CORTE DI GIUSTIZIA CE-UE – Sentenza 18 novembre 2020, n. C-463/19

Politica sociale – Direttiva 2006/54/CE – Pari opportunità e parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego – Articoli 14 e 28 – Contratto collettivo nazionale che riconosce il diritto a un congedo conseguente al congedo legale di maternità per le lavoratrici che si prendono cura in prima persona del proprio figlio – Esclusione del diritto a tale congedo per i lavoratori di sesso maschile – Tutela della lavoratrice con riguardo tanto alle conseguenze della gravidanza quanto alla sua condizione di maternità – Presupposti d’applicazione

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU 2006, L 204, pag. 23).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il Syndicat CFTC du personnel de la Caisse primaire d’assurance maladie de la Moselle (Sindacato CFTC del personale della Cassa primaria di assicurazione malattia della Mosella; in prosieguo: il «sindacato CFTC») e la Caisse primaire d’assurance maladie de Moselle (in prosieguo: la «CPAM»), in merito al rifiuto da parte di quest’ultima di concedere a CY, il padre di un bambino, il congedo per le lavoratrici che si prendono cura in prima persona del proprio figlio, previsto all’articolo 46 del contratto collettivo nazionale di lavoro del personale degli enti previdenziali, dell’8 febbraio 1957, nella versione in vigore alla data dei fatti nel procedimento principale (in prosieguo: il «contratto collettivo»).

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

La direttiva 92/85/CEE

3 Ai sensi dei considerando dal quattordicesimo al diciottesimo della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE) (GU 1992, L 348, pag. 1):

«considerando che la vulnerabilità delle donne gestanti, puerpere e in periodo di allattamento rende necessario un diritto ad un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, ed il carattere obbligatorio di un congedo di maternità di almeno due settimane, ripartite prima e/o dopo il parto;

considerando che il rischio di essere licenziate per motivi connessi al loro stato può avere effetti dannosi sullo stato fisico e psichico delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento e che conseguentemente conviene prevedere un divieto di licenziamento;

considerando che le misure di organizzazione del lavoro a scopo di protezione della salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento non avrebbe un effetto utile se non fossero accompagnate dal mantenimento dei diritti connessi con il contratto di lavoro, compreso il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata;

considerando d’altronde che le disposizioni concernenti il congedo di maternità sarebbero anch’esse senza effetto utile se non fossero accompagnate dal mantenimento dei diritti connessi con il contratto di lavoro, compreso il mantenimento di una retribuzione e/o dal versamento di un’indennità adeguata;

considerando che la nozione di indennità adeguata in caso di congedo di maternità deve essere considerata come un elemento tecnico di riferimento per fissare il livello della protezione minima e non dovrebbe in alcun caso essere interpretato nel senso di un’analogia tra la gravidanza e la malattia».

4 L’articolo 1 della direttiva in parola, intitolato «Oggetto», stabilisce quanto segue:

«1. La presente direttiva, che è la decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE [del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (GU 1989, L 183, pag. 1)], ha per oggetto l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.

2. Le disposizioni della direttiva [89/391], fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 2, si applicano interamente al settore di cui al paragrafo 1 nel suo insieme, fatte salve le disposizioni più vincolanti e/o specifiche contenute nella presente direttiva.

3. La presente direttiva non può avere per effetto un abbassamento del livello di protezione delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento rispetto alla situazione esistente in ogni Stato membro alla data della sua adozione».

5 L’articolo 8 della direttiva 92/85, intitolato «Congedo di maternità», prevede quanto segue:

«1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le lavoratrici di cui all’articolo 2 fruiscano di un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali.

2. Il congedo di maternità di cui al paragrafo 1 deve includere un congedo di maternità obbligatorio di almeno due settimane, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali».

6 L’articolo 10 di tale direttiva, rubricato «Divieto di licenziamento», così dispone:

«Per garantire alle lavoratrici ai sensi dell’articolo 2 l’esercizio dei diritti di protezione della sicurezza e della salute riconosciuti nel presente articolo:

1) gli Stati membri adottano le misure necessarie per vietare il licenziamento delle lavoratrici di cui all’articolo 2 nel periodo compreso tra l’inizio della gravidanza e il termine del congedo di maternità di cui all’articolo 8, paragrafo 1, tranne nei casi eccezionali non connessi al loro stato ammessi dalle legislazioni e/o prassi nazionali e, se del caso, a condizione che l’autorità competente abbia dato il suo accordo;

2) qualora una lavoratrice ai sensi dell’articolo 2 sia licenziata durante il periodo specificato nel punto 1), il datore di lavoro deve fornire per iscritto giustificati motivi per il licenziamento;

3) gli Stati membri adottano le misure necessarie per proteggere le lavoratrici di cui all’articolo 2 contro le conseguenze di un licenziamento che a norma del punto 1) è illegittimo».

7 L’articolo 11 della medesima direttiva, rubricato «Diritti connessi con il contratto di lavoro», è formulato nei seguenti termini:

«Per garantire alle lavoratrici di cui all’articolo 2 l’esercizio dei diritti di protezione della sicurezza e della salute riconosciuti nel presente articolo:

1) nei casi contemplati agli articoli 5, 6 e 7, alle lavoratrici di cui all’articolo 2 devono essere garantiti, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, i diritti connessi con il contratto di lavoro, compreso il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata;

2) nel caso contemplato all’articolo 8, devono essere garantiti:

a) i diritti connessi con il contratto di lavoro delle lavoratrici di cui all’articolo 2, diversi da quelli specificati nella lettera b) del presente punto;

b) il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata alle lavoratrici di cui all’articolo 2;

3) l’indennità di cui al punto 2), lettera b) è ritenuta adeguata se assicura redditi almeno equivalenti a quelli che la lavoratrice interessata otterrebbe in caso di interruzione delle sue attività per motivi connessi allo stato di salute, entro il limite di un eventuale massimale stabilito dalle legislazioni nazionali;

4) gli Stati membri hanno la facoltà di subordinare il diritto alla retribuzione o all’indennità di cui al punto 1) e al punto 2), lettera b) al fatto che la lavoratrice interessata soddisfi le condizioni previste dalle legislazioni nazionali per usufruire del diritto a tali vantaggi.

Tali condizioni non possono in alcun caso prevedere periodi di lavoro preliminare superiori a dodici mesi immediatamente prima della data presunta del parto».

La direttiva 2006/54

8 Ai sensi dei considerando 24 e 25 della direttiva 2006/54:

«(24) La Corte di giustizia ha costantemente riconosciuto la legittimità, per quanto riguarda il principio della parità di trattamento, della protezione della condizione biologica della donna durante la gravidanza e la maternità nonché dell’introduzione di misure di protezione della maternità come strumento per garantire una sostanziale parità. La presente direttiva non dovrebbe pertanto pregiudicare né la direttiva [92/85] né la direttiva 96/34/CE del Consiglio[,] del 3 giugno 1996[,] concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU 1996, L 145, pag. 4)].

(25) Per chiarezza, è altresì opportuno prevedere esplicitamente la tutela dei diritti delle lavoratrici in congedo di maternità, in particolare per quanto riguarda il loro diritto a riprendere lo stesso lavoro o un lavoro equivalente e a non subire un deterioramento delle condizioni di lavoro per aver usufruito del congedo di maternità nonché a beneficiare di qualsiasi miglioramento delle condizioni lavorative cui dovessero aver avuto diritto durante la loro assenza».

9 L’articolo 1 della direttiva 2006/54, intitolato «Scopo», stabilisce quanto segue:

«Lo scopo della presente direttiva è assicurare l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego.

A tal fine, essa contiene disposizioni intese ad attuare il principio della parità di trattamento per quanto riguarda:

a) l’accesso al lavoro, alla promozione e alla formazione professionale;

b) le condizioni di lavoro, compresa la retribuzione;

c) i regimi professionali di sicurezza sociale.

Inoltre, la presente direttiva contiene disposizioni intese a renderne più efficace l’attuazione mediante l’istituzione di procedure adeguate».

10 L’articolo 2 di tale direttiva, rubricato «Definizioni», al paragrafo 1, lettera a), enuncia quanto segue:

«Ai sensi della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

a) “discriminazione diretta”: situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto un’altra persona sia, sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga».

11 L’articolo 14 della suddetta direttiva, intitolato «Divieto di discriminazione», al paragrafo 1 dispone quanto segue:

«È vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene:

a) alle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché alla promozione;

b) all’accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali;

c) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione come previsto all’articolo 141 [CE];

d) all’affiliazione e all’attività in un’organizzazione di lavoratori o datori di lavoro, o in qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, nonché alle prestazioni erogate da tali organizzazioni».

12 L’articolo 15 della medesima direttiva, intitolato «Rientro dal congedo di maternità», è formulato nei seguenti termini:

«Alla fine del periodo di congedo per maternità, la donna ha diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli, e a beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza».

13 L’articolo 28 della direttiva 2006/54, rubricato «Relazione con le disposizioni comunitarie e nazionali», stabilisce quanto segue:

«1. La presente direttiva non pregiudica le misure relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità.

2. La presente direttiva lascia impregiudicate le disposizioni della direttiva [96/34] e della direttiva [92/85]».

Diritto francese

Codice del lavoro

14 L’articolo L. 1225-17 del codice del lavoro così recita:

«I dipendenti di sesso femminile hanno diritto ad un congedo di maternità che inizia sei settimane prima della data presunta per il parto e termina dieci settimane dopo tale data.

Su richiesta del dipendente di sesso femminile e previo parere favorevole del professionista sanitario che monitora la gravidanza, il periodo di sospensione del lavoro che inizia prima della data presunta per il parto può essere ridotto per un massimo di tre settimane. Il periodo successivo alla data presunta per il parto è quindi aumentato della medesima durata.

Qualora il dipendente di sesso femminile abbia rinviato la fruizione di parte del congedo di maternità al periodo successivo alla nascita del figlio e si assenti dal lavoro per malattia certificata da un medico nel periodo precedente la data presunta per il parto, detto rinvio è annullato e il periodo di sospensione del contratto di lavoro è ridotto dal primo giorno in cui il dipendente si assenta dal lavoro per malattia. Il periodo inizialmente rinviato è ridotto della medesima durata».

Il contratto collettivo

15 Ai sensi dell’articolo 1 del contratto collettivo:

«Il presente contratto disciplina i rapporti tra gli enti previdenziali, gli enti che si occupano degli assegni familiari e tutti gli altri enti sottoposti al loro controllo (Fédération nationale des organismes de sécurité sociale, Union nationale des caisses d’allocations familiales, caisses primaires, caisses régionales vieillesse et invalidité, caisses d’allocations familiales, organismes de recouvrement des cotisations, services sociaux, caisses de prévoyance du personnel, etc.) [Federazione nazionale degli enti previdenziali, Unione nazionale delle casse di assegni familiari, casse primarie, casse regionali per la vecchiaia e l’invalidità, casse di assegni familiari, enti di riscossione dei contributi, servizi sociali, casse di previdenza del personale, ecc.] e il personale di tali enti e dei loro organismi aventi sede in Francia o nei dipartimenti d’oltremare».

16 Gli articoli 45 e 46 del contratto collettivo rientrano nella sezione «L.» di quest’ultimo, intitolata «Congedi di maternità».

17 L’articolo 45 del contratto collettivo prevede quanto segue:

«Ai fini della durata del congedo legale di maternità, viene mantenuta la retribuzione dei membri del personale che hanno almeno sei mesi di anzianità. Ciò non è cumulabile con le indennità giornaliere dovute ai membri del personale in qualità di assicurati.

Tale congedo non è preso in considerazione ai fini del diritto al congedo di malattia e non può comportare alcuna riduzione della durata delle ferie annuali».

18 L’articolo 46 del contratto collettivo stabilisce quanto segue:

«Al termine del periodo di congedo previsto dall’articolo precedente, la dipendente che si prende cura in prima persona dei propri figli ha consecutivamente diritto a:

– un congedo di tre mesi a retribuzione dimezzata o di un mese e mezzo a retribuzione piena;

– un congedo non retribuito di un anno.

Tuttavia, qualora la dipendente sia una donna sola o il cui coniuge o partner sia privato delle proprie entrate abituali (invalidità, malattia cronica, servizio militare), la medesima ha diritto ad un congedo di tre mesi a retribuzione piena.

Al termine del periodo di congedo sopra previsto, la beneficiaria viene pienamente reintegrata nel suo impiego.

Il consiglio di amministrazione può eccezionalmente concedere un ulteriore anno di congedo non retribuito. In quest’ultima ipotesi, la dipendente è reintegrata soltanto se vi sono posti vacanti, rispetto a cui la stessa ha la priorità, all’interno della sua azienda o di una consociata, fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 16.

All’atto del rinnovo di detto congedo, il consiglio di amministrazione può, in casi specifici, assumere l’impegno formale di procedere al reintegro immediato.

Il congedo non retribuito, che rientra nell’ambito del presente articolo, produce i medesimi effetti del congedo previsto dall’articolo 40 per quanto riguarda le disposizioni del presente contratto e il regime pensionistico».

Procedimento principale e questione pregiudiziale

19 CY è stato assunto dalla CPAM come dipendente in qualità di «controllore di prestazioni nella categoria dipendente o quadro». È padre di un bambino nato nel mese di aprile del 2016.

20 A tale titolo, egli ha chiesto di beneficiare del congedo di cui all’articolo 46 del contratto collettivo, ai sensi del quale, al termine del congedo previsto all’articolo 45 di tale contratto collettivo, la dipendente che si prende cura in prima persona del proprio figlio ha diritto, successivamente, ad un congedo di tre mesi a retribuzione dimezzata o ad un congedo di un mese e mezzo a retribuzione piena nonché ad un congedo non retribuito di un anno.

21 La CPAM ha respinto la domanda di CY per il motivo che il vantaggio di cui all’articolo 46 del contratto collettivo è riservato alle lavoratrici che si prendono cura in prima persona del proprio figlio.

22 Il sindacato CFTC ha chiesto alla direzione dell’ente previdenziale di estendere il beneficio delle disposizioni dell’articolo 46 del contratto collettivo ai lavoratori di sesso maschile che si prendono cura in prima persona del proprio figlio.

23 Tale domanda è stata respinta in quanto, secondo la formulazione di detto articolo, il congedo previsto è concesso unicamente alla madre del bambino, dato che l’espressione «la dipendente» è al femminile, e poiché lo stesso articolo non è discriminatorio, essendo accessorio all’articolo 45 del contratto collettivo, il quale concede un vantaggio soltanto alle donne.

24 Il 27 dicembre 2017 il sindacato CFTC, che interviene a favore di CY, ha proposto un ricorso contro la CPAM dinanzi al conseil de prud’hommes de Metz (Tribunale del lavoro di Metz, Francia), il giudice del rinvio, sostenendo che la decisione di rifiuto di concedere a CY il beneficio del congedo di cui all’articolo 46 del contratto collettivo costituiva una discriminazione basata sul sesso, vietata sia dal diritto dell’Unione sia dal diritto francese. Infatti, l’articolo 46 del contratto collettivo non costituirebbe un accessorio dell’articolo 45 di quest’ultimo, in quanto, a differenza di tale articolo 45, detto articolo 46 non sarebbe correlato a considerazioni di ordine fisiologico. Poiché gli uomini e le donne sono uguali dinanzi all’onere dell’educazione dei figli, anche i lavoratori di sesso maschile assunti dalla CPAM dovrebbero beneficiare del vantaggio di cui all’articolo 46 del contratto collettivo.

25 Il giudice del rinvio rileva che, con una sentenza del 21 settembre 2017, la Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia) ha dichiarato che l’articolo 46 del contratto collettivo ha lo scopo di attribuire un congedo di maternità supplementare al termine del congedo legale di maternità richiamato all’articolo 45 di tale contratto collettivo e che esso riguarda pertanto la protezione delle particolari relazioni tra la donna e il bambino durante il periodo successivo alla gravidanza e al parto.

26 In tale contesto, il conseil de prud’hommes de Metz (Tribunale del lavoro di Metz) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se la direttiva [2006/54,] letta alla luce degli articoli 8 e 157 TFUE, dei principi generali del diritto dell’Unione di parità di trattamento e di divieto di discriminazione e degli articoli 20, 21 [, paragrafo 1,] e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione [europea], debba essere interpretata nel senso che essa esclude dal proprio ambito di applicazione ratione materiae le disposizioni dell’articolo 46 del [contratto collettivo], che riserva ai dipendenti di sesso femminile [degli] enti [di cui trattasi] che si prendono cura in prima persona dei propri figli un congedo di tre mesi a retribuzione dimezzata o di un mese e mezzo a retribuzione piena e un congedo non retribuito di un anno dopo il congedo di maternità».

Sulla questione pregiudiziale

Sulla competenza della Corte

27 La CPAM fa valere in via principale che la Corte è manifestamente incompetente a rispondere alla questione posta, alla luce dell’articolo 267 TFUE. Infatti, nell’ambito del presente procedimento, non si chiederebbe alla Corte di statuire sull’interpretazione dei trattati o sulla validità o sull’interpretazione di un qualsiasi atto che sarebbe stato adottato da un’istituzione, da un organo o da un organismo dell’Unione.

28 La CPAM fa valere che il sindacato CFTC, con il pretesto di una domanda di pronuncia pregiudiziale, mira in realtà ad ottenere un «invalidamento a livello sovranazionale» dell’articolo 46 del contratto collettivo, quale interpretato dalla Cour de cassation (Corte di cassazione), alla luce dei principi generali di parità di trattamento e di divieto di discriminazione. Orbene, la Corte non sarebbe competente a verificare la conformità del diritto nazionale, anche della giurisprudenza degli Stati membri, al diritto dell’Unione, né ad interpretare il diritto nazionale.

29 Al riguardo, si deve ricordare che il sistema di cooperazione istituito dall’articolo 267 TFUE è fondato su una netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte. Nell’ambito di un procedimento instaurato in forza di tale articolo, l’interpretazione delle disposizioni nazionali incombe ai giudici degli Stati membri e non alla Corte e non spetta a quest’ultima pronunciarsi sulla compatibilità di norme di diritto interno con le disposizioni del diritto dell’Unione. Per contro, la Corte è competente a fornire al giudice nazionale tutti gli elementi interpretativi attinenti al diritto dell’Unione che consentano a detto giudice di valutare la compatibilità di norme di diritto interno con la normativa dell’Unione (sentenza del 30 aprile 2020, CTT – Correios de Portugal, C-661/18, EU:C:2020:335, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).

30 Se è vero che una lettura combinata della questione pregiudiziale e della motivazione esposta dal giudice del rinvio invita la Corte a pronunciarsi sulla compatibilità di una disposizione di diritto interno con il diritto dell’Unione, nulla impedisce alla Corte di dare una risposta utile al giudice del rinvio fornendogli gli elementi di interpretazione attinenti al diritto dell’Unione che consentiranno a questo stesso giudice di statuire sulla compatibilità del diritto interno con il diritto dell’Unione. Di conseguenza, nei limiti in cui la questione riguarda l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (v., in tal senso, sentenza del 30 aprile 2020, CTT – Correios de Portugal, C-661/18, EU:C:2020:335, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

31 Nel caso di specie occorre rilevare che il procedimento principale, vertente sull’attribuzione di un congedo sul fondamento dell’articolo 46 del contratto collettivo, riguarda le condizioni di lavoro, ai sensi dell’articolo 1, secondo comma, lettera b), della direttiva 2006/54. Pertanto, tale procedimento rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva, cui fa riferimento la questione posta.

32 Contrariamente a quanto afferma la CPAM, il giudice del rinvio chiede quindi l’interpretazione di un atto dell’Unione.

33 Di conseguenza, spetta alla Corte fornire al giudice del rinvio tutti gli elementi interpretativi attinenti al diritto dell’Unione che gli consentiranno di statuire esso stesso sulla compatibilità del suo diritto interno con il diritto dell’Unione.

34 Pertanto, si deve concludere che la Corte è competente a rispondere alla questione sollevata.

Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

35 Il governo francese sostiene che la decisione di rinvio non soddisfa i requisiti previsti all’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte, in quanto tale decisione è priva di qualsiasi motivazione circa la necessità di sottoporre una questione alla Corte ai fini della soluzione della controversia principale. Il giudice del rinvio si limiterebbe a riprodurre gli argomenti presentati dinanzi ad esso, senza indicare le ragioni precise che lo inducono a ritenere necessario sottoporre una questione alla Corte.

36 Inoltre, il giudice del rinvio farebbe riferimento a varie disposizioni del Trattato FUE e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), senza tuttavia spiegare il loro collegamento con la questione sollevata. Il governo francese fa valere che, supponendo che la domanda di pronuncia pregiudiziale sia ricevibile, occorrerebbe rispondere a tale questione nella misura in cui essa concerne la direttiva 2006/54, e non nella parte relativa agli articoli 8 TFUE e 157 TFUE nonché agli articoli 20, 21 e 23 della Carta.

37 Occorre ricordare, in proposito, che le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che esso individua sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza (sentenza del 2 aprile 2020, Reliantco Investments e Reliantco Investments Limassol Sucursala Bucureşti, C-500/18, EU:C:2020:264, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

38 Tuttavia, per un verso, qualora risulti in modo manifesto che l’interpretazione richiesta del diritto dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia di cui al procedimento principale, o qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le vengono sottoposte, essa può respingere la domanda di pronuncia pregiudiziale in quanto irricevibile (sentenza del 2 aprile 2020, Reliantco Investments e Reliantco Investments Limassol Sucursala Bucureşti, C-500/18, EU:C:2020:264, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

39 Per altro verso, in considerazione dello spirito di cooperazione che informa i rapporti fra i giudici nazionali e la Corte nell’ambito del procedimento pregiudiziale, la mancanza di talune previe constatazioni da parte del giudice del rinvio non conduce necessariamente all’irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale se, nonostante tali mancanze, la Corte, alla luce degli elementi risultanti dal fascicolo, ritiene di essere in grado di fornire una risposta utile al giudice del rinvio (sentenza del 2 aprile 2020, Reliantco Investments e Reliantco Investments Limassol Sucursala Bucureşti, C-500/18, EU:C:2020:264, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

40 Nel caso di specie occorre rilevare che è vero che la decisione di rinvio è succinta nell’esposizione dei motivi che hanno indotto il giudice del rinvio ad interrogarsi sull’interpretazione della direttiva 2006/54 e che le disposizioni del Trattato FUE nonché della Carta sono menzionate unicamente nella questione posta.

41 Tuttavia, in primo luogo, il giudice del rinvio ha riportato gli argomenti del sindacato CFTC relativi alla mancata conformità al diritto dell’Unione dell’articolo 46 del contratto collettivo. Come ha rilevato lo stesso governo francese, ponendo la questione pregiudiziale quale propostagli dal sindacato CFTC, il giudice del rinvio ha implicitamente avallato i dubbi espressi da tale sindacato circa la compatibilità di detto articolo del contratto collettivo con la direttiva 2006/54. Pertanto, la decisione di rinvio consente di comprendere i motivi per i quali il giudice del rinvio ha ritenuto necessario sottoporre tale questione alla Corte.

42 Inoltre, sia la CPAM sia i governi francese e portoghese nonché la Commissione europea sono stati perfettamente in grado di presentare le loro osservazioni sulla questione sollevata.

43 In secondo luogo, la questione posta è formulata nel senso che essa si riferisce alla direttiva 2006/54, la quale deve essere interpretata «alla luce» degli articoli 8 TFUE e 157 TFUE nonché dell’articolo 20, dell’articolo 21, paragrafo 1, e dell’articolo 23 della Carta. Pertanto, il giudice del rinvio non chiede un’interpretazione autonoma di tali disposizioni del Trattato FUE e della Carta, che sono menzionate unicamente a sostegno dell’interpretazione della direttiva 2006/54.

44 In tali circostanze, occorre concludere che la decisione di rinvio soddisfa i requisiti di cui all’articolo 94 del regolamento di procedura.

45 Di conseguenza, la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

Nel merito

46 Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se la direttiva 2006/54 debba essere interpretata nel senso che essa osta ad una disposizione di un contratto collettivo nazionale che riserva alle lavoratrici che si prendono cura in prima persona del proprio figlio il diritto ad un congedo dopo il termine del congedo legale di maternità, mentre i lavoratori di sesso maschile sono privati del diritto a tale congedo.

47 Al riguardo, l’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2006/54 vieta qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro.

48 Nel contesto di tale direttiva, il divieto di discriminazione tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile si estende a tutti gli accordi che disciplinano in modo collettivo il lavoro subordinato (v., in tal senso, sentenza del 18 novembre 2004, Sass, C-284/02, EU:C:2004:722, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).

49 Inoltre, sebbene, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/54, costituisce una discriminazione diretta «[la] situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto un’altra persona sia, sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga», l’articolo 28 di tale direttiva precisa che essa non osta alle disposizioni relative alla tutela della donna, in particolare per quanto concerne la gravidanza e la maternità, e che essa lascia impregiudicate le disposizioni della direttiva 92/85.

50 Per quanto riguarda la tutela della madre di un bambino, da una giurisprudenza costante della Corte emerge che il diritto al congedo di maternità riconosciuto alle lavoratrici gestanti va considerato come un mezzo di protezione del diritto sociale che riveste un’importanza particolare. Il legislatore dell’Unione ha infatti ritenuto che i cambiamenti essenziali nell’esistenza delle interessate nel corso del limitato periodo di almeno quattordici settimane, precedente e successivo al parto, costituissero un motivo fondato per sospendere l’esercizio della loro attività lavorativa, senza che la legittimità di siffatto motivo potesse essere rimessa in questione, in qualsiasi modo, dalle pubbliche autorità o dai datori di lavoro (sentenze del 20 settembre 2007, Kiiski, C-116/06, EU:C:2007:536, punto 49, e del 21 maggio 2015, Rosselle, C-65/14, EU:C:2015:339, punto 30).

51 Infatti, come riconosciuto dal legislatore dell’Unione al considerando 14 della direttiva 92/85, la lavoratrice gestante, puerpera o in periodo di allattamento si trova in una situazione specifica di vulnerabilità che giustifica il diritto al congedo di maternità, ma che, in particolare durante tale congedo, non può essere equiparata a quella di un lavoratore di sesso maschile né a quella di un lavoratore di sesso femminile assente dal lavoro per malattia (sentenze del 27 ottobre 1998, Boyle e a., C-411/96, EU:C:1998:506, punto 40, nonché del 18 marzo 2014, D., C-167/12, EU:C:2014:169, punto 33).

52 Siffatto congedo di maternità è inteso a garantire, da un lato, la protezione della condizione biologica della donna durante e dopo la gravidanza e, dall’altro, la protezione delle particolari relazioni tra la donna e il suo bambino durante il periodo successivo alla gravidanza e al parto, onde evitare che tali relazioni siano turbate dal cumulo degli oneri derivanti dal contemporaneo svolgimento di un’attività lavorativa (sentenze del 12 luglio 1984, Hofmann, 184/83, EU:C:1984:273, punto 25, e del 4 ottobre 2018, Dicu, C-12/17, EU:C:2018:799, punto 34).

53 Inoltre, la direttiva 92/85, che contiene prescrizioni minime, non esclude in alcun modo la facoltà degli Stati membri di garantire alle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento una tutela più elevata, mantenendo o introducendo misure di tutela più favorevoli a queste ultime, a condizione che tali misure siano compatibili con le disposizioni del diritto dell’Unione (sentenze del 13 febbraio 2014, TSN e YTN, C-512/11 e C-513/11, EU:C:2014:73, punto 37, nonché del 14 luglio 2016, Ornano, C-335/15, EU:C:2016:564, punto 35).

54 La Corte ha aggiunto che una misura quale un congedo di maternità, riconosciuto alla donna dopo la scadenza del termine legale di protezione, rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, in quanto esso mira alla protezione della donna con riguardo sia alle conseguenze della gravidanza sia alla sua condizione di maternità. Sotto questo aspetto, tale congedo può essere legittimamente riservato alla madre, ad esclusione di ogni altra persona, tenuto conto del fatto che solo la madre può subire la pressione indesiderata di riprendere prematuramente il lavoro (v., in tal senso, sentenza del 12 luglio 1984, Hofmann, 184/83, EU:C:1984:273, punto 26).

55 Per quanto concerne la qualità di genitore, la Corte ha precisato che la situazione di un lavoratore di sesso maschile e quella di un lavoratore di sesso femminile aventi la medesima qualità sono comparabili per quanto riguarda l’educazione dei figli [sentenze del 25 ottobre 1988, Commissione/Francia, 312/86, EU:C:1988:485, punto 14, e del 12 dicembre 2019, Instituto Nacional de la Seguridad Social (Integrazione della pensione per le madri), C-450/18, EU:C:2019:1075, punto 51]. Di conseguenza, misure intese alla protezione delle donne in qualità di genitori non possono trovare giustificazione sul fondamento dell’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 (v., in tal senso, sentenza del 29 novembre 2001, Griesmar, C-366/99, EU:C:2001:648, punto 44).

56 Dalla giurisprudenza della Corte emerge quindi che, dopo la scadenza del congedo legale di maternità, uno Stato membro può riservare alla madre del bambino un congedo supplementare qualora quest’ultimo le spetti non nella sua qualità di genitore, ma con riguardo tanto alle conseguenze della gravidanza quanto alla sua condizione di maternità.

57 Come risulta dal punto 52 della presente sentenza, tale congedo supplementare deve essere inteso a garantire la protezione della condizione biologica della donna nonché delle particolari relazioni che essa ha con suo figlio durante il periodo successivo al parto.

58 In proposito, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 61 delle sue conclusioni, l’obiettivo di tutela delle particolari relazioni tra la donna e il proprio figlio non può essere tuttavia sufficiente di per sé per escludere i padri dal beneficio di un periodo supplementare di congedo.

59 Nel caso di specie, l’articolo 46 del contratto collettivo stabilisce che, al termine del congedo legale di maternità di cui all’articolo 45 del medesimo, la lavoratrice che si prende cura in prima persona del proprio figlio ha diritto, successivamente, ad un congedo di tre mesi a retribuzione dimezzata o ad un congedo di un mese e mezzo a retribuzione piena nonché ad un congedo non retribuito di un anno, quest’ultimo rinnovabile per un periodo di un anno.

60 Va rilevato che un contratto collettivo che esclude dal beneficio di tale congedo supplementare un lavoratore di sesso maschile che si prende cura in prima persona del suo bambino comporta una differenza di trattamento tra i lavoratori di sesso maschile e i lavoratori di sesso femminile.

61 Come si evince dai punti 52 e 54 della presente sentenza, tale differenza di trattamento risulta compatibile con la direttiva 2006/54 solo se è diretta a tutelare la madre con riguardo tanto alle conseguenze della gravidanza quanto alla sua condizione di maternità, vale a dire se è intesa a garantire la protezione della condizione biologica della donna nonché delle particolari relazioni che quest’ultima ha con il proprio figlio durante il periodo successivo al parto. Qualora l’articolo 46 del contratto collettivo si applicasse alle donne nella loro sola qualità di genitore, tale articolo introdurrebbe una discriminazione diretta nei confronti dei lavoratori di sesso maschile, vietata all’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva stessa.

62 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 70 delle sue conclusioni, gli elementi da prendere in considerazione per poter riservare alle lavoratrici un congedo riconosciuto successivamente al congedo legale di maternità riguardano, in particolare, le condizioni di concessione di tale congedo, la durata e le modalità di fruizione dello stesso nonché il livello di tutela giuridica ad esso connesso.

63 In primo luogo, le condizioni di concessione di siffatto congedo devono essere direttamente connesse alla protezione della condizione biologica e fisiologica della donna nonché delle particolari relazioni tra la donna e il proprio figlio durante il periodo successivo al parto. Pertanto, in particolare, detto congedo deve essere concesso a tutte le donne cui si applica la normativa nazionale in questione, indipendentemente dalla loro anzianità di impiego e senza che sia necessario un accordo del datore di lavoro.

64 In secondo luogo, anche la durata e le modalità di fruizione di un congedo di maternità supplementare devono essere adattate di conseguenza al fine di garantire la protezione biologica e fisiologica della donna nonché delle particolari relazioni tra la donna e il proprio bambino durante il periodo successivo al parto, senza superare la durata che risulta necessaria per tale protezione.

65 Infine, dato che tale congedo ha lo stesso obiettivo del congedo legale di maternità, la protezione giuridica deve essere conforme alla protezione minima garantita per tale congedo legale dalle direttive 92/85 e 2006/54. In particolare, il regime giuridico del congedo supplementare deve garantire una protezione contro il licenziamento e il mantenimento di una retribuzione e/o il beneficio di una prestazione adeguata delle lavoratrici, in condizioni conformi a quelle enunciate negli articoli 10 e 11 della direttiva 92/85, nonché il diritto, come quello di cui all’articolo 15 della direttiva 2006/54, di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non siano meno favorevoli e di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che sarebbero spettati alla lavoratrice durante la sua assenza.

66 Spetta al giudice del rinvio verificare se il congedo previsto all’articolo 46 del contratto collettivo soddisfi i requisiti che consentono di ritenere che esso sia diretto a tutelare le lavoratrici con riguardo tanto alle conseguenze della gravidanza quanto alla loro condizione di maternità.

67 Come rilevato al punto 29 della presente sentenza, non spetta alla Corte pronunciarsi, nell’ambito del presente procedimento, sulla compatibilità di tale articolo del contratto collettivo con la direttiva 2006/54. Per contro, spetta alla Corte fornire tutti gli elementi interpretativi di tale direttiva per consentire al giudice del rinvio di valutare detta compatibilità.

68 Al riguardo, in primo luogo, occorre rilevare che un congedo che interviene al termine del congedo legale di maternità potrebbe essere considerato come parte integrante di un congedo di maternità di maggiore durata e più favorevole alle lavoratrici rispetto alla durata legale.

69 Tuttavia, va ricordato che, alla luce della giurisprudenza citata al punto 54 della presente sentenza, la possibilità di istituire un congedo riservato alle madri dopo il termine del congedo legale di maternità è subordinata alla condizione che il medesimo riguardi la protezione delle donne. Di conseguenza, il solo fatto che un congedo segua immediatamente il congedo legale di maternità non è sufficiente per ritenere che esso possa essere riservato alle lavoratrici che si prendono cura in prima persona del proprio figlio.

70 In secondo luogo, il titolo del capitolo del contratto collettivo in cui rientra la disposizione che prevede siffatto congedo supplementare non costituisce un elemento rilevante al fine di esaminare la conformità di tale disposizione al diritto dell’Unione. Infatti, il giudice del rinvio deve verificare, in concreto, se il congedo previsto sia diretto, sostanzialmente, a tutelare la madre con riguardo tanto alle conseguenze della gravidanza quanto alla sua condizione di maternità.

71 In terzo luogo, il governo francese invoca la sentenza del 30 aprile 1998, Thibault (C-136/95, EU:C:1998:178), in cui la Corte avrebbe riconosciuto che l’articolo 46 del contratto collettivo costituiva un congedo di maternità.

72 Tuttavia, il punto 12 di tale sentenza, cui fa riferimento il governo francese, non concerne il ragionamento giuridico e l’interpretazione della Corte, bensì, unicamente, i fatti quali risultano dalla domanda di pronuncia pregiudiziale nella causa che ha dato luogo a detta sentenza.

73 In quarto luogo, va rilevato che la durata del congedo di cui all’articolo 46 del contratto collettivo può essere molto variabile, da un mese e mezzo fino a due anni e tre mesi. Pertanto, tale durata può essere notevolmente superiore a quella del congedo legale di maternità, di sedici settimane, previsto all’articolo L. 1225-17 del codice del lavoro, cui fa riferimento l’articolo 45 del contratto collettivo. Inoltre, qualora si fruisca del congedo per una durata di uno o di due anni, esso è «senza retribuzione», il che non sembra garantire il mantenimento di una retribuzione e/o il beneficio di una prestazione adeguata per la lavoratrice, condizione richiesta all’articolo 11, punto 2, della direttiva 92/85 per il congedo di maternità.

74 Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, si deve rispondere alla questione sollevata dichiarando che gli articoli 14 e 28 della direttiva 2006/54, letti alla luce della direttiva 92/85, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla disposizione di un contratto collettivo nazionale che riserva alle lavoratrici che si prendono cura in prima persona dei propri figli il diritto ad un congedo dopo la scadenza del congedo legale di maternità, a condizione che tale congedo supplementare sia diretto a tutelare le lavoratrici con riguardo tanto alle conseguenze della gravidanza quanto alla loro condizione di maternità, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare prendendo in considerazione, in particolare, le condizioni di concessione di detto congedo, le modalità e la durata del medesimo nonché il livello di protezione giuridica ad esso connesso.

Sulle spese

75 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

P.Q.M.

Dichiara:

Gli articoli 14 e 28 della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, letti alla luce della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE), devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla disposizione di un contratto collettivo nazionale che riserva alle lavoratrici che si prendono cura in prima persona del proprio figlio il diritto ad un congedo dopo la scadenza del congedo legale di maternità, a condizione che tale congedo supplementare sia diretto a tutelare le lavoratrici con riguardo tanto alle conseguenze della gravidanza quanto alla loro condizione di maternità, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare prendendo in considerazione, in particolare, le condizioni di concessione di detto congedo, le modalità e la durata del medesimo nonché il livello di protezione giuridica ad esso connesso.