanza interlocutoria si è pronunciata, infatti, in una fattispecie in cui, pubblicata una sentenza di divorzio che aveva altresì disposto un assegno a carico del marito in favore della moglie, entrambi i coniugi avevano proposto impugnazione in via principale, ma mentre quello della moglie era tempestivo, quello del marito era tardivo. Il marito, quindi, aveva altresì riproposto lo stesso appello in via incidentale tardiva a seguito dell’appello principale proposto dalla moglie, e prima che venisse dichiarata l’inammissibilità dell’appello da lui proposto in via principale.

Con tale pronuncia è stato ritenuto inapplicabile, al caso di specie, l’orientamento assolutamente prevalente della Corte sopra descritto, in ragione del fatto che, con riferimento all’appello principale, tale principio richiede che, al momento della proposizione del nuovo gravame, non sia ancora decorso il termine per l’impugnazione, mentre, nel caso al suo esame, tale termine era decorso tanto al momento della proposizione dell’appello principale del marito, quanto al tempo della proposizione dell’appello incidentale da parte dello stesso.

Nella sostanza, quindi, parrebbe che tale pronuncia sia stata determinata dalla necessità di evitare che in base ad un principio consolidato nella giurisprudenza della Corte si potesse consentire alla parte di eludere i termini previsti dalla legge per il suo appello principale.

Va segnalato, inoltre, che tale decisione non si è pronunciata sulla questione relativa alla possibilità di conversione dell’appello principale del marito, successivo a quello della moglie, in appello incidentale tardivo (paragonabile a quella che si pone nel giudizio oggi rimesso a queste Sezioni unite), perché con il ricorso era stata rimessa la diversa questione dell’ammissibilità dell’appello incidentale tardivo, nonostante l’inammissibilità di quello principale per tardività.

Il caso oggetto del ricorso oggi rimesso alle Sezioni Unite si presenta, quindi, ben diverso, perché non viene in gioco la questione della recuperabilità, attraverso la conversione in appello incidentale tardivo, di un appello principale tardivamente proposto, bensì quella, diversa, dell’ammissibilità dell’impugnazione incidentale tardiva proposta, anziché attraverso un’impugnazione incidentale, nelle forme di un’impugnazione autonoma, peraltro con l’osservanza dei termini previsti per tale impugnazione, ai sensi dell’art. 343, comma 2, c.p.c., ove ritenuta ammissibile.

L’ordinanza interlocutoria di rimessione della questione pone riferimento anche alla più recente pronuncia delle Sezioni unite n. 23903 del 2020, con cui è stata negata l’ammissibilità dell’impugnazione incidentale tardiva del coobbligato in solido al risarcimento del danno erariale, aderendo all’orientamento più restrittivo, sul rilievo del carattere reciprocamente scindibile e indipendente dei distinti rapporti processuali.

Detta decisione delle Sezioni unite riguardava, in effetti, la particolare ipotesi della responsabilità contabile (nell’ambito della risoluzione di un questione di giurisdizione), che è connotata, in virtù degli interessi pubblici coinvolti nell’azione di responsabilità, da caratteristiche precipue, quali la distinzione fra le figure dell’obbligato principale e del coobbligato secondario o la non operatività della c.d. rinunzia alla solidarietà da parte del creditore-Erario, a favore di uno dei condebitori.

7. La giurisprudenza di questa Corte ha sempre inquadrato il caso delle obbligazioni solidali a interesse comune nelle cause «scindibili» ex 332 c.p.c. (v., tra le tante, Cass., SU, n. 14700 del 18/06/2010; Cass.,  Sez. 3, n.  11795 del 30/08/2011; Cass., Sez. 2, n. 2854 del 12/02/2016), a condizione che non sia stata da alcuna parte richiesta la pronuncia sulle pretese di regresso o sulla «ripartizione» nei rapporti interni.

Questa posizione è stata fondata sul presupposto che l’obbligazione solidale determina la costituzione di tanti rapporti obbligatori (plasticamente si discorre di “fascio di rapporti”), quanti sono i condebitori, con la duplice conseguenza che, «nel caso di giudizio di impugnazione promosso da uno solo dei debitori solidali, la sentenza passa in giudicato nei confronti dei condebitori riguardo ai quali l’impugnazione non è stata svolta e che, qualora l’esercizio del diritto di impugnazione sia avvenuto da parte di tutti i condebitori, con la deduzione, però, da parte di ciascuno, di specifici motivi diversi da quelli dedotti dagli altri, i motivi dedotti dal condebitore non si comunicano agli altri».

Al riguardo si è, infatti, sostenuto che la sentenza con cui ci si pronuncia sulla domanda proposta dal creditore nei confronti di una pluralità di condebitori, «pur essendo formalmente unica, consta di tante distinte pronunce quanti sono i coobbligati con riguardo ai quali essa è stata emessa», con la conseguenza che, in caso di mancata impugnazione da parte di un condebitore, si determina il passaggio in giudicato della sentenza nei suoi confronti (Cass., Sez. 3, n. 16390 del 14/07/2009), senza che egli possa giovarsi dell’eventuale accoglimento dell’impugnazione del coobbligato, neanche qualora gli sia stata notificata l’impugnazione (Cass., Sez. 2, n. 24728 dell’8/10/2018).

Ciò in quanto «la regola di cui all’art. 1306, secondo comma, cod. civ., secondo cui i condebitori in solido hanno facoltà di opporre al creditore la sentenza pronunciata tra questi ed uno degli altri condebitori, trova applicazione soltanto nel caso in cui la sentenza suddetta sia stata resa in un giudizio cui non abbiano partecipato i condebitori che intendano opporla. Se, invece, costoro hanno partecipato al medesimo giudizio, operano le preclusioni proprie del giudicato, con la conseguenza che la mancata impugnazione da parte di uno o di alcuni dei debitori solidali, soccombenti in un rapporto obbligatorio scindibile, qual è quello derivante dalla solidarietà, determina il passaggio in giudicato della sentenza nei loro confronti, ancorché altri condebitori solidali l’abbiano impugnata e ne abbiano ottenuto l’annullamento o la riforma» (cfr. Cass., Sez. 3, n. 20559 del 30/09/2014).

La disciplina delle cause scindibili di cui all’art. 332 c.p.c., viene ritenuta applicabile dalla giurisprudenza di questa Corte, nell’ambito delle cause aventi ad oggetto obbligazioni solidali a interesse comune, sia nel caso in cui, risultando entrambe le domande accolte, l’impugnazione principale sia proposta da uno dei condebitori nei riguardi del comune creditore (Cass., Sez. L, n. 7308 del 26/03/2007; Cass., Sez. 3, n. 13607 del 21/06/2011 e Cass., Sez. 2, n. 24728 dell’8/10/2018, appena cit.), sia nel diverso caso in cui, a seguito del rigetto (anche parziale) di tutte le (o di alcune delle) domande, il creditore proponga impugnazione nei confronti di alcuni soltanto degli originari convenuti (Cass., Sez. 3, n. 3338 dell’11/02/2009 e Cass., Sez. 3, n. 9625 del 19/04/2018, non mass.).

Condividendo il riportato inquadramento, la dottrina assolutamente prevalente afferma che ogniqualvolta, indipendentemente dal tipo di connessione che è alla base del cumulo soggettivo di cause, una delle parti sia destinataria di una vera e propria impugnazione (id est di una domanda di riforma o annullamento di una statuizione a lui sfavorevole), non soltanto la ratio, ma anche la stessa lettera dell’art. 334, comma 1, c.p.c., inducono ad escludere che l’impugnazione incidentale tardiva dell’impugnato sia soggetta, dal lato passivo, ad alcuna limitazione di ordine soggettivo.

7.1 Alla regola della scindibilità delle cause, la giurisprudenza di questa Corte ritiene si deroghi, allorquando nel processo uno dei due condebitori eserciti azione di regresso nei confronti dell’altro, oppure la responsabilità dell’uno presupponga quella dell’altro «venendo a configurarsi una situazione di inscindibilità di cause e quindi di litisconsorzio processuale necessario, quando le stesse siano in rapporto di dipendenza ovvero quando le distinte posizioni dei coobbligati presentino obiettiva interrelazione, alla stregua della loro strutturale subordinazione anche sul piano del diritto sostanziale, sicché la responsabilità dell’uno presupponga la responsabilità dell’altro» (v., di recente, Cass., Sez. III, n. 34899 del 28/11/2022).

La Corte ritiene, inoltre, riconducibile alla disciplina di cui all’art. 331 c.p.c. anche il caso in cui nel giudizio in cui sia chiesta la condanna di varie parti in solido al risarcimento dei danni e tra le stesse insorga controversia circa la determinazione  delle  rispettive  quote  di  corresponsabilità, versandosi in un’ipotesi di cause dipendenti (Cass. SU n. 3074 del 3/03/2003 e Cass., Sez. I, n. 19584 del 27/08/2013).

8. Passando, ora, a tirare le fila del ragionamento – in un’ottica di complesso argomentativo di sistema – occorre evidenziare che le due questioni principali che discendono dall’esame del rapporto tra obbligazione solidale “paritaria” e impugnazione incidentale tardiva pongono i seguenti interrogativi: a) chi, risultato soccombente rispetto ad una pronuncia di condanna in solido, possa impugnarla in via incidentale tardiva (ciò che attiene al profilo della legittimazione attiva); b) quale sia la parte contro cui l’impugnazione ai sensi dell’art. 334 c.p.c. possa essere proposta (e ciò investe il profilo della legittimazione passiva).

E’ stato già sottolineato che, per individuare chi abbia legittimazione a proporre gravame incidentale tardivo contro una sentenza (o decisione equiparabile quanto agli effetti) pronunciata su un’obbligazione solidale (ad interesse comune, che viene in rilievo nella causa oggetto di ricorso nel caso in esame), diventa imprescindibile partire dal presupposto – recepito dalla giurisprudenza pressoché consolidata di questa Corte (in precedenza illustrata), dalla quale non si ha motivo per discostarsi, peraltro seguita anche dalla dottrina predominante – che la pluralità di cause in tale ipotesi cumulate e poi decise con sentenza è riconducibile alla disciplina delle cause scindibili (prevista dall’art. 332 c.p.c.).

E’ risaputo che la scindibilità, in sede di gravame, del cumulo di condanne in solido proposto in primo grado è ritenuta un corollario dell’ambito applicativo dell’art. 1306, comma 1, c.c., in base al quale la sentenza emessa tra un coobbligato ed il creditore non ha effetto nei confronti dei coobbligati rimasti estranei alla controversia. E’ questa norma, pertanto, a legittimare la formazione di una pluralità di pronunce sull’esistenza e sull’atteggiarsi dell’obbligazione solidale, senza che possa assume rilevanza la circostanza che le domande formulate contro i singoli coobbligati abbiano determinato un cumulo litisconsortile (non necessario) in primo grado ovvero che abbia formato oggetto di separati giudizi. Del resto, il principio desumibile dal citato art. 1306, comma 1, c.c. non costituisce altro che il riflesso della legittimazione disgiunta a contraddire in capo a ciascun coobbligato e, prima ancora, del concetto stesso di solidarietà, per effetto della regola generale secondo cui il creditore può domandare a ciascuno dei coobbligati l’adempimento dell’intera obbligazione.

Orbene, sulla scorta di questo presupposto (ovvero del fatto che la sentenza che abbia condannato in solido i coobbligati sia sottoposta alla disciplina delle cause scindibili) e pur prendendosi atto che il disposto dell’art. 334, comma 1, c.p.c. attribuisce il potere di impugnare in via incidentale tardiva a colui che riceve l’impugnazione o a coloro che sono chiamati ad integrare il contraddittorio ai sensi dell’art. 331 c.p.c., non può dirsi che la sola lettera del citato art. 334 c.p.c. sia di per sé impeditiva – con riguardo a tali tipi di obbligazioni caratterizzate da un vincolo di solidarietà “ad interesse comune” – della possibilità per il coobbligato non impugnante, a cui sia notificata l’impugnazione principale, di proporre gravame incidentale tardivo. Ciò perché con riferimento a questo tipo di situazioni giuridiche soggettivamente complesse che trovano fonte in un’obbligazione comune connotata da una eadem ratio, in capo al suddetto coobbligato non impugnante si configura un interesse qualificato che – per effetto dell’impugnazione altrui diretta contro il creditore – lo legittima a potersi servire di tale rimedio impugnatorio, ancorché in via tardiva: è per questo che – proprio per tali tipi di situazioni (non ricomprese nella previsione di un principio generale testuale, ma che lo diventano in un’ottica ermeneutica di carattere sistematico) – si afferma che, in effetti, il dettato del comma 1 dell’art. 334 c.p.c. minus dixit quam voluit.

Tale interesse – con riferimento, per l’appunto, ad un’obbligazione solidale “paritaria” – si identifica nel pregiudizio, non di mero fatto ma giuridicamente rilevante (pur se lo si voglia qualificare come riflesso o indiretto o – seconda parte della dottrina – condizionato), che il coobbligato acquiescente potrebbe subire se fosse riformata la sentenza di condanna impugnata in via principale dall’altro condebitore. In termini più concreti, il rischio che si vuole salvaguardare è quello che il coobbligato inerte – che abbia, nel frattempo, pagato il creditore – non riesca ad ottenere, in sede di regresso, la quota parte dovuta dal coobbligato, che, invece, abbia visto riformata in sede di impugnazione la sentenza di condanna. Ed è in quest’ottica che, quindi, trova giustificazione (nella valorizzazione del soddisfacimento di un interesse propriamente riconducibile nell’alveo applicativo dell’art. 100 c.p.c.) la legittimazione del coobbligato ad impugnare la sentenza in via incidentale tardiva: la proposizione di questo gravame, legato o anche solo condizionato all’esito di quello principale e ai motivi con esso formulati, garantirebbe in ogni caso un risultato decisorio uniforme circa l’esistenza e il modo di essere dell’obbligazione solidale, funzionale ad un corretto riparto dell’obbligazione in sede di regresso (non si tratterebbe propriamente di una contro-impugnazione, ma di un’impugnazione tardiva dal contenuto adesivo).

Ecco, dunque, che viene in risalto (in modo ancora una volta condivisibile) quanto è stato sostenuto nella sentenza delle Sezioni unite n. 24627 del 2007 nel passaggio logico- argomentativo centrale della motivazione, laddove si argomenta che – poiché l’unità del giudizio conclusosi con la sentenza impugnata, la cui intima coerenza verrebbe meno se ogni parte di esso fosse suscettibile di esame separato, con conseguente (pericolo) di difformità dei giudicati scaturenti dal  medesimo  rapporto,  seppur  tra  parti  diverse  – «l’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile a tutela della reale utilità della parte tutte le volte che l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivanti dalla sentenza alla quale il coobbligato solidale aveva prestato acquiescenza».

E’, dunque, la prospettiva dell’interesse (qualificato e concreto, e non insito solo nell’evitare un “pregiudizio di fatto” che può derivare dall’esito del giudizio conseguente al gravame principale) ad impugnare (dal cui esercizio discende l’acquisizione della qualità di parte che fa valere uno ius quo utimur) che legittima il coobbligato solidale (a cui venga notificata l’impugnazione principale) a proporre l’impugnazione incidentale tardiva ai sensi dell’art. 334, comma 1, c.p.c.

In tal modo si ottiene non solo una semplificazione del quadro che le Sezioni unite del 2007 hanno inteso tracciare nel contesto ispirato da un intento teleologico, ma anche una tutela maggiormente effettiva e garantistica nonché un’efficace economia processuale, evitando la moltiplicazione di processi a causa di sentenze che producano effetti soltanto tra alcune parti, a seguito di scissioni intervenute nello svolgersi delle impugnazioni, pur essendo il giudizio iniziato ab origine nei confronti di una pluralità di parti e pur risentendo queste, quantomeno in via riflessa o indiretta (ma pur sempre giuridicamente apprezzabile), dei pregiudizi che si originano dalla formazioni di giudicati interni o soggettivamente parziali. In tal modo si garantisce una tutela effettiva delle situazioni sostanziali e degli interessi in gioco, finalità che – con una previsione normativa, efficace ed esaustiva nella sua più ampia rappresentazione testuale e non, invece, improntata a genericità (come nel nuovo c.p.c., laddove non si pone uno specifico riferimento alle obbligazioni solidali) – perseguiva il codice di procedura civile del 1865. Il relativo art. 471, dopo avere stabilito, al comma 2, n. 1, che la riforma o l’annullamento della sentenza giovasse anche a “coloro i quali (quantunque non l’abbiano domandato) hanno un interesse essenzialmente dipendente dalla persona che l’ottenne”, al n. 3 dello stesso comma disponeva che della riforma o dell’annullamento della sentenza beneficiassero anche coloro che, pur non intervenuti nei gradi di impugnazione, fossero stati condannati in solido con la persona, che successivamente aveva ottenuto la riforma o l’annullamento (parte della dottrina ha acutamente sottolineato che – mediante questa complessiva previsione normativa – il sistema processuale previgente permetteva, per così dire, “una perfetta quadratura del cerchio”).

Detta finalità può rinvenirsi – pur se il testo del richiamato art. 471 c.p.c. 1865 non è, come detto, stato riprodotto nell’art. 334, comma 1, del nuovo codice di rito civile – attraverso un inquadramento ermeneutico-sistematico che di quest’ultimo ha operato la sentenza delle Sezioni unite n. 24627 del 2007.

Sussistono, perciò, sul piano della salvaguardia degli assetti generali di un istituto processuale di particolare rilievo, le condizioni per dare continuità all’orientamento espresso dalle Sezioni unite con la citata sentenza del 2007. Con la stessa si è inteso subordinare l’interesse ad impugnare alla messa in discussione, mediante la proposizione dell’appello principale, del “complessivo” risultato del giudizio di primo grado da parte del coobbligato solidale che si era astenuto dal proporre gravame, così consentendo, altresì, di pervenire ad un accertamento uniforme dell’esistenza e del modo di essere dell’obbligazione solidale nell’alveo di operatività dell’art. 332 c.p.c.

Come è stato opportunamente messo in evidenza (e già ricordato) da un’autorevole dottrina, ammettendo l’impugnazione incidentale tardiva si evita, more solito, la “corsa all’impugnazione precauzionale” da parte del coobbligato soccombente che sia soddisfatto dal complessivo risultato del giudizio di primo grado, ma che tema l’appello di altro coobbligato, così conseguendosi – come già evidenziato – una indubbia, coerente ed apprezzabile finalità di economia processuale.

Alla luce di tali considerazioni non si riscontrano, pertanto, idonee ragioni che inducano queste Sezioni unite ad un ripensamento, in risposta alla sollecitazione di cui al primo quesito, rispetto al principio statuito con la sentenza delle stesse Sezioni unite n. 24627/2007.

Peraltro, in proposito, si ravvisa l’opportunità di richiamare le valutazioni svolte – su un piano generale ed ispirato dall’esigenza di tenuta (per quanto possibile) del sistema giurisprudenziale del giudice della nomofilachia che deve favorire la “stabilizzazione” dei principi giuridici che incidono soprattutto su questioni di rilevanza ed applicazione diffuse (come quelle in materia processuale) – da queste stesse Sezioni unite con l’ordinanza n. 23675 del 2014, ricordata anche dal P.G. nelle sue conclusioni. Con la citata decisione si è affermato che “la salvaguardia dell’unità e della stabilità” dell’interpretazione giurisprudenziale (soprattutto di quella del giudice di legittimità e, in essa, di quella delle Sezioni unite) è ormai da considerare alla stregua di un criterio legale di interpretazione delle norme giuridiche. Non l’unico certo e neppure quello su ogni altro prevalente, ma di sicuro un criterio di assoluto rilievo.

Occorre dunque, per derogarvi, che vi siano fondate, rilevanti ed univoche ragioni (che, in relazione alla questione qui esaminata, non si rinvengono).

In particolare, quando si tratta di interpretazione delle norme processuali, è necessaria la ricorrenza di ragioni ancora più apprezzabili e di più ampia vastità, come insegna il “travaglio” che ha caratterizzato negli ultimi anni l’evoluzione giurisprudenziale di queste Sezioni unite civili con riguardo all’overruling in materia di interpretazione di norme processuali, posto che, soprattutto in tale ambito, la “conoscenza” delle regole (quindi, a monte, l’affidabilità, prevedibilità ed uniformità della relativa interpretazione) costituisce imprescindibile presupposto di uguaglianza tra i cittadini e di “giustizia” del processo medesimo (in senso conforme v., più recentemente, Cass., SU, n. 29862/2022 e Cass., Sez. L, n. 33012/2022).

E’ necessario “garantire al sistema giuridico-normativo la possibilità di evolversi, adattarsi, correggersi e al tempo stesso conservare, entro ragionevoli limiti, l’uniformità e la prevedibilità dell’interpretazione, soprattutto con riguardo a quella avente ad oggetto norme strumentali (come quelle processuali o comunque procedimentali)”.

9. Il contrasto sulla prima questione – alla luce del complesso delle argomentazioni svolte – va, quindi, risolto affermando il seguente principio di diritto ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c.:

l’impugnazione incidentale tardiva è ammissibile anche quando rivesta le forme dell’impugnazione adesiva rivolta contro la parte destinataria dell’impugnazione principale, in ragione del fatto che l’interesse alla sua proposizione può sorgere dall’impugnazione principale. 

10. In ordine alle altre due questioni sottoposte a queste Sezioni unite, non costituendo oggetto di contrasto all’interno della giurisprudenza della Corte, si ritiene di potere limitare l’analisi in questa sede a brevi considerazioni e a sintetici richiami della giurisprudenza consolidata sulla cui base possono trovare agevole soluzione.

10.1 La risposta alla seconda questione non può che essere consequenziale a quella data alla prima.

Con essa – come detto in premessa – l’ordinanza di rimessione chiede «se il principio fissato da Cass., Sez. U., 24627/2007, ove confermato, possa essere applicato anche con riferimento all’interesse insorto a seguito di un’impugnazione incidentale tardiva (introdotta, peraltro, con autonomo atto di citazione)».

Ritenendosi ammissibile l’impugnazione incidentale tardiva proposta dal secondo coobbligato in solido, in conseguenza dell’impugnazione principale proposta dal primo coobbligato, non ci sono ragioni per escludere l’ammissibilità dell’impugnazione incidentale del terzo coobbligato, perché egli versa, nei confronti del secondo, nella stessa situazione in cui quest’ultimo si trova nei confronti del primo, quale che sia la ragione per cui si ritenga ammissibile l’impugnazione incidentale tardiva del secondo.

Si intende dire che ove, ad esempio, la ragione dell’ammissibilità dell’impugnazione incidentale tardiva del secondo coobbligato venisse ravvisata (come avevano fatto le Sezioni Unite nel 2007) nella perdita del diritto di regresso del secondo coobbligato nei confronti del primo in caso di accoglimento dell’impugnazione principale proposta dal primo, il terzo coobbligato, a fronte dell’impugnazione incidentale tardiva del secondo, si troverebbe esposto non solo al rischio, conseguente alla proposizione dell’impugnazione principale, della perdita del diritto di regresso nei confronti del primo, ma, a seguito dell’impugnazione incidentale tardiva proposta dal secondo coobbligato, all’ulteriore rischio della perdita del diritto di regresso anche nei confronti del secondo.

Il prospettato quesito sulla seconda questione va, perciò, risolto affermando il seguente principio di diritto ai sensi del citato art. 363, comma 3, c.p.c.:

Il principio secondo cui l’impugnazione incidentale tardiva è ammissibile pure quando rivesta le forme dell’impugnazione adesiva rivolta contro la parte destinataria dell’impugnazione principale è applicabile anche con riferimento all’interesse insorto a seguito di un’impugnazione incidentale tardiva.

D’altra parte, la stessa lettera dell’art. 343 c.p.c. prevede la possibilità di un appello incidentale il cui interesse sorga dall’impugnazione proposta da altra parte che non sia l’appellante principale, disponendo che esso, anziché con comparsa depositata venti giorni prima dell’udienza, debba e possa proporsi nella prima udienza successiva alla proposizione dell’impugnazione stessa.

Inoltre, il medesimo art. 343 c.p.c. disciplina le forme e i termini per la proposizione dell’appello incidentale tanto tempestivo quanto tardivo.

10.2 Infine, rilevando che l’impugnazione proposta in risposta all’appello principale del P.P. (per quanto adesiva rispetto a questa, in base alla sintesi dei relativi contenuti risultanti dalla sentenza di appello) è stata ritenuta inammissibile, perché tardiva, attraverso una statuizione che non è stata impugnata, l’ordinanza interlocutoria rileva che si debba verificare se l’impugnazione incidentale fosse inammissibile in ragione della consumazione del diritto di impugnazione avvenuta con l’appello incidentale tardivo presentato a seguito dell’appello principale.

Ciò tenendo presente, nel particolare ambito per cui è causa, il principio fissato dalla richiamata Cass., Sez. 6-1, n. 12584 del 22/05/2018.

Sul punto si ricorda che, nel caso all’esame di queste Sezioni unite, secondo quanto indicato nell’ordinanza di rimessione, mentre il S.P. ha proposto impugnazione incidentale tardiva all’atto della costituzione in cancelleria ai sensi dell’art. 166 c.p.c., il C.M. ha a sua volta proposto impugnazione incidentale, adesiva a quella dell’appellante principale P.P., con comparsa depositata alla prima udienza, e impugnazione incidentale, adesiva a quella dell’appellante incidentale S.P., con atto di citazione notificato nella stessa data dell’udienza.

La Corte d’appello ha, contestualmente, dichiarato la tardività dell’impugnazione proposta con la comparsa depositata direttamente all’udienza, quindi senza il rispetto dei termini di cui all’art. 343, comma 1, c.p.c., e l’ammissibilità dell’impugnazione proposta dalla stessa parte e notificata alla società “L.I. s.r.l.” il giorno stesso di tale udienza, potendo valere quale impugnazione incidentale tardiva, ex art. 343, comma 2, c.p.c., sul rilievo – come in precedenza rammentato – che l’impugnazione incidentale del coobbligato S.P. «ha determinato l’insorgere in capo a C.M. di nuovo ed autonomo interesse ad impugnare la sentenza nei confronti di L.I. s.r.l., conseguendo ad essa la possibilità – in caso di accoglimento (anche) del gravame proposto da detto coobbligato – di vedere definitivamente perso il vincolo della solidarietà e di trovarsi perciò esposto, da solo e per l’intero, alla pesante condanna emessa dal tribunale (arg. ex Cass. S.U. 24627/2007)».

Il primo dato da tenere in considerazione è, quindi, la legittimità della contestuale dichiarazione di inammissibilità e di quella di ammissibilità delle due impugnazioni pure congiuntamente proposte dal C.M., alla luce della consolidata giurisprudenza della Corte, secondo cui «il divieto di riproposizione di un secondo appello quando il primo sia inammissibile o improcedibile è correlata – a norma dell’art. 358 c.p.c. – non al momento in cui è stato proposto il primo appello inammissibile o improcedibile, bensì alla dichiarazione di tali inammissibilità o improcedibilità da parte del giudice dell’appello, con la conseguenza che la riproposizione non è impedita dalla pregressa verificazione di una fattispecie di inammissibilità o di improcedibilità del precedente appello che non sia stata ancora dichiarata dal giudice» (v., per tutte, Cass. Sezione 5, n. 4658 del 21/02/2020).

Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il principio della consumazione dell’impugnazione, che preclude la riproposizione di un secondo atto di appello, opera soltanto ove sia intervenuta una declaratoria d’inammissibilità o improcedibilità del primo, con la conseguenza che, nel caso in cui il primo atto di appello sia viziato, e fino a quando la declaratoria di inammissibilità non venga adottata, può essere notificato un secondo atto di appello, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo (cfr. Cass., Sezione Sesta- 5, n. 4754 del 28/02/2018 e Cass., Sezione Sesta-3, n. 14214 del 4/06/2018).

Peraltro, la fattispecie che viene in rilievo nella causa di cui trattasi non è in concreto riconducibile al divieto di riproposizione di un secondo appello quando il primo sia inammissibile o improcedibile, perché al momento della proposizione dell’appello del C.M., adesiva a quella incidentale del S.P., con citazione notificata il 26 gennaio 2012, la sua impugnazione incidentale adesiva a quella dell’appellante principale P.P. non era stata ancora dichiarata inammissibile.

La terza questione posta con l’ordinanza di rimessione va, quindi, risolta con l’affermazione (sempre ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c.) del seguente principio di diritto nell’interesse della legge:

il principio di consumazione dell’impugnazione non esclude che, fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità, possa essere proposto un secondo atto di impugnazione, immune dai vizi del precedente, destinato a sostituirlo e relativo anche a capi della sentenza diversi da quelli oggetto del precedente atto di impugnazione.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni unite, dichiara l’estinzione del giudizio di cassazione ed enuncia, ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c., i principi nell’interesse della legge, così come riportati in parte motiva.