Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Napoli. sezione 16, sentenza n. 9146 depositata il 3 ottobre 2022
E’ inesistente la notificazione della cartella di pagamento proveniente da un indirizzo di posta elettronica certificata non risultante in nessuno dei pubblici elenchi previsti per legge
Con ricorso notificato il 29/11/2021 la M.C.S. E. Srl, Unipersonale, in persona del legale rappresentante sig. S. M. C., elettivamente domiciliata in Ischia (NA), alla Via A. D. P. n. xx, Viale B. 104, presso lo studio del Dott. R. T. D. F. (c.f. FRXXXXXX), che la rappresenta e difende nel presente giudizio, ha impugnato la cartella di pagamento n.071200040924123000 notificata il 30/9/2021 da fantomatico indirizzo pec “notifica.acc.campania@pec. agenziariscossione.gov.it, avente ad oggetto richiesta di pagamento IVA per l’anno 2016 di euro 71.142,39 ed IRPEF di euro 2.123,02, euro 9.610,46 per l’anno 2016 ex Mod. 770, per un importo complessivo di euro 85.368,01, comprensivo di spese di notifica, emessa a seguito di controllo automatizzato ex art. 36 bis D.P.R. n. 600/1973 e/o art. 54 bis D.P.R. 633/1972, su modelli unico e 770 del 2016.
La ricorrente ha fondato il rimedio processuale su due motivi: 1) Nullità o inesistenza giuridica della cartella in quanto trasmessa da un indirizzo PEC differente da quello contenuto nel pubblico registro, ex artt.16-ter del D.L. n. 179 del 2012 e 3-bis L. n. 53 del 1994; 2) Illegittimità derivata della notificazione della cartella per la mancata estensione “.p7m del file pdf, inidonea a dimostrare il formato PADES e non dotata di firma digitale dell’autore, documento privo, peraltro, di attestazione della conformità della cartella notificata all’originale Documento Informatico conservato dall’Agenzia e di cui se ne disconosce la conformità.
A sostegno del ricorso la parte richiamava favorevole giurisprudenza di merito e di legittimità, concludendo per il suo accoglimento, con conseguente condanna della parte resistente al pagamento delle spese, di ritti ed onorari di giudizio, ai sensi dell’art. 15 del D.Lgs. n.546/92.
Si costituiva in giudizio l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale I di Napoli, con il deposito di controdeduzione, chiedendo il rigetto del ricorso, poiché infondato in fatto e in diritto, con il favore delle spese di giudizio e la condanna della ricorrente per l’evidente temerarietà della lite, attesa la correttezza e l’affermata validità della notificazione dell’atto impugnato, dovendosi considerare comunque sanato ogni dedotto vizio in merito, ai sensi degli artt. 156 e 160 c.p.c., per il raggiungimento dello scopo della sua conoscenza da parte della società destinataria, come confermato anche indirettamente dalla sua tempestiva impugnazione e dalla mancata compromissione o impedimento dell’esercizio del fondamentale diritto di difesa, restando comunque estranea la modalità di notificazione all’atto impositivo emesso. Inoltre, privo di pregio si rivelerebbe il secondo motivo proposto nel ricorso non essendo necessaria alcuna attestazione di conformità della cartella avendo. La contribuente, ricevuto l’unico originale della cartella generata in via informatica dall’ente emittente (conforme, Cass. n.12888 del 2015).
All’odierna pubblica udienza, terminata la discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
Il ricorso è fondato nel merito e, come tale, va accolto in accoglimento del primo motivo proposto inerente all’inesistenza/nullità assoluta della notificazione della cartella di pagamento impugnata, circostanza che determina l’assorbimento di ogni altra questione o eccezione sollevata la cui valutazione e decisione si rendono, pertanto, superflue (Cass. SS.UU. n. 20684/2018 e 17/02/2017, n. 4225).
Rileva il Collegio che la censura sollevata, in via preliminare, dalla parte ricorrente consiste nel messaggio di posta elettronica certificata (p.e.c.) contenente la cartella di pagamento impugnata che proveniva, però, dall’indirizzo pec “notifica.acc.campania@pec. agenziariscossione.gov.it”, non risultante, a nome di “Agenzia delle Entrate – riscossione”, in nessuno dei “pubblici elenchi” previsti per legge; circostanza non smentita né confutata dalla resistente Agenzia che può ritenersi, conseguentemente, provata.
In punto di diritto va premesso il quadro normativo di riferimento vigente secondo cui l’art. 3 bis L. n. 53 del 1994 sancisce che “la notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo disposta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi“.
L’articolo 6-bis del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (“Codice dell’amministrazione digitale”) prevede che “al fine di favorire la presentazione di istanze, dichiarazioni e dati, nonché lo scambio di informazioni e documenti tra la pubblica amministrazione e le imprese e i professionisti in modalità telematica, è istituito, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, il pubblico elenco denominato Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti, presso il Ministero per lo Sviluppo Economico”; il successivo art. 6 ter, rubricato “Indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi”, stabilisce poi che “al fine di assicurare la pubblicità dei riferimenti telematici delle pubbliche amministrazioni e dei gestori dei pubblici servizi è istituito il pubblico elenco di fiducia denominato “Indice dei domicili digitali della pubblica amministrazione e dei gestori di pubblici servizi”, nel quale sono indicati i domicili digitali da utilizzare per le comunicazioni e per lo scambio di informazioni tra le pubbliche amministrazioni, i gestori di pubblici servizi e i privati”, disponendo al comma 3 che “le amministrazioni di cui al comma 1 e i gestori di pubblici servizi aggiornano gli indirizzi e i contenuti dell’Indice tempestivamente e comunque con cadenza almeno semestrale”
Ancora, l’art. 5 D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 sancisce poi che “Le imprese individuali attive e non soggette a procedura concorsuale, sono tenute a depositare, presso l’ufficio del registro delle imprese competente, il proprio indirizzo di posta elettronica certificata”.
Ancora in tema di notifiche a mezzo PEC, l’art. 16-ter del D.L. n. 179/2012 (convertito in legge, con modifiche, dalla L. 17.12.2012, n. 221 con decorrenza dal 19.12.2012, rubricato “pubblici elenchi per notificazioni e comunicazioni”, al comma 1, espressamente dispone: “A decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 6-bis, 6-quater e 62 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dall’articolo 16, comma 12, del presente decreto, dall’articolo 16, comma 6, del decreto- legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della Giustizia”. Si tratta dei tre registri IPA, REGINDE e INIPEC in cui devono sempre essere registrati gli indirizzi di provenienza delle notifiche, al fine di assicurare la necessaria certezza sulla provenienza e sulla destinazione dell’atto notificando. In effetti, nell’ipotesi in cui venissero adoperati indirizzi non ufficiali, emergendo l’assoluta incertezza del soggetto da cui proviene l’atto impugnato – a fronte dell’oggettiva impossibilità di riferire l’indirizzo pec utilizzato all’agente della riscossione – non può che derivare la violazione delle norme circa la certezza, l’affidabilità giuridica del contenuto dell’atto stesso e del diritto fondamentale di difesa del contribuente, costituzionalmente presidiato ( art.24 Cost.).
Al rilevato vizio di un requisito di forma dell’atto, evidentemente, ritenuto indispensabile dal legislatore che ha posto una serie di norme e stabilito requisiti rigorosi a presidio di una determinata forma del messaggio PEC che, altrimenti, non consentirebbe al destinatario di essere messo in condizioni di conoscere la fonte di provenienza dell’atto né il contenuto in modo attendibile senza correre il rischio di esporsi ad un cd. malware, consegue l’accertamento dell’inesistenza o nullità radicale dell’atto medesimo per mancato perfezionamento della notifica telematica che comporta l’impossibilità di operare la sanatoria ex art. 156 c.p.c.
In proposito giova ricordare che la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenza 20 luglio 2016, n. 14916, in tema di inesistenza e nullità della notifica, ha chiarito come: “L’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato …”.
Conclusivamente, il Collegio non ravvisa motivo per discostarsi dagli affermati principi giuridici che si collocano nel solco di un ormai consolidato orientamento nomofilattico di legittimità (Cass. Sez. I civ. n. 3093 e Cass. Sez. 6, Ord. n. 17346/2019) e dell’altrettanto prevalente giurisprudenziale di merito (per tutte, CTP Roma, n. 6898/2022; CTP Napoli, n. 5911 e n. 5025 del 2022; CTP Napoli, n. 5232/2020; CTR Campania, n. 922 e n. 345 del 2022; CTR lazio, n. 6298/2022 e n. 11779/2021).
E tanto, precisa il Collegio per mera completezza, in disparte dalla distinta ipotesi dell’inesistenza della notificazione dell’atto impositivo, assoggettata al principio secondo cui «in tema di atti di imposizione tributaria, la notificazione non è un requisito di giuridica esistenza e perfezionamento, ma una condizione integrativa di efficacia, sicché la sua inesistenza o invalidità non determina in via automatica l’inesistenza dell’atto, quando ne risulti inequivocamente la piena conoscenza da parte del contribuente, entro il termine di decadenza concesso per l’esercizio del potere all’Amministrazione finanziaria, su cui grava il relativo onere probatorio” (v., tra quelle massimate, negli anni, Cass.n.4760 del 27.02.2009; Cass.n.654 del 15.01.2014; Cass.n.8374 24.4.2015; Cass.n.2203 del 30.01.2018; Cass.n.21071 del 24.08.2018; Cass. n.5556 del 26/02/2019 e SS.UU., n. 40543/2021).
Il complesso contesto normativo e gli oscillanti orientamenti giurisprudenziali, che possono ritenersi solo recentemente avviatisi verso un’auspicabile stabilità e consolidamento, costituiscono eccezionali ragioni capaci di influenzare il regolamento delle spese di giudizio che possono, di conseguenza, essere integralmente compensate tra le parti processuali.
La Commissione
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione e compensa le spese di giudizio tra le parti.