Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Napoli, sezione 24, sentenza n. 16186 depositata il 18 novembre 2024
L’IVA assolta sulle fatture emesse dal somministratore di manodopera sulla base di un contratto di appalto di servizi ritenuto fittizio non può essere portata in detrazione, trattandosi di operazioni inesistenti. Spetta all’Amministrazione finanziaria fornire elementi, anche solo presuntivi, tali da corroborare un sospetto di inesistenza oggettiva delle prestazioni
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Ricorrente_1, con sede in Luo_1, in persona del legale rappresentante, difeso dall’Avv. Difensore_1, presentava ricorso contro L’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale II di Napoli chiedendo l’annullamento degli avvisi di accertamento n. TF503MD009984/2024 per l’anno 2019, n. TF503MD00977/2024 per l’anno 2018, n. TF503MD02873/2023 per l’anno 2017, n. TF51PRN002232023 per l’anno 2016, nonché di tutti gli atti presupposti.
Sosteneva che gli accertamenti contestati dovevano considerarsi connessi, riguardando il medesimo appalto per anni di imposta diversi, e dovevano essere congiuntamente esaminati. Il Ricorrente_1 ., era infatti appaltatore di servizi di facchinaggio e logistica a favore della Soc_1 S.p.a. e per l’esecuzione di tale appalto aveva agito tramite varie società cooperative collegate (Soc_2 Soc. Coop., Soc_3 Soc. Coop Soc_4 S.r.l.). Contestava gli accertamenti secondo cui, nell’ambito del rapporto con l’appaltante Soc_1 s.p.a., il personale era stato fornito irregolarmente. Precisava di avere quale oggetto sociale, essendo un Consorzio, proprio quello di acquisire prestazioni di lavoro per ripartirle tra associati e non associati e di operare seguendo tali modalità da quasi 20 anni nel settore della logistica. Con la Soc_1 S.p.a, era stato sottoscritto un contratto di appalto per esecuzione di servizi di carico, scarico e magazzinaggio delle merci, a cui era stata data esecuzione tramite la posseduta organizzazione imprenditoriale, i propri mezzi e le proprie risorse, con possibilità di affidare l’esecuzione dell’appalto ad altri operatori economici, quali cooperative consorziate o affiliate, con assunzione del rischio imprenditoriale.
Il ricorrente ribadiva che il contratto di appalto era da ritenersi genuino e che le direttive della Soc_1 alla ricorrente, spesso espresse mediante la corrispondenza attenzionata dagli uffici finanziari, rappresentavano solo i necessari punti di raccordo e collaborazione tra le due società.
Le cooperative aderenti al Consorzio non erano strutture vuote, ma società autonome, in grado di autodeterminarsi e l’indagine degli uffici accertatori, secondo cui l’appalto attenzionato era fittizio e celava una irregolare somministrazione di manodopera, appariva fondata su mere presunzioni., così che non potevano essere ritenuti rinvenibili elementi da cui desumere l’interposizione fittizia di manodopera.
L’indagine fiscale era stata condotta sulla base di stereotipi e su mere presunzioni, non supportate da dati certi, con la conseguenza che, nella specie, non poteva che concludersi per l’annullamento degli atti impugnati con vittoria di spese. Il ricorrente chiedeva anche la sospensione dell’esecuzione, che veniva respinta con separata ordinanza.
Si costituiva l’Agenzia delle Entrate che rilevava preliminarmente, come, rispetto agli anni 2015, 2016 e 2017, il ricorso era da ritenersi tardivamente presentato. Per quanto riguardava le annualità 2018 e 2019, ribadiva che il contratto di appalto intervenuto tra la ricorrente e la Soc_1 era da ritenersi fittizio, posto in essere al fine di mascherare una interposizione illecita nella somministrazione di manodopera. Gli accertamenti degli uffici finanziari erano scaturiti da un’approfondita indagine presso la Soc_1 s.p.a., condotta dalla Guardia Di Finanza, nell’ambito di un procedimento penale pendente presso il Tribunale di Bolzano. Da tali approfondimenti istruttori era risultato con chiarezza che la Soc_1 in realtà aveva esercitato pieni poteri sul personale, che aveva proceduto direttamente agli incarichi previsti dal contratto di appalto e che, di conseguenza, il Consorzio era da considerarsi un mero soggetto interposto che non aveva svolto alcuna funzione. Infatti, oltre a ciò, i controlli effettuati nei confronti delle cooperative di lavoro fornitrici del ricorrente, avevano evidenziato non solo una commistione nell’amministrazione delle medesime con soci e amministratori del consorzio, ma anche la mancanza di qualsiasi struttura organizzativa. L’Agenzia chiedeva che venisse rigettato il ricorso con vittoria di spese. Produceva anche una sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado di Napoli che confermava la sentenza di primo grado, che aveva rigettato analogo ricorso presentato dal ricorrente in relazione all’anno 2015, contro un avviso di accertamento IRES, IVA, IRAP per euro 568.616,49, riguardante un identico meccanismo, intervenuto tra il Consorzio ed altra società. La resistente concludeva chiedendo il rigetto del ricorso con vittoria di spese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere rigettato.
Preliminarmente si deve osservare, come evidenziato dalla resistente, che, in relazione agli anni d’imposta 2015, 2016, 2017 il ricorso è tardivo. Infatti più precisamente, per quanto concerne l’anno 2015, non solo è intervenuta la sentenza che è stata prodotta, ma anche, in relazione ad un accertamento integrativo, il medesimo è stato validamente notificato per PEC in data 23.10.23 e non è stato impugnato nei termini. L’accertamento relativo all’anno di imposta 2016 è stato notificato per PEC il 3.02.23, quello relativo all’anno 2017 è stato notificato per PEC in data 27.10.2023: nessuno dei predetti accertamenti è stato impugnato. Per quanto concerne gli accertamenti relativi agli anni 2018 e 2019, i medesimi risultano notificati in data 11.04.2024 e sono stati tempestivamente impugnati in quanto la PEC del ricorrente all’Agenzia delle Entrate Napoli 2 risulta inviata nei termini di legge in data 3.05.2024. Solo questi due ultimi accertamenti verranno quindi trattati in sede di merito.
Oggetto di tali accertamenti è stato il contratto di appalto di servizi di facchinaggio presso la Filiale Soc_1 di Luo_1 – Luogo_2 intercorso tra quest’ultima e il ricorrente, ritenuto dagli accertatori fittizio. La fonte delle verifiche è rinvenibile nelle indagini della Guardia di Finanza, di cui sono stati allegati i processi verbali di constatazione, condotte nell’ambito del procedimento penale a carico di amministratori della Soc_1 ( n. 7699/2020 incardinato presso la Procura della Repubblica – Tribunale di Bolzano) che accertava che tale società, di rilevanti dimensioni e attiva a livello internazionale nel settore del trasporto merci su strada ,logistica, distribuzioni e trasporti , aveva esternalizzato, per gli anni dal 2015 al 2019, le operazioni di movimentazione merce e facchinaggio all’interno delle proprie filiali, attraverso contratti di appalto di servizi da ritenersi fittizi e riconducibili alla fattispecie frodatoria della somministrazione irregolare della manodopera.
Tra le varie società fornitrici era annoverabile anche il ricorrente Consorzio e la posizione del medesimo, sulla base delle risultanze delle indagini della Guardia di Finanza, veniva approfondita dagli uffici finanziari dell’Agenzia delle Entrate di Napoli 2 , secondo cui il relativo contratto di appalto era da ritenersi fittizio, sussistendo una serie di elementi di fatto, che si possono riassumere secondo il seguente schema:
- il personale preposto ai servizi di facchinaggio oggetto del contratto di appalto, non era organizzato dal Consorzio appaltatore, ma prendeva ordini direttamente da funzionari ed addetti della Soc_1 p.a., appaltante;
- quest’ultima decideva il numero di persone provenienti dalle cooperative di lavoro da impiegare, tenendo conto dei carichi di attività della filiale, e organizzava le unità lavorative autonomamente;
- le cooperative di facchinaggio, di conseguenza, erano stabilmente inserite all’interno della pianta organica delle filiali della Soc_1 con vincoli di dipendenza analoghi a quelli che caratterizzano le posizioni di tirocinanti e lavoratori a progetto;
- i responsabili della Soc_1 determinavano un monte ore di lavoro teorico, che i fornitori dei servizi di facchinaggio dovevano fornire, e lo raffrontavano con il monte ore effettivo;
- nel sistema informativo della Soc_1 e nelle comunicazioni relative, il personale delle cooperative veniva considerato “personale indiretto”, cioè sostanzialmente personale stabilmente inserito nella pianta organica della filiale Soc_1;
- la stessa Soc_1 attestava (nelle memorie presentate nella verifica incardinata a suo carico) che tutte le azioni dei dipendenti dell’appaltatore venivano tracciate e monitorate dal sistema informativo Soc_1 ; che l’attività dei dipendenti era regolata e coordinata dalle sue disposizioni aziendali e che i lavoratori dell’appaltatore erano inseriti a pieno titolo nella sua organizzazione;
- lo stesso compenso, cui aveva diritto l’appaltatore, veniva determinato dalla Soc_1, a cottimo, in base al lavoro svolto, così da far ritenere che l’appaltatore non aveva assunto alcuna obbligazione di risultato;
- la natura delle subappaltatrici, in stretta connessione societaria con la struttura del ricorrente Consorzio, affidatarie dei servizi di facchinaggio, appariva essere quella dei cd “imprenditori apparenti”, in quanto le medesime erano risultate prive di immobilizzazioni, di un patrimonio adeguato, di utenze, di veicoli, di personale avente una qualifica diversa da quella di operai; operavano inoltre in maniera antieconomica, in perdita sistematica e sottocosto.
- La società Soc_1 aveva il potere di controllare l’operato dei singoli dipendenti, al fine di verificarne l’idoneità e, in caso di riscontrata inidoneità, quello di intervenire come e quando voleva sull’organico dei propri fornitori.
Dalla somma di tali elementi è da ritenersi provato che in definitiva quello che veniva richiesto all’appaltatore ricorrente erano soltanto prestazioni di lavoro dipendente e non un risultato garantito da un’autonoma organizzazione di impresa.
Il ricorrente Consorzio quindi non aveva svolto alcuna attività di organizzazione imprenditoriale ed aveva avuto il solo ruolo di mero soggetto interposto non idoneo ad aggiungere ulteriore valore o ulteriori funzioni rispetto a quelle già garantite dalle società cooperative, cui lo stesso aveva apparentemente subappaltato i servizi.
A riprova dell’assunto, c’è anche da considerare che il Ric_1 aveva un capitale sociale irrisorio, immobilizzazioni incongrue rispetto al valore della produzione realizzate tra il 2015 ed il 2018 ( oscillante tra gli 8 e 14 milioni Euro) personale inadeguato, disponendo, fino al 2017, di un solo operaio e di un impiegato e di due operai e di due impiegati nel 2018, mentre i servizi di facchinaggio oggetto di detto appalto, erano stati direttamente svolti dalle cooperative di lavoro collegate, quali la Soc_2 Sc. Coop, la Soc_4 srl , la Soc_5 Soc.Coop e la Soc_3 Soc.Coop che, a loro volta , agivano in assenza di struttura imprenditoriale ed in condizioni di insolvenza e di sistematica perdita.
Infatti, i ricavi conseguiti dal Consorzio, nel corso degli anni in contestazione, corrispondevano, per importi, ai costi dei servizi acquistati da terzi, con impiego marginale di beni strumentali e costi per l’impiego di personale proprio. Più sinteticamente, il ricorrente, dopo aver acquisito l’appalto, si era limitato ad assegnare i lavori alle proprie cooperative, a loro volta soggetti privi di organizzazione, di strutture e di capitale investito, operanti sotto il totale e diretto controllo della Soc_1, sottocosto ed in perdita costante.
La ricostruzione operata dall’Ufficio, così come ora rappresentata, appare condivisibile e risulta fondata sugli elementi presuntivi esposti, dotati delle caratteristiche di gravità, precisione e concordanza. La legittimità della ricostruzione trova riscontro e conferma nel principio giurisprudenziale secondo il quale, nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria fornisca elementi anche solo presuntivi, purché tali da corroborare un sospetto di inesistenza oggettiva delle prestazioni, compete al contribuente fornire la prova della esistenza delle operazioni per le quali ha esercitato il diritto alla detrazione. Nel caso in esame, l’Amministrazione Finanziaria, dopo una vasta attività di indagine riguardante il fornitore della società ricorrente, ha fornito la prova che le operazioni contestate sono operazioni oggettivamente inesistenti e cioè che l’operazione non è mai stata posta in essere e ciò costituisce per la sua pregnanza dimostrativa, un idoneo elemento sintomatico dell’assenza di buona fede dello stesso contribuente.
Anche la configurazione giuridica delle condotte e quindi l’inquadramento delle medesime nelle violazioni fiscali contestate negli accertamenti, appaiono corretti e conformi ai principi espressi ripetutamente dalla giurisprudenza della Suprema Corte in ordine alla somministrazione illecita di manodopera.
In relazione alla detrazione IVA infatti la medesima (Cass n. 34747/2019), in un caso del tutto similare di somministrazione irregolare di manodopera mascherata attraverso contratti di appalto di servizi ritenuti non genuini, ha ritenuto, che l’IVA assolta sulle fatture emesse non può essere portata in detrazione, trattandosi di operazione soggettivamente inesistenti. Conformi sono le sentenze di Cassazione n. 20901/2020 e 25540/2013, secondo cui le fatture emesse dal somministratore vanno considerate inesistenti in quanto l’operazione fatturata (prestazione dipendente da contratto di appalto) non è mai avvenuta. Similmente altra sentenza (Cass. n. 24540/2013) aveva ritenuto che, a causa della nullità dei contratti intervenuti tra committenti, appaltatore e lavoratore, le prestazioni effettuate a favore del committente dovevano essere considerate come effettuate dai singoli lavoratori, con conseguente riferibilità delle prestazioni a un soggetto diverso da quello che aveva emesso le fatture.
Sul punto relativo alla contestazione di operazioni oggettivamente inesistenti, vastissima è stata la giurisprudenza di legittimità secondo cui “…in operazioni la cui fatturazione viene ritenuta mera espressione cartolare di attività commerciali in realtà mai poste in essere, l’amministrazione ha solo l’onere di fornire elementi probatori, anche in forma meramente indiziaria e presuntiva, del fatto che l’operazione fatturata non è stata realizzata spettando poi al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, prova che tuttavia non può ridursi all’esibizione della fattura o alla dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poiché questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia” (Cass. nn. 5406/16, 28683/15,13253/15, 16936/15, 428/15, 12802/11, 9138/10, 9476/10,
15228/01)”(ordinanza 26 settembre 2016, n. 1879022). Nella fattispecie, a fronte di tutto quanto sopra riportato, l’onere dell’Amministrazione può ritenersi pienamente soddisfatto; al contrario, la controparte, col presente gravame, nulla di sostanziale ha opposto alla ricostruzione operata a suo carico per gli anni di imposta 2018 e 2019.
Alla luce di tutto quanto esposto per l’anno di imposta 2018 appare corretta la quantificazione dei costi indeducibili ai fini IRES e IRAP in € 690.918,00 e dell’IVA indetraibile in € 152.001,96.
Per l’anno di imposta 2019 parimenti corretta appare la quantificazione dei costi indeducibili ai fini IRES e IRAP in € 48.226,00 e dell’IVA indetraibile in € 10.610,00.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Napoli, pronunziando sul ricorso in epigrafe, disattesa o dichiarata assorbita ogni ulteriore eccezione, deduzione ed istanza, così provvede:
Rigetta il ricorso;
condanna la società ricorrente al rimborso delle spese di lite in favore dell’Agenzia Entrate DP2, che liquida in euro 10.000,00 oltre spese generali al 15%.