CORTE DI CASSAZIONE, SS. UU., sentenza n. 18298 depositato il 25 giugno 2021
Tributi – Condoni – Definizione agevolata lite tributaria pendente ex art. 6, D.L. n. 119 del 2018 – Ambito di applicazione – Controversia riguardante cartella di pagamento ex art. 36-bis, DPR n. 600 del 1973
Fatti di causa
A seguito di controllo automatizzato ex art. 36 bis del d.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 600, nei confronti della L. Import Export S.r.l., l’Agenzia delle Entrate, sul presupposto che la società avesse versato in ritardo IRES ed IRAP relative all’anno d’imposta 2006, iscrisse a ruolo sanzioni ed interessi per complessivi euro 32.527,00, notificando quindi cartella di pagamento per detto importo.
La società impugnò detta cartella dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Avellino, che accolse il ricorso. L’appello proposto avverso detta sentenza dall’Amministrazione finanziaria fu respinto dalla Commissione tributaria regionale (CTR) della Campania – sezione staccata di Salerno – con sentenza n. 373/04/13, depositata il 2 maggio 2013, non notificata.
La CTR escluse che vi fosse stato ritardo nel versamento delle imposte dovute, ritenendo che l’approvazione del bilancio da parte della società fosse avvenuto nei termini, avendo la società un esercizio sociale non coincidente con l’anno solare ed in ogni caso approvato in data 30 ottobre 2006, cioè nei quattro mesi successivi alla chiusura, il 30 giugno 2006, dell’esercizio medesimo, essendosi la società avvalsa della proroga di cui all’art. 17 del d.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435.
Avverso detta sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
La società resiste con controricorso.
Nelle more del giudizio, avendo la società presentato nei termini istanza di definizione agevolata della lite, ne fu disposta la sospensione sino al 31 dicembre 2020, ai sensi, dell’art. 6, comma 10, del d.l. 23 ottobre 2018, n.119, convertito, con modificazioni, dalla I. 17 dicembre 2018, n. 136.
L’Agenzia delle Entrate, comunicando che la domanda di definizione agevolata della lite era stata oggetto di diniego con provvedimento del 17 luglio 2020, richiese quindi la fissazione dell’udienza di discussione.
Riunito all’originario giudizio il ricorso proposto dinanzi alla Corte dalla società avverso il diniego di condono, le cause furono trattate dalla sezione tributaria all’adunanza in camera di consiglio del 14 gennaio 2021.
All’esito della stessa fu emessa l’ordinanza interlocutoria n. 1913/2021, depositata il 28 gennaio 2021, con la quale la controversia fu rimessa al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, in ragione del contrasto rilevato in materia nella giurisprudenza della sezione tributaria, nonché quale questione di massima di particolare importanza.
Disposta l’assegnazione alle Sezioni Unite, in prossimità dell’udienza, il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale A.M.S., ha reso conclusioni scritte, ex art. 23, comma 8 – bis, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, nella I. 18 dicembre 2020, n. 176, con le quali ha chiesto accogliersi il ricorso proposto dalla contribuente avverso il diniego di condono.
Non essendo stata fatta, secondo la succitata norma, nei termini, richiesta di discussione orale, la causa è stata decisa all’odierna camera di consiglio delle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 23, comma 8- bis, del d.l. n. 137/2020, come convertito, con modificazioni, dalla l. n. 176/2020, per la quale la società ha depositato memoria ex art. 380 bis 1., cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. Va esaminato, in ordine logico, con priorità, l’unico motivo, prospettato in relazione ad un duplice profilo, addotto a sostegno del ricorso proposto dalla contribuente avverso il diniego di condono.
1.1. In primo luogo va ribadito quanto già osservato dall’ordinanza interlocutoria, anche in ordine alla sua tempestività, in punto di ammissibilità del ricorso, che, pendendo il giudizio al quale è riferita l’istanza di definizione agevolata della lite presso questa Suprema Corte, va dunque proposto dinanzi ad essa nelle forme proprie del ricorso per cassazione (cfr., tra le altre, Cass., sez. 5, ord. 30 novembre 2018, n. 31049; Cass., sez. 5, 3 maggio 2021, n. 11623).
1.2. L’Agenzia delle Entrate ha motivato il diniego sull’istanza di definizione agevolata sul presupposto che l’art. 6 del d.l. n. 119/2018, rimasto invariato a seguito della conversione di cui alla l. n. 136/2018, limitasse la stessa alle sole controversie inerenti agli “atti impositivi”, escludendo quelli aventi ad oggetto atti di mera riscossione, quali ruoli, cartelle di pagamento ed avvisi di liquidazione; nella fattispecie, trattandosi di giudizio avente ad oggetto l’impugnazione di cartella di pagamento ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973 riguardante unicamente le sanzioni, oltre agli interessi, per ritardato versamento delle imposte IRES ed IRAP di cui alla dichiarazione per l’anno d’imposta 2006 (analoga disposizione, come è noto, è contenuta nell’art. 54 bis del d.P.R. n. 633/1972 riguardo all’IVA), se ne è dedotta, dall’Amministrazione finanziaria, anche in virtù del richiamo ai propri documenti di prassi (da ultimo la circolare n. 6/E del primo aprile 2019), l’esclusione della controversia medesima dall’ambito di applicazione dell’art. 6 del citato decreto legge n. 119/2018.
1.2.1. Con l’unico motivo di ricorso la società denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.l. n. 119/2018, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ..
In relazione ad un primo profilo, la contribuente lamenta l’illegittimità del diniego notificatole riguardo all’istanza di definizione agevolata della lite, assumendo che, diversamente da quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Avellino- l’impugnazione da parte della contribuente della cartella di pagamento nell’originario giudizio non può considerarsi come lite avente ad oggetto un mero atto riscossivo, dovendo, infatti, la cartella, quantunque emessa a seguito di controllo cartolare, considerarsi l’atto col quale per la prima volta la contribuente è stata resa destinataria di una nuova pretesa impositiva, concernente la contestazione ed irrogazione delle sanzioni, in ragione di un presupposto – quello afferente il tardivo versamento delle imposte indicate come dovute dalla parte medesima nella dichiarazione sottoposta a controllo automatizzato – viceversa contestato dalla società riguardo alla legittimità dell’invocata proroga ex art. 17 del d.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435.
1.2.2. Quanto al secondo profilo, la ricorrente denuncia ancora violazione o falsa applicazione della medesima norma di legge di cui alla richiamata rubrica, nella parte in cui il diniego espresso dall’Amministrazione finanziaria sull’istanza di definizione agevolata della lite è stato motivato in relazione a quanto affermato nella circolare n. 6/E del 2019, ivi essendosi affermato che l’esclusione dall’ambito di applicazione dell’art. 6 del d.l. n. 119/2018 delle «controversie aventi ad oggetto atti di mera riscossione comporta, inoltre, la non definibilità in via agevolata di giudizi concernenti unicamente le sanzioni per omesso o ritardato versamento delle imposte indicate in dichiarazione, irrogate a norma dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471».
Osserva in proposito la ricorrente, per un verso, come l’interpretazione di parte fornita dall’Agenzia delle Entrate nei propri documenti di prassi, non costituendo fonte di diritto, non possa arrecare pregiudizio alle ragioni della contribuente, rilevando, inoltre, per altro verso, come in realtà tale interpretazione si ponga essa stessa in chiaro contrasto con la norma dell’art. 6, comma 3, del citato d.l. n. 119/2018, neppure potendo dirsi esistente, attese le singolari modalità della lite fiscale insorta, “un rapporto relativo ai tributi”.
2. Nell’approccio alla problematica in oggetto, appare opportuna una premessa metodologica. Può recepirsi lo schema riepilogativo proposto dall’ordinanza interlocutoria in ordine alla ricognizione degli orientamenti espressi in materia dalla giurisprudenza della sezione tributaria secondo la tripartizione proposta, con la precisazione riguardo alla sua natura tendenziale ed alla sua funzione essenzialmente esplicativa, atteso che, in realtà, il c.d. orientamento mediano esprime ugualmente l’esigenza rappresentata dall’orientamento che ammette che, in presenza di determinate condizioni, alla cartella emessa ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973 in sede di controllo automatizzato debba attribuirsi natura di atto impositivo – di una correlazione tra atto e sua impugnazione in quella che, ai fini della disciplina in oggetto, viene a porsi come lite pendente suscettibile di definizione agevolata.
3. Conviene allora muovere dall’esame dell’orientamento radicatosi storicamente nell’ambito di precedenti discipline condonistiche, derivante dalla giurisprudenza formatasi in relazione all’ipotesi di c.d. condono su condono, che tale correlazione nega in radice, e che qualifica – al pari dei documenti di prassi dell’Amministrazione finanziaria succedutisi nel tempo – la cartella emessa ai sensi dell’art. 36 bis del citato d.P.R. n. 600/1973 come mero atto liquidatorio, come tale non suscettibile di definizione agevolata.
3.1. È dunque opportuno ricordare come l’art. 6, comma 1, del d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 136/2018 – laddove stabilisce che «[l]e controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia», stabilito ai sensi dell’art. 12, comma 2, del d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – si ponga, in termini di sostanziale continuità con le precedenti disposizioni di cui: all’art. 2 – quinquies del d.l. 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, dalla I. 30 novembre 1994, n. 656; all’art. 16 della I. 27 dicembre 2002, n. 289; all’art. 39, comma 12, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla I. 15 luglio 2011, n. 111.
Rispetto a dette disposizioni si pone invece in maniera eccentrica il disposto dell’art. 11, comma 1, del d.l. 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla I. 21 giugno 2017, n. 96, ove la possibilità di definizione agevolata delle controversie in presenza delle condizioni ivi stabilite è riferita alle controversie attribuite alla giurisdizione tributaria, riguardanti, in generale, l’atto impugnato, in cui è parte l’Agenzia delle entrate pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in cassazione ed anche a seguito di rinvio.
Tra le precedenti disposizioni, in particolare, pare utile ricordare il contenuto dell’art. 16, terzo comma, della l. n. 289/2002, al quale il c.d. minicondono del 2011 per le liti di valore fino a ventimila euro ha, salvo alcune specificazioni, fatto rinvio, trattandosi della norma in relazione alla quale si è, per lo più, affermato l’indirizzo in esame.
L’art. 16 della l. n. 289/2002, per quanto qui d’interesse, stabilisce, al terzo comma, che per lite fiscale pendente, in relazione al disposto del primo comma della stessa norma, s’intende quella in cui è parte l’amministrazione finanziaria dello Stato avente ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione, per i quali, alla data di entrata in vigore di detta legge, è stato proposto l’atto introduttivo del giudizio.
3.2. Nella vigenza del condono previsto dalla l. n. 289/2002, si è andato affermando l’indirizzo secondo cui «in tema di condono fiscale, l’art. 16 della l. n. 289/2002, consentendo la definizione agevolata delle sole liti aventi ad oggetto un atto impositivo comunque denominato, non si applica alle controversie riguardanti la cartella, emessa ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, con cui l’Amministrazione richiede il pagamento di versamenti omessi e delle conseguenti sanzioni, derivando, per quanto attiene ai versamenti, da una mera liquidazione dei tributi già esposti dal contribuente e, con riferimento alle sanzioni, da un riscontro puramente formale dell’omissione, senza alcuna autonomia e discrezionalità da parte dell’Amministrazione» (cfr, tra le molte, Cass., sez. 5, 21 aprile 2011, n. 9194; Cass., sez. 5, ord. 24 maggio 2012, n. 9894; Cass., sez. 5, 11 aprile 2014, n. 8529; Cass., sez. 5, 28 gennaio 2015, n. 1571; Cass., sez. 6-5, ord. 2 novembre 2018, n. 28064, nonché Cass., sez. 5, 12 luglio 2013, n. 17252; Cass. sez. 5, 13 aprile 2016, n. 7279; Cass. sez. 6-5, ord. 8 giugno 2017, n. 14344; Cass. sez. 5, ord. 21 gennaio 2021, n. 1231, queste ultime in fattispecie relative all’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98/2011).
3.2.1. Detto orientamento ha, inoltre, costituito la base su cui si è essenzialmente ritenuto non suscettibile di definizione agevolata l’avviso di liquidazione, laddove sia assente la discrezionalità dell’Amministrazione, affinché possa parlarsi di importo realmente contestato (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, 21 aprile 2011, n. 9178, sui limiti entro i quali possa essere oggetto di definizione agevolata della lite, ex art. 16 della l. n. 289/2002, controversia riguardante l’impugnazione di avviso di liquidazione emesso sulla base della volontà del contribuente di avvalersi del sistema automatico di valutazione catastale di cui all’art. 12 del d.l. 14 marzo 1988, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla l. 13 maggio 1988, n. 154).
3.2.2. Ancora, di detto orientamento si è fatta applicazione in tema di accertamento con adesione per sostenere che la sospensione del termine d’impugnazione previsto dall’art. 6, comma 3 del d. lgs. 19 giugno 1997, n. 218, sia applicabile solo qualora l’istanza di accertamento con adesione sia presentata nei confronti di un atto accertativo e non anche a seguito di cartella seguita a liquidazione ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973, non essendo questa fondata su una ricostruzione dei dati esposti dal contribuente nella dichiarazione, ma su mero controllo formale effettuato con procedure automatizzate (cfr. Cass., sez. 5, ord. 4 settembre 2020, n. 18397).
3.3. Tra le pronunce più recenti, con specifico riferimento alla definizione agevolata ex art. 6, comma 1, del d.l. n. 119/2018, ha ribadito detto orientamento Cass., sez. 5, ord. 24 dicembre 2020, n. 29552, in motivato dissenso rispetto all’indirizzo di cui al paragrafo successivo, rilevando che, a differenza di altre ipotesi contemplate dagli articoli 36 bis del d.P.R. n. 600/1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633/1972, come quelle relative all’esclusione o riduzione delle detrazioni o deduzioni ritenute in tutto o in parte non spettanti, di cui alle lettere c) e d) del secondo comma del citato art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973, «nei casi (riconducibili alla liquidazione/controllo a norma della lett. f del comma 2 dell’art. 36- bis o a norma della lett. c del comma 2 dell’art. 54- bis) di imposte dichiarate e non versate, o versate tardivamente, l’iscrizione a ruolo delle stesse imposte e/o degli interessi non presuppone alcuna rettifica dei dati e degli elementi indicati nelle dichiarazioni, ma opera il mero recupero dell’imposta dichiarata dal contribuente e da lui non versata (con i relativi interessi) o dei soli interessi sulla stessa imposta non versata»; da ciò discendendo la conseguenza – prosegue la citata Cass. ord. n. 29552/20 – «che tali ruoli e le pedisseque cartelle di pagamento costituiscono atti di mera riscossione, privi di natura anche impositiva, con la conseguenza che gli stessi ruoli, così come le cartelle che li recano, non possono ritenersi suscettibili di definizione agevolata ai sensi […] dell’art. 6 del d.l. n. 119 del 2018».
La conclusione a cui approda la pronuncia in esame è che «della natura non impositiva dell’atto (ruolo e cartella di pagamento) partecipano anche le sanzioni per l’omesso o il ritardato versamento delle imposte dichiarate, atteso che l’iscrizione a ruolo di tali sanzioni, previste dall’art. 13 del d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, consegue automaticamente al suddetto omesso o ritardato versamento».
3.4. I documenti di prassi dell’Agenzia delle entrate secondo le diverse discipline in tema di condono sopra menzionate (da ultimo, riguardo all’art. 6 del d.l. n. 119/2018, si veda la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 6/E del primo aprile 2019), riflettono l’orientamento sopra esposto.
4. Ad esso si contrappone il diverso indirizzo che ritiene che il giudizio relativo all’impugnazione di cartella di pagamento ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973 possa formare oggetto di definizione agevolata se ed in quanto la cartella costituisca il primo atto con il quale il contribuente è messo a conoscenza dell’esistenza di una pretesa fiscale nei suoi confronti, trovando espressione il più delle volte la massima in cui esso è esposto, con riferimento alle norme di cui all’art. 16 della l. n. 289/2002 o all’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98/2011 che alla prima, come si è detto, rinvia.
Si è, dunque, affermato che «[i]n tema di condono fiscale, rientrano nel concetto di lite pendente, con possibilità di definizione agevolata ai sensi dell’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, conv. in l. n. 111 del 2011, le controversie relative a cartella esattoriale emessa ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, non preceduta da precedente atto di accertamento, la quale, come tale, è impugnabile non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva, trattandosi del primo e unico atto con cui la pretesa fiscale viene comunicata al contribuente» (in tal senso, tra le molte, più di recente, Cass., sez. 5, 27 settembre 2018, n. 23269; Cass., sez. 5, ord. 12 dicembre 2018, n. 32132; Cass. sez. 5, ord. 17 gennaio 2019, n. 1158; Cass., sez. 5, ord. 8 febbraio 2019, n. 3759; Cass., sez. 5, ord. Cass., sez. 5, ord. 24 settembre 2020, n. 20058; Cass., sez. 5, ord. 7 dicembre 2020, n. 27975, nonché, in precedenza, in relazione all’art. 16 della l. n. 289/2002, tra le altre, Cass., sez. 5, 20 marzo 2006, n. 6186; Cass., sez. 5, 2 luglio 2009, n. 15548; Cass., sez. 5, 16 aprile 2010, n. 16075; Cass., sez. 5, 7 luglio 2010, n. 16075).
Da ultimo, con specifico riferimento alla definizione agevolata, ex art. 6, del d.l. n. 119/2018, Cass., sez. 5, ord. 26 gennaio 2021, n. 1590, ha ribadito come l’impugnazione della cartella di pagamento, con cui l’Amministrazione liquida le imposte calcolate sui dati forniti dallo stesso contribuente, dia origine «ad una controversia definibile in forma agevolata, ai sensi dell’art. 6 del d.l. 119/2018, in quanto detta cartella, essendo l’unico atto portato a conoscenza del contribuente con cui si rende nota la pretesa fiscale e non essendo preceduta da avviso di accertamento, è impugnabile non solo per vizi propri della stessa, ma anche per questioni che attengono direttamente al merito della pretesa fiscale ed ha, quindi, natura di atto impositivo».
5. Ritengono queste Sezioni Unite, in conformità alle conclusioni scritte rese dal Pubblico Ministero, che detto indirizzo debba essere confermato.
In tal senso converge l’esito della disamina delle critiche formulate dal contrapposto orientamento nella sua principale articolazione di cui alla succitata pronuncia Cass., ord. n. 29952/20 che, a giudizio di queste Sezioni Unite, non appaiono decisive nel sostenere la legittimità del diniego di condono opposto dall’Agenzia delle entrate nella fattispecie in esame.
5.1. Conviene, peraltro, in relazione alla peculiarità della presente vicenda processuale, muovere dall’ultimo rilievo (si veda supra, par. 3.2.2.), secondo cui della natura non impositiva dell’atto (ruolo e cartella di pagamento) partecipano anche le sanzioni per l’omesso o il ritardato versamento delle imposte dichiarate, atteso che l’iscrizione a ruolo di tali sanzioni„ previste dall’art. 13 del d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, consegue automaticamente al suddetto omesso o ritardato versamento.
L’assunto addotto dall’Agenzia delle entrate nella motivazione del diniego di definizione agevolata della lite, espresso nel paragrafo 2.3.5. della citata circolare n. 6/E del 2019, è analogo.
La società, come si è visto, nell’impugnare con ricorso per cassazione il diniego di condono, ha censurato detto assunto in relazione al secondo profilo dell’unico motivo addotto a sostegno del ricorso.
5.2. Premesso che, nel caso di specie, sottoposto all’esame della Corte, la cartella emessa ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973 attiene unicamente, oltre agli interessi, alle sanzioni irrogate in ragione dell’aver ritenuto l’Amministrazione finanziaria il ritardato versamento dei tributi IRES ed IRAP dovuti per l’anno d’imposta, in disparte ogni ulteriore considerazione riguardo al fatto che l’interpretazione offerta da una circolare dall’Amministrazione finanziaria, che è parte del giudizio, non assurge al rango di fonte del diritto che possa pregiudicare di per sé le ragioni addotte dalla parte privata (cfr. Cass., SU, 2 novembre 2007, n. 23031; Cass. sez. 5, 21 marzo 2014, n. 6699), la tesi esposta dall’Agenzia delle entrate a sostegno del diniego di definizione agevolata non può ritenersi condivisibile.
5.3. In proposito va osservato, come evidenziato anche in dottrina, che l’iscrizione a ruolo, esattamente come gli avvisi di accertamento, svolge la duplice funzione di pretendere l’imposta dovuta e di irrogare la sanzione, ai sensi dell’art. 17 del d.lg. 18 dicembre 1997, n. 472, tanto da essere invalsa la nozione di “atto contestuale”, per evidenziare la natura polifunzionale dei provvedimenti impositivi. Ciò porta a ritenere che quando, come nella fattispecie, la cartella ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973, pur resa nell’ambito di procedura di controllo cartolare su dichiarazione del contribuente, si ponga come atto di irrogazione della sanzione, essa configuri un atto impositivo, non diversamente da come sarebbe accaduto se fosse stato impugnato un avviso di accertamento, unicamente nel suo contenuto sanzionatorio, o un atto di contestazione e, pertanto, può costituire oggetto di definizione agevolata, ai sensi dell’art. 6, comma 3, del d.l. n. 119/2018.
5.4. Nella fattispecie in esame, ove la contestazione è sorta, in effetti, senza investire il rapporto relativo ai tributi IRES ed IRAP pacificamente dovuti e versati, limitatamente all’irrogazione delle sanzioni per il preteso ritardo nel versamento, sussistendo detto ritardo unicamente ove fosse stata accertata l’insussistenza del diritto della società alla proroga del termine di approvazione del proprio bilancio (questione, peraltro, rimasta estranea all’oggetto della prima comunicazione dell’Amministrazione resa ai sensi del terzo comma dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973), si ritiene che la controversia possa essere oggetto di definizione agevolata ai sensi del citato art. 6, comma 3, ultimo periodo del d.l. n. 119/2018, che stabilisce che «[i]n caso di controversia relativa esclusivamente alle sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono, per la definizione non è dovuto alcun importo relativo alle sanzioni qualora il rapporto relativo ai tributi sia stato definito anche con modalità diverse dalla presente definizione».
6. È, in ogni caso, fondato il ricorso della contribuente anche in relazione al primo profilo di articolazione dell’unico motivo di ricorso avverso il diniego di definizione agevolata della lite.
Non appaiono, infatti, decisive, in senso ostativo alla condonabilità delle liti su cartelle pur emesse in procedura di controllo automatizzato ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973, nella sussistenza dei presupposti indicati nel precedente paragrafo 4, le considerazioni critiche espresse riguardo al secondo orientamento ivi preso in esame.
6.1. Quanto alla negazione della natura di “atto impositivo” della cartella emessa nell’ambito di controllo automatizzato ex art. 36 bis, del d.P.R. n. 600/1973, sui dati offerti dalla stessa dichiarazione del contribuente, nel richiamare quanto si è già avuto sopra modo di osservare specificamente riguardo all’atto di contestazione delle sanzioni, laddove, come nel caso di specie, la cartella costituisca il primo atto col quale il contribuente sia stato reso edotto della pretesa fatta valere dall’Amministrazione nei suoi confronti, può attribuirsi alla cartella, proprio per la mancanza di un previo avviso di accertamento, natura di atto complesso, che, oltre a svolgere la funzione di un comune precetto, “impone” per la prima volta al contribuente una prestazione determinata nell’an e nel quantum.
Ciò risulta coerente con l’indirizzo di questa Corte, che può dirsi ormai consolidato e che va in questa sede riaffermato, secondo cui pur nel contesto dell’elencazione, contenuta nell’art. 19 del d. lgs. n. 546/1992 degli atti suscettibili d’impugnazione dinanzi alle commissioni tributarie, si è riconosciuta al contribuente, in ragione dei principi costituzionali di buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.) e di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.), la facoltà d’impugnazione, ad esempio, delle stesse comunicazioni d’irregolarità rese ai sensi dell’art. 36 bis, terzo comma, del d.P.R. n. 600/1973, che rendano quindi il contribuente destinatario di una pretesa tributaria ben individuata nei termini sopra indicati (cfr., tra le altre, Cass., sez. 5, 11 maggio 2012, n. 7344; Cass., sez. 6-5, ord. 28 novembre 2014, n. 25297; Cass., sez. 6-5, ord. 19 febbraio 2016, n. 3315).
La stessa Amministrazione finanziaria, d’altronde, nella citata circolare (par. 2.3.4.), sia pure a fini diversi (come, ad esempio, riguardo alla natura impositiva che debba riconoscersi agli avvisi di liquidazione in tema di imposta di registro, catastale o di successione che rettifichino i dati esposti dal contribuente, con effetto novativo della pretesa), pone in evidenza come rilevi, di là dal nomen iuris, per poter accedere alla definizione agevolata della controversia, la natura sostanziale dell’atto impugnato.
6.2. Neppure appare decisiva, nel senso invece prospettato dal primo indirizzo esaminato, la considerazione secondo cui la natura impositiva dell’atto non possa stabilirsi a posteriori in considerazione dei motivi di ricorso proposti, che debbono riguardare il merito della pretesa impositiva.
Fermo quanto già osservato in relazione alla ritenuta natura impositiva dell’atto in sé, laddove esso assolva alla duplice funzione sopra indicata, deve rilevarsi come lo stesso indirizzo in esame non possa escludere che, di là dalla natura formale dell’atto, rilevi – ai fini della valutazione dell’ammissibilità o meno della definizione agevolata – anche la considerazione della natura dei motivi d’impugnazione, come ad esempio nel caso in cui, nell’impugnare la cartella, si faccia valere il preteso vizio di notifica dell’avviso di accertamento presupposto.
6.3. Ritiene ancora la Corte come l’orientamento che ritiene che la controversia originata da impugnazione di cartella di pagamento ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973 possa formare oggetto di definizione agevolata, ove costituisca il primo atto con il quale il contribuente venga posto a conoscenza dell’esistenza di una pretesa fiscale nei suoi confronti, meriti adesione anche in relazione alla sua coerenza con il principio dell’emendabilità, da parte del contribuente, in sede contenziosa, della dichiarazione dei redditi, quale dichiarazione di scienza, nei termini affermati da queste Sezioni Unite (cfr. Cass., SU, 30 giugno 2016, n. 13378), come già rilevato, del resto, da parte della giurisprudenza della sezione tributaria (cfr., tra le altre, più di recente, Cass., sez. 5, 27 settembre 2018, n. 23269), nonché, riguardo all’IVA, all’ambito di utilizzabilità del controllo automatizzato di cui all’art. 54 bis del d.P.R. n. 633/1972, nei termini pure illustrati da queste Sezioni Unite (cfr. Cass., SU, 8 settembre 2016, n. 17758), esulando la definizione agevolata, nei limiti definiti dall’art. 6 del d.l. n. 119/2018, dalle preclusioni e limiti derivanti dalla disciplina eurounitaria, in tema di tributi armonizzati.
7. Un’ulteriore considerazione va, in questa sede spesa, specificamente, in relazione alla natura c.d. spuria della definizione agevolata ex art. 6 del d.l. n. 119/2018, cioè tale da incidere, in parte, anche sull’entità del tributo, determinando il quantum anche in considerazione dell’esito dei gradi di giudizio già svolti, in cui, dunque, particolarmente evidente è il favor del legislatore per la condonabilità delle liti, in via generale riconosciuta già in passato da queste Sezioni Unite (cfr., Cass., SU, 25 luglio 2007, n. 16142; Cass., SU, 17 febbraio 2010, n. 3676).
Negare la condonabilità delle liti che trovano occasione nell’impugnazione per ragioni di merito di una cartella formata ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973 (un caso particolarmente frequente, in passato, in adesione al primo orientamento, ha riguardato il contenzioso originato da cartelle di pagamento ex art. 36 bis per IRAP non versata sebbene oggetto di dichiarazione da parte di liberi professionisti che, impugnando la cartella, hanno poi contestato la stessa sussistenza dell’autonoma organizzazione come presupposto impositivo dell’IRAP), si porrebbe in modo antitetico alle finalità della norma sopra evidenziate, ponendo in condizione deteriore quei contribuenti che abbiano reso comunque possibile l’individuazione della pretesa tributaria nell’ambito di un controllo di natura cartolare.
8. In conclusione appare sufficiente spendere un’unica considerazione riguardo a quello che nell’ordinanza interlocutoria è definito orientamento mediano, riassunto nel principio secondo il quale la natura impositiva dell’atto, ai fini dell’ammissibilità della definizione agevolata della lite pendente a seguito della sua impugnazione, debba essere riconosciuta quando esso sia destinato ad esprimere per la prima volta, nei confronti del contribuente, una pretesa fiscale, purché vi sia controversia effettiva, e non apparente, sulla legittimità, sotto qualsiasi profilo della pretesa impositiva medesima, tranne che su aspetti relativi a meri errori di calcolo (tra le pronunce ricondotte al suddetto orientamento l’ordinanza interlocutoria richiama, tra le altre, Cass., sez. 5, ord. 29 novembre 2017, n. 28611; Cass., sez. 5, 8 luglio 2015, n. 14196; Cass., sez. 5, 22 gennaio 2014, n. 2986; Cass., sez. 5, 6 ottobre 2010, n. 20731).
8.1. Va premesso che, in realtà, un esame puntuale delle fattispecie oggetto delle rispettive decisioni consentirebbe di ricondurre la maggior parte dei casi ivi esaminati nei termini paradigmatici propri del secondo indirizzo sopra menzionato (nel caso, ad esempio, deciso da Cass. sez. 5, 13 marzo 2019, n. 7099, oggetto d’interpretazioni contrastanti in dottrina, la conferma della legittimità del diniego di definizione agevolata in controversia relativa all’impugnazione di cartella emessa ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973 è stata pur sempre basata sulla circostanza relativa all’essere stata la cartella impugnata non nel merito della pretesa erariale ma per vizi propri); per il resto, il richiamo alla natura effettiva della controversia trovando adeguata giustificazione nel principio generale del divieto di abuso del processo (cfr., tra le altre, in particolare, Cass., sez. 5, 21 settembre 2016, n. 18445), non potendo servirsi strumentalmente del processo allo scopo di creare surrettiziamente una lite pendente al fine di ottenere una definizione agevolata, ove a monte esista un accertamento definitivo. Si tratta di casi che purtroppo la prassi rivela come non infrequenti, come laddove, ad esempio, si affermi d’impugnare una cartella di pagamento ed il ruolo ad essa sotteso (oltre al prodromico avviso di accertamento) dei quali il ricorrente assuma di essere venuto a conoscenza per il tramite di estratto di ruolo consegnato dall’agente della riscossione, risultando poi spesso smentita dalle risultanze processuali la doglianza relativa all’omessa notifica della cartella (viceversa regolarmente notificata e non impugnata nei termini).
8.2. Ove, tuttavia, all’orientamento definito mediano, debba intendersi riconosciuta una propria autonomia, nel senso che si ritenga ad esso conseguente che sia necessario accertare caso per caso se la cartella ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973, abbia o meno funzione impositiva, è sufficiente richiamare quanto sopra osservato sulla prevalenza del dato sostanziale, quanto alla funzione (anche) impositiva della cartella emessa ai sensi della citata norma, che costituisca il primo atto che ponga il contribuente a conoscenza della pretesa da parte dell’Amministrazione finanziaria, non potendo tralasciarsi di considerare come l’ulteriore finalità deflattiva del contenzioso tributario, propria della disciplina in esame, potrebbe in concreto risultare contraddetta da un aumento del contenzioso relativo alle controversie riguardanti proprio le ipotesi di diniego di definizione agevolata.
9. Può, pertanto, darsi continuità al principio secondo il quale l’impugnazione della cartella di pagamento, con la quale l’Amministrazione finanziaria liquida, in sede di controllo automatizzato, ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973, le imposte calcolate sui dati forniti dallo stesso contribuente, dà origine a controversia definibile in forma agevolata, ai sensi dell’art. 6 del d.l. n. 119/2018, come convertito, con modificazioni, dalla l. n. 136/2018, quando detta cartella rappresenti il primo ed unico atto col quale la pretesa fiscale è comunicata al contribuente, essendo, come tale, impugnabile, ai sensi dell’art. 19 del d. lgs. n. 546/1992, non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva.
10. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso della società avverso il diniego di definizione agevolata opposto dall’Amministrazione finanziaria è fondato e va accolto, con conseguente declaratoria di estinzione del giudizio e cessazione della materia del contendere ai sensi dell’art. 6, terzo comma, del d.l. n. 119/2018, come convertito, con modificazioni, dalla l. n. 136/2018.
11. A ciò consegue l’assorbimento dei motivi addotti a sostegno del ricorso dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della CTR della Campania – sezione staccata di Salerno – che, giudicando nel merito della pretesa impositiva, aveva rigettato l’appello dell’Amministrazione finanziaria avverso la sentenza di primo grado ad essa sfavorevole.
12. Le spese del giudizio, ai sensi dell’art. 6, comma 13, del citato d.l. n. 119/2018, restano a carico della parte che le ha anticipate.
13. L’estinzione del giudizio per definizione agevolata della lite esclude che ricorrano i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente avverso il diniego di definizione agevolata della lite, per il versamento di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso della società L. Import Export S.r.l. avverso il diniego di definizione agevolata della lite e dichiara estinto il giudizio per cessazione della materia del contendere.
Spese del giudizio a carico della parte che le ha anticipate.