CORTE DI GIUSTIZIA CE-UE – Sentenza 7 marzo 2018, n. 651
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – PREVIDENZA SOCIALE – ASSEGNO DI MATERNITA’ – CALCOLO DELL’IMPORTO IN BASE AI REDDITI DELL’ASSICURATA IN UN PERIODO DI RIFERIMENTO DI DODICI MESI – RESTRIZIONE ALLA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORE
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 45 TFUE e dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE.
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra DW e la Valsts soci?l?s apdrošin?šanas (Agenzia nazionale della previdenza sociale, Lettonia) relativa alla determinazione dell’importo dell’assegno di maternità spettante alla ricorrente.
Contesto normativo
3 L’articolo 31 del Likums «Par maternit?tes slim?bas apdrošin?šanu» (legge in materia di assicurazione maternità e malattia, L. V., 1995, n. 182, pag. 465) ai paragrafi 1, 6 e 7, prevede quanto segue:
«1) Ai fini del calcolo di una prestazione statale di previdenza sociale, la base contributiva media di assicurazione si determina a partire dalla base contributiva media della persona assicurata per un periodo di dodici mesi, che termina due mesi prima del mese in cui si verifica l’evento assicurato (…).
(…)
6) Se, durante parte del periodo considerato per calcolare la base contributiva media di assicurazione di cui al paragrafo 1 (…), la persona assicurata non era registrata come affiliata al regime di previdenza sociale nazionale o fruiva di un congedo non retribuito, ai fini del calcolo delle prestazioni di maternità o di paternità la base contributiva media di assicurazione relativa a questa parte del periodo, nonché alla parte del periodo per la quale alla persona non era riferibile una base contributiva media, perché la stessa fruiva di un congedo non retribuito – escluso il periodo di congedo non retribuito per la cura dei figli – è pari al 70% del valore della base contributiva media mensile fissata nello Stato.
7) Se, durante parte del periodo considerato per calcolare la base contributiva media di assicurazione di cui al paragrafo 1 (…), la persona assicurata non ha goduto di base contributiva media di assicurazione a causa di un’inabilità al lavoro, di un congedo di gravidanza o di maternità, di un congedo di paternità, di un congedo non retribuito per la cura dei figli, o di un congedo parentale, la base contributiva media di assicurazione è pari a quella del periodo di riferimento al netto dei giorni di inabilità temporanea al lavoro, del congedo di gravidanza o di maternità, del congedo di paternità, del congedo non retribuito per la cura dei figli, e del congedo parentale».
4 L’articolo 7 del Ministru Kabineta noteikumi Nr. 270 «Vid?j?s apdrošin?šanas iemaksu algas apr??in?šanas k?rt?ba un valsts soci?l?s apdrošin?šanas pabalstu pieš?iršanas, apr??in?šanas un izmaksas k?rt?ba» (decreto n. 270 del Consiglio dei ministri, relativo al calcolo della base contributiva media di assicurazione e disposizioni relative all’erogazione, al calcolo e al pagamento delle prestazioni di previdenza sociale nazionali), del 27 luglio 1998 (L. V., 1998, n. 223/224, pag. 1284) così dispone:
«7. Ai fini del calcolo della base contributiva media di assicurazione del lavoratore subordinato, la base contributiva di assicurazione comprenderà tutto il reddito di lavoro da quest’ultimo percepito nel periodo di cui all’articolo 31, paragrafo 1, della legge in materia di assicurazione maternità e malattia:
7.1. come lavoratore subordinato
7.1.1. da un datore di lavoro con il quale, il giorno in cui si verifica l’evento assicurato, il lavoratore subordinato intrattenga uno dei rapporti giuridici previsti dall’articolo 1, paragrafo 2, della legge sulla previdenza sociale che danno diritto a una base contributiva».
5 L’articolo 8 di detto decreto così stabilisce:
«In tutte le fattispecie di cui all’articolo 7 del presente decreto, ai fini dell’erogazione di prestazioni di previdenza sociale, la base contributiva media di assicurazione si calcola secondo la seguente formula:
Vd = (A1 + A2… + A12)/D, dove
Vd = base contributiva di assicurazione media giornaliera (…)
A1, A2… = importo della base contributiva di assicurazione percepita come reddito di lavoro per il mese corrispondente del periodo di dodici mesi previsto all’articolo 31, paragrafo 1, della legge sull’assicurazione malattia e maternità, calcolato escludendo i premi, i bonus, le prestazioni e altri incentivi che l’imprenditore, ai sensi di un accordo collettivo o di un contratto di lavoro, abbia erogato al soggetto in questione durante il periodo in cui questi si sia trovato in una situazione di temporanea inabilità al lavoro o abbia fruito di un congedo di gravidanza o maternità, di un congedo non retribuito per la cura dei figli o di un congedo parentale;
D = numero di giorni del periodo di cui all’articolo 31, paragrafo 1, della legge in materia di assicurazione maternità e malattia, esclusi i giorni di non lavoro per inabilità temporanea a fronte della quale è stata erogata una prestazione di malattia, per congedo di gravidanza, maternità, paternità, per congedo non retribuito per la cura dei figli o per congedo parentale».
Procedimento principale e questione pregiudiziale
6 Il 2 gennaio 2014 DW ha chiesto all’Agenzia nazionale di previdenza sociale la concessione di un assegno di maternità per la durata del congedo di gravidanza. Il 2 aprile 2014 la ricorrente ha anche chiesto il beneficio di tale assegno per la durata del congedo di maternità.
7 L’Agenzia nazionale di previdenza sociale ha concesso tale assegno per i periodi che vanno, rispettivamente, dal 2 gennaio al 12 marzo 2014 e dal 13 marzo al 21 maggio 2014. L’assegno di maternità è stato fissato all’80% della base contributiva media giornaliera, stabilita tenendo conto del reddito percepito da DW nel periodo di dodici mesi intercorrente tra il 1o novembre 2012 e il 31 ottobre 2013, e del numero di giorni compresi in tale periodo. Poiché per undici dei dodici mesi del citato periodo di riferimento DW aveva lavorato per un’istituzione dell’Unione europea e non era pertanto stata registrata come lavoratrice dipendente in Lettonia, l’Agenzia nazionale di previdenza sociale, ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 6, della legge in materia di assicurazione maternità e malattia, ha fissato la base contributiva, per ciascuno di tali mesi, al 70% della base contributiva media stabilita dallo Stato membro interessato, equivalente a EUR 395,70. Al contrario, per il mese in cui DW risultava registrata come lavoratrice dipendente e contribuente in Lettonia, si era tenuto conto della base contributiva media effettiva per tale mese, pari a EUR 1 849,73.
8 DW ha proposto dinanzi all’administrat?v? rajona tiesa (Tribunale amministrativo distrettuale, Lettonia) una domanda volta a ottenere un nuovo calcolo dell’importo dell’assegno. Tale giudice ha accolto la domanda basandosi sia sulle disposizioni del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU 2004, L 166, pag. 1, e rettifiche in GU 2004, L 200, pag. 1, GU 2007, L 204, pag. 30, e GU 2018, L 2, pag. 15), sia su quelle del Trattato FUE relative alla libera circolazione dei lavoratori.
9 L’appello proposto dall’Agenzia nazionale di previdenza sociale è stato accolto dall’Administrat?v? apgabaltiesa (Corte amministrativa regionale, Lettonia). Tale giudice ha ritenuto che il regolamento n. 883/2004, che prevede la totalizzazione dei periodi completati per l’acquisizione di un diritto, non sia applicabile nel caso di specie, dato che il diritto lettone, per la concessione del diritto all’assegno di maternità, non impone alcun precedente periodo di affiliazione al regime previdenziale lettone. Esso ne ha dedotto che il calcolo di detto assegno era stato correttamente effettuato alla luce del solo diritto lettone.
10 DW ha proposto ricorso per cassazione contro tale decisione dinanzi all’Augst?k? tiesa (Corte suprema, Lettonia), sostenendo che le modalità di calcolo di tale indennità sono in contrasto con gli articoli da 45 a 48 TFUE e con la giurisprudenza della Corte (sentenza del 16 febbraio 2006, Ö., C-185/04, EU:C:2006:107). Secondo DW, in sede di calcolo della prestazione da assegnare, non si deve tenere conto dei periodi assicurativi svolti in seno alle istituzioni dell’Unione, e l’importo della prestazione deve essere aggiunto a quello che essa avrebbe percepito se avesse lavorato in Lettonia per tutto il periodo di riferimento. Tale conclusione sarebbe corroborata dalla finalità della prestazione di cui trattasi, ossia valorizzare l’assegno di maternità delle persone che hanno esercitato un’attività lavorativa, garantendo al contempo un reddito minimo alle persone senza lavoro.
11 L’Agenzia nazionale di previdenza sociale, da parte sua, ritiene che la giurisprudenza della Corte relativa alla totalizzazione dei periodi di attività ai fini della determinazione del diritto agli assegni parentali non sia applicabile nel caso di specie, che è relativo al calcolo dell’importo dell’assegno di maternità.
12 Il giudice del rinvio si chiede se le disposizioni del diritto lettone relative al calcolo dell’importo dell’assegno di maternità siano compatibili con il diritto dell’Unione. A tal proposito, constata che DW, dopo aver esercitato il proprio diritto alla libera circolazione lavorando per un’istituzione dell’Unione, si trova ad essere svantaggiata. Infatti, la base contributiva media adottata dal diritto lettone per gli undici mesi durante i quali DW è stata al servizio di un’istituzione dell’Unione è notevolmente inferiore a quella adottata per il restante mese di lavoro effettuato da DW in Lettonia. Secondo il giudice del rinvio, il metodo di calcolo applicato per determinare l’assegno di maternità porta, in realtà, a far dipendere l’importo dell’assegno dalla durata del periodo di attività in Lettonia del lavoratore in questione.
13 Il giudice del rinvio ricorda, in tale contesto, la giurisprudenza della Corte secondo cui una siffatta normativa può costituire una restrizione alla libera circolazione dei lavoratori, vietata dall’articolo 45 TFUE. Tale normativa non può inoltre essere ammessa alla luce dell’obbligo di leale cooperazione ed assistenza che incombe agli Stati membri e che trova la sua espressione nell’obbligo sancito dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE (sentenze del 16 dicembre 2004, M., C-293/03, EU:C:2004:821, punti da 45 a 48; del 16 febbraio 2006, Ö., C-185/04, EU:C:2006:107, punti 16 e 17, nonché del 4 febbraio 2015, M., C-647/13, EU:C:2015:54, punti 26 e 27).
14 Alla luce di tali considerazioni, l’Augst?k? tiesa (Corte suprema) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se l’articolo 4, paragrafo 3, TUE e l’articolo 45, paragrafi 1 e 2, TFUE, debbano essere interpretati nel senso che non ostano alla normativa di uno Stato membro come quella oggetto del procedimento principale che, ai fini della determinazione dell’importo della prestazione di maternità, non esclude dal periodo di dodici mesi, da utilizzarsi per il calcolo della base contributiva media, i mesi in cui la persona ha lavorato presso un’istituzione dell’Unione europea ed era affiliata al regime comune di assicurazione malattia [dell’Unione] laddove, riconoscendo che durante detto periodo la persona non era assicurata in Lettonia, equipara le sue entrate alla base contributiva media determinata dallo Stato, il che può comportare la sostanziale riduzione dell’importo della prestazione di maternità erogata rispetto al possibile importo della prestazione che la persona avrebbe potuto percepire se, nel periodo considerato per il calcolo, non si fosse recata a lavorare presso un’istituzione dell’Unione (…), ma avesse lavorato a titolo subordinato in Lettonia».
Sulla questione pregiudiziale
15 Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 3, TUE e l’articolo 45 TFUE debbano essere interpretati nel senso che ostano alla normativa di uno Stato membro, come quella di cui al procedimento principale, che, ai fini della determinazione della base del contributo previdenziale medio per il calcolo dell’assegno di maternità, equipara i mesi del periodo di riferimento, durante i quali il soggetto in questione ha lavorato per un’istituzione dell’Unione e non era iscritto al regime di previdenza sociale di tale Stato membro, a un periodo di disoccupazione, ed applica agli stessi la base contributiva media di assicurazione stabilita in detto Stato membro, con l’effetto di ridurre sostanzialmente l’importo dell’assegno di maternità concesso a tale soggetto rispetto a quello cui avrebbe avuto diritto se avesse svolto un’attività lavorativa unicamente nello Stato membro in questione.
16 In via preliminare, occorre ricordare che, benché gli Stati membri conservino la propria competenza per strutturare i rispettivi sistemi previdenziali, determinando in particolare le condizioni per la concessione di prestazioni in materia di previdenza sociale, essi devono nondimeno rispettare, nell’esercizio di detta competenza, il diritto dell’Unione, e segnatamente le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei lavoratori (v., in tal senso, sentenze del 1o aprile 2008, Gouvernement de la Communauté française e Gouvernement wallon, C-212/06, EU:C:2008:178, punto 43; del 21 gennaio 2016, Commissione/Cipro, C-515/14, EU:C:2016:30, punto 38, nonché del 6 ottobre 2016, A. e a., C-466/15, EU:C:2016:749, punto 22).
17 Occorre pertanto verificare se le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei lavoratori siano applicabili in circostanze come quelle di cui al procedimento principale. Ove si versi in tale ipotesi, occorrerà poi determinare, da un lato, se una normativa nazionale quale quella di cui al procedimento principale costituisca un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori e, dall’altro, in caso di soluzione affermativa, se detto ostacolo possa essere obiettivamente giustificato.
18 Per quanto riguarda, in primo luogo, l’applicabilità delle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei lavoratori, si deve ricordare che per giurisprudenza consolidata un cittadino dell’Unione – indipendentemente dal luogo di residenza e dalla cittadinanza – che usufruisca del diritto alla libera circolazione dei lavoratori e che abbia esercitato un’attività lavorativa in uno Stato membro diverso da quello di cui è originario, rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 45 TFUE (sentenze del 16 febbraio 2006, R., C-137/04, EU:C:2006:106, punto 14, nonché del 16 febbraio 2006, Ö., C-185/04, EU:C:2006:107, punto 11 e giurisprudenza ivi citata).
19 Peraltro, il cittadino dell’Unione che lavori in uno Stato membro diverso dal proprio Stato d’origine e che abbia accettato un impiego in un’organizzazione internazionale rientra anch’esso nell’ambito di applicazione di tale disposizione (v., in particolare, in tal senso, sentenze del 16 febbraio 2006, R., C-137/04, EU:C:2006:106, punto 15; del 16 febbraio 2006, Ö., C-185/04, EU:C:2006:107, punto 12 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 4 luglio 2013, G., C-233/12, EU:C:2013:449, punto 25). Infatti, un tale cittadino non perde la propria qualità di lavoratore ai sensi dell’articolo 45 TFUE per il fatto di svolgere un’attività alle dipendenze di un’organizzazione internazionale (sentenza del 4 luglio 2013, G., C-233/12, EU:C:2013:449, punto 26).
20 Ne consegue che la situazione di DW rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 45 TFUE.
21 Per quanto riguarda, in secondo luogo, la questione se l’applicazione di una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale comporti un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori, occorre ricordare che l’insieme delle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione delle persone mira a facilitare ai cittadini dell’Unione l’esercizio di attività lavorative di qualsivoglia natura nell’intero territorio dell’Unione e osta ai provvedimenti che potrebbero sfavorire tali cittadini qualora essi intendano svolgere un’attività economica nel territorio di un altro Stato membro (sentenze del 16 febbraio 2006, R., C-137/04, EU:C:2006:106, punto 17; del 16 febbraio 2006, Ö., C-185/04, EU:C:2006:107, punto 14 e giurisprudenza ivi citata; del 1o aprile 2008, Gouvernement de la Communauté française e Gouvernement wallon, C-212/06, EU:C:2008:178, punto 44, nonché del 21 gennaio 2016, Commissione/Cipro, C-515/14, EU:C:2016:30, punto 39).
22 Pertanto, disposizioni che impediscano ad un lavoratore cittadino di uno Stato membro di lasciare il paese di origine per avvalersi del diritto alla libera circolazione, o che lo dissuadano dal farlo, costituiscono ostacoli frapposti a tale libertà anche se si applicano indipendentemente dalla cittadinanza dei lavoratori interessati (sentenze del 16 febbraio 2006, R., C-137/04, EU:C:2006:106, punto 18, nonché del 16 febbraio 2006, Ö., C-185/04, EU:C:2006:107, punto 15 e giurisprudenza ivi citata).
23 Infatti, l’articolo 45 TFUE mira, in particolare, ad evitare che un lavoratore che, avvalendosi del diritto alla libera circolazione, abbia prestato attività in più di uno Stato membro riceva, senza giustificazione oggettiva, un trattamento meno favorevole rispetto a chi abbia compiuto l’intera carriera in un solo Stato membro (v. in particolare, in tal senso, sentenze del 7 marzo 1991, M., C-10/90, EU:C:1991:107, punto 17, e del 21 gennaio 2016, Commissione/Cipro, C-515/14, EU:C:2016:30, punto 42).
24 Nel caso di specie, risulta dal fascicolo sottoposto alla Corte che, conformemente alla normativa nazionale applicabile, la lavoratrice non registrata come affiliata alla previdenza sociale nazionale durante il periodo di riferimento di dodici mesi, poiché ha lavorato presso un’istituzione dell’Unione, è assimilata ad un soggetto che non svolge attività professionale, e si vede attribuire un assegno di maternità di un importo minimo, fissato sulla base media dei contributi di assicurazione stabilita nello Stato membro interessato, mentre l’assegno di maternità della lavoratrice che ha svolto tutta la propria carriera lavorativa in tale Stato membro è determinato in base ai contributi assicurativi versati al sistema di previdenza sociale nazionale durante il periodo di riferimento.
25 A tal proposito va rilevato che, anche se la legislazione nazionale applicabile non subordina, in quanto tale, il riconoscimento del diritto all’assegno di maternità alla condizione di essere stati affiliati al regime di previdenza sociale nazionale nel corso del periodo di riferimento, nondimeno l’applicazione delle modalità di calcolo dell’assegno in questione porta ad un risultato analogo, dal momento che l’importo della prestazione erogata ad una lavoratrice che abbia servito presso un’istituzione dell’Unione è sostanzialmente inferiore a quello che avrebbe potuto rivendicare se avesse lavorato nel territorio dello Stato membro in questione, versando contributi al regime di previdenza sociale di quest’ultimo.
26 La Corte ha d’altronde dichiarato che una normativa nazionale che non tenga conto, ai fini del calcolo dell’importo degli assegni parentali, dei periodi di attività svolti in affiliazione al regime comune di assicurazione malattia dell’Unione è idonea a dissuadere i cittadini di uno Stato membro dall’abbandonare tale Stato per esercitare un’attività professionale nell’ambito di un’istituzione dell’Unione europea situata nel territorio di un altro Stato membro, in quanto, accettando un’occupazione presso tale istituzione, essi perderebbero la possibilità di beneficiare, in base al regime nazionale di assicurazione malattia, di una prestazione familiare alla quale avrebbero diritto se non avessero accettato tale lavoro (sentenze del 16 febbraio 2006, R., C-137/04, EU:C:2006:106, punto 19, e del 16 febbraio 2006, Ö-, C.185/04, EU:C:2006:107, punto 16).
27 Ne consegue che una normativa nazionale quale quella di cui al procedimento principale è idonea ad ostacolare e, quindi, a scoraggiare l’esercizio di un’attività professionale al di fuori dello Stato membro in questione o in seno ad un’istituzione dell’Unione o di un’altra organizzazione internazionale, nei limiti in cui una lavoratrice precedentemente o successivamente affiliata al regime previdenziale dello Stato membro in questione, accettando un simile impiego, beneficia, in base a tale regime, di una prestazione d’importo sostanzialmente inferiore a quello a cui avrebbe avuto diritto se non avesse esercitato il proprio diritto alla libera circolazione.
28 Una normativa nazionale siffatta costituisce pertanto un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori che, in linea di principio, è vietata dall’articolo 45 TFUE.
29 Tale constatazione non è in alcun modo messa in discussione dall’argomento del governo lettone, secondo cui prestazioni temporanee, al pari dell’assegno di maternità, non sono idonee a creare un ostacolo rilevante alla decisione di un lavoratore di accettare un impiego presso un’istituzione dell’Unione o nel territorio di uno Stato membro diverso da quello di origine. A questo proposito, è sufficiente ricordare che la valutazione dell’ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori non tiene conto della perpetuità della prestazione di cui trattasi. Infatti, conformemente alla giurisprudenza della Corte, gli articoli del Trattato relativi alla libera circolazione delle persone costituiscono norme fondamentali per l’Unione e qualsiasi ostacolo, anche di minore importanza, a detta libertà è vietato (sentenza del 15 febbraio 2000, Commissione/Francia, C-34/98, EU:C:2000:84, punto 49).
30 Per fornire una risposta completa al giudice del rinvio, occorre esaminare, in terzo luogo, l’esistenza di un’eventuale giustificazione dell’ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori.
31 A tal proposito, dalla giurisprudenza della Corte discende che un provvedimento restrittivo delle libertà fondamentali garantite dal Trattato può essere giustificato solo se persegue uno scopo legittimo, compatibile con il Trattato, e rispetta il principio di proporzionalità. Per tale ragione, occorre che un siffatto provvedimento sia idoneo a garantire la realizzazione dello scopo perseguito e non ecceda quanto necessario per raggiungerlo (v., segnatamente, sentenze del 16 febbraio 2006, R., C-137/04, EU:C:2006:106, punto 22, e del 16 febbraio 2006, Ö., C-185/04, EU:C:2006:107, punto 19 e giurisprudenza ivi citata).
32 Il governo lettone sostiene, a questo proposito, che la normativa nazionale oggetto del procedimento principale è fondata su ragioni di interesse generale e che l’assegno di maternità, basato sul principio della solidarietà, è stato istituito per garantire la stabilità del sistema nazionale di previdenza sociale. Detto sistema, il cui autofinanziamento sarebbe garantito in virtù del legame diretto tra i contributi versati e l’importo dell’assegno di maternità riconosciuto, favorirebbe il miglioramento della situazione demografica.
33 A tale riguardo occorre ricordare che, se è pur vero che ragioni di natura puramente economica non possono costituire motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare una limitazione di una libertà fondamentale garantita dal Trattato, una normativa nazionale può tuttavia costituire un ostacolo giustificato ad una libertà fondamentale qualora sia dettata da motivi di ordine economico che perseguono un obiettivo d’interesse generale. In tal senso, non può escludersi che un rischio di grave alterazione dell’equilibrio finanziario del sistema previdenziale possa costituire un motivo imperativo di interesse generale atto a giustificare la violazione delle disposizioni del Trattato relative al diritto alla libera circolazione dei lavoratori (sentenza del 21 gennaio 2016, Commissione/Cipro, C-515/14, EU:C:2016:30, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).
34 Tuttavia, per consolidata giurisprudenza della Corte, spetta alle autorità nazionali competenti, qualora esse adottino un provvedimento derogatorio di un principio sancito dal diritto dell’Unione, provare, caso per caso, che tale provvedimento è idoneo a garantire la realizzazione dell’obiettivo invocato e non va al di là di quanto necessario per il suo raggiungimento. Le giustificazioni che possono essere addotte da uno Stato membro devono essere corredate di prove adeguate o di un’analisi dell’idoneità e della proporzionalità della misura restrittiva adottata da tale Stato, nonché degli elementi che consentono di suffragare il suo argomento. Occorre che tale analisi obiettiva, circostanziata e corredata di dati numerici sia idonea a dimostrare, sulla base di dati seri, convergenti e probatori, l’effettiva esistenza di rischi per l’equilibrio del sistema di previdenza sociale (sentenza del 21 gennaio 2016, Commissione/Cipro, C-515/14, EU:C:2016:30, punto 54).
35 Orbene, va rilevato che, nel caso di specie, manca una simile analisi. Infatti, nelle osservazioni scritte presentate alla Corte, il governo lettone si è limitato a dedurre affermazioni del tutto generiche, senza tuttavia fornire elementi di prova che consentano di suffragare il suo argomento secondo cui la normativa nazionale di cui al procedimento principale sarebbe giustificata da motivi d’interesse generale. Per quanto concerne l’asserita giustificazione vertente sul legame diretto tra i contributi versati e l’importo dell’assegno concesso, essa non può essere accolta, dato che la concessione dell’assegno non è soggetta ad alcun obbligo di contribuzione.
36 Di conseguenza, e alla luce degli elementi contenuti nel fascicolo presentato alla Corte, l’ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori di cui al procedimento principale non può essere giustificato.
37 Avendo constatato che la normativa di cui al procedimento principale è incompatibile con il principio della libera circolazione dei lavoratori garantita dall’articolo 45 TFUE, non occorre pronunciarsi sull’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE (sentenza del 6 ottobre 2016, A. e a., C-466/15, EU:C:2016:749, punto 37).
38 Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 45 TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro, come quella di cui al procedimento principale, che, ai fini della determinazione della base del contributo previdenziale medio per il calcolo dell’assegno di maternità, equipara i mesi del periodo di riferimento durante i quali la persona in questione ha lavorato per un’istituzione dell’Unione, e per i quali non è stata iscritta al regime di previdenza sociale di tale Stato membro, a un periodo di disoccupazione, ed applica agli stessi la base contributiva media di assicurazione stabilita in detto Stato membro, con l’effetto di ridurre sostanzialmente l’importo dell’assegno di maternità concesso a tale persona rispetto a quello cui essa avrebbe avuto diritto se avesse svolto attività lavorativa unicamente nello Stato membro in questione.
Sulle spese
39 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Decima Sezione) dichiara:
L’articolo 45 TFUE dev’essere interpretato nel senso che osta alla normativa di uno Stato membro, come quella di cui al procedimento principale, che, ai fini della determinazione della base del contributo previdenziale medio per il calcolo dell’assegno di maternità, equipara i mesi del periodo di riferimento durante i quali la persona in questione ha lavorato per un’istituzione dell’Unione europea, e per i quali non è stata iscritta al regime di previdenza sociale di tale Stato membro, a un periodo di disoccupazione, ed applica agli stessi la base contributiva media di assicurazione stabilita in detto Stato membro, con l’effetto di ridurre sostanzialmente l’importo dell’assegno di maternità concesso a tale persona rispetto a quello cui essa avrebbe avuto diritto se avesse svolto attività lavorativa unicamente nello Stato membro in questione.