CORTE DI CASSAZONE – Ordinanza 14 maggio 2020, n. 8968
Tributi – Accertamento sintetico art. 38 DPR 600/1973 – Redditometro
Rilevato che
1.- M.M. ha impugnato l’avviso di accertamento con rideterminazione sintetica del reddito per l’anno di imposta 2004 eseguita ex art. 38 DPR 600/1973, in base al c.d. redditometro.
L’amministrazione finanziaria ha rideterminato il reddito tenendo conto che nell’anno 2004 la Moretti, come da atto registrato in data 24.1.2.2004 ha acquistato di quote di partecipazione in società di capitali per euro 429.074,00. La contribuente, opponendo l’avviso, ha dedotto che questa operazione era simulata, che non era stato eseguito alcun pagamento e che le quote erano state nuovamente da lei cedute al figlio dopo un anno, in data 7.1.2006.
Il ricorso della contribuente è stato accolto in primo grado. L’agenzia ha proposto appello e la CTR delle Marche, con sentenza del 29 marzo 2018, ha confermato la decisione di primo grado, ritenendo che il contratto, di natura verosimilmente simulata, non fosse sufficiente a provare la disponibilità patrimoniale presunta dall’ufficio.
2. Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate affidandosi a un motivo. Non si è costituita la contribuente. Costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 – bis del D.L. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 197/2016, si osserva quanto segue:
Ritenuto che
3.- Con l’unico motivo del ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 38 comma 4 segg. del DPR 600/1973 nonché dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 166 c.p.c. La CTR ha ritenuto verosimile che l’operazione fosse simulata, e quindi inidonea a dimostrare la disponibilità economica, in base a tre elementi: la società è a composizione familiare; la cessione di quote è avvenuta tra madre e figlio; le quote sono state nuovamente cedute dopo un anno al figlio, con atto del 7 gennaio 2006. Deduce l’agenzia che l’accertamento sintetico è fondato su una presunzione legale relativa che non si può qualificare, come ritenuta dalla CTR, una presunzione semplice; e che nella fattispecie i fatti allegati alla contribuente non erano idonei a vincere detta presunzione legale relativa; in particolare osserva che la CTR non ha prestato la dovuta attenzione alla dichiarazione della parte, nell’atto pubblico del 24.12.2004, laddove essa afferma di rilasciare quietanza liberatoria per il prezzo pagato prima della stipula dell’atto.
Il motivo è infondato.
Viene qui in rilievo, in primo luogo, più che la differenza tra presunzioni legali (cioè stabilite dalla legge) e presunzioni semplici (cioè ammesse dal giudice in quanto gravi precise e concordanti), la differenza tra presunzione assoluta, detta anche júris et de jure, che non ammette prova del contrario e la presunzione relativa, o juris tantum, che invece ammette prova del contrario. La norma di cui all’art. 38 del DPR 600/1973, legittima la presunzione, da parte dell’amministrazione finanziaria, di un reddito maggiore di quello dichiarato dal contribuente e, in particolare, nel testo ratione temporis vigente dispone che; l’ufficio può “in base ad elementi e circostanze di fatto cedi, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostante quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato”; e ancora che “Qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti”.
Si tratta, come la stessa Agenzia osserva, di una presunzione relativa che ammette la prova del contrario da parte del contribuente. La norma esemplifica la prova contraria nella dimostrazione “che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta”. Tuttavia, risponde ai principi generali, secondo le regole del di riparto probatorio di cui all’art. 2697 c.c., che la prova contraria può essere data anche mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, o anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo (Cass. 19171/2019). Deve quindi ritenersi anche ammessa la prova, che la spesa per incrementi patrimoniali non e’ avvenuta e che, quindi, non sussiste una reale disponibilità economica, essendo questa meramente apparente, per avere l’atto in questione natura simulata (Cass. 21442/2014; Cass. n. 8665/2002; Cass. n 5991/ 2006).
Nella specie la contribuente ha prodotto alcuni documenti (composizione della società, atto di retrocessione delle quote) esaminando i quali la CTR, con giudizio di fatto non sindacabile in questa sede, ha ritenuto che il contratto fosse simulato e quindi non rappresentativo di una reale disponibilità economica. Si deve qui rilevare, per completezza, che l’esistenza di un negozio simulato non è stata accertata al fine di privare di effetti il negozio stesso, non spiegando la pronuncia alcun effetto nei rapporti tra le parti del contratto, ma solo, incidenter tantum, quale fatto giuridico, di cui si può dare la prova per presunzioni (Cass. 14351/2012).
Né può dirsi che la CTR abbia ignorato l’efficacia di prova legale dell’atto pubblico in ordine al versamento del prezzo. Come si desume dalla parziale trascrizione dell’atto contenuta in ricorso, il prezzo non è stato pagato innanzi all’ufficiale rogante ma si è dichiarato in contratto che il prezzo “è stato pagato prima d’ora e la parte venditrice ne rilascia quietanza liberatoria” Pertanto in questo caso l’atto pubblico fa fede, ai sensi dell’art. 2700 c.c. soltanto della provenienza delle dichiarazioni delle parti; l’efficacia di prova legale non vale invece a coprire il contenuto intrinseco del documento, ossia la veridicità delle dichiarazioni che il pubblico ufficiale attesta di aver ricevuto. Tale veridicità può quindi essere contestata con ogni mezzo di prova, la cui valutazione, come da regola generale è rimessa al prudente apprezzamento del giudice (art. 116 c.p.c.). Il ricorso è pertanto da rigettare. Nulla sulle spese in difetto di costituzione della controparte
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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