CORTE DI GIUSTIZIA CE-UE – Sentenza 20 marzo 2018, n. C-524/15

“Rinvio pregiudiziale – Imposta sul valore aggiunto (IVA) – Direttiva 2006/112/CE – Mancato versamento dell’IVA dovuta – Sanzioni – Normativa nazionale che prevede una sanzione amministrativa e una sanzione penale per gli stessi fatti – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 50 – Principio del ne bis in idem – Natura penale della sanzione amministrativa – Esistenza di uno stesso reato – Articolo 52, paragrafo 1 – Limitazioni apportate al principio del ne bis in idem – Presupposti”

1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la “Carta”), letto alla luce dell’articolo 4 del protocollo n. 7 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la “CEDU”).

2. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un procedimento penale a carico del sig. Luca Menci relativo a reati in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA).

Contesto normativo

CEDU

3. L’articolo 4 del protocollo n. 7 alla CEDU, intitolato “Diritto di non essere giudicato o punito due volte”, così dispone:

“1. Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge ed alla procedura penale di tale Stato.

2. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge ed alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta.

3. Non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione”.

Diritto dell’Unione

4. L’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1), determina le operazioni soggette all’IVA.

5. Ai sensi dell’articolo 273 di tale direttiva:

“Gli Stati membri possono stabilire, nel rispetto della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri da soggetti passivi, altri obblighi che essi ritengono necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitare le evasioni, a condizione che questi obblighi non diano luogo, negli scambi tra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera”.

Diritto italiano

6. L’articolo 13, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (supplemento ordinario alla GURI n. 5, dell’8 gennaio 1998), nella versione in vigore all’epoca dei fatti in discussione nel procedimento principale (in prosieguo: il “decreto legislativo n. 471/97”), era così formulato:

“Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. (…)”.

7. L’articolo 10 bis, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205 (GURI n. 76, del 31 marzo 2000, pag. 4), nella versione in vigore all’epoca dei fatti in discussione nel procedimento principale (in prosieguo: il “decreto legislativo n. 74/2000”), era così formulato:

“È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta”.

8. L’articolo 10 ter, comma 1, del summenzionato decreto legislativo, intitolato “Omesso versamento di IVA”, nella versione in vigore all’epoca dei fatti in discussione nel procedimento principale, prevedeva quanto segue:

“La disposizione di cui all’art. 10 bis si applica nei limiti ivi previsti anche a chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo”.

9. L’articolo 20 del decreto legislativo in parola, intitolato “Rapporti tra procedimento penale e processo tributario”, al comma 1 così recita:

“Il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione”.

10. L’articolo 21 del medesimo decreto legislativo, intitolato “Sanzioni amministrative per le violazioni ritenute penalmente rilevanti”, ai commi 1 e 2 è così formulato:

“1. L’ufficio competente irroga comunque le sanzioni amministrative relative alle violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato.

2. Tali sanzioni non sono eseguibili nei confronti dei soggetti diversi da quelli indicati dall’articolo 19, comma 2, salvo che il procedimento penale sia definito con provvedimento di archiviazione o sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto. In quest’ultimo caso, i termini per la riscossione decorrono dalla data in cui il provvedimento di archiviazione o la sentenza sono comunicati all’ufficio competente; alla comunicazione provvede la cancelleria del giudice che li ha emessi”.

III – Procedimento principale e questione pregiudiziale

11. Il sig. Menci è stato oggetto di un procedimento amministrativo nel corso del quale gli è stato contestato l’omesso versamento, in qualità di titolare dell’omonima ditta individuale, nei termini di legge, dell’IVA risultante dalla dichiarazione relativa all’anno di imposta 2011, per un ammontare complessivo pari a EUR 282 495,76.

12. Il procedimento in parola si è concluso con una decisione dell’Amministrazione Finanziaria (Italia), con cui la stessa ha ingiunto al sig. Menci di versare l’importo dell’IVA dovuto e gli ha inoltre inflitto, sulla base dell’articolo 13, comma 1, del decreto legislativo n. 471/97, una sanzione amministrativa pari a EUR 84 748,74, corrispondente al 30% del debito tributario. Tale decisione è divenuta definitiva. Poiché l’istanza di rateizzazione presentata dal sig. Menci è stata accolta, quest’ultimo ha effettuato i pagamento delle prime rate.

13. Dopo la conclusione definitiva del procedimento amministrativo in parola, a carico del sig. Menci è stato avviato un procedimento penale per gli stessi fatti dinanzi al Tribunale di Bergamo (Italia) in forza di citazione diretta della Procura della Repubblica (Italia), con la motivazione che l’omesso versamento dell’IVA in discussione configurava il reato previsto e punito dall’articolo 10 bis, comma 1, e dall’articolo 10 ter, comma 1, del decreto legislativo n. 74/2000.

14. Il giudice del rinvio precisa che, secondo le disposizioni del decreto legislativo n. 74/2000, il procedimento penale e quello amministrativo seguono iter indipendenti e rientrano nell’ambito della competenza, rispettivamente, delle autorità giudiziarie e delle autorità amministrative. Nessuno dei due procedimenti deve essere sospeso in attesa della definizione dell’altro.

15. Detto giudice aggiunge che l’articolo 21, comma 2, del menzionato decreto legislativo, secondo cui le sanzioni amministrative relative alle violazioni finanziarie irrogate dall’autorità amministrativa competente non sono eseguibili salvo che il procedimento penale sia concluso definitivamente con archiviazione o con sentenza irrevocabile di assoluzione o proscioglimento che escluda la rilevanza penale del fatto, non osta a che un soggetto, come il sig. Menci, sia sottoposto a procedimento penale dopo che gli è stata inflitta in via definitiva una sanzione amministrativa.

16. In tale contesto, il Tribunale di Bergamo ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

“Se la previsione dell’art. 50 [della Carta], interpretato alla luce dell’art. 4 [protocollo] n. 7 [della CEDU] e della relativa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, osti alla possibilità di celebrare un procedimento penale avente ad oggetto un fatto (omesso versamento IVA) per cui il soggetto imputato abbia riportato sanzione amministrativa irrevocabile”.

Sulla questione pregiudiziale

17. Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 50 della Carta, letto alla luce dell’articolo 4 del protocollo n. 7 alla CEDU, debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale in forza della quale è possibile avviare procedimenti penali a carico di una persona per omesso versamento dell’IVA dovuta entro i termini di legge, qualora a detta persona sia già stata irrogata una sanzione amministrativa definitiva per i medesimi fatti.

18. In via preliminare, si deve ricordare che, in materia di IVA, discende, in particolare dagli articoli 2 e 273 della direttiva 2006/112, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, che gli Stati membri hanno l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative al fine di garantire che l’IVA dovuta sia interamente riscossa nei rispettivi territori e a lottare contro la frode (v., in tal senso, sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).

19. Inoltre, l’articolo 325 TFUE impone agli Stati membri di lottare contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione europea con misure dissuasive ed effettive e, in particolare, impone loro di adottare, per combattere la frode lesiva degli interessi finanziari dell’Unione, le stesse misure che adottano per combattere la frode lesiva dei loro interessi finanziari. Orbene, gli interessi finanziari dell’Unione comprendono, segnatamente, le entrate provenienti dall’IVA (v., in tal senso, sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B., C‑42/17, EU:C:2017:936, punti 30 e 31, nonché giurisprudenza ivi citata).

20. Al fine di assicurare la riscossione integrale delle entrate in parola e tutelare in tal modo gli interessi finanziari dell’Unione, gli Stati membri dispongono di una libertà di scelta delle sanzioni applicabili, che possono assumere la forma di sanzioni amministrative, di sanzioni penali o di una combinazione di entrambe. Sanzioni penali possono nondimeno essere indispensabili per combattere in modo effettivo e dissuasivo determinate ipotesi di gravi frodi in materia di IVA (v., in tal senso, sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B., C‑42/17, EU:C:2017:936, punti 33 e 34).

21. Essendo volte ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e a combattere la frode, sanzioni amministrative inflitte dalle autorità tributarie nazionali e procedimenti penali avviati per reati in materia di IVA, come quelli in discussione nel procedimento principale, costituiscono un’attuazione degli articoli 2 e 273 della direttiva 2006/112 e dell’articolo 325 TFUE e, quindi, del diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta (v., in tal senso, sentenze del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 27, e del 5 aprile 2017, Orsi e Baldetti, C‑217/15 e C‑350/15, EU:C:2017:264, punto 16). Pertanto, esse devono rispettare il diritto fondamentale garantito all’articolo 50 della Carta.

22. Inoltre, anche se, come confermato dall’articolo 6, paragrafo 3, TUE, i diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali e anche se l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta impone di dare ai diritti in essa contemplati e corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU lo stesso significato e la stessa portata di quelli conferiti dalla suddetta Convenzione, quest’ultima non costituisce, fintantoché l’Unione non vi abbia aderito, un atto giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giuridico dell’Unione (v. sentenze del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 44, e del 15 febbraio 2016, N., C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 45, nonché giurisprudenza ivi citata).

23. In base alle spiegazioni relative all’articolo 52 della Carta, il paragrafo 3 del suddetto articolo intende assicurare la necessaria coerenza tra la Carta e la CEDU, “senza che ciò pregiudichi l’autonomia del diritto dell’Unione e della Corte di giustizia dell’Unione europea” (sentenze del 15 febbraio 2016, N., C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 47, e del 14 settembre 2017, K., C‑18/16, EU:C:2017:680, punto 50, nonché giurisprudenza ivi citata).

24. Pertanto, l’esame della questione sollevata deve essere condotto alla luce dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta e, in particolare, del suo articolo 50 (v., in tal senso, sentenza del 5 aprile 2017, Orsi e Baldetti, C‑217/15 e C‑350/15, EU:C:2017:264, punto 15 nonché giurisprudenza ivi citata).

25. L’articolo 50 della Carta stabilisce che “nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”. Il principio del ne bis in idem vieta quindi un cumulo tanto di procedimenti quanto di sanzioni con natura penale ai sensi del menzionato articolo per gli stessi fatti e nei confronti di una stessa persona (v., in tal senso, sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 34).

Sulla natura penale dei procedimenti e delle sanzioni

26. Ai fini della valutazione della natura penale di procedimenti e di sanzioni come quelli in discussione nel procedimento principale, occorre rammentare che, secondo la giurisprudenza della Corte, sono rilevanti tre criteri. Il primo consiste nella qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, il secondo nella natura dell’illecito e il terzo nel grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere (v., in tal senso, sentenze del 5 giugno 2012, Bonda, C‑489/10, EU:C:2012:319, punto 37, e del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 35).

27. Benché spetti al giudice nazionale valutare, alla luce dei suddetti criteri, se i procedimenti e le sanzioni penali e amministrative in discussione nel procedimento principale abbiano natura penale ai sensi dell’articolo 50 della Carta, la Corte, pronunciandosi sul rinvio pregiudiziale, può tuttavia fornire precisazioni tese a guidare detto giudice nella sua interpretazione (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2014, Mahdi, C‑146/14 PPU, EU:C:2014:1320, punto 79, nonché giurisprudenza ivi citata).

28. Nella fattispecie, va innanzitutto precisato che la qualificazione penale, alla luce dei criteri ricordati al punto 26 della presente sentenza, dei procedimenti penali su cui verte il procedimento principale e delle sanzioni che ai medesimi possono essere conseguenti, non è in discussione. Sorge per contro la questione relativa all’aspetto se il procedimento amministrativo di cui è stato oggetto il sig. Menci e la sanzione amministrativa inflittagli al termine del menzionato procedimento siano, o meno, di natura penale, ai sensi dell’articolo 50 della Carta.

29. A tale riguardo, relativamente al primo criterio ricordato al punto 26 della presente sentenza, dal fascicolo a disposizione della Corte risulta che il diritto nazionale qualifica il procedimento conclusosi con la condanna a detta ultima sanzione come procedimento amministrativo.

30. Ciò nondimeno, l’applicazione dell’articolo 50 della Carta non si limita unicamente ai procedimenti e alle sanzioni qualificati come “penali” dal diritto nazionale, bensì comprende – prescindendo da una siffatta qualificazione in diritto interno – procedimenti e sanzioni che devono essere ritenuti dotati di natura penale sul fondamento dei due ulteriori criteri di cui al punto 26.

31. Per quanto riguarda il secondo criterio, relativo alla natura stessa dell’illecito, occorre verificare se la sanzione di cui trattasi persegua, in particolare, una finalità repressiva (v. sentenza del 5 giugno 2012, Bonda, C‑489/10, EU:C:2012:319, punto 39). Ne deriva che una sanzione dotata di finalità repressiva ha natura penale ai sensi dell’articolo 50 della Carta, e che la sola circostanza che essa persegua parimenti una finalità preventiva non è tale da ostare alla sua qualificazione come sanzione penale. In effetti, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 113 delle sue conclusioni, è insito nella natura stessa delle sanzioni penali che le medesime tendano tanto alla repressione quanto alla prevenzione di comportamenti illeciti. Per contro, una misura che si limiti a risarcire il danno causato dalla violazione di cui si tratti non è dotata di natura penale.

32. Nella fattispecie in esame, l’articolo 13, comma 1, del decreto legislativo n. 471/97 prevede, in caso di omesso versamento dell’IVA dovuta, una sanzione amministrativa che si aggiunge agli importi dell’IVA che il soggetto passivo deve pagare. Benché detta sanzione, come sostenuto dal governo italiano nelle sue osservazioni scritte, sia ridotta allorché l’imposta viene effettivamente pagata entro un certo termine decorrente dall’omesso pagamento, va nondimeno considerato che il versamento tardivo dell’IVA dovuta è punito dalla sanzione in parola. Appare quindi, ed è circostanza che spetta peraltro al giudice del rinvio valutare, che detta medesima sanzione persegue una finalità repressiva, caratteristica che è propria di una sanzione di natura penale ai sensi dell’articolo 50 della Carta.

33. Per quanto riguarda il terzo criterio, è necessario rilevare che la sanzione amministrativa in discussione nel procedimento principale assume, in conformità all’articolo 13, comma 1, del decreto legislativo n. 471/97, la forma di un’ammenda del 30% dell’IVA dovuta che si aggiunge al versamento della suddetta imposta e mostra, senza che ciò sia oggetto di contestazione fra le parti del procedimento principale, un grado di rigore elevato tale da corroborare l’analisi in base alla quale detta sanzione è dotata di natura penale ai sensi dell’articolo 50 della Carta, circostanza che tuttavia spetta al giudice del rinvio verificare.

Sull’esistenza di uno stesso reato

34. Dalla stessa formulazione dell’articolo 50 della Carta deriva che esso vieta di perseguire o condannare una medesima persona più di una volta per uno stesso reato (v., in tal senso, sentenza del 5 aprile 2017, Orsi e Baldetti, C‑217/15 e C‑350/15, EU:C:2017:264, punto 18). Come fatto presente dal giudice del rinvio nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, i diversi procedimenti e sanzioni di natura penale in discussione nel procedimento principale riguardano la stessa persona, vale a dire il sig. Menci.

35. Secondo la giurisprudenza della Corte, il criterio rilevante ai fini della valutazione della sussistenza di uno stesso reato è quello dell’identità dei fatti materiali, intesi come esistenza di un insieme di circostanze concrete inscindibilmente collegate tra loro che hanno condotto all’assoluzione o alla condanna definitiva dell’interessato (v., per analogia, sentenze del 18 luglio 2007, Kraaijenbrink, C‑367/05, EU:C:2007:444, punto 26 nonché giurisprudenza ivi citata, e del 16 novembre 2010, Mantello, C‑261/09, EU:C:2010:683, punti 39 e 40). L’articolo 50 della Carta vieta infatti di infliggere, per fatti identici, più sanzioni di natura penale in esito a diversi procedimenti svolti a tali fini.

36. Inoltre, la qualificazione giuridica, in diritto nazionale, dei fatti e l’interesse giuridico tutelato non sono rilevanti ai fini della constatazione della sussistenza di uno stesso reato, considerato che la portata della tutela conferita all’articolo 50 della Carta non può variare da uno Stato membro all’altro.

37. Nella fattispecie in esame, dalle indicazioni contenute nell’ordinanza di rinvio risulta che al sig. Menci è stata inflitta, in via definitiva, una sanzione amministrativa di natura penale per omesso versamento, entro i termini di legge, dell’IVA risultante dalla dichiarazione relativa all’anno di imposta 2011 e che i procedimenti penali in discussione nel procedimento principale riguardano questa stessa omissione.

38. Benché, come sostenuto dal governo italiano nelle sue osservazioni scritte, l’inflizione di una sanzione penale in esito a procedimenti penali, come quelli in discussione nel procedimento principale, richieda, a differenza della menzionata sanzione amministrativa di natura penale, un elemento psicologico, si deve tuttavia rilevare che la circostanza per cui l’inflizione della sanzione penale in parola dipende da un elemento costitutivo aggiuntivo rispetto alla sanzione amministrativa di natura penale non è idonea, di per sé, a rimettere in discussione l’identità dei fatti materiali di cui trattasi. Con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, la sanzione amministrativa di natura penale e i procedimenti penali in discussione nel procedimento principale sembrano dunque avere ad oggetto uno stesso reato.

39. In siffatto contesto, risulta che la normativa nazionale in discussione nel procedimento principale consente di avviare procedimenti penali nei confronti di una persona, come il sig. Menci, per un reato consistente nell’omesso versamento dell’IVA dovuta sulla base della dichiarazione relativa ad un anno di imposta, dopo che a questa medesima persona, per gli stessi fatti, è stata inflitta in via definitiva una sanzione amministrativa di natura penale ai sensi dell’articolo 50 della Carta. Orbene, un siffatto cumulo di procedimenti e di sanzioni costituisce una limitazione al diritto fondamentale garantito al summenzionato articolo.

Sulla giustificazione della limitazione del diritto garantito all’articolo 50 della Carta

40. Occorre ricordare che, nella sua sentenza del 27 maggio 2014, Spasic (C‑129/14 PPU, EU:C:2014:586, punti 55 e 56), la Corte ha statuito che una limitazione del principio del ne bis in idem garantito all’articolo 50 della Carta può essere giustificata sul fondamento dell’articolo 52, paragrafo 1, della medesima.

41. Ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, primo periodo, della Carta, eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla stessa Carta devono essere previste dalla legge e devono rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. In base al secondo periodo del suddetto paragrafo, nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni a tali diritti e libertà solo qualora siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.

42. Nella fattispecie in esame è pacifico che la possibilità di cumulare procedimenti e sanzioni penali così come procedimenti e sanzioni amministrative di natura penale è prevista dalla legge.

43. Inoltre, una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, rispetta il contenuto essenziale dell’articolo 50 della Carta, giacché, stando alle indicazioni presenti nel fascicolo a disposizione della Corte, essa consente un siffatto cumulo di procedimenti e di sanzioni unicamente a condizioni fissate in modo tassativo, assicurando quindi che il diritto garantito al suddetto articolo 50 non sia rimesso in discussione in quanto tale.

44. Per quanto attiene alla questione di accertare se la limitazione del principio del ne bis in idem che risulta da una normativa nazionale come quella in discussione nel procedimento principale risponda a un obiettivo di interesse generale, dal fascicolo a disposizione della Corte risulta che tale normativa è intesa ad assicurare la riscossione integrale dell’IVA dovuta. In considerazione dell’importanza che la giurisprudenza della Corte attribuisce, al fine di realizzare detto obiettivo, alla lotta contro i reati in materia di IVA (v., in tal senso, sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B., C‑42/17, EU:C:2017:936, punto 34 nonché giurisprudenza ivi citata), un cumulo di procedimenti e di sanzioni di natura penale può essere giustificato allorché detti procedimenti e dette sanzioni riguardano, in vista della realizzazione di un obiettivo siffatto, scopi complementari vertenti, eventualmente, su aspetti differenti della medesima condotta di reato interessata, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

45. A tale proposito, in materia di reati relativi all’IVA, appare legittimo che uno Stato membro si proponga, da un lato, di dissuadere e reprimere qualsiasi inadempimento, intenzionale o meno, alle norme afferenti alla dichiarazione e alla riscossione dell’IVA infliggendo sanzioni amministrative fissate, eventualmente, su base forfettaria e, dall’altro, di dissuadere e reprimere inadempimenti gravi alle menzionate norme, i quali sono particolarmente deleteri per la società e giustificano l’adozione di sanzioni penali più rigorose.

46. Riguardo al principio di proporzionalità, quest’ultimo richiede che il cumulo di procedimenti e di sanzioni previsto da una normativa nazionale, come quella in discussione nel procedimento principale, non superi i limiti di quanto idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimi perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (v., in tal senso, sentenze del 25 febbraio 2010, Müller Fleisch, C‑562/08, EU:C:2010:93, punto 43; del 9 marzo 2010, ERG e a., C‑379/08 e C‑380/08, EU:C:2010:127, punto 86, e del 19 ottobre 2016, EL-EM-2001, C‑501/14, EU:C:2016:777, punti 37 e 39 nonché giurisprudenza ivi citata).

47. A tale proposito, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza richiamata al punto 20 della presente sentenza, gli Stati membri dispongono di libertà di scelta quanto alle sanzioni applicabili al fine di garantire la riscossione integrale delle entrate provenienti dall’IVA. In assenza di armonizzazione del diritto dell’Unione in materia, gli Stati membri possono quindi legittimamente prevedere tanto un regime nel quale reati in materia di IVA possono costituire oggetto di procedimenti e di sanzioni unicamente una volta, quanto un regime che autorizza un cumulo di procedimenti e di sanzioni. In siffatto contesto, la proporzionalità di una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, non può essere rimessa in discussione sulla base della sola circostanza che lo Stato membro interessato abbia operato la scelta di prevedere la possibilità di un cumulo del genere, salvo altrimenti privare detto Stato membro di una simile libertà di scelta.

48. Ciò precisato, si deve rilevare che una normativa nazionale, come quella in discussione nel procedimento principale, che prevede una siffatta possibilità di cumulo è idonea a realizzare l’obiettivo di cui al punto 44 della presente sentenza.

49. Quanto al suo carattere strettamente necessario, una normativa nazionale come quella in discussione nel procedimento principale deve, innanzitutto, prevedere norme chiare e precise che consentano al soggetto dell’ordinamento di prevedere quali atti e omissioni possano costituire oggetto di un siffatto cumulo di procedimenti e di sanzioni.

50. Nella fattispecie in esame, come risulta dagli elementi presenti nel fascicolo di cui dispone la Corte, la normativa nazionale in discussione nel procedimento principale, segnatamente l’articolo 13, comma 1, del decreto legislativo n. 471/97, prevede le condizioni stanti le quali all’omesso versamento dell’IVA dovuta entro i termini di legge può conseguire l’inflizione di una sanzione amministrativa di natura penale. In conformità a detto articolo 13, comma 1, e nelle condizioni di cui all’articolo 10 bis, comma 1, e all’articolo 10 ter, comma 1, del decreto legislativo n. 74/2000, una siffatta omissione può del pari, se concerne una dichiarazione d’imposta annuale vertente su un importo di IVA superiore a EUR 50 000, costituire oggetto di una pena detentiva da sei mesi a due anni.

51. Risulta quindi, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, che la normativa nazionale in discussione nel procedimento principale prevede, in maniera chiara e precisa, in quali circostanze l’omesso versamento dell’IVA dovuta può costituire oggetto di un cumulo di procedimenti e di sanzioni di natura penale.

52. Inoltre, una normativa nazionale, come quella in discussione nel procedimento principale, deve garantire che gli oneri derivanti, a carico degli interessati, da un cumulo del genere siano limitati a quanto strettamente necessario al fine di realizzare l’obiettivo richiamato al punto 44 della presente sentenza.

53. Per quanto riguarda, da un lato, il cumulo di procedimenti di natura penale che, come si evince dagli elementi presenti nel fascicolo, si svolgono in modo indipendente, il requisito ricordato al punto precedente implica l’esistenza di norme che garantiscano una coordinazione finalizzata a ridurre a quanto strettamente necessario l’onere supplementare che un siffatto cumulo comporta per gli interessati.

54. Nel caso di specie, benché la normativa nazionale in discussione nel procedimento principale consenta di avviare procedimenti penali anche dopo l’inflizione di una sanzione amministrativa di natura penale che chiude definitivamente il procedimento amministrativo, dagli elementi contenuti nel fascicolo e sintetizzati al punto 50 della presente sentenza emerge che detta normativa sembra limitare i procedimenti penali ai reati di una certa gravità, vale a dire quelli relativi ad un importo di IVA non versata superiore a EUR 50 000, per i quali il legislatore nazionale ha previsto una pena detentiva, la cui severità appare giustificare la necessità di avviare, al fine di imporre una pena del genere, un procedimento indipendente dal procedimento amministrativo di natura penale.

55. D’altro lato, al cumulo di sanzioni di natura penale devono accompagnarsi norme che consentano di garantire che la severità del complesso delle sanzioni imposte corrisponda alla gravità del reato di cui si tratti, considerato che un’esigenza siffatta discende non soltanto dall’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, ma altresì dal principio di proporzionalità delle pene di cui all’articolo 49, paragrafo 3, della medesima. Tali norme devono prevedere l’obbligo per le autorità competenti, qualora venga inflitta una seconda sanzione, di far sì che la severità del complesso delle sanzioni imposte non sia superiore alla gravità del reato constatato.

56. Nella fattispecie in esame, dall’articolo 21 del decreto legislativo n. 74/2000 sembra desumersi che quest’ultimo non si limita a prevedere la sospensione dell’esecuzione forzata delle sanzioni amministrative di natura penale nel corso del procedimento penale, ma che esso osta definitivamente a tale esecuzione dopo la condanna penale dell’interessato. Inoltre, sulla base delle indicazioni contenute nell’ordinanza di rinvio, il pagamento volontario del debito tributario, purché riguardi parimenti la sanzione amministrativa inflitta all’interessato, costituisce una circostanza attenuante speciale di cui tenere conto nell’ambito del procedimento penale. Risulta quindi che la normativa nazionale in discussione nel procedimento principale prevede condizioni idonee a garantire che le autorità competenti limitino la severità del complesso delle sanzioni imposte a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato commesso.

57. Risulta pertanto che, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, una normativa nazionale, come quella in discussione nel procedimento principale, consente di garantire che il cumulo di procedimenti e di sanzioni che essa autorizza non eccede quanto è strettamente necessario ai fini della realizzazione dell’obiettivo di cui al punto 44 della presente sentenza.

58. Occorre ancora rilevare che, benché una normativa nazionale che soddisfa i requisiti enunciati ai punti 44, 49, 53 e 55 della presente sentenza appaia, in principio, idonea a garantire la conciliazione necessaria tra i differenti interessi in discussione, essa deve parimenti essere applicata dalle autorità e dagli organi giurisdizionali nazionali in modo che l’onere risultante, nella fattispecie in esame e per l’interessato, dal cumulo dei procedimenti e delle sanzioni non sia eccessivo rispetto alla gravità del reato commesso.

59. Spetta, in definitiva, al giudice del rinvio valutare la proporzionalità dell’applicazione concreta della summenzionata normativa nell’ambito del procedimento principale, ponderando, da un lato, la gravità del reato tributario in discussione e, dall’altro, l’onere risultante concretamente per l’interessato dal cumulo dei procedimenti e delle sanzioni di cui al procedimento principale.

60. Infine, nella misura in cui la Carta contiene diritti corrispondenti a diritti garantiti dalla CEDU, l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, prevede che il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. Occorre dunque tenere conto dell’articolo 4 del protocollo n. 7 della CEDU ai fini dell’interpretazione dell’articolo 50 della Carta (v., in tal senso, sentenze del 15 febbraio 2016, N., C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 77, e del 5 aprile 2017, Orsi e Baldetti, C‑217/15 e C‑350/15, EU:C:2017:264, punto 24).

61. A tale riguardo, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha giudicato che un cumulo di procedimenti e di sanzioni tributarie e penali volte a reprimere una medesima violazione della legge tributaria non lede il principio del ne bis in idem, sancito all’articolo 4 del protocollo n. 7 della CEDU, quando i procedimenti tributari e penali di cui trattasi presentano un nesso temporale e materiale sufficientemente stretto (sentenza della Corte EDU del 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia, CE:ECHR:2016:1115JUD002413011, § 132).

62. Quindi, i requisiti ai quali l’articolo 50 della Carta, in combinato disposto con l’articolo 52, paragrafo 1, della medesima, assoggetta un eventuale cumulo di procedimenti e di sanzioni penali nonché di procedimenti e di sanzioni amministrative di natura penale, come risulta dai punti 44, 49, 53, 55 e 58 della presente sentenza, assicurano un livello di tutela del principio del ne bis in idem che non incide su quello garantito all’articolo 4 del protocollo n. 7 della CEDU, quale interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

63. Alla luce del complesso delle suesposte considerazioni, si deve rispondere alla questione proposta dichiarando che l’articolo 50 della Carta deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa nazionale in forza della quale è possibile avviare procedimenti penali a carico di una persona per omesso versamento dell’IVA dovuta entro i termini di legge, qualora a tale persona sia già stata inflitta, per i medesimi fatti, una sanzione amministrativa definitiva di natura penale ai sensi del citato articolo 50, purché siffatta normativa

– sia volta ad un obiettivo di interesse generale tale da giustificare un simile cumulo di procedimenti e di sanzioni, vale a dire la lotta ai reati in materia di IVA, fermo restando che detti procedimenti e dette sanzioni devono avere scopi complementari,

– contenga norme che garantiscano una coordinazione che limiti a quanto strettamente necessario l’onere supplementare che risulta, per gli interessati, da un cumulo di procedimenti, e

– preveda norme che consentano di garantire che la severità del complesso delle sanzioni imposte sia limitato a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato di cui si tratti.

64. Spetta al giudice nazionale accertare, tenuto conto del complesso delle circostanze del procedimento principale, che l’onere risultante concretamente per l’interessato dall’applicazione della normativa nazionale in discussione nel procedimento principale e dal cumulo dei procedimenti e delle sanzioni che la medesima autorizza non sia eccessivo rispetto alla gravità del reato commesso.

Sulle spese

65. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

P.Q.M.

Dichiara:

1) L’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa nazionale in forza della quale è possibile avviare procedimenti penali a carico di una persona per omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta entro i termini di legge, qualora a tale persona sia già stata inflitta, per i medesimi fatti, una sanzione amministrativa definitiva di natura penale ai sensi del citato articolo 50, purché siffatta normativa

– sia volta ad un obiettivo di interesse generale tale da giustificare un simile cumulo di procedimenti e di sanzioni, vale a dire la lotta ai reati in materia di imposta sul valore aggiunto, fermo restando che detti procedimenti e dette sanzioni devono avere scopi complementari,

– contenga norme che garantiscano una coordinazione che limiti a quanto strettamente necessario l’onere supplementare che risulta, per gli interessati, da un cumulo di procedimenti, e

– preveda norme che consentano di garantire che la severità del complesso delle sanzioni imposte sia limitata a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato di cui si tratti.

2) Spetta al giudice nazionale accertare, tenuto conto del complesso delle circostanze del procedimento principale, che l’onere risultante concretamente per l’interessato dall’applicazione della normativa nazionale in discussione nel procedimento principale e dal cumulo dei procedimenti e delle sanzioni che la medesima autorizza non sia eccessivo rispetto alla gravità del reato commesso.